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20.02.14 Concluso il congresso territoriale della Fillea Gorizia, pubblichiamo la relazione integrale del segretario generale, Enrico Coceani, riconfermato alla guida della struttura con il voto unanime dei delegati.


Nel darvi il benvenuto, vi ringrazio anche a nome dei compagni e compagne della segreteria e dell’apparato della FILLEA e della CGIL per aver voluto essere presenti a questo nostro importante 18° congresso Provinciale. 
Questo appuntamento è una tappa del percorso congressuale che si concluderà con il congresso Nazionale della CGIL, dal 6 al 8 maggio prossimi.
A questo nostro congresso provinciale partecipano n. 20 delegati eletti nelle assemblee di base, alle quali hanno partecipato attivamente, considerato il gran numero di lavoratori in CIG, una larga parte dei lavoratori iscritti alla Fillea. 
E’ stato un lavoro intenso, un grande esercizio di democrazia, che si è concentrato soprattutto nell’ultimo mese, e che ha visto la Fillea di Gorizia impegnata a tutti i livelli per consentire che il più alto numero possibile di lavoratori iscritti potesse prendere parte alla nostra discussione e, com’è nello stile della CGIL, per permettere una parte attiva e una condivisione di questo momento anche ai lavoratori non iscritti alla nostra organizzazione, sparsi in tutta la provincia nelle aziende dei diversi settori di nostro riferimento (laterizi e manufatti in cemento, legno arredamento, lapidei, cemento e disoccupati) e negli innumerevoli cantieri edili. 
A noi, oggi, spetta il compito di eleggere i delegati che dovranno rappresentarci lungo questo percorso, dai congressi intermedi della FILLEA (per il Direttivo Regionale FVG che si terrà il 1 marzo p.v. e al congresso Nazionale, che si terrà a Roma il 2-3 Aprile p.v.), ai congressi della CGIL di Gorizia e Regionale che si terranno rispettivamente il 6 -7 Marzo e 27-28 marzo.
La discussione, nonostante la contrapposizione tra due diverse tesi congressuali, presentate dal Direttivo nazionale CGIL, è stata con e tra i lavoratori della nostra categoria, costruttiva e ci ha consentito di definire l’azione e le scelte organizzative che dobbiamo impegnarci a perseguire per rafforzare la contrattazione di primo livello e per estendere e valorizzare la contrattazione di secondo livello, per la salvaguardia dell’occupazione, per consolidare ed accrescere i diritti nel lavoro e i diritti di cittadinanza, per favorire la crescita professionale, aumentare il potere di acquisto delle retribuzioni e garantire condizioni di lavoro sicure in ambienti salubri. 
I lavoratori, a stragrande maggioranza (99%), hanno sostenuto il documento presentato dal Segretario Generale Susanna Camusso, intitolato “IL LAVORO DECIDE IL FUTURO”. 
Il documento, che mette al centro del campo di gioco il PIANO DEL LAVORO della CGIL presentato l’anno scorso, propone una serie di azioni pensate per operare un vero cambiamento delle politiche liberiste che hanno originato la crisi economica e finanziaria che stiamo vivendo, e che dai mercati finanziari e dalla globalizzazione dei mercati senza regole si è trasmessa sull’economia reale determinando il crollo della domanda interna e internazionale con conseguente crollo delle produzioni di beni e servizi e gravi perdite dell’occupazione. 
Molte risorse pubbliche sono state impiegate, negli ultimi anni, per tentare di porre un freno alla crisi finanziaria: spesso queste ingenti somme di denaro hanno preso la strada delle istituzioni finanziarie, e non quella del sostegno al reddito dei lavoratori e allo sviluppo delle tutele sociali.  
Se, ora, il tracollo finanziario pare scongiurato, rimane però e sempre più forte il problema di come riavviare uno sviluppo in modo da evitarci di ricadere nelle contraddizioni e nelle disuguaglianze che hanno portato a questo disastro. Il problema, oggi, è ripensare un nuovo modello di sviluppo che, oltre a fare ripartire l’economia, tenga conto della necessità di proteggere l’ambiente in cui viviamo, salvaguardando l’occupazione, i redditi dei lavoratori e le conquiste dello stato sociale.
I nostri lavoratori, che già prima della crisi non riuscivano, come si usa dire, ad arrivare alla terza settimana del mese perché percepiscono retribuzioni cosiddette “Greche”, inferiori del 30/40% a quelle Tedesche, Francesi, Inglesi ma comprano beni e servizi a prezzi cosiddetti “Tedeschi”, in questo periodo hanno visto peggiorare notevolmente la loro condizione. Per non parlare dei numerosi lavoratori in condizioni di estrema precarietà, assunti con contratti a termine o atipici, ancora più scarsamente retribuiti, e per i quali è impossibile programmare il futuro.
Il contesto in cui viviamo si è, negli ultimi decenni, progressivamente deteriorato: la politica non dà adeguate risposte, i mass media contribuiscono ad alimentare le ansie e le angosce di un paese che vive a diverse velocità; i conflitti istituzionali sono quotidiani, sono imperanti gli attacchi, palesi o più subdolamente condotti, a istituti democratici come la 
libertà di informare ma anche di essere informati; gli investimenti in cultura, variamente intesa, sono sempre più risicati e spesso riservati agli “amici degli amici”, sono sistematici i tentativi di mistificare la realtà.
