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10.03.14 Si è concluso il 28 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Padova. Di seguito la relazione del segretario uscente Dario Verdicchio, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Permettetemi di iniziare questa relazione con una citazione, che vuole essere un doveroso omaggio al regista padovano Carlo Mazzacurati, scomparso il mese scorso. Mazzacurati, che con i suoi film ha saputo raccontare il Nordest “senza enfasi”, “senza indulgenza”, senza ricorrere ai luoghi comuni. Come nel film La giusta distanza, che costituisce davvero “un saggio straordinario sul metodo attraverso cui guardare e leggere il mondo attorno a noi” con la necessaria passione, la volontà di spendersi e partecipare (I. Diamanti). Ma citare la giusta distanza, in occasione del nostro Congresso, significa anche richiamarsi all’atteggiamento più utile da assumere nel trattare della difficile situazione di crisi che il nostro paese nel mondo sta vivendo, in riferimento a quello che noi stessi lavoratori delle costruzioni di questo territorio viviamo sulla nostra pelle tutti i giorni. Adottare la giusta distanza nell’osservare quanto è accaduto e continua ad accadere a noi ed intorno a noi, può più facilmente permetterci di capire 1 la natura della crisi e, per questo, 2 come da questa crisi sia possibile uscire, e, non da ultimo, ci consegna anche 3 il significato da dare al nostro essere e fare sindacato. Occorre in breve non osservare le cose troppo da vicino, ma nemmeno aiuta considerarle da troppo distante. 1 La natura della crisi Insomma, il rischio del declino del nostro tessuto produttivo, quello che appare come il suo progressivo sfilacciamento, inesorabile impoverimento in termini stessi di numeri di aziende e di posti di lavoro, non è dovuto alla sfortuna di un tragico destino, al quale un modello economico è andato tristemente incontro, ma l’inevitabile avverarsi di conseguenze e , allo stesso tempo, di cause, irrimediabilmente connesse a questo modello economico. Questo modello di sviluppo è arrivato al capolinea: come l’economista Joseph Stiglitz ha sentenziato: “… la crisi del neoliberismo sta nel fatto che si è realizzato il neoliberismo”. Il neoliberismo, ovvero quella teoria economica, quel “pensiero unico”, che negli ultimi trent’anni ci fatto considerare e ci ha fatto pensare al lavoro, alla moneta e alla stessa natura come oggetti di mercato. La cosiddetta “finanziarizzazione”, ovvero la supremazia della finanza sull’economia reale, sulla produzione di beni e servizi, la forbice sempre più divaricata delle disuguaglianze, per la quale è sempre maggiore la differenza fra i pochi che hanno molto ,troppo, e i molti che hanno poco, troppo poco, nel mondo e nel nostro paese sono insieme le conseguenze di questo modello di sviluppo e le cause maggiori della profonda crisi che viviamo. E’ la giusta distanza che ci soccorre anche in questo caso: perché se noi volessimo davvero investire nel settore edilizio, dovremmo partire dal fatto che così come è stato fino ad oggi, non dovrà esserlo più in futuro. Infatti, è oggi condiviso da tutti che si sia costruito troppo, spesso male, e con finalità quasi esclusivamente speculative. Questo è tanto vero, quanto lo stesso settore edilizio, trasformato dalla progressiva finanziarizzazione di questi decenni, rischia di essere, se non reinterpretato, non più anticiclico, come era tradizionalmente inteso, ma addirittura pro ciclico: in altre parole, se noi pensassimo di uscire dalla crisi come ne siamo entrati, il settore delle costruzioni non sarebbe in grado di generare le conseguenze positive, che venivano invocate un tempo per superare le crisi di sistema, date le caratteristiche del settore edile (alta intensità di lavoro, riferimento al mercato interno, natura di beni d’investimento o di consumo durevole). Anzi, dobbiamo sempre rammentare che questa terribile crisi ha avuto come fattore scatenante proprio il rapporto perverso fra finanza e immobiliare. Ma se la natura della crisi ci coinvolge così direttamente, allora