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Referendum

21.02.14 Si è concluso il 21 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Savona. Di seguito la relazione del segretario uscente Luvarà Andrea, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso. Ci troviamo a celebrare il nostro congresso consapevoli che la priorità della nostra azione è il lavoro. La nostra è una provincia attraversata dalla crisi del lavoro ancor prima che la stessa si manifestasse a livello mondiale. Noi conosciamo il volto della disperazione di centinaia di lavoratori che hanno perso l’occupazione, di tanti che non l’hanno mai trovata, di tantissimi che non sanno se alla fine della cassa integrazione avranno ancora un lavoro. Tutto ciò genera un clima di sfiducia nei confronti delle istituzioni, e quindi dello Stato, e questo sentimento non fa bene a nessuno, anzi rappresenta la nuova frontiera dei drammi sociali. La nostra provincia, è ferma, non cresce. E’ una provincia che dispone di straordinarie risorse, materiali e umane. Risorse non sfruttate, da un vero e proprio blocco non solo politico - istituzionale, ma anche economico e sociale. Un blocco che la imprigiona, la attanaglia, fino quasi a soffocarla. La nostra società è e si sente più povera. Sono e si sentono così milioni di famiglie nel nostro Paese e migliaia nella nostra provincia, soprattutto quelle a reddito fisso, che di fatto contano in lire i loro stipendi e le loro pensioni e calcolano in euro il prezzo di quello che spendono per vivere, con sempre maggiori difficoltà a far quadrare i conti. Si sentono così tutte quelle persone, giovani e meno giovani, che si trovano a collezionare un contratto dietro l’altro per poche centinaia di euro alla volta. Sono più poveri gli operai , che si ritrovano con una busta paga sempre più leggera e rischiano di uscire dalla generale invisibilità solo quando sono vittime di uno dei troppi incidenti sul lavoro. Alcuni dati provinciali: nel settore edile la massa salari è passata da 41.821.000 euro nel 2012 a 34.670.000 nel 2013, con ben un -17% di ricchezza distribuita. Contando che nel 2007 la cifra raggiungeva i 52.140.000, la perdita è di 17,5 milioni di euro. E ancora, sempre sette anni fa le Imprese iscritte in Cassa Edile erano 998, oggi sono 561. Quasi un dimezzamento, che ha portato ben 473 imprese strutturate a chiudere i battenti con oltre 1000 posti di lavoro persi. E questi sono dati purtroppo certi, e del solo settore edile. Ma come si puo’ uscire da questa situazione, cosa possiamo fare? Quale sarà il nostro futuro? Senza lavoro non c’è futuro ma il lavoro del futuro deve essere Sostenibile, legale e di qualità Dobbiamo avere la capacita di determinare e governare l’inevitabile cambiamento dei modelli di sviluppo in direzione della sostenibilità ambientale con le conseguenti ricadute nella innovazione dei materiali, dei modelli produttivi e della stessa organizzazione del lavoro e dell'impresa. Gestire questi processi e accompagnarli con la necessaria innovazione contrattuale deve continuare ad essere il nostro orizzonte rivendicativo a partire dai ccnl che dobbiamo ancora realizzare in questa stagione contrattuale e dagli importanti risultati raggiunti con i CCNL rinnovati. Il Futuro del Lavoro, Sostenibile, legale, di qualità, deve essere il contributo della nostra categoria allo sviluppo del dibattito congressuale, che possa consentire alla Confederazione di trarre anche dalle nostre esperienze la sintesi necessaria a dare forza alle soluzioni rivendicative generali per i prossimi anni. C’è bisogno di una politica industriale in grado di dare un forte segnale di discontinuità con il passato. In gioco, non c’è solo il futuro del lavoro del nostro settore, ma anche quello del nostro territorio. Una discontinuità produttiva che non può fare a meno di una discontinuità nel governo della cosa pubblica da parte dell’intera filiera istituzionale. Sostenibilità , territorio, contrattazione sono le chiavi che ci possono aprire molte porte. Passano per l’innovazione ambientale del settore edilizio diverse sfide cruciali per il nostro Paese. Perché la via di uscita da una crisi drammatica che dura da piu’ di sei anni con oltre 600mila posti di lavoro persi nelle costruzioni e 12mila imprese chiuse, può essere trovata solo con un profondo cambiamento e trasformazione del settore. Nessuno può