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10.03.14 Si è concluso il 25 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Varese. Di seguito la relazione del segretario uscente Flavio Nossa, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Cari compagni/e, gentili ospiti, Stiamo svolgendo il nostro congresso al termine di un quadriennio profondamente segnato dalla crisi. 4 anni fa ne eravamo appena entrati e già eravamo in grado di percepire da una parte la lungimiranza della nostra organizzazione che da tempo annunciava la necessità di anticipare azioni di politica economica in grado di contrastare l'arrivo della crisi ( e fummo tacciati di essere precursori di sciagura) e dall'altra di riprendere l'iniziativa relativamente al lavoro abbandonato a se stesso per 20 anni in nome del libero mercato. Siamo purtroppo, a quasi un lustro di distanza, a verificare la giustezza delle nostre preoccupazioni e purtroppo ad analizzare una situazione che si è progressivamente ulteriormente deteriorata e che ancora oggi non mostra sostanziali accenni di ripresa. Nel frattempo abbiamo pagato la scelta di far parte di un'Europa fondata sul libero scambio delle merci, sulla radicalizzazione delle politiche finanziarie prevalentemente di carattere speculativo e che ha lasciato da parte il progetto di unificazione sociale di milioni di cittadini viventi in Paesi tutti chi più chi meno in crisi. Una crisi che ha approfondito il solco delle differenze di classe rendendo più ricchi i già ricchi e più poveri i lavoratori e le classi più deboli economicamente, al punto di rischiare che intere aree europee ed in particolare quella mediterranea all'interno della quale insiste anche la nostra Italia, siano emarginate ed addirittura rischino l'espulsione dall'area dell'euro. Molti dei presenti ai nostri lavori, nostri compagni, sanno cosa significa vivere in Paesi che non godono del cappello protettivo rappresentato dalla moneta unica: il loro progetto migrante è dovuto anche a quello e proprio loro ci possono insegnare i rischi che un'Europa a due velocità potrebbe implicare proprio per i lavoratori ed in generale per le fasce più deboli della società. Ma altrettanta preoccupazione deve esserci relativamente l'insistere in politiche di austerità che vedono non istituzioni liberamente elette governare ma le lobbi bancarie e finanziarie esercitare diritto non solo di veto ma di vero e proprio indirizzo economico e socio politico recessivo. Il rischio di una deriva populista che partendo da queste preoccupazioni rimetta in moto movimenti secessionisti, separatisti con una prevalenza di logiche di carattere esasperatamente territoriali e con l'altrettanto rischioso proponimento di tutela corporativa di carattere nazionalista piuttosto che razziale è sotto i nostri occhi pressocchè quotidianamente. Le varie leghe, salvo poi scoprire, come nel recentissimo passato, che c'è sempre qualcuno più a nord di noi, o movimenti populisti come quelli dei forconi che corrono sul filo di un rasoio da cui da una parte ci sono i nuovi masaniello e dall'altra richiami nazionalsocialisti ne sono l'esempio. La necessità di riprendere una discussione, mai interrotta per la verità, e soprattutto la nostra capacità di esercitare il ruolo di sindacato generale che impone alla politica a tutti i suoi livelli, europeo, statale regionale e locale, di confrontarsi colle proposte che nascono dalle lotte e dai bisogni dei lavoratori è ancora il nostro compito fondamentale e probabilmente l'ancora cui legare un progetto di cambiamento progressista che impedisca l'implosione dell'intero sistema. Abbiamo, in questi anni, dovuto confrontarci e scontrarci con le politiche dei governi che si sono succeduti, da Berlusconi a Monti, che non sono riusciti a dare al Paese gli strumenti per uscire dalla crisi ma che in compenso hanno realizzato solo i provvedimenti di contenimento della spesa pubblica ( salvo poi quotidianamente scoprire che non si è per nulla arrestato il sistema clientelare e corruttivo che caratterizza il peggior