Ciò che accade, quindi, è che a diffondersi, anziché uno spirito di fiducia e ottimismo, è una generalizzata paura di perdere quello che si è conquistato: oggi si può essere poveri anche lavorando, ed è una triste novità che ci hanno regalato questi ultimi anni. In un contesto di ansia, e di sfiducia, fioriscono insicurezze e timori, che hanno conseguenze estremamente negative sul tessuto sociale, che inevitabilmente si disgrega di fronte a fenomeni altrove regolati e normali come le immigrazioni e la commistione di culture; si innescano meccanismi di “guerra tra poveri” che non hanno altra conseguenza se non alimentare la xenofobia e minare alla base le conquiste di molti anni di lotte, la solidarietà di classe, la collaborazione nella ricerca delle tutele, la convinzione che se si sta un po’ meglio in gruppo si sta meglio anche individualmente. I fatti di Rosarno di alcuni anni fa ne sono la prova tangibile.
Nei prossimi mesi purtroppo, quando rinnoveremo il Parlamento Europeo, lo vedremo ancora più manifestamente, ma sono già prepotentemente tra di noi sentimenti diffusi di egoismo, protezionismo, antiglobalismo, eurofobie, xenofobie, discriminazioni di razze, di religione, di genere e di condizione sociale conditi da una sempre maggiore sfiducia, in particolare tra i giovani, che non riescono ad immaginare il proprio futuro. E il lavoro, i diritti e i doveri connessi con il lavoro, sono la chiave per entrare a pieno titolo nel futuro. 
Le famiglie dei lavoratori italiani sono diventate mediamente più povere, in termini di denaro e di possibilità: perché gli asili nido sono una vera rarità e non sempre, in loro assenza, si può ricorrere all’aiuto di nonne e nonni, perché l’assistenza pubblica agli anziani è una chimera, l’edilizia popolare, se c’è, non viene in aiuto di giovani coppie, o pensionati in situazione di bisogno, manca una tutela vera, nei fatti e non solo nella norma, per le madri che lavorano (il più delle volte costrette dalla situazione a lasciare il lavoro) e perché, nonostante tutto, ancora il sistema dell’istruzione di base e superiore, e di formazione professionale non è adeguato alle esigenze del mondo che cambia.
La politica, il Governo, devono tornare a essere promotori di una politica economica e sociale per il rilancio del nostro paese abbandonando una volta per tutte un sistema per troppo tempo caratterizzato quasi esclusivamente da favoritismi e clientelismi verso le potenti lobby non ufficiali presenti in Italia.
Come? Le idee sono molte, e molte sono contenute nei documenti congressuali che stiamo discutendo. Ad esempio imparando a sfruttare al meglio l’opportunità concessaci dall’anno europeo dell’economia verde, proclamato dall’UE per il 2014, in coincidenza con il turno italiano alla presidenza del Consiglio dell’Unione: non è solo uno stimolo per contrastare le conseguenze drammatiche dei mutamenti climatici, ma è anche una straordinaria occasione per rilanciare la competitività delle nostre imprese a partire dall’economia verde e sostenibile, è un modo per offrire prospettive anche ai nostri giovani. Nel nostro Paese, come evidenziato dal rapporto GreenItaly 2013 di Symbola e Unioncamere, già oggi esiste un’Italia “green” che è fatta dal 22% delle imprese, che crea occupazione e ricchezza, tanto che il 38% delle assunzioni complessive del 2013 si è dovuto a queste realtà. 
Grazie a quella che potremmo definire una “green Italy” sono stati prodotti nel 2012 oltre 100 miliardi di valore aggiunto e vengono impiegati 3 milioni di “green jobs”, che sono il motore dell’innovazione perché rappresentano il 61% delle assunzioni previste dalle aziende nella ricerca e sviluppo è coperto proprio da green jobs. Le nostre realtà green sono quelle più competitive, quelle che esportano di più  ed innovano di più. Ma non solo, sono anche le imprese che offrono più speranza ai giovani: il 36% delle assunzioni programmate nel 2013 dalle imprese green sono rivolte ad under 30 contro il 30% delle imprese non green. Dando segnali positivi anche sul fronte dei diritti: se guardiamo ai green jobs, tra le assunzioni a carattere non stagionale, l’incidenza delle assunzioni a tempo indeterminato è del 52%, mentre scende al 40,5% per le figure non connesse al settore green.
Un esempio di green economy per rilanciare un settore come l’edilizia, che e’ stato sempre un volano fondamentale per la nostra economia, potrebbe partire dalla riqualificazione del patrimonio esistente.
L’Italia è il maggior consumatore di cemento al mondo ed ogni anno un’area del Paese grande all’incirca come l’Emilia Romagna viene edificata. E ciò in un Paese con una popolazione che cresce poco e che in ampie aree del paese presenta grossi fenomeni di spopolamento. Già dieci anni fa, si stimava che, a Milano, il numero di edifici ed abitazioni vuoti fosse uguale a tutti quelli presenti nella città di Monza. Il consumo del suolo, ed in particolare la perdita di suolo agricolo, è uno dei principali problemi delle regioni europee, le quali, al contrario di quanto accade in Italia, hanno già preso seri provvedimenti. In Olanda non è possibile costruire su terreno vergine, in Francia ed in Germania ogni anno si stabilisce quanto è possibile costruire e la quota di terreno vergine che può essere sacrificata. Eppure, in questi paesi, non sembra che l’edilizia soffra la crisi più che in Italia, anzi. La chiave di volta è la riqualificazione dell’esistente. Le case italiane vengono troppo spesso costruite ancora con metodologie vecchie che rendono le case italiane le meno efficienti d’Europa, calde d’estate e fredde ed umide d’inverno. E ciò nonostante una normativa che, seppure in maniera ampiamente migliorabile, preme per un miglioramento dell’efficienza energetica delle abitazioni, anche al fine di limitare il problema derivante dalla non autosufficienza energetica del nostro Paese, che compra quasi tutto il suo fabbisogno all’estero.