capiamo bene che una cosa, per esempio, è scommettere sul cosiddetto piano casa, per come lo abbiamo sperimentato e conosciuto nel Veneto, un’altra nella riqualificazione del patrimonio immobiliare dal punto di vista energetico. E’ indubbio che senza il piano casa nel Veneto il settore delle costruzioni avrebbe dovuto registrare una ulteriore flessione sia in riferimento alla dinamica delle imprese, che rispetto alla dinamica dell’occupazione, ma è anche vero che gli incentivi dei bonus fiscali dedicati alle ristrutturazioni e agli interventi di efficienza energetica hanno nel 2013 prodotto, secondo uno studio di settore del Cresme, oltre un punto di PIL (19 miliardi di euro) e garantito 189 mila posti di lavoro diretti, che salgono a 284 mila occupati considerando l’indotto, ma soprattutto hanno permesso di qualificare il sistema imprenditoriale, rese più vivibili le abitazioni e le città, ridotto i consumi energetici, l’inquinamento e le bollette delle famiglie. In altri termini, non occorre oggi ispirarsi ad un mero concetto di lasser faire, ma piuttosto ricercare e perseguire un ruolo attivo di regia dell’attore pubblico per realizzare gli interventi necessari al soddisfacimento di bisogni reali (riqualificazione delle aree urbane, riassetto del territorio per il suo riequilibrio dal punto di vista idrogeologico, piani per la delocalizzazione di attività produttive, creazione di sistemi di mobilità pubblica sostenibile), sia investendo direttamente risorse pubbliche sia, soprattutto, indirizzando i capitali privati tramite forme di pianificazione, programmazione e regolamentazione, che – è bene ricordarlo – sono mancate negli anni del boom edilizio che abbiamo conosciuto. Per dirlo con il poeta, insomma, “il problema della nostra epoca è che il futuro non è più quello di una volta” (P. Valery). 2 Come da questa crisi sia possibile uscire La CGIL ha da tempo indicato la necessità di uscire dall’impasse generata dalla crisi proponendo un Piano del lavoro, mutuando la proposta da quanto Giuseppe Di Vittorio avanzava come soluzione all’uscita dalle drammatiche condizioni dell’Italia del dopoguerra. La Fillea, la nostra categoria, ha fornito a questa proposta le proprie indicazioni e intende continuare a farlo a partire dal fatto che ciò che è accaduto per i nostri settori ha davvero una valenza paradigmatica. Abbiamo detto che siamo di fronte ad una grande crisi, le cui cause sono l’aumento delle disuguaglianze e la finanziarizzazione: “il prezzo delle disuguaglianze deriva dall’aver inseguito un sistema di profitti senza salari; il prezzo della finanziarizzazione sta nell’aver pensato ad un capitalismo senza lavoro”. Per questo bisogna risocializzare il lavoro, la moneta e la natura, che sono stati ridotti a merce; bisogna rovesciare il paradigma: “non è più la crescita a creare il lavoro ma è il lavoro che può creare la crescita”. Agli ospiti, ai quali oggi abbiamo chiesto di intervenire al nostro Congresso - e che ringrazio per aver accettato cortesemente il nostro invito – abbiamo chiesto di trattare temi e argomenti, che riflettono le parole, attorno alle quali intendiamo formulare la nostra proposta e alle quali vogliamo far aderire anche la nostra azione sindacale. Occorre misurare la giusta distanza fra quello che desideriamo debba cambiare e quello che è nelle nostre possibilità fare perché il cambiamento possa avverarsi. A Michele Zuin del settore Ambiente del Comune di Padova abbiamo chiesto di illustrare un progetto di riqualificazione energetica degli edifici privati, che si propone di intervenire su 200 condomini della città mediante l’utilizzo di un finanziamento europeo di quasi 16 milioni di euro. Un progetto che vogliamo conoscere e sostenere perché può rivelarsi un esempio di buona pratica per le sue finalità specifiche e perché in grado di riqualificare con la città l’impresa e il lavoro, ricercando la possibile sinergia con la stessa scuola edile nella più opportuna formazione dei lavoratori; A Giampaolo Lupato, direttore del CPIPE, la scuola edile di Padova, abbiamo chiesto