elemento di decrescita e di appesantimento dei costi) con tagli lineari che hanno fortemente ridimensionato il sistema di tutele sociali che invece avrebbe dovuto essere riplasmato e potenziato proprio per consentire minime tutele in una situazione di crisi per gli strati più deboli della popolazione; che hanno annichilito la ricerca e la scuola pubblica in questo mettendo a repentaglio il nostro futuro e la nostra capacità di innovare; che hanno controriformato il sistema pensionistico ( al punto da renderlo il peggiore d'Europa), non solo allungando l'età lavorativa sino a 67/70 anni e 43 di lavoro minimo, non solo peggiorando il rendimento pensionistico coll'introduzione del contributivo universale, e cioè anche per quelli che non potranno godere del secondo pilastro pensionistico, non tutelando la rivalutazione delle pensioni in essere soprattutto per quelle fasce di lavoratori che pur non essendo al minimo hanno lavorato una vita con bassi salari, ma introducendo di fatto una rottura generazionale per cui un giovane che si affaccia oggi sul mondo del lavoro di fatto ha chiaro che la sua prospettiva di lavoro non avrà limiti perchè non avrà una pensione degna di questo nome ma un vero e proprio sussidio al di sotto del livello di povertà. Senza dimenticare il fatto che non sia stata affrontata la partita relativa ai lavori usuranti come quelli edili o dei turnisti, che ancora aspettano risposte in grado di riequilibrare una situazione che proprio in questi settori rappresenta un intervento non solo a salvaguardia della sicurezza sul lavoro ( pensate a cosa significa stare sui ponteggi a 67 anni...) ma di vera e propria giustizia sociale: e soprattutto in un settore dalla precarietà intrinseca che prevede innumerevoli licenziamenti ed assunzioni che inevitabilmente rischiano di proiettare i lavoratori al limite massimo della prestazione lavorativa introdotte dalla Fornero. Sono stati governi che hanno attaccato duramente le norme sul lavoro e nonostante i nostri scioperi generali ( di cui 5 condotti in assoluta solitudine) hanno destrutturato l'art 18 dello statuto dei lavoratori, hanno minato l'impalcatura dei contratti introducendo deroghe a livello locale ai ccnl, come se lavorare in una determinata regione o in un determinato impianto possa essere retribuito diversamente dai colleghi che operano in altre realtà pur ricoprendo la stessa mansione e facendo lo stesso lavoro; hanno annunciato proclami contro l'evasione fiscale e l'elusione ma poi nella migliore della ipotesi non hanno fatto praticamente nulla se non addirittura inneggiato alla disobbedienza fiscale. E potrei continuare per stigmatizzare l'assoluta assenza di interventi sul credito alle imprese o ai lavoratori, in un quadro i cui la malavita organizzata nel riciclaggio dei soldi sporchi ha investito e continua ad investire proprio nelle zone economicamente più forti del Paese, la strozzatura operata nei confronti degli Enti locali col patto di stabilità che impedisce lo sblocco di fondi che consentirebbero la ripresa di alcuni interventi in particolare nel nostro settore e la riduzione dei trasferimenti statali ai comuni... Tutti noi speravamo che il governo uscito dalle elezioni potesse rappresentare un vero momento di rottura con tutto ciò. Ed invece abbiamo assistito, impotenti, ad una sceneggiata indecorosa che in nome dell'autosufficienza di alcune forze politiche ha impedito il formarsi di un governo con una forte caratterizzazione di discontinuità. Ci siamo dovuti sorbire un governo di larghe intese dal programma assolutamente indefinito che alla fine ha mantenuto in essere sostanzialmente gli architravi delle precedenti politiche e non è ancora riuscito a sviluppare quell'inversione di cui tutti abbiamo bisogno. Certo alcuni provvedimenti sono stati attuati ma di una timidezza tale da farli impallidire di fronte alla sostanziale continuità col passato. L'aver inchiodato il Paese per mesi sulla questione dell'IMU senza peraltro averla definitivamente risolta e comunque introducendo provvedimenti che non