Migliorando la coibentazione delle case e sfruttando sistemi di riscaldamento/raffrescamento innovativi si riesce a garantire una temperatura quasi costante, durante tutto l’anno, all’interno delle abitazioni. In questa maniera si abbattono i consumi di combustibile e di elettricità, con benefici non solo per le tasche del singolo ma anche sociali, visto l’abbattimento delle emissioni legate al consumo di fonti fossili.
E non trascuriamo il fatto che numerosi materiali utilizzati nella bioedilizia, come il sughero e la lana di pecora, vengono prodotti in Italia dove hanno sede tra i più noti operatori del settore.
Purtroppo in Italia, però, quando si parla di riqualificazione e di bioedilizia, bisogna anche fare i conti con operatori che fanno resistenza davanti alle innovazioni. E troppo spesso si pensa alla riqualificazione di un’abitazione, come se questo fosse un capriccio da parte di chi non sa come meglio usare i soldi, come si trattasse di cambiare le tende o le mattonelle del bagno.
Invece, il patrimonio edilizio italiano ha un’età media piuttosto elevata che rende la riqualificazione un’impellente necessità: il 75% delle case è stato costruito nel dopoguerra, una gran parte delle abitazioni presenta un elevato stato di degrado e molti edifici sono a rischio di crollo. Il richiamo è anche all’edilizia pubblica, agli ospedali, ma soprattutto alle scuole, che necessitano di un urgente piano di recupero e di riqualificazione: è di questi ultimissimi giorni il crollo di soffitti e controsoffitti in due scuole della nostra provincia, che pure non è tra le “ultime” in fatto di attenzione agli edifici scolastici. 
Quindi, riflettiamo seriamente quando qualcuno ci dice che per far risalire il PIL bisogna costruire lungo le sponde dei fiumi, sui campi di grano e sulla battigia… 
Alle volte basta guardare a cosa fanno o hanno fatto altri, vicino a noi, per trovare spunti o indicazioni utili per un rilancio. Il governo spagnolo, ad esempio, ha stanziato 103 milioni di euro per rimuovere “lo sterco del Diavolo”, una delle cause della crisi economica più lunga e incisiva nel tessuto sociale dal dopoguerra: la speculazione immobiliare. A cinque anni dallo scoppio della bolla, infatti, la Spagna vanta il record di circa 800 mila alloggi invenduti e oltre 500 mila case in costruzione e abbandonate. Opere superflue che hanno danneggiato il territorio e l’economia. Per recuperare gli errori commessi, il governo ha rifatto i conti ed è arrivato alla conclusione che una parziale demolizione dello stock invenduto costerebbe meno della sua manutenzione che, in assenza delle società di costruzione quasi tutte fallite, è stata presa in carico proprio dallo Stato.
In Italia i numeri non sono molto diversi. Nel 2012, secondo il centro studi economici Nomisma, erano 694 mila gli alloggi vuoti e 328 mila quelli in costruzione (fonte Ance). Si contano 15 mila aree industriali dismesse da riconvertire che, con questa crisi economica senza fine, prevedibilmente aumenteranno. C’è solo una differenza fra Roma e Madrid: qui lo “sterco del Diavolo” vogliono utilizzarlo come concime. Le cause della crisi rimosse e i costi spalmati sulla collettività. La politica getta legna nuova nella fornace. La legna è il denaro pubblico.
Il governo Letta, tramite la Cassa Depositi e Prestiti, ha messo a disposizione delle banche 2 miliardi di euro per l’erogazione di nuovi mutui per l’acquisto della prima casa. Peccato però che in Italia il mercato sia saturo. L’80 per cento delle famiglie italiane possiede una casa, il restante 20 per cento vive in affitto o una casa di proprietà non potrà mai permettersela. Negli ultimi anni il mercato immobiliare è cambiato assestandosi su un doppio paradigma: chi ha fame (di casa) non viene saziato, chi ha la pancia piena non vuole più mangiare.
Secondo il SUNIA sono 583 mila le famiglie che ambiscono a un alloggio popolare ma non si costruisce per loro considerato che appena il 7,5 per cento del parco case in costruzione è rivolto a loro. Ecco dove agire. Ecco dove c’è fame. Anziché gettare legna nuova nel circolo ormai logoro casa-mutuo-banca, si elude questa forte domanda sociale, che ha risvolti economici. Anche in questo caso, se non si rimuovono prima le cause, la crisi tornerà a farsi vedere.
E’ quindi, a mio parere, necessario agire su questi fattori, con azioni forti, con scelte decise: perché non lavorare, ad esempio, per promuovere la cessione degli immobili delle imprese edili fallite ai Comuni, con il vincolo di destinazione ad affitti a canoni sociali, o come ad esempio una tassa di scopo sugli immobili vuoti da destinare all’edilizia sociale. Con appena 50 euro lo Stato incasserebbe 35 milioni di euro e spingerebbe i proprietari alla locazione: il mercato sarebbe a questo punto calmierato naturalmente.  Utopia? Io credo di no: se la politica tornasse a mettersi, davvero, a disposizione dei cittadini, per ascoltarne le esigenze e proporre soluzioni, smettendo definitivamente il ruolo di sostegno alla dimensione partitica pura, ecco che, forse, alcune di queste misure e proposte potrebbero davvero fare la differenza.