proprio di parlarci di come sia necessario e possibile riqualificare il lavoro, attraverso la formazione, facendo leva sullo strumento della bilateralità, “bene prezioso”, “patrimonio da tutelare ed implementare”, che, crediamo possa e debba svilupparsi anche negli altri settori (come sta avvenendo, per esempio, nel settore del legno artigiano con l’EBAV) per dare le risposte più efficaci ai bisogni dei lavoratori e alle necessità delle imprese, e, non da ultimo, garantire regolarità e trasparenza al mondo del lavoro; A Francesco Veronese, direttore del Consorzio di Bonifica Bacchiglione, abbiamo chiesto di aiutarci a capire il significato dell’espressione dissesto idrogeologico in relazione al nostro territorio, affinché con la giusta distanza si possa più facilmente comprendere la priorità rappresentata da interventi che ci riportino a quell’equilibrio del sistema minato costantemente dalle conseguenze di un’urbanizzazione deregolamentata; interventi, che, già da troppo tempo attesi, potrebbero garantire il mantenimento, se non l’innalzamento dei livelli occupazionali; A Valentina De Marchi dell’Università di Padova, nonché ricercatrice dell’Ires Veneto, abbiamo chiesto di fare il punto con i suoi studi sulla filiera del legno arredo sulla situazione del settore al centro della crisi, in un’ottica che privilegi le luci, anziché le ombre, quello che necessariamente si intravede nel futuro e che si basa essenzialmente sull’innovazione e la ricerca, che può e deve riguardare anche i lavoratori mediante il più virtuoso esercizio della contrattazione aziendale. Le relazioni, come dicevo, fissano i titoli della nostra proposta di soggetto politico e sindacale: sostenibilità ambientale, riqualificazione urbana e del patrimonio immobiliare, formazione, innovazione e ricerca. Siamo convinti che in tutto ciò a ciascuno spetti responsabilmente il proprio compito, nella consapevolezza che, come constatato da Keynes, durante una crisi che per molti versi assomigliava a questa, “la difficoltà non è tanto nello sviluppo di nuove idee, ma nell’abbandono di quelle vecchie”. 3 il significato da dare al nostro essere e fare sindacato In questi mesi, la FILLEA di Padova ha ricercato con pervicacia un nuovo assetto organizzativo, a partire dai problemi che sul campo derivavano dal progredire della crisi dei nostri settori e dalla difficoltà di sopperire all’alleggerimento numerico seguito all’uscita di alcuni componenti della squadra. Oggi, dopo un tempo relativamente breve, possiamo contare su una squadra che, avvalendosi dello straordinario ed importante contributo volontario di alcuni nostri delegati, si sta a poco a poco impadronendo delle situazioni e delle maggiori criticità attraverso la garanzia di un presidio stabile del territorio. Certo, molto lavoro per migliorarci resta da fare, ma la quantità di lavoro svolto da ciascuno di noi nelle ultime settimane e i risultati confortanti in ordine al proselitismo ci confortano, nella consapevolezza di aver imboccato la strada giusta. Dal punto di vista organizzativo, intendiamo fare nostro e concordare le linee guida del documento votato al Comitato Direttivo della FILLEA nazionale, il 29 ottobre 2013, se non altro perché alcune scelte organizzative da noi compiute in questi mesi appaiono del tutto in linea con esso. Questo documento prende le mosse dalla volontà di “perseguire un modello organizzativo sempre più vicino ai posti di lavoro e al territorio ed in grado di intercettare nell’immediatezza pulsioni e necessità dai posti di lavoro e dal territorio, trasformandole in rivendicazioni ed in conseguente contrattazione”. Questo documento si propone di fare fronte alla indispensabile “razionalizzazione delle risorse” e all’imprescindibile “rilancio del proselitismo” in particolare attraverso “l’integrazione con i servizi della CGIL”, per “identificare percorsi sinergici tra il sistema di tutela collettiva con quello delle tutele individuali” e attraverso esperienze di maggiore “integrazione territoriale”, collaborando in modo stretto fra le FILLEA del Veneto, a prescindere dagli