diminuiscono la pressione fiscale, il non aver voluto seguirci sulla strada di introdurre provvedimenti sui patrimoni che consentissero di intervenire sull'alleggerimento sostanziale (e non i paliativi adottati) della tassazione sul lavoro e soprattutto sui lavoratori e pensionati è emblematico di come non ci siano date risposte che oggi più che mai pretendiamo perchè sappiamo essere indispensabili per rimetterci in piedi. Abbiamo assistito al dispiegarsi di un'offensiva padronale che ha rimesso profondamente in discussione i diritti dei lavoratori in nome di indefiniti impegni di mantenimento delle industrie nel nostro Paese; anche le nostre controparti datoriali hanno pagato prezzo vedendosi uscire pezzi importanti dalla loro sfera di rappresentanza; il tutto in un silenzio assordante delle nostre istituzioni e spesso con la connivenza di parte dello stesso mondo sindacale. Ci chiediamo se non sia il caso di operare per un taglio deciso a questo andazzo e non sia auspicabile mandare a casa chi sta fallendo l'obiettivo indicato ed assunto. Si fa un gran parlare di nuove regole per garantire stabilità a chi governa e sicuramente per noi rappresenta un valore la stabilità di governo. Ma vorremmo ricordare alle forze politiche che non con alchimie elettorali si può pretendere di avere il consenso di chi vota, ma su chiari e rispettati impegni di carattere politico che diano una risposta alla sempre più alta richiesta di giustizia sociale che sale dal Paese e soprattutto da quelle fasce che noi rappresentiamo sia nei posti di lavoro che sul territorio. Ecco, proprio in queste settimane di lavoro congressuale, con le assemblee sui posti di lavoro, nei cantieri e nelle zone abbiamo voluto affinare le nostre proposte, che non rappresentano novità in assoluto, ma che hanno ripercorso i temi della nostra proposta del nuovo piano per il lavoro che vuole riassumere le nostre proposte per uscire dalla crisi. Crisi dalla quale si esce, lo voglio ricordare con forza, non con astruse ricette finanziarie o di economia creativa, ma nel momento in cui si ferma ed inverte la rotta di una situazione che vede il continuo impoverimento della gente che lavora ( per la prima volta in questi anni abbiamo potuto drammaticamente verificare che scivolano sotto la soglia di povertà anche persone che lavorano regolarmente) e si inverta la tendenza alla continua perdita di posti di lavoro. Ed il confronto sulle nostre proposte si è rafforzato nel confronto coi nostri lavoratori, direi peraltro con spirito unitario anche oltre i confini dei nostri iscritti sulla drammatica situazione che si vive anche in questa provincia e nei nostri settori. Il quadro che ne esce è drammatico e soprattutto ci conferma della necessità sempre più evidente di non lasciare sole le singole persone nel turbinio di una crisi che non accenna a diminuire il suo potenziale distruttivo, non solo di posti di lavoro , ma anche di dignità e capacità di fare gruppo per il suo contrasto. Quando noi parliamo della centralità della contrattazione come elemento imprescindibile per uscire dalla crisi, abbiamo presente uno scenario estremamente definito e le possibili, alcune non auspicabili vie di uscita. Di fronte ad un capitalismo che assume le sue decisioni strategiche in luoghi sempre più lontani e difficilmente identificabili, di fronte ad una risposta territoriale che atomizza i luoghi in cui si realizza il lavoro e che sempre meno vengono vissuti come posti in cui recuperare spazi di condivisione delle difficoltà e dell'operare scelte, di fronte ad un attacco anche mediatico che marginalizza, annichilisce il lavoro ed i suoi protagonisti, di fronte ad una logica ancora dominante che invoca il libero mercato, quello senza regole dell'homo hominis lupus, il rischio di accelerare sulla distruzione dei diritti, sulla compressione salariale (salvo poi scoprire che c'è sempre, nel mondo, qualcuno che costa meno) sono scorciatoie intraprese in questi anni che hanno accentuato anziché limitare i danni della crisi. Così come si è evidenziato il limite, soprattutto