In questi giorni si è parlato molto del caso Electrolux. Questo è sicuramente  una metafora dello stato di salute del nostro Paese all'epoca della globalizzazione. L'impresa minaccia di delocalizzare i suoi stabilimenti in Polonia e, per difendere l'occupazione, i sindacati dovranno accettare una riduzione delle ore di lavoro, dei permessi sindacali e un abbassamento di 3 euro/ora del costo/ora del dipendente, che è oggi pari a 24,5 euro.  Per lavorare in Italia dovremo diventare come polacchi? Non sarebbe una novità,dato che già oggi la busta paga di un napoletano è come quella di un lavoratore di Cracovia.

Come sempre, il tema è avvolto da tensioni e confusione perché le cose da noi avvengono all'italiana. Come negare che il metodo Marchionne – o, se vogliamo, la vecchia prassi dello sciopero del capitale, cioè la minaccia del "o fai come dico io o me ne vado", facilmente azionabile, oggi, dai “padroni del vapore”, grazie alla completa liberalizzazione dei mercati -, sia un odioso ricatto? Lo è, infatti, ma è anche miope e folle: la deflazione competitiva dei salari crea una spirale autodistruttiva per l'economia, con i crolli dei consumi. Chi comprerà auto e lavatrici, con stipendi da fame?

Dal lato della rappresentanza sindacale, tuttavia, non dobbiamo però fare finta di non vedere che c’è qualcosa che non funziona: il tema dell'abuso dei permessi sindacali o delle malattie facili, magari prese in concomitanza con la partita della squadra del cuore, c'è tutto. Anche in questo caso, non bisogna lasciarsi sedurre dalle sirene dell'estremismo: se la rappresentanza sindacale, che è garanzia di diritti, degenera in privilegi, non si fanno fuori i diritti, ma i privilegi.

Solo sullo sfondo di queste storie di dolore,  il tema in generale è come lo Stato possa sostenere i lavoratori, senza sussidiare un'impresa che, per la mano invisibile del mercato, comunque morirà o si delocalizzerà.

Di fronte a queste tensioni, opera la seduzione dei neoprotezionisti, a destra come a sinistra, che ritengono che la soluzione sia rappresentata dal colpire con dazi i prodotti provenienti anche dalla stessa UE, ma da quei paesi con il costo del lavoro più basso, perché a più basse tutele. 

Ma è la soluzione far pagare ai cittadini lavatrici autarchiche a prezzo maggiorato? In questo scontro fra la civiltà del lavoro e le logiche del capitale, invece, vengono a galla le responsabilità della cattiva politica e dei cattivi capitalisti.

Il costo del lavoro in Italia non incide tanto di più come vogliono farci credere: c'è quindi un obiettivo di indebolimento di lavoratori e sindacati che è parte di una battaglia politica e non di una strategia di efficientamento economico.

La nostra debolezza non è che il costo del lavoro sia più alto, ma che sono più bassi i salari, perché più alti sono la tassazione e gli oneri sociali.
Anche rispetto a queste due ultime voci, il problema vero sono i servizi scarsi che riceviamo. I bilanci dello Stato sono infatti assorbiti in spese di autoamministrazione e ci sono pochi investimenti sul welfare, il moltiplicatore in grado di fare del capitale umano il nostro valore aggiunto.

Se quei tre euro in più che costiamo rispetto al lavoratore polacco comportassero una salute migliore (e minori perdite di giornate lavorate a causa malattia per le imprese) e un'istruzione più qualificata, gli oneri sociali sarebbero un investimento e non un costo.

La politica dovrebbe investire in ricerca e sviluppo, diminuire i costi dell'energia, migliorare i trasporti e diminuire la burocrazia.

In caso contrario, sussidi e mercantilismo continueranno ad essere la scorciatoia per la cattiva politica che non vuol far funzionare bene il Paese.

