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Sparito dal codice il disegno industriale, rischio nei subappalti con ribassi a cascata: sul sito diarionuoviappalti.it intervista di Giorgio Santilli ad Alessandro Genovesi.               

«Non mi preoccupa l’obbligo di applicazione del contratto prevalente all’appaltatore, quella norma è stata rafforzata. Troppa concentrazione di responsabilità sui RUP senza dargli strumenti adeguati, ce ne accorgeremo soprattutto per le opere della fascia media fino a 10 milioni di euro. Stiamo perdendo la partita decisiva della qualificazione delle stazioni appaltanti, serve una vera litigata con l’ANCI. Per assumere nella PA 20mila tecnici servono contratti a tempo indeterminato e stipendi di mercato, anche in deroga alle leggi»

Intervista di di Giorgio Santilli
per www.diarionuoviappalti.it, sito tematico del Cresme recentemente online.

«In questo momento tutti gli operatori stanno maturando più o meno le stesse preoccupazioni su 3-4 nodi fondamentali e questo lo considero un indicatore di serietà del Paese. Piuttosto vedo disattenzione da parte della politica in un passaggio decisivo per il settore delle costruzioni, anche sotto il profilo del disegno industriale. La mia preoccupazione sta fin dal primo minuto nel fatto che questo codice sembra un po’ il frutto di dottor Jekyll e mister Hyde». Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea Cgil, una delle teste lucide del settore, parla delle preoccupazioni dei lavoratori per l’attuazione del codice. E non solo, insiste, più volte, sul tema di una politica industriale per il settore dell’edilizia.

Segretario Genovesi, questa di dottor Jekyll e Mister Hyde me la deve spiegare.

La legge delega fu scritta da Draghi che aveva in testa, con tutti i limiti di quel testo, un’idea industriale: il codice, che non a caso fu definito una riforma abilitante del PNRR, doveva contribuire non soltanto a ridurre i tempi di attraversamento, a semplificare le procedure, ad aiutare la messa a terra delle opere, come aveva cominciato a fare già il decreto-legge 77/2021. Doveva servire anche a strutturare una dimensione industriale dell’impresa e del settore. Nelle fasi successive questa dimensione, davvero strategica, si è persa. La commissione del Consiglio di Stato ha rielaborato la norma e ha lasciato aperti due o tre punti politici su cui il nuovo Governo ha fatto passare le sue idee, dall’estensione dell’affidamento diretto e delle procedure negoziate al subappalto, dalla clausola sociale al consolidamento dell’appalto integrato senza mettere quei paletti che sono necessari per farlo funzionare al meglio e senza rischi nei casi di opere complesse.

Però non si può dire che il nuovo Governo abbia stravolto l’impianto del codice.

Non sto dicendo che il nuovo Governo abbia cambiato l’impostazione generale, ma che ci sono quelle tre o quattro cose apparentemente di dettaglio che rispondono però a una filosofia completamente diversa. La mia critica più seria al codice, aldilà delle singole norme, è che sia venuto meno quel disegno di politica industriale che puntava a utilizzare il PNRR per il consolidamento industriale di un settore che aveva beneficiato dell’accelerazione di Fs e Anas e anche del Superbonus 110%. Bisognava spingere su una maggiore qualificazione delle imprese appaltatrici e invece abbiamo allargato la fascia degli affidamenti diretti e delle procedure negoziate che certo non favoriscono una crescita e una strutturazione del settore. Bisognava spingere sul subappalto specializzato e invece c’è il serio rischio che si affermi un subappalto in cui vince la logica dei ribassi a cascata.

Veramente sul subappalto la svolta l’aveva impressa già Draghi.

È vero, anzi avevamo concordato noi stessi la linea a Palazzo Chigi, la sera prima che il Governo portasse il testo del decreto-legge 77 a Bruxelles. Quella proposta conteneva lo scambio tra una maggiore flessibilità del subappalto che l’Europa ci chiedeva, con la cancellazione del tetto del 30-40%, e l’applicazione dei contratti di settore anche ai subappaltatori. Il senso per noi era: più subappalto, ma facciamolo fare solo a imprese che a loro volta si strutturino meglio. Siamo contrari, per dirla proprio chiaramente, che entrino nei cantieri delle opere pubbliche certi cottimisti che abbiamo visto all’opera nel settore privato con il 110%.

La norma sull’applicazione del contratto prevalente ai subappaltatori resta.

È vero ma non vedo più quel disegno industriale. Invece si scarica tutta la responsabilità sul RUP nella fase di esecuzione: sarà lui, insieme al direttore tecnico, ad autorizzare e controllare i subappalti dopo aver verificato che sia rispettata la condizione dei medesimi trattamenti economici e normativi dell’appalto principale.  Abbiamo spostato, pericolosamente aggiungo, il filtro, la selezione, la qualificazione delle imprese dalla fase iniziale della gara a quella dell’esecuzione, con il rischio di scaricare su quella fase difficoltà e ritardi.

C’è molto malumore fra i RUP, infatti, e cresce la posizione di chi dice che quella figura andrebbe professionalizzata, incardinata in un ruolo stabile dentro la PA.