all'interno della nostra organizzazione, di un approccio sui temi dell'immigrazione con un taglio prevalentemente centrato sull'emergenza ed i problemi del primo ingresso. Non vogliamo assolutamente sottovalutarne la portata, ma per una categoria come la nostra in cui vi è una forte componente di origine migrante ormai stabilmente presente, si evidenzia la necessità di approfondire l'azione rivolta al riconoscimento dei diritti di chi qui lavora e vive da tempo. In particolare la questione del diritto di voto agli immigrati, perlomeno in ambito amministrativo potrebbe rappresentare, se conseguito, lo spartiacque nella valorizzazione del contributo di questi lavoratori, nonché il radicarsi di un interesse che vada oltre il mero esercizio della democrazia sindacale, unico diritto oggi esercitato dai migranti. Un Paese prevalentemente manifatturiero come il nostro ha bisogno di riaffermare la centralità ed il rispetto rigoroso delle norme, siano esse legislative piuttosto che contrattuali, proprio per impedire che la competizione assuma il valore dell'annientamento dell'individuo e dell'imbarbarimento dell'intero sistema sociale. Le difficoltà frapposte ai rinnovi dei contratti nazionali di categoria ancorchè per difficoltà economiche che tutti riconosciamo, credo che abbiano in fondo proprio questa motivazione: il cercare scorciatoie che negando il confronto con chi la ricchezza la produce vorrebbe competere al ribasso senza rendersi conto che così il cappio si stringe non solo attorno al collo di chi è meno forte ma di tutto il sistema. Il prolungarsi oltre ogni comprensibile termine del confronto per il rinnovo del principale ccnl della nostra categoria ha questo sapore amaro e bene ha fatto il movimento sindacale ad organizzare lo sciopero del 13 dicembre che ha riportato in piazza il punto di vista degli operai. Qualcuno, tra gli imprenditori, ha sostenuto, anche dalle nostre parti, che lo sciopero avrebbe appena scalfito la capacità produttiva in quella giornata, ed indubbiamente non siamo riusciti nell'intento di bloccare l'intero settore. Ma farebbero bene ad ascoltare, esattamente come noi vi andiamo ripetendo da troppo tempo, il crescere dell'esasperazione tra chi lavora e la denuncia di immiserimento delle condizioni generali forriere di peggioramento generale non solo delle condizioni economiche ma di tutto un sistema che non regge più sulle spalle sempre più deboli di chi lavora. Gli episodi estremi di proteste individualistiche sulle gru o sui tetti delle fabbriche, al netto dei rischi di strumentalizzazione che abbiamo per tempo denunciato, sono il sintomo di un'esasperazione che rischia di far saltare l'intero sistema relazionale così come l'abbiamo costruito proprio per evitare esplosioni di rabbia ed un uso della violenza che farebbe implodere l'intero sistema democratico. Del resto non comprendiamo come si siano potuti realizzare nello scorso anno i rinnovi, sofferti ma assolutamente dignitosi, di tutti gli altri rinnovi di CCNL di categoria quali il legno, i lapidei, i manufatti ed il cemento, ed oggi registriamo questa incomprensibile rigidità che vorrebbe sostanzialmente abbattere una mensilità ai lavoratori edili attraverso il sostanziale taglio dell'anzianità di settore e una assolutamente inadeguata proposta di aumento contrattuale oltretutto traslata di un anno sia nell'erogazione che nella proposta di allungamento a 4 anni della vigenza contrattuale: l'aver siglato l'ipotesi di accordo con le Associazioni Artigiane del settore, in questi giorni al vaglio dei lavoratori, riteniamo possa rappresentare un utile viatico affinchè già dalle prossime sessioni di trattativa si possa sperare di giungere alla firma del contratto con ANCE e COOP. L'attacco sistematico ai corpi intermedi realizzato in questo ventennio a guida populista in cui il leader si voleva relazionare direttamente col “popolo” ha prodotto anche questo e credo, da questo punto di vista, utile anche in questa fase congressuale aver ridiscusso coi lavoratori di questo. Soprattutto in un