seriamente sostenere che si possano recuperare i livelli occupazionali del 2008 ritornando semplicemente a fare quello che si faceva prima. Ossia costruire nuove abitazioni al ritmo di 300mila all’anno, con oltretutto la beffa di non aver contribuito in alcun modo a dare risposta ai problemi di accesso alla casa per tutti. E’ importante ribadirlo in ogni occasione: le ragioni di questa crisi non sono solo congiunturali, è cambiato il mondo e si sono modificate le condizioni che hanno tenuto in piedi la bolla immobiliare dalla metà degli anni novanta. Altrettanto importante è sottolineare come una strada per tornare a creare lavoro esiste, in altri Paesi ha addirittura portato a creare più occupati in questo settore di una gestione “tradizionale”. E’ diversa da quella che conosciamo perché punta su un'attività in edilizia che incrocia il tema del risparmio energetico e la nuova domanda di qualità delle abitazioni. E’ differente, perché fa tornare l’attenzione e gli interventi dentro le città, per ripensare edifici e riqualificare gli spazi urbani, per farci vivere meglio. Risulta importante perché in un processo edilizio che ha al centro la manutenzione e la rigenerazione di un patrimonio enorme come quello italiano, con problemi di degrado, di territorio fragile, ci sono più opportunità di lavoro rispetto che al continuare a costruire solo nuovi fabbricati. Non è un cambiamento semplice, deve riguardare tutti gli attori della filiera delle costruzioni, le pubbliche amministrazioni, l’organizzazione del lavoro; con una visione e una strategia che li sappia tenere assieme, che consenta di smetterla di inseguire emergenze impiegando risorse pubbliche per riparare danni che attenzioni e investimenti su prevenzione, manutenzione, innovazione, non avrebbero fatto avvenire. Aspetto da non dimenticare è che la nuova programmazione dei fondi europei 2014-2020 vincola una quota significativa dei finanziamenti proprio per questo tipo di interventi. Per l’Italia è un'occasione da non perdere. Per la riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico, in particolare, la Direttiva stabilisce che dal gennaio 2014 ogni anno siano realizzati interventi di ristrutturazione in almeno il 3% delle superfici coperte utili totali degli edifici riscaldati e/o raffreddati di proprietà pubblica per rispettare almeno i requisiti minimi di prestazione energetica della direttiva 2010/31 con l'obiettivo di svolgere "un ruolo esemplare degli edifici degli Enti pubblici". Per la gestione del patrimonio edilizio( parliamo di scuole e ospedali) di Ministeri, Regioni, Comuni è un cambiamento enorme, che va accompagnato con risorse e obiettivi, analisi e audit del patrimonio, azioni di risparmio energetico e di efficienza del patrimonio edilizio, cambiamenti nei sistemi di gestione dell'energia. Per innescare questo cambiamento nell’edilizia pubblica occorre, ad esempio, escludere dal patto di stabilità gli interventi di riqualificazione energetica del patrimonio edilizio in tutti i casi in cui è dimostrata la riduzione complessiva di spesa di gestione realizzata grazie agli interventi. Occorrono poi certezze per la certificazione energetica delle abitazioni, attraverso regole finalmente omogenee in tutto il territorio nazionale, semplici, coerenti per migliorare le prestazioni degli edifici, dando ai cittadini garanzia su chi può certificare. Come per l’edilizia pubblica, quindi, occorre una strategia per spingere gli interventi di riqualificazione del patrimonio edilizio privato. Negli ultimi quindici anni la politica delle detrazioni fiscali ha rappresentato un volano per il settore delle costruzioni aumentando la manutenzione del patrimonio edilizio e il miglioramento delle prestazioni energetiche e contribuendo a far emergere una parte del lavoro nero. E’ una politica che crea lavoro, che si ripaga con l’economia, la fiscalità. Occorre rendere permanenti le detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica. Il Governo ha appena stabilito una proroga per tutto il 2014 e poi riduzioni per entrambe queste forme di incentivo. Se si vuole sul serio puntare sulla riqualificazione del patrimonio edilizio occorre rendere permanenti le detrazioni fiscali per gli interventi di miglioramento dell’efficienza energetica negli edifici. Qui sta un passaggio non banale nel dibattito sul lavoro da creare, perché i Green jobs sono