Proposta indecente per i sindacati quella che lo scorso 21 novembre Ance e Coop hanno portato al tavolo: un rinnovo a zero euro di aumenti e di fatto la soppressione dell’Ape,l’indennità di anzianità edile, che corrisponde a circa uno stipendio.
“Molti ci hanno chiesto che senso ha scioperare in un momento di crisi così grave” ha proseguito il leader Fillea “si, siamo di fronte ad una crisi drammatica ma se siamo arrivati a questo punto la responsabilità non è del sindacato e dei lavoratori. Noi per primi abbiamo individuato le cause della crisi, che non è solo congiunturale ma strutturale di un modello di sviluppo e di un modello produttivo basati sulla rendita e la speculazione, che generano profitti enormi e devastazione del territorio senza rispondere né ai bisogni sociali primari come il diritto alla casa, né ad una crescita in qualità del sistema delle imprese.”
Per questo “occorreva il coraggio di un cambiamento radicale quando, dopo il dramma dell’Aquila - cui sono seguite purtroppo quello dell’Emilia e tanti altri, fino all’ultimo che ha coinvolto la Sardegna cui va tutta la nostra solidarietà e vicinanza - dopo quel dramma e le iene della cricca, indicammo negli obiettivi di qualità, legalità e sostenibilità i cardini di un nuovo modello di sviluppo, lanciando con le associazioni datoriali la sfida degli Stati Generali delle Costruzioni.”
Quegli obiettivi sono rimasti fino ad oggi “nel libro dei sogni, e le responsabilità sono da ricercare nei governi e nelle imprese, nella loro mancanza di coraggio e coerenza” ha proseguito Schiavella “i governi non sono intervenuti, accettando lo scambio con le imprese tra zero investimenti in cambio di zero regole, che ha generato una crescita esponenziale di irregolarità e illegalità” e le imprese hanno inseguito la crisi “rispondendo agli istinti primordiali della loro base associativa, assecondando deregolazione e rincorrendo la corsa al ribasso a scapito del lavoro.”
La proposta fatta da Ance e Coop al tavolo negoziale “è la logica conseguenza di questa scelta scellerata da parte delle imprese” come dimostrano le richieste di “aumentare il part time al 50%, il lavoro a chiamata, il lavoro intermittente, l’allentamento della responsabilità solidale” un tentativo di abbassare ancor di più l’asticella delle regole in un settore dove sono spariti 300mila posti di lavoro (700mila con indotto e artigiani), dove “si licenzia a fine cantiere e la dimensione di impresa rende di fatto inapplicabile l’articolo 18, dove la precarietà è insita nella stessa organizzazione produttiva e la catena dei subappalti destruttura imprese e ciclo produttivo.”
E se la crisi è diventata “il pretesto per un attacco non solo al rinnovo del contratto ma alle stesse funzioni ed al ruolo del ccnl come elemento solidale di regolazione del mercato e delle condizioni del lavoro” dalle piazze degli edili - Roma, Milano, Napoli, Palermo - la risposta è “non molleremo. Ed ancora domani saremo in piazza con le confederazioni per chiedere al Governo di cambiare la legge di stabilità, restituendo ai lavoratori e ai pensionati ciò che la crisi ha tolto loro a vantaggio delle rendite e della speculazione, gettando milioni di persone sotto la soglia della povertà.”
Piazze da cui non si leverà “nessun populismo ribellista” ma solo un profondo “senso di responsabilità verso l’interesse generale del paese, il rispetto delle istituzioni democratiche, il rifiuto assoluto di ogni violenza, la condanna di qualunque forma di prevaricazione.”