settore, e qui mi richiamo direttamente al settore edile, in cui la precarietà del posto di lavoro tocca il suo apice. Un settore in cui anche il tempo indeterminato vede il suo contratto di lavoro in gran parte dei casi comunque legato al fine cantiere, in cui il sindacato e la sua azione rappresenta in molti casi l'unica cerniera tra un posto di lavoro e l'altro e la capacità di ricomposizione della forza per mantenere e migliorare i diritti, e non solo, dal punto di vista sindacale. Dicevamo che la crisi che ormai da anni sta attanagliando il Paese è sempre più insostenibile. In Provincia di Varese, solo per fare degli esempi, nel settore del LEGNO ARREDAMENTO che occupata circa 1.300 addetti con una media di 3,2 addetti per impresa siamo in una situazione che, escludendo alcune lavorazioni di nicchia soprattutto legate all’export ( come le “pipe”), gli altri impianti sono pressocchè tutti interessati da procedure di cassa integrazione, molte a zero ore. Abbiamo una crisi del settore cementiero che ha provocato la riduzione su base nazionale del 50% nell'utilizzo degli impianti. Il fatto di avere in provincia due impianti fortemente innovati dal punto di vista tecnologico ci ha messo parzialmente al riparo dalle ricadute negative cui assistiamo negli altri territori ma comunque abbiamo dovuto gestire una situazione complicata che ha prodotto comunque una riduzione dei premi di risultato, ma soprattutto ci ha visti impegnati in un processo di dura ristrutturazione del gruppo HOLCIM che ha chiuso il forno a Merone e spostato a Ternate la lavorazione, processo non ancora concluso che se da una parte non ha prodotto i temuti esuberi dall'altra ci vede fortemente impegnati per garantire il proseguimento dell'attività della multinazionale in Italia, la salvaguardia dei posti di lavoro e tutte le problematiche connesse sia al trasferimento di personale che alla riorganizzazione del lavoro. Nell’edilizia, che nel 2008 vedeva quasi 10.000 operai regolarmente e stabilmente iscritti alla Cassa Edile e quindi operanti in provincia, siamo scesi a circa 5.500 nei primi mesi di quest’anno. Praticamente in questi anni è come se fosse scomparsa l’intera Wirpool o l’Agusta o non ci fosse più il terminal due di Malpensa. Ma nel settore la media degli occupati per impresa è intorno ai 3 addetti e quindi, apparentemente, nessuno si accorge di questa emorragia di posti di lavoro, non fa notizia anche se gli operai il posto di lavoro non ce l’hanno più. Se prima avevamo registrato un dato allarmante rappresentato dalla perdita di posti dei dipendenti corrispondente ad una crescita esponenziale di partite IVA ( che tradotto significava che le persone, pur continuando a fare lo stesso lavoro, non avevano più alcun diritto di legge e contrattuale in materia di lavoro!) da due anni registriamo la perdita secca di occupati trasversale sia per i dipendenti che per gli autonomi. Intollerabile risulta la disattenzione con cui le istituzioni assistono passivamente a questo processo; ma se chiude una fabbrichetta o a perdere il lavoro sono pochi lavoratori alla volta nessuno ti da una mano per una operazione che non fa notizia. Lo sblocco del patto di stabilità per i comuni virtuosi, l’applicazione intensiva dei provvedimenti in tema di risparmio energetico e di riqualificazione del patrimonio immobiliare degradato, il rilancio di un’edilizia economica e convenzionata che possa calmierare i prezzi di un mercato immobiliare impazzito sono delle risposte che pretendiamo prendano corpo. Una politica finanziaria delle Banche che non strozzi più le imprese ( regalandole magari a chi i soldi li vuole investire per “pulirli” come sta facendo la criminalità organizzata) ma consenta non solo la sopravvivenza ma anche il rilancio del sistema, è ormai una scelta che non si può più procrastinare. Ma soprattutto, come sindacato, dobbiamo porci l’obiettivo, proprio noi che rappresentiamo tutti i lavoratori e le persone più deboli di questa società, di ridare loro una voce collettiva che rompa l’isolamento cui inevitabilmente