soprattutto nuovi posti di lavoro nella evoluzione di settori tradizionali (dall’agricoltura all’edilizia, dalla chimica verde alle energie rinnovabili) e in una diversa organizzazione del lavoro che passa anche per nuove professionalità,. Sarebbe però limitante soffermare l'analisi esclusivamente al contesto delle dinamiche dei nostri settori senza allargarla ad un quadro più generale sia dal versante delle relazioni con le politiche economiche messe in atto dai governi, sia dal versante del dibattito politico che si sta sviluppando sui temi del lavoro. Ma soprattutto, se vogliamo stare in campo, dobbiamo trasferire il dibattito dagli obiettivi condivisi di riunificare il lavoro e di estendere i diritti, agli strumenti concreti per realizzarli nel contesto dato oggi , un contesto nel quale crisi, modelli produttivi e sociali vincenti in questi anni hanno determinato un arretramento e non un avanzamento verso gli obiettivi che ci siamo dati. Tra le proposte che riteniamo urgenti e che sono state oggetto di dibattito regionale e nazionale vi è sicuramente la riqualificazione delle città e delle periferie, quale terreno importante, in grado di essere tradotto in iniziative locali. Ed è nostra convinzione che l’azione sindacale possa essere indirizzata, attraverso la contrattazione territoriale, verso obiettivi che rispondano alla necessità di uno sviluppo sostenibile dei centri urbani, verso la difesa del reddito delle persone, la tutela dell’ambiente, le condizioni di vita sociale. Occorre dunque rinnovare le città, costruire attraverso regole semplici, condivise ed efficaci che non permettano il perpetuarsi della logica speculativa che ha trionfato in questi anni. E perciò rigenerazione dei centri storici, riqualificazione delle periferie, massima espansione delle infrastrutture esistenti dedicate alla mobilità collettiva urbana, suburbana ed extraurbana, guardando anche a ciò che accade nell’Europa del nord, dove ai comuni vengono riconosciuti adeguati finanziamenti per rendere concreti gli interventi di rinnovo urbano, finalizzati alla valorizzazione degli interessi pubblici. Da noi, fino ad oggi, si è operato al contrario, tagliando i trasferimenti alle autonomie locali per contenere il deficit pubblico. Da quindici anni, coalizioni politiche di segno diverso si alternano al governo dell’Italia, ma nessuna di esse è stata in grado di aggredire in modo incisivo e durevole i problemi di fondo del nostro Paese. Questa è la verità: l’Italia non dispone di un sistema istituzionale e politico all’altezza della gravità e della complessità dei suoi problemi. E se questo deficit di coesione politica non verrà rapidamente colmato, rischia una crisi di sistema, della quale da tempo si vedono molto più che le avvisaglie. Non deve essere normale assistere alla fisiologica luna di miele tra il governo Berlusconi ed il Paese come un anno fa, oppure, peggio, continuità di governo per chi ha perso le elezioni. La prova dei fatti ha determinato un giudizio negativo sulle politiche economiche governative a partire dalla riduzione dei trasferimenti alle Regioni, alle Province, ai Comuni, al tentativo di aumentare le immunità per pochi e soprattutto per gli inquisiti, al continuo attacco ai magistrati, alle forze sociali, nel tentativo di allineare il pensiero per ottenere un pensiero unico. Esprimiamo un giudizio severo per la mancanza di qualsiasi intervento sulla questione salariale e per la discutibile qualità delle misure adottate per la riduzione della spesa pubblica. E’ davvero grave constatare che proprio ora che le parti sociali tentano di definire una riforma del modello contrattuale che metta al centro la produttività e la sua equa remunerazione, proprio ora il Governo non dia luogo ad un intervento significativo di riduzione della pressione fiscale sui salari. Un punto su cui soffermare la nostra discussione: il rapporto fra contrattazione e legislazione. Siamo infatti convinti della necessità di una riflessione più ampia che si interroghi su un nuovo e più efficace rapporto fra contrattazione e legislazione sia sotto il profilo della rappresentanza, sia sotto quello del contrasto alla frammentazione produttiva e dei lavori, sia sotto quello del salario. Sul versante della rappresentanza occorre partire non solo dall'obiettivo di eliminare le storture introdotte dalla legislazione vigente (art.8), ma anche dalla