RINNOVI CONTRATTI NAZIONALI
In questa situazione di crisi, l’aver rinnovato i contratti nazionali del legno, lapidei, cemento ed edilizia artigiani senza aver perso diritti acquisiti ma rafforzando la struttura contrattuale con a capo il contratto nazionale e il ruolo della contrattazione aziendale/territoriale, è per noi motivo di grossa soddisfazione.
Questo risultato, tengo a ricordarlo, è stato ottenuto anche grazie alla grande mobilitazione dei lavoratori che, seppur attanagliati dalla crisi, hanno risposto in massa allo sciopero di giugno proclamato dalle tre sigle sindacali che seguivano la trattativa del legno.
E’ stato sicuramente, questo, un fattore fondamentale per la ripresa e la sigla tra le parti di un’intesa che giudico positiva. Avere rafforzato il ruolo delle R.S.U. ritengo poi sia stato un fatto sicuramente vincente per il futuro del Sindacato Italiano. Ma su questo argomento tornerò più avanti in questa mia relazione. 
Le risposte salariali sono state dignitose e l’impianto sul WELFARE SOCIALE penso potrà dare risposte importanti alle mancanze del nostro sistema di WELFARE nazionale.
La grossa vergogna è, purtroppo, ad oggi il mancato rinnovo del CCNL dell’edilizia con la parte industriale, l’ANCE.
Questa trattativa, secondo la mia opinione, racchiude in sé tutte le contraddizioni che sono tipiche di questa struttura negoziale. Ci chiedono di condividere con loro richieste per il rilancio dell’economia edile firmando protocolli d’intesa (Stati Generali), facendo convegni, incontri con politici e poi, al momento del rinnovo contrattuale, si dimenticano dei nostri lavoratori….
Le richieste fatteci in fase di trattativa, cioè un aumento salariale pari a zero euro, la messa in discussione dell’istituto dell’APE (che comporterebbe una perdita di denaro nella retribuzione di un edile) e i tagli al sistema bilaterale, devono essere respinte al mittente e non possono nemmeno essere prese in considerazione.
Siamo davanti una provocazione!!!
Le posizioni della controparte rappresentano la parte più conservatrice del padronato italiano, che vorrebbe tentare di uscire dalla crisi ridimensionando il ruolo del CCNL, della contrattazione di secondo livello, della bilateralità, dei diritti dei lavoratori e delle regole necessarie ad una rigorosa competizione.
Bisogna pertanto continuare a far sentire forte la nostra voce e dare un mandato forte alla delegazione trattante che possa individuare forme ulteriori di protesta affinché questa trattativa si sblocchi.
Possiamo poi fare molto anche a livello locale. Per questo vi voglio qui introdurre un argomento che ritengo strategico ma anche innovativo per il settore dell’edilizia: l’istituzione di una prestazione di sostegno al reddito per i lavoratori che siano disoccupati da almeno tre mesi, da finanziarsi  richiedendo un contributo consistente alla Regione FVG e creando, con le Casse Edili regionali, un sistema di gestione compartecipata tra le varie strutture. Si creerebbe, in questo modo, un modello di intervento a favore dei soggetti più colpiti dalla crisi economica, in un settore da sempre più debole rispetto ad altri, e questo modello potrebbe rappresentare inoltre un’ulteriore occasione di sperimentazione della collaborazione tra  pubblico e privato, a garanzia di migliori prestazioni sociali ai cittadini, e magari, in prospettiva, fonte di incentivo per le aziende che assumessero questi lavoratori.
Ritengo necessario inoltre che il sindacato faccia la propria parte per riallacciare un’interlocuzione con la Regione che permetta di ridare al nostro sistema di Scuole Edili il ruolo che gli spetta e che si è meritato e si sta meritando sul campo. E’ necessario individuare, con la Regione appunto, i percorsi formativi da predisporre e fare finanziare e che siano quelli necessari per permettere la riqualificazione professionale, finalizzata alla ricollocazione, dei lavoratori o dei disoccupati provenienti dall’edilizia verso i settori con le maggiori prospettive future di assorbimento. Bisogna però contestualmente operare per fare sì che a venire finanziati siano anche i corsi per migliorare la professionalizzazione di coloro che nel settore per fortuna ci sono rimasti e ci rimarranno. La formazione professionale è una delle più sane e utili leve per ripartire e per rilanciare un settore in crisi come quello dell’edilizia. Lo dicevo in apertura di questa relazione: se una delle possibilità che ha questo settore è verso l’edilizia sostenibile, come ci indicano anche le strategie europee, è necessario che i nostri operatori siano preparati e formati sull’utilizzo di queste nuove tecnologie e tecniche realizzative, oltre che sul lavorare in sicurezza e con competenza maneggiare le attrezzature da lavoro. Tuttavia, per la buona riuscita di questa azione, prima di tutto è il nostro sistema che deve tornare a credere in se stesso e nelle sue potenzialità: serve, urgentemente, un chiarimento a livello regionale con tutti i soggetti che compongono i nostri enti bilaterali. Sono passati inutilmente troppi anni senza che vi sia stata una decisione chiara e univoca su quale ruolo vogliamo dare alle nostre Scuole Edili, su come immaginiamo il loro futuro e su quale debba essere la loro azione.
Spesso motivi molto poco professionali, come gelosie, incomprensioni, o la paura di perdere ruoli all’interno delle scuole hanno condizionato le scelte e permesso che si continuasse in una situazione di stallo, tanto che il vecchio coordinamento del Formedil regionale è stato chiuso e il suo “successore”, un coordinamento di fatto, ma regolamentato, tra le diverse scuole, non si è mai riunito.
Per tutti questi motivi, chiedo quindi al prossimo Segretario Regionale della FILLEA, di farsi carico di questo problema e che, in assenza  almeno la parte sindacale in modo unitario abbia una posizione comune e chiara: la FILLEA di Gorizia, sarà sempre al suo fianco su questa vicenda perché convinta dell’importanza della partita in gioco.