rischiano di cadere le migliaia di persone che altrimenti sono sole nell’affrontare una crisi che da economica rischia di diventare una crisi di democrazia. La forte tenuta unitaria che caratterizza FILLEA,FILCA e FENEAL in provincia ci aiuta. Non che non ce le mandiamo a dire, quando serve, e cioè spesso. Ma riusciamo sempre a trovare una sintesi unitaria che soprattutto in una fase difficile come questa, rappresenta un valore aggiunto cui faccio fatica a pensare di prescindere. Gli accordi raggiunti in tema di rappresentanza a livello confederale indicano al via maestra da seguire per rafforzare questo legame e vanno applicati. Non ci è piaciuta una vicenda tutta interna al congresso CGIL che a fatica e generando incomprensione ha trovato eco nelle nostre assemblee di base nei modi e tempi indicatici perchè rifuggiamo dall'ipotesi di usare temi così delicati come clave usate dalle parti in campo, l'un contro l'altro armati, che rischiano di annebbiare il merito e di dividerci in tifoserie. Indubbiamente vi sono aspetti da approfondire ed anche critici ma preferiamo concentrare le nostre forze nella necessaria applicazione contrattuale delle norme previste dall'accordo quadro tentando in quella sede di garantire che questioni come quelle delle libertà sindacali come del sacrosanto diritto dei lavoratori a pronunciarsi sulle piattaforme e sulle ipotesi contrattuali finanche al sistema sanzionatorio siano armonizzate e trovino una giusta declinazione rispetto alla filosofia che ha informato i 3 accordi recependo in gran parte quanto la nostra organizzazione dichiarava da anni doversi affrontare. Sapendo peraltro che tutto si tiene nel momento in cui si vedono questi passaggi inseriti in un percorso che giunga finalmente ad una normativa legislativa in materia che consenta di estendere a tutto il mondo del lavoro equi criteri in materia di rappresentanza. Ed anche all'interno di FILLEA, per quanto riguarda il nostro modo di lavorare, la crisi ci sta cambiando e devo dire in modo positivo, questa volta. La secca contrazione di posti di lavoro, la drastica riduzione di nuovi ingressi ha consentito ai quadri del nostro apparato di essere sempre meno tesseratori e sempre più sindacalisti a tutto tondo. Oggi nei cantieri, sugli impianti o nelle officine si deve dare risposte sempre più complesse a situazioni sempre più complesse e che riguardano la nostra carne viva. Siamo dovuti crescere nella consapevolezza di questo nuovo, preminente, aspetto della nostra attività ed anche qui credo che non basti l'impegno personale di ciascuno di noi, ma vada ripreso un percorso formativo in grado di supportarci nelle nuove sfide, allargato anche ai delegati che sempre più diventano punti di riferimento sui posti di lavoro dei colleghi e che devono essere messi in grado perlomeno di dare le prime risposte, le indicazioni, che sappiano a chi rivolgersi per i necessari approfondimenti, soprattutto in una organizzazione complessa ed articolata come la CGIL che spesso non è conosciuta in tutta la sua potenza di fuoco, sia sul fronte vertenziale che dei servizi. Un fronte caldo dei nostri interventi è rappresentato dalla necessità inderogabile di garantire che si operi in sicurezza e venga salvaguardata la salute sui posti di lavoro. Ci siamo illusi per alcuni anni di assenza di infortuni mortali, che la situazione si fosse normalizzata. Purtroppo la recrudescenza di morti sul lavoro degli ultimi anni ci ha drammaticamente riportato alla realtà di una situazione, complice anche la crisi, su cui bisogna riaccendere i riflettori. Proprio la mancanza di prospettive occupazionali sicure spesso porta i lavoratori ad accantonare come secondarie le tematiche relative la sicurezza. Ma qui torniamo all'inizio del nostro ragionamento: non si può tollerare che si abbassino le tutele pena l'imbarbarimento e l'avvitarsi in un vortice senza fine che non ha limiti verso il basso. Non solo ritengo impossibile pensare che una persona che esce al mattino per lavorare possa non rientrare a casa perchè non sono state rispettate