implementazione dell'accordo interconfederale del 31 maggio 2013. Appare però evidente che la sola contrattazione non basta. Al tempo stesso qualsiasi intervento legislativo che non affronti tale tema senza la piena estensione dei diritti di rappresentanza sotto i 15 dipendenti sarebbe inadeguato. Anche dal versante delle azioni di contrasto alla frammentazione produttiva e dei lavori e dal conseguente dumping contrattuale pare evidente quanto sia fondamentale agganciare con un supporto legislativo le soluzioni contrattuali che i CCNL individuano per contrastare l'irregolarità. Abbiamo la necessità di realizzare due obiettivi fondamentali: contrastare il lavoro illegale (e qui fanno conto le nostre proposte e gli accordi in materia di contrasto all'economia criminale) e quello irregolare che si materializza con l'esplosione del falso lavoro autonomo;dobbiamo riunificare e semplificare le forme di lavoro. Dal versante del salario appare sempre più evidente che dietro le esigenze di flessibilità nell'organizzazione produttiva che fanno da alibi ai processi di frammentazione che stiamo subendo, si nasconda spesso l'esclusivo interesse delle imprese a ridurre i costi a scapito della retribuzione del lavoro. Basta pensare alla posizione ANCE COOP sul rinnovo contrattuale edili industria (zero aumenti salariali e praticamente azzeramento dell’ape) Il tema della effettiva sfera di applicazione dei contratti e dei livelli salariali in essi stabiliti va quindi affrontato in questo contesto e, quindi, l'apertura di una discussione in Cgil sul salario minimo per legge va colta come un'opportunità. La contrattazione di secondo livello Se la tenuta e la riforma della struttura dei CCNL è importante per la realizzazione di una efficace contrattazione inclusiva, lo sviluppo e l'efficacia della contrattazione di secondo livello sono decisivi per raggiungere l'obiettivo di recuperare leve efficaci per il governo della organizzazione del lavoro, delle sue condizioni effettive e della sua stessa retribuzione. Nella nostra categoria viviamo sia l’esperienza della tradizionale organizzazione produttiva della fabbrica sia lo specifico e la complessità del cantiere edile. In entrambi i casi si pone il tema di come riunificare ciò che la frammentazione produttiva ha disgregato ed in entrambi i casi la risposta non può che ricercarsi nella definizione di strumenti e luoghi unificanti per l'esercizio della contrattazione. Nella nostra categoria, infatti, abbiamo due problemi opposti. Il primo riguarda l’edilizia dove con la contrattazione di secondo livello copriamo il 100% dei lavoratori perché facciamo contratti integrativi in tutti i territori. Negli impianti fissi invece contrattiamo, come quasi tutte le categorie industriali, solo per le aziende più grandi. Potremmo essere soddisfatti almeno per l’edilizia, ma non lo siamo perché noi, in quel settore, abbiamo due problemi: il primo riguarda un processo di ridefinizione degli ambiti territoriali di riferimento della contrattazione territoriale per adeguarli alle mutate condizioni del mercato e del settore in primo luogo rispetto ai processi di mobilità delle imprese e dei lavoratori Il secondo problema riguarda come riportare la contrattazione in cantiere. Perché la contrattazione territoriale, che deve restare il perno indispensabile del sistema, non basta più da sola se il nostro obiettivo diventa l’effettivo governo negoziale dei processi produttivi. E’ evidente, cioè, che tale obiettivo non è perseguibile negando la contrattazione territoriale e la sua strumentazione bilaterale, che restano strumenti imprescindibili per garantire tutele universali alle specificità del settore e, quindi, nell’edilizia ciò significherà la necessità di affiancare alla contrattazione territoriale, che resta fondamentale e intoccabile, una contrattazione di cantiere più estesa ed efficace della semplice contrattazione d’anticipo; negli altri settori, invece, si tratta di costruire da un lato le condizioni, anche organizzative, per portare la contrattazione in tutte le aziende, ma, al contempo, ipotizzare altri livelli negoziali su scala diversa a partire dalle filiere, dai distretti e dai territori, ipotizzando la contrattazione aziendale in tutte le aziende nelle quali sia consentito esercitare la rappresentanza sindacale, e la contrattazione territoriale, di sito o filiera in quelle