EDILIZIA
A livello regionale, il settore delle costruzioni ha, negli ultimi 5 anni, perso circa 5000 posti di lavoro passando dagli 14438 del 2008 ai 9703 della fine del 2013, con una perdita percentuale di circa il 25% degli addetti.
Inoltre delle circa 3000 imprese che erano presenti in regione nel 2008, oggi ne sono rimaste solo 2.200: hanno chiuso più di 800 realtà aziendali.
Il 2013 è stato un anno estremamente difficile, anche per la nostra provincia. Il nostro settore di attività si è comportato in modo lineare con l’andamento economico provinciale, regionale e nazionale. 
I dati delle Casse edili nazionali hanno confermato per il 2013 il trend negativo che ha avuto inizio nel 2008: -15,7% di ore lavorate, -13,7% di operai e -12,2% di imprese iscritte a gennaio 2013 rispetto allo stesso mese del 2012. La nostra Provincia è perfettamente in linea con questi numeri: nell’anno di bilancio 2013 sono state  -15,10% le ore lavorate, -5,35% gli operai denunciati, -1,09% le imprese iscritte.
Partendo proprio dal famigerato 2008, per la nostra Provincia il calo del numero delle imprese iscritte alla Cassa edile è di circa il 20% (da 338 a, mediamente, 270); gli operai, che erano 1357 nel 2008, sono 1196 oggi, il 12 % in meno; le ore lavorate, confrontando i due anni presi a riferimento, sono calate del 32%. L’unico dato che aumenta è, purtroppo, la cassa integrazione, che registra un + 44%.
Si tratta di dati, di numeri, che sono destinati purtroppo ancora a crescere; i cantieri della Villesse-Gorizia e quello della costruzione del parco commerciale Ikea sono ultimati. Quello appena concluso sarebbe dovuto essere l’anno dell’introduzione definitiva della verifica di congruità, tuttavia al termine dell’estate, con delibera del comitato della bilateralità, l’introduzione definitiva, quale requisito essenziale per la verifica di regolarità, della congruità della manodopera è stata rinviata al mese di ottobre 2014.
Rimane la valutazione sull’importanza della verifica di congruità quale elemento utile per il contrasto del sommerso, del lavoro nero, per l’emersione delle irregolarità. Già però in questa fase di sperimentazione, possiamo rilevare come risulti difficile la dimostrazione effettiva della congruità applicata, che al momento rimane ancora un controllo contabile a tavolino, successivo alla fine dei lavori. 
Come già evidenziato in altre sedi e in altri contesti, ritengo invece che sia la conoscenza immediata e diretta dei cantieri da parte della Cassa Edile, preliminarmente al loro inizio, o contestualmente all’avvio dei lavori, a poter costituire un efficace strumento di tempestivo intervento per il rispetto della piena legalità in edilizia, in termini di regolarità contributiva, sicurezza, tutela della salute. Sottolineo che un lavoro serio ed efficace su questo tema implica una attività di coordinamento con tutti i soggetti coinvolti: comuni, enti appaltanti, imprese, sindacati, enti previdenziali, soggetti preposti al controllo dei cantieri.
Auspico perciò che sia possibile portare a compimento i passi intrapresi nella direzione della raccolta e della sistematizzazione dei dati relativi ai nuovi cantieri che si aprono nella nostra provincia: il riferimento, nello specifico, è all’acquisizione delle notifiche preliminari, il cui accesso da parte degli enti bilaterali, come le Casse Edili, è previsto dall’art. 99 del D. Lgs 81/2008.
Al momento attuale la Cassa edile di Gorizia ha siglato un accordo con la Direzione Provinciale del lavoro per l’invio mensile di alcuni dati dei cantieri nella nostra provincia; si sono avviati i contatti con ASS, INAIL e comuni per mettere a confronto dati e tabelle, e fare in modo che il sistema possa funzionare correttamente, costituendo una banca dati chiara, leggibile, utile.
Stiamo elaborando come parti sociali tramite la Cassa Edile un progetto che dovrebbe andare in questa direzione, tuttavia la strada è ancora lunga e accidentata.