le norme in materia di sicurezza sul lavoro, andare a lavorare non significa andare in guerra!, ma affermo che non vi è alcuna fatalità che sovrasta gli incidenti sul lavoro se è vero come è vero che la dove si sono verificati gli incidenti più gravi abbiamo registrato l'assenza del RLS, non si è svolta la formazione così come prevista dal CCNL e dalla legge, vi è in molti casi l'assenza dell'organizzazione sindacale. Non può più, tutto ciò, essere considerato un caso. Abbiamo stigmatizato i continui provvedimenti ( magari in nome della riduzione della spesa pubblica!) degli organici degli Enti ispettivi sia dell'ASL che della DTL, così come non abbiamo compreso ancora adesso la resistenza opposta in un cantiere importante come quello che realizza la PEDEMONTANA a costruire un tavolo coordinato dall'ASL sui temi della sicurezza e dell'ambiente tra tutti i soggetti che a vario titolo e non sempre in maniera coordinata operano. Eppure abbiamo dimostrato in altre realtà come Malpensa o l'Arcisate Stabio che tali interventi coordinati non solo hanno ridotto drasticamente i rischi connessi alle lavorazioni, ma non hanno neppure prodotto le paventate perdite di tempo, anzi hanno consentito più rapidi interventi correttivi preventivi (eliminando i rischi di blocco delle lavorazioni per sequestro degli impianti) ed accentuate l'efficacia degli interventi di controllo meno sulle questioni meramente formali e più sulle questioni sostanziali. Il rilancio dell'attività degli RLST che sono tornati nel loro alveo naturale sindacale e l'attenzione all'attività di CPT e SPEV sia in termini di prevenzione che di formazione sono uno dei nostri compiti. Così come il lavoro svolto dalla CEMA relativamente non solo una mera assistenza a lavoratori ed imprese ma con l'obiettivo di un monitoraggio più pressante sulla regolarità a tutto tondo nell'attività di settore rappresenta l'obiettivo da perseguire. Abbiamo in questo senso due ostacoli da affrontare nell'immediato futuro: − l'ineludibile problema di confrontarci sulla necessità di prevedere un contratto che copra tutti i lavoratori che a vario titolo operano in cantiere, da una parte per impedire l'uso di contratti diversi in lavorazioni simili giocando sul dumping normativo e salariale; − la progressiva riduzione delle risorse che alimentano gli EE.BB. Dovuta al drastico calo degli addetti. Se la prima questione impone un rimando ai tavoli contrattuali ed a un inevitabile coinvolgimento intercategoriale, sulla seconda non stiamo con le mani in mano e da quasi un anno si è aperto un confronto coi nostri vicini di Como, Lecco e Sondrio per valutare insieme quale risposta dare ai problemi. Problemi complessi che richiedono proposte di soluzione approfondite ed attente, evitando facili scorciatoie che potrebbero non risolvere i problemi, anzi accentuarli. Penso sia giusto, da parte nostra, ribadire ciò che diciamo sin dall'inizio del confronto, che cioè le soluzioni che si devono trovare devono essere ancorate all'esigenza della salvaguardia del sistema bilaterale anche nel suo equilibrio di bilancio, e quindi della capacità di fornire le prestazioni ai lavoratori così come contrattualmente previste, e garantire il mantenimento della vicinanza territoriale soprattutto i realtà così composite e in alcuni casi eterogenee come quelle prese in considerazione. Dobbiamo lavorare per dare risposte sia ai lavoratori che alla società per come uscire dalla crisi e rafforzare il sistema delle tutele sia individuali che collettive. E per fare questo voglio tornare allo spirito che nasce dalle nostre radici più antiche, affrontate proprio nel libro che abbiamo presentato questa mattina. La capacità cioè di coniugare gli interessi dei lavoratori del settore con gli interessi più generali del territorio. Viviamo in una provincia con caratteristiche molto peculiari: una forte conurbazione della zona centro meridionale e un nord favoloso dal punto di vista ambientale; viviamo in una realtà fortemente infrastrutturata con la presenza di un aeroporto intercontinentale, tre