stessi confini geografici istituzionali, al fine di aderire meglio alla mobilità nel territorio dei nostri lavoratori. La sfida che ci sta di fronte riguarda e non può che riguardare anche il sindacato nella costante ricerca a rappresentare al meglio un mondo del lavoro in tensione per le drammatiche conseguenze della crisi e sempre più frammentato e diffuso, e che per questo stesso motivo abbisogna di essere riunificato in una efficace sintesi confederale, come invitava in queste ultime ore a fare Walter Schiavella, segretario nazionale della FILLEA – Cgil. Devo ammettere che il recente dibattito interno alla CGIL, che è rimbalzato recentemente sui media, non mi è piaciuto, perché non mi ha convinto. Badate, la discussione fra di noi può avvenire sulla base di opinioni diverse. Non è questo un problema. Ma non solo e non tanto mi è parso che la discussione non procedesse nel merito, nel significato da attribuire alle cose, ma piuttosto che il dibattito non prendesse le mosse dal merito, ovvero dal significato ultimo da dare alla nostra azione di Sindacato. Se, infatti, concordiamo che lo scopo del Sindacato dei lavoratori sia offrire ad essi una chance di emancipazione, intesa in senso generale, non capisco come non si possa concordare nel fatto che il Testo Unico sulla rappresentanza costituisca, nelle condizioni presenti, un avanzamento della possibilità reale per lavoratrici e lavoratori di contare in tutto ciò che li riguarda in quanto lavoratrici e lavoratori. Questo per il semplice fatto che le maggiori Organizzazioni Sindacali che intendono rappresentarli si sono dati con la controparte, ossia con Confindustria, le regole condivise, attraverso le quali competere per – voglio credere e sperare – sempre meglio rappresentarne istanze e bisogni. Il Testo Unico, sottoscritto lo scorso 10 gennaio, prevede infatti, con la determinazione del peso reale in termini di rappresentanza delle OO.SS con riferimento al numero certificato degli iscritti e alla quantità di voti raccolti nella nomina delle RSU, l’elezione di queste con metodo proporzionale, il conferimento a queste del ruolo che loro compete, il ricorso al referendum coinvolgendo l’intera platea dei lavoratori interessati ad un accordo aziendale o ad un contratto nazionale. Capite bene che, purtroppo, la portata storica di un simile accordo ha i suoi limiti evidenti nel poter essere applicato solo in una piccola parte del mondo del lavoro, e non solo pensando che queste regole ad oggi riguardano il sistema di aziende che fanno riferimento a Confindustria, ma anche perché non trovano applicazione in quel sistema di piccole e piccolissime aziende in cui fra l’altro sono occupati i lavoratori dei settori delle costruzioni e del legno, per esempio. E personalmente preferirei che su questo, in virtù della giusta distanza, ci si fosse applicati nella discussione, all’indomani della sottoscrizione del Testo Unico sulla rappresentanza. Per questo, chiedo già fin da ora al Congresso di proporre alla discussione e alla votazione l’ordine del giorno del Direttivo nazionale, che ha dichiarato sostegno e condivisione a larga maggioranza al dettato del Testo Unico sulla rappresentanza, sottoscritto il 10 gennaio scorso. Vorrei, infine, concludere citando proprio Susanna Camusso. Facendo riferimento all’accordo di ristrutturazione aziendale vigente in Italcementi, che interessa purtroppo anche i nostri compagni dello stabilimento di Monselice, la leader della Cgil si è rivolta ai lavoratori riuniti in assemblea a Calusco con queste parole: “La crisi ha diviso il mondo del lavoro, i lavoratori stessi sono attraversati da divisioni. Non è la qualità della nostra dialettica a determinare il risultato del sindacato. Senza la tenuta dei lavoratori, potremmo essere i più bravi, ma senza risultati. La qualità della nostra risposta dipende dall’unità dei lavoratori qui nella sede Italcementi, come altrove. Non rassegnatevi ad essere le vittime che non rientreranno in azienda dopo la Cassa integrazione. Non rassegniamoci”.

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