LEGNO
Nella nostra provincia, il disagio finanziario si sta facendo sentire in modo drammatico. L’onda anomala, dopo aver colpito il vicino Distretto della Sedia, dove solo le aziende più lungimiranti, che avevano preventivamente investito in tecnologia e ricerca, hanno retto, miete, infatti, numerose oltre che prestigiose vittime nel nostro ambito territoriale.
Dopo le chiusure delle aziende: Calligaris  di Cormons, Codognotto, Sit-On Components, Marcon, Marcatre e Italsvenska, rimangono in attività piccole unità produttive che ricorrono massicciamente agli ammortizzatori sociali.
Con soddisfazione possiamo affermare che la scelta, che per primi abbiamo operato nella nostra provincia, di ricorrere ai Contratti di solidarietà si è rivelata fondamentale per ancorare i lavoratori ai loro posti di lavoro. Esempi di riferimento possono essere i casi della MIBB e della Medeot.
Unica tra tutte le realtà l’Ilcam, seppur tra luci e ombre, sembra aver colto la vulnerabilità di questo passaggio cruciale e lo ha palesato attuando un piano industriale importante, comprendente sì imponenti investimenti in macchinari e strutture, ma anche tagli del personale e ricorso ai lavoratori precari per i picchi di lavoro, oltre a una incessante ricerca di abbattimento del costo del lavoro (come la richiesta di spostare parti di salario presenti nella parte alta della busta paga in quella bassa mettendola dentro a un indicatore variabile legato alla presenza) e di instaurare una flessibilità di orario e di salari che ovviamente come sindacato dobbiamo e vogliamo respingere.
Fuori da questo panorama poco rassicurante si collocano le aziende con un prodotto di nicchia come la Fogal o la Stone Italiana, o altre operanti nel settore nautico come la Marina Hannibal. 
La nostra provincia sta subendo la crisi anche negli altri settori: la chiusura delle Fornaci di Sagrado (laterizi) e delle Fornaci di Cormons, in concomitanza con la chiusura di moltissime aziende artigiane del settore lapideo, è il termometro di una crisi che si sta riversando sui lavoratori e sulla nostra gente. Sempre più frequentemente ai nostri uffici si rivolgono persone disperate, che ci chiedono aiuto per ricollocarsi, per avere lettere da presentare come “garanzia” alle banche, per chiederci assistenza nelle vertenze, per segnalarci casi di mobbing, persone che ci chiedono in lacrime di trovar loro una sistemazione, altrimenti saranno costretti a tornare nel loro paese d’origine, visto quanto è sancito dalla legge Bossi –Fini.
Da un lato si tratta di lavoratori che, per fortuna, vedono in noi un’organizzazione seria sempre disposta ad aiutare e risolvere i problemi delle persone. Noi, mettendoci la nostra professionalità, ma anche il nostro cuore, cerchiamo sempre, per quanto possibile di aiutarli, di fornire loro supporto, di dare loro suggerimenti e di mostrare le vie da percorrere; cerchiamo di lavorare per creare le condizioni affinché questi lavoratori trovino in noi una bussola per uscire dalle difficoltà dell’attuale mondo del lavoro. Forse anche per questo sempre più spesso le persone s’iscrivono con noi. Ma noi, da soli, non possiamo bastare, quando le difficoltà sono del sistema.
Chiudiamo l’anno senza una grossa perdita di iscritti e questo è sicuramente il frutto del lavoro che ho appena descritto, ma anche di quel presidio quotidiano nei vari stabilimenti o cantieri provinciali e soprattutto di quel magnifico lavoro svolto dalle RSU aziendali o dai membri del Direttivo provinciale.
Al riguardo, io rimango anche oggi, della mia idea: un lavoratore sceglie di iscriversi o di cambiare a nostro favore l'iscrizione, in funzione dell'impegno e della presenza del Sindacato sul posto di lavoro.
Questa presenza continua può essere garantita principalmente, ma in maniera decisiva, dal delegato.
E' il collega che vede tutti i giorni, che lavora con lui, che conosce e vive gli stessi problemi e che può far percepire davvero l'impegno concreto e costante del sindacato nel trovare le risposte ai problemi.
Certo il delegato da solo non basta, se non c’è, alle spalle, un’Organizzazione in grado di supportarlo nell'affrontare i problemi.
Serve un lavoro sinergico e, dove è stato fatto, ha prodotto risultati, dove questa azione stenta segniamo il passo, e non dobbiamo consolarci con l'idea che gli altri sono messi peggio.
L'idea del “funzionario” che fa tutto, oggi, per la complessità e l'articolazione del lavoro, è un’idea a mio giudizio superata e debole, da praticare come ripiego solo per il tempo strettamente necessario alla ricerca di riferimenti in fabbrica.
Infatti, il ruolo delle RSU, nella visione della CGIL, è di primaria importanza, e mai secondaria al Sindacato.
Vorrà pure dire qualcosa il fatto che da sempre come CGIL cerchiamo di ampliare gli ambiti di competenza della RSU e non a limitarli come vorrebbero gli altri.
Dobbiamo quindi continuare a costruire una rete di delegati che sia la più capillare possibile, individuando tra i nostri iscritti, con rinnovato impegno, le figure su cui investire, con la formazione ed il rodaggio sul campo, per creare i futuri nuovi quadri sindacali.
Quando riusciamo a fare questo i lavoratori ci premiano, lo vediamo sia con la richiesta di iscrizioni che dai risultati nelle elezioni dei rappresentanti.
PACE/AMBIENTE
Dobbiamo tutti fare di più per ricercare in tutti i paesi il bene più prezioso, quello della PACE.  Questo potrà avvenire attraverso un multilateralismo democratico che, nelle aree più colpite come il Medio Oriente, possa promuovere conferenze internazionali di pace, per costruire le condizioni per un progressivo ritiro delle forze militari di occupazione, avviando piani d’investimento per creare maggiori opportunità per le popolazioni, più speranza e più lavoro che, anche qui, e come da tempo immemore, è sempre l’arma più incisiva per prevenire e contrastare i fondamentalismi e il terrorismo. 
Per una maggiore sostenibilità ambientale, che possa arrestare il declino ambientale del pianeta e invertire la tendenza all’autodistruzione, è necessario agire da subito per un uso migliore delle risorse di cui disponiamo, perseguendo una nuova politica sull’energia che valorizzi le rinnovabili, che incentivi la diminuzione dei consumi, che agisca per un abbassamento dei fattori inquinanti attraverso la ricerca, l’innovazione tecnologica e una maggiore efficienza della stessa: è il momento per dare l’avvio a una nuova GREEN ECONOMY, che non va più considerata un  freno, ma deve rappresentare il nuovo motore dello Sviluppo, che permetta di guardare positivamente oltre la crisi.
ALCUNE CONSIDERAZIONI SUL CONGRESSO DELLA CGIL
Ferma restando, come sempre, la legittimità della scelta di affacciarsi al congresso proponendo dei documenti alternativi, voglio però, anche qui, ancora una volta, esprimere tutto il mio rammarico perché nella situazione attuale di profonda crisi economica, durissima per lavoratrici e lavoratori, mi sarei aspettato una forte assunzione di responsabilità da parte di tutto il gruppo dirigente della Confederazione per giungere a una sintesi unitaria.
Penso che gli iscritti, e i tanti che sempre guardano con attenzione alle nostre scelte, avrebbero apprezzato questo sforzo. Così non è stato, e non resta che augurarci che il dibattito tra tesi contrapposte possa, a questo punto, essere davvero occasione di arricchimento, possa dare vita, anche in questa ultima fase congressuale, a una discussione mirata a trovare le migliori soluzioni per il lavoro e il paese e non sia utilizzato come uno strumento utile solo a scavare solchi tra noi, perché se così non dovesse essere, rischieremmo di disperdere quell'ampio consenso tra i lavoratori, che va anche molto oltre il numero dei nostri iscritti.

LA CGIL e LA FILLEA 

Per orientare il cambiamento avremo bisogno di una FILLEA e di una CGIL forti, presenti sul territorio, sui tavoli contrattuali, sulle scelte politiche per il settore e per il FVG, in un quadro di forti alleanze, che garantiscano autonomia senza che questa si trasformi in indifferenza e autosufficienza. 
La FILLEA è prima di tutto CGIL: siamo parte importante di essa, per questo dovremo contribuire sempre più in termini di proposta, collaborazione e impegno al rinnovamento della CGIL in una rinnovata confederalità. 
Rinnovamento che dovremo portare avanti con determinazione, senza cedere a facili sintesi, alla ricerca di larghi consensi che raccolgono troppe contraddizioni incompatibili con il processo che dobbiamo mettere in campo. 
La Camera del Lavoro provinciale dovrà essere il laboratorio di questo processo e dovrà valorizzare l’esperienza innovativa e innovatrice della nostra categoria. 
Noi siamo la categoria che è riuscita a rinnovarsi, attraverso investimenti su giovani, delegati, migranti e donne, come dimostrato anche da questa platea e realizzando anche il sindacato multietnico, perché siamo davvero convinti che quella battaglia culturale che vogliamo e dobbiamo vincere nel paese deve partire innanzitutto da noi, dal nostro interno.