autostrade, 5 ferrovie, con importanti relazioni internazionali con un tessuto produttivo ancora forte, la presenza di un forte tessuto industriale che accanto alle grandi imprese vede la presenza di aziende di medie e piccole e sinanche micro, con una storia industriale che ci ha “regalato” grandi aree dismesse e con centri storici delle città e paesi in forte degrado, in molti casi. Interventi, a partire dalle previsione dei PGT del riordino dei centri storici e della loro riqualificazione, prevedendo lo sblocco dell'housing sociale che tra l'altro consentirebbe di rifar vivere spazi oggi desertificati; interventi, anche importanti di recupero delle aree dismesse in funzione di recuperi produttivi e di servizi: ecco due interventi che consentirebbero di ridare fiato ai lavoratori di imprese anche piccole e fortemente specializzate che vivono sul territorio senza prevedere ulteriore consumo di suolo e dando risposte alle fasce più deboli della popolazione che hanno bisogno di case ed al sistema delle imprese che ha bisogno di nuove sistemazioni in cui produrre. Realizzare un intervento, soprattutto nel nord della provincia, teso a prevenire il dissesto idrogeologico che tanti danni anche in termini di mancata possibile mobilità arreca. Prevedere piani di ristrutturazione del patrimonio pubblico a partire da quello scolastico. Realizzare quelle opere infrastrutturali di connessione tra i vari assi già esistenti che consentirebbero di trasformare la nostra infrastrutturazione, importante, in una rete in grado di rispondere alle sfide territoriali, sia in termini di potenziamento dei servizi ai cittadini che di servizio alle imprese. Penso al collegamento del T1 T2 di Malpensa ed al collegamento con la rete del sempione ferroviaria, al triplicamento della Rho Gallarate ed alla sua interconnessione con la Saronno Novara, al potenziamento della Gallarate Luino (qui per fortuna ci hanno pensato gli svizzeri), all'ultimazione della tratta ferroviaria Arcisate Stabio. Mi sia qui consentito aprire una parentesi su una vicenda che assume toni veramente incredibili. Opera pubblica interamente finanziata che si è impaludata in una serie di fermo lavori legate alle smaltimento delle terre da scavo contenenti arsenico che vede il confronto aperto con la regione Lombardia dal 2011 (cioè neanche un anno dopo l'apertura del cantiere) e che non ha ancora trovato soluzione nonostante le promesse, a più riprese, dagli assessori regionali alla partita e nonostante le promesse avanzate dallo stesso presidente della Regione. Oggi siamo al punto di aver alzato il confronto andando a bussare le porte del Governo sperando di trovare finalmente una soluzione che consenta ai circa 200 addetti di riprendere pienamente il lavoro ed ai 45.000 abitanti della ValCeresio di riprendere possesso del loro territorio realizzando un'opera da tutti voluta che darebbe risposte al trasporto transfrontaliero, metterebbe in collegamento Milano e Malpensa col nord Europa e potenzierebbe il traffico ferroviario. Certo però che questi problemi non si risolvono con continue inaugurazioni di opere mai completate come fa la Regione Lombardia, ma con sforzi politici condivisi e che tengano conto degli interessi veri e non solo di quelli elettorali. Bene, a parte questa parentesi, quasi uno sfogo, mi sembra che abbiamo messo sul piatto tutta una serie di proposte che potrebbero garantire da subito la ripresa del lavoro per gli addetti del nostro settore e non solo. Ma perchè tali proposte siano praticabili occorre ricostruire alleanze sul territorio in grado di imporre alla politica di dare risposte. Credo che il sindacato ci sia e ci sia unitariamente. Crediamo sia giunto il momento, e vi siano anche le condizioni, perchè queste battaglie, che ci sembrano condivise da molti, diventino patrimonio comune e siano in grado di imporre un'uscita dalla crisi con struttura e formazione diversa ma sicuramente efficace sia dal punto di vita occupazionale e di qualità per il territorio.

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