sotto tale limite. Cominciamo a valutare la contrattazione di filiera e di distretto dei settori industriali che già pratichiamo tanto per dire a noi e a tutti che si può (es. Carrara, Lucca nei lapidei, Pordenone nel legno, etc.). Come e' evidente esiste poi un rapporto fra l’estensione della contrattazione, la dimensione di impresa e la rappresentanza. Se da una parte appare chiaro che non può esserci contrattazione senza rappresentanza e che la maggiore dimensione d’impresa rende più agevole la contrattazione aziendale e la frammentazione rende più praticabile la contrattazione territoriale, nella pratica dei nostri settori, la soluzione potrebbe essere trovata da un lato presidiando, difendendo e consolidando la contrattazione territoriale, dall’altro individuando modalità e luoghi nei quali articolarla in termini applicativi e di verifica nelle materie che attengono il governo concreto dell’organizzazione del lavoro, degli orari, delle professionalità e, più in generale, le condizioni di lavoro; tali luoghi potrebbero essere ad esempio, dove possibile in termini dimensionali, i cantieri,su questa base, almeno nei cantieri più grandi, dovranno definirsi forme di esercizio della rappresentanza delle aziende appaltatrici i cui oneri andrebbero messi in capo all’azienda appaltante e alle quali associare tutte le aziende coinvolte nel sito al di là del CCNL applicato su tutto ciò che concerne l'organizzazione produttiva del cantiere. La bilateralità va considerata un utile strumento contrattuale da utilizzare per poter conseguire l’estensione della contrattazione, delle tutele e della nostra stessa rappresentanza. L'unico limite da non superare deve essere quello della sua natura di strumento dipendente esclusivamente dal libero esercizio della contrattazione ,escludendo quindi la possibilità di affidare alla bilateralità compiti sostitutivi del ruolo e delle funzioni dello stato o compiti sostitutivi del ruolo delle parti nell’esercizio contrattuale. Occorre inoltre prevedere la possibilità per un sistema bilaterale di integrare le prestazioni del welfare universale pubblico con un efficace welfare contrattuale scegliendo questa strada come quella più efficace per rispondere a quelle specifiche esigenze che nascono dalla diversità e dalla particolarità delle diverse condizioni lavorative, fermo restando la natura integrativa di quelle prestazioni e il loro rapporto con un welfare universale pubblico che deve restare centrale. In questo contesto la FILLEA può e deve assumere da subito l'obiettivo della definizione di un unico CCNL per tutti i materiali da costruzione (cemento, laterizi, lapidei, legno) ed, in prospettiva, quello di una progressiva armonizzazione con i CCNL dei materiali da costruzione chimici e compositi. Per i comparti della filiera delle costruzioni ed in particolare per l'edilizia, il tema della tenuta del perimetro del CCNL di fronte alle trasformazioni indotte dal cambiamento tecnologico e produttivo resta il tema centrale da cui partire anche con l’obiettivo di arginare la diffusa applicazione di contratti non pensati per il contesto operativo del cantiere e che producono frequentemente un abbassamento del costo del lavoro. Questi non sono ragionamenti esclusivamente di interesse nazionale, anche noi in provincia viviamo tutte queste contraddizioni ed abbiamo la necessità di affrontare la crisi che viviamo pesantemente creando un percorso condiviso tra tutte le parti sociali, organizzazioni sindacali dei Lavoratori degli industriali e degli artigiani, che Ci possa permettere di dare delle risposte concrete al bisogno di lavoro nel nostro territorio. Sicuramente l’edilizia deve assumere il ruolo di motore centrale per lo sviluppo, perché sul terreno dell’innovazione non siamo secondi a nessuno, e abbiamo un sistema di enti bilaterali che supportano efficacemente il bisogno di formazione ,di sicurezza, sociale e sul lavoro, e di legalità. E penso a quanto hanno fatto e dovranno fare la Scuola il CPT e la Cassa Edile che hanno l’onere per nostro tramite di dare gli strumenti necessari per vincere questa sfida. Il tavolo di crisi che presto si aprirà con il Comune di Savona rappresenta un esempio di come ci si possa muovere nel versante della ricerca di risposte concrete al nostro bisogno di lavoro Sostenibile, legale e di qualità

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