Dobbiamo attuare le decisioni non più rinviabili: rafforzare le prime linee della nostra organizzazione, i servizi, le categorie, i territori, che attraverso i funzionari e i delegati ci rappresentano nei luoghi di lavoro e negli uffici delle Camere del Lavoro, parlando tutti i giorni alla nostra gente!

Dobbiamo rafforzare le convenzioni e i rapporti con le altre strutture e categorie della CGIL: penso ai servizi INCA ,FISCALE e VERTENZE e alla loro strategica importanza in questo momento di difficoltà per i nostri lavoratori, che hanno bisogno più degli altri di un assistenza qualificata e puntuale!  Penso al SERVIZIO e al COORDINAMENTO dei MIGRANTI, importanti spazi per la nostra categoria, così come il SUNIA – CGIL con cui strutturare una collaborazione, non solo attraverso la convenzione per sostenere l’importante servizio che questa categoria offre, ma rafforzando anche l’interazione su politiche comuni come le politiche abitative. 
La FILLEA è presidio della CGIL nel territorio e nei luoghi di lavoro e il suo rafforzamento dovrà partire dalla valorizzazione delle esperienze e dei percorsi di delegati, funzionari e segretari, sempre sulla base del merito. 
I compagni che hanno portato avanti bene il proprio e il nostro lavoro dovranno avere i giusti riconoscimenti, a partire da chi terminerà il cammino della segreteria e ne avvierà uno nuovo, che dovrà rispettare le aspirazioni e le capacità dei nostri compagni! 
Dovremo rimettere in equilibrio la struttura, rendendola più efficiente in rapporto con le risorse disponibili, che diminuiranno di molto, a fronte però di un costante aumento delle esigenze e delle richieste nei luoghi di lavoro. 
Dovremo garantire maggiore partecipazione dei delegati alle decisioni, anche attraverso l’attivazione di Direttivi con tutti i delegati delle nostre aziende.
Dobbiamo rafforzare la nostra rete di delegati in edilizia, avviando una grande campagna di elezioni delle RSU che diventano presidi fondamentali in vista degli accordi sulla rappresentanza e rappresentatività. 
Questa campagna potrà essere incisiva se, assieme ai nostri amici di FILCA e FENEAL, riusciremo a rinnovare i rapporti unitari, rendendoli ancora più improntati alla difesa degli interessi dei lavoratori. 
Proponiamo a FILCA e FENEAL,dopo aver ritrovato una rinnovata unitarietà,di abbandonare la ricerca spasmodica al proselitismo selvaggio e di concentrarci sui bisogni e sui diritti dei lavoratori. In questo momento di grossa crisi i LAVORATORI devono essere al centro di tutte le nostre rivendicazioni contrattuali in modo da garantire integrativi aziendali dignitosi e un modus operandi comune per contrastare qualsiasi tentativo di arretramento nei diritti dei lavoratori e nella gestione delle varie crisi aziendali.

A Paolo,compagno di mille battaglie quando ero un giovane delegato, dico che sulla Fillea, sui compagni che ne costituiscono l’ossatura, potrà sempre contare.
Noi non siamo qui a chiedere posti al sole o incarichi di prestigio: rappresentiamo un mondo del lavoro fisicamente duro, in cui ci sono donne e uomini abituati alle sofferenze causate da lavori pesanti, logoranti, usuranti e sottoposti anche alle intemperie.
Abbiamo saputo dimostrare, in questi anni, che con orgoglio siamo loro espressione; aver deciso di seguire più categorie è, a mio avviso, un gesto che i nostri iscritti apprezzano ed è l’espressione vera di una scelta di amore verso la Confederalità: quella che mette prima di tutto il lavoratore e i suoi problemi in cima alle nostre priorità.

Aver deciso di fare il nostro Congresso il 14 febbraio, giorno di San Valentino, non è stato casuale… Per seguire questa categoria devi amare i lavoratori e le lavoratrici che la compongono devi AMARE il lavoro in tutte le sfumature. Io sono stato orgoglioso di rivestire l’incarico di Segretario Generale in questi ultimi anni e posso tranquillamente dichiararvi che la Fillea di Gorizia non sarà mai abbandonata e che chi dopo di me sarà scelto dalla CGIL di Gorizia saprà innamorarsi di voi e del vostro lavoro.

A William,che sarà chiamato a rivestire un prestigioso incarico nella CGIL di Udine, voglio porgere un grosso in bocca al lupo per la nuova avventura. Lo ringrazio per tutti i progetti che abbiamo condiviso tra le nostre provincie, per la lealtà, la competenza e l’ironia che mi ha dimostrato in questi anni. Abbiamo, caro Willy, in questi anni instaurato un vero rapporto di amicizia e questo come ben sai non e’ scontato nel nostro lavoro. Spero che se il nostro lavoro non ci vedrà a fianco nei prossimi anni dei compagni di Gorizia ti ricorderai e quando avrai bisogno di una pausa “rigenerativa” sai che su di me puoi contare….

L’ultimo pensiero di questa mia relazione, compagne e compagni delegati della FILLEA, lo rivolgo a tutti voi, perché il periodo che viviamo è davvero difficile e come ha detto uno dei politici migliori che ha avuto il nostro paese cioè Enrico Berlinguer  “Ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”!

W il lavoro,w la CGIL dei lavoratori dai pugni alzati, W “il sindacato”, quello che  però difende i diritti dei lavoratori……

Grazie a tutti





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