Certo, ai RUP diamo più sempre responsabilità e non gli diamo strumenti per gestirle. Ora gli rendiamo pure più difficile affidare all’esterno la progettazione. Sono loro oggi ad avere il cerino in mano. Anche io colgo malumore e preoccupazione, ne abbiamo parecchi anche iscritti al sindacato. Servono due risposte diverse: una è l’assunzione di 20mila tecnici negli uffici tecnici delle amministrazioni che finora non siamo riusciti a fare. Poi c’è il tema di una maggiore professionalizzazione che richiama anche l’altro tema della qualificazione e di una maggiore struttura delle stazioni appaltanti.

Andiamo per ordine. Perché non siamo riusciti ad assumere questi 20mila tecnici di cui parliamo da anni?

Lo so che in bocca a un sindacalista può sembrare una proposta strana, ma dobbiamo fare un concorso per 20mila ingegneri, geometri, architetti e tecnici cui offriamo un contratto a tempo indeterminato e stipendi di mercato, anche in deroga alle leggi. Questo offre il mercato oggi e questo anche la PA deve dare, se vogliamo davvero risolvere il problema.

Veniamo alla qualificazione delle stazioni appaltanti, una partita che dura da anni e non vede una fine.

Quella partita noi la stiamo perdendo. Su quella partita ha fallito il codice Delrio, inutile che ci giriamo intorno perché  Regioni e comuni prima hanno detto sì, poi si sono sfilati. La qualificazione della stazione appaltante si alimenta di due cose: il potenziamento degli uffici tecnici di cui abbiamo detto e la riduzione del numero delle stazioni appaltanti da ventimila a non più di tremila. Nessuno può pensare che il piccolo comune abbia lo stesso potere del comune di Roma. Ma questo problema sarà risolto soltanto quando si farà una vera ligiata con il presidente dell’ANCI, ci metteremo tutti intorno al tavolo e concorderemo seriamente quante stazioni appaltanti possono restare.

Perché dice che la politica è distratta?

Questa è una fase delicata in cui bisognerebbe provare a dire la verità su alcuni punti cruciali e su quelli costruire posizioni sensate, non stravolgendo ma mettendo qualche correttivo e paletto in più dove serve. In questo momento, per esempio, sarebbe fondamentale dare più libertà di azione all’ANAC che dovrebbe accompagnare una sorta di rieducazione della pubblica amministrazione. Invece quando Busìa dice qualcosa di assolutamente sensato, ma scomodo, la politica gli spara addosso oppure si volta dall’altra parte. Ha detto una cosa sensata quando ha detto di fare attenzione all’eccesso di procedure negoziate perché senza gli opportuni accorgimenti e senza buoni progetti si profila un difetto di concorrenza e si rischia di riallungare i tempi in fase di esecuzione. È stato sommerso di critiche dal Governo e dai Comuni, è stato accusato di tradimento. Un mese dopo la stessa cosa l’ha detta la commissione UE e il ministro Fitto è corso a Bruxelles a discutere assicurando che provvederemo a introdurre i necessari correttivi.

È preoccupato anche della norma che prevede l’applicazione all’appaltatore del contratto di lavoro dell’attività prevalente?

Del subappalto abbiamo detto. Se parliamo dell’impresa appaltatrice, non sono tanto preoccupato per il settore dei lavori. La norma riprende quella già presente nel codice 50 con due aggiunte migliorative, molto importanti: deve essere la stazione appaltante a indicare già nel bando di gara qual è il contratto da applicare; l’impresa deve accettarlo, potendo semmai indicare un contratto alternativo in sede di offerta, ma questo contratto deve garantire ai lavoratori gli stessi trattamenti e tutele ed è l’impresa che deve dimostrarlo. In edilizia abbiamo tre contratti nazionali, con Ance-Legacoop, Confapi e artigiani, che hanno gli stessi costi contrattuali, cioè gli stessi minimi salariali, gli stessi minimi di accantonamento, gli stessi minimi normativi. La preoccupazione può riguardare semmai gli appalti di forniture e di servizi, con i contratti multiservizi, le cooperative sociali, gli appalti di pulizia e quelli di mensa. Ma per l’edilizia sull’applicazione dei contratti non sono molto preoccupato. Anche perché abbiamo pure il DURC di congruità, un’invenzione nostra e dell’Ance che sta dando risultati incredibili. Gli ultimi dati ufficiali dicono che grazie al DURC abbiamo messo sotto osservazione 110mila cantieri per un investimento in lavori di 32 miliardi di euro. Un dato enorme, un successo straordinario.

Resta il nodo dell’appalto integrato. Che ne pensa?

Torno al discorso del disegno industriale. Tu puoi fare l’appalto integrato per opere complesse, puoi mettere i paletti alla progettazione per evitare che dopo ci siano aumenti di costi e allungamenti di tempi. Può anche diventare una leva di una politica industriale. Ma se tu lo generalizzi anche alle manutenzioni, perché questo sta accadendo, è evidente che ci saranno amministratori pubblici che avranno grande difficoltà a gestirlo. Il problema della realizzazione delle opere nei tempi e nei costi giusti non credo che riguarderà le grandi opere, perché lì la vigilanza è molto alta. Quello che mi preoccupa enormemente sono le amministrazioni che dovranno gestire i lavori fra 5 e 10 milioni. In quella fascia, che per altro si sta molto allargando, rischiamo veramente grossi problemi perché abbiamo troppe stazioni appaltanti non adeguate al compito.

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