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13.03.2014 Si è concluso il 6 marzo 2014 il Congresso territoriale della Fillea Palermo. Di seguito la relazione del segretario uscente Mario Ridulfo, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Care compagne e compagni, delegate e delegati, gentili ospiti, Gli anni che ci separano dall‘ultimo Congresso tenutosi nel 2010 sono stati anni intensi, frenetici, anni complicati, anni segnati dalla crisi. Crisi che in edilizia e più in generale nel settore delle costruzioni si è manifestata con il passare del tempo in maniera sempre più violenta, crisi che ha colpito duramente i lavoratori e le loro famiglie. Una condizione eccezionale e prolungata, insomma che ha messo e sta mettendo ogni giorno alla prova tutto il gruppo dirigente della Fillea di Palermo. Certo, forse non sempre, siamo stati all'altezza delle attese, che sono tantissime, forse non sempre siamo stati sufficienti nelle risposte, ai bisogni sempre più crescenti dei lavoratori. Abbiamo, però sempre dato il massimo, nel lavoro di ogni giorno, che magari non dà visibilità che non fa notizia, così come abbiamo sempre dato il massimo nelle tante iniziative della categoria o della confederazione. Abbiamo sperimentato modelli nuovi di partecipazione anche guardando oltre il nostro normale campo di lavoro. Non ci siamo limitati alle normali tutele individuali e collettive, non ci siamo limitati a stare nei posti di lavoro, nei cantieri, ma abbiamo anche trasformato la Fillea in un “sindacato di strada”, proponendoci come riferimento e strumento per quei lavoratori che travolti dalla crisi chiedono il nostro aiuto. E’ stato per tutti noi senza dubbio uno sforzo eccezionale, aggiuntivo alla normale e già intensa attività sindacale caratterizzata in questa fase anche da tante e complicate vertenze aziendali. Per questo permettetemi prima di proseguire, di ringraziare tutti i componenti il comitato direttivo uscente e tutti i compagni della segreteria e dell’apparato per il lavoro svolto e soprattutto per la passione che ci hanno messo. IL CONGRESSO. IL LAVORO DECIDE IL FUTURO. “Ogni cosa è retta dal conflitto, e chi rimuove il conflitto non fa che precipitare il mondo degli uomini e delle donne nel gorgo dell’irreale. Un elogio del conflitto, lungi dal celebrare la necessità dello scontro, afferma il principio stesso della creazione del nuovo” (M.Benesayag)Sono trascorsi quattro anni dall’ultimo congresso provinciale e oggi celebriamo il 5° della Fillea Cgil di Palermo, anche questo lo svolgiamo ancora, come l’ultimo, nel pieno della più grande e più lunga crisi economica che questo paese ricordi dal dopoguerra. L’assise odierna è tappa di arrivo di un lungo percorso congressuale iniziato lo scorso mese di Gennaio. Trenta assemblee congressuali che hanno coinvolto tante lavoratrici e tanti lavoratori nostri iscritti e spesso anche tanti lavoratori non iscritti. Il congresso è per la CGIL un momento fondamentale e non sostituibile, un grande processo democratico di partecipazione anche se a volte appare complesso. Non sempre nelle assemblee che abbiamo fatto il congresso è stato vissuto dai lavoratori come tale, a volte, soprattutto ai più giovani, quelli cresciuti nel tempo di internet, dei blog, dei social network e della comunicazione on-line in tempo reale, questo è apparso lungo, burocratico, datato. A volte le questioni aziendali, delle singole vertenze hanno prevalso sui temi congressuali, a volte, è stato vissuto perfino con fastidio. Per questo penso che dovremo per il futuro costruire regole a passo coi tempi e con le nuove generazioni. Ma senza dubbio il Congresso è e deve rimanere occasione di confronto reale, non virtuale, occasione di confronto schietto, non falso, occasione di discussione, non solo di ascolto. Il congresso è occasione di scelte e di impegni per i lavoratori e per i delegati che hanno alla fine il compito politico di tracciare le linee di azione del sindacato dei prossimi anni. Allo slogan della Fillea “Città future. Sostenibilità e legalità, territorio e case sicure, lavoro regolare e buona contrattazione. Un nuovo modello di sviluppo per il settore delle costruzioni”, abbiamo aggiunto un nostro slogan che ha accompagnato in questi ultimi due anni le tante iniziative che abbiamo fatto: “il lavoro è dignità, dignità al lavoro“, in questa frase c'è tutto il nostro programma, il nostro impegno, che dedichiamo a tutti i lavoratori che per dignità lottano ogni giorno per difendere il proprio lavoro, la propria famiglia, il proprio futuro. Tempo fa Amnesty International lanciò una campagna dal titolo “ IO pretendo dignità” invitando su twitter e su facebook gli “ internauti” a dare la loro idea di dignità, di seguito solo alcune delle migliaia di definizioni che a meno sembrano le più belle: La Dignità è non dover abbassare lo sguardo; La dignità è riuscire a vivere conservando il rispetto per se stessi; La dignità è giustizia sociale; La dignità è vivere non sopravvivere; La dignità è lavorare onestamente, con un salario adeguato e senza la paura di poter morire ogni giorno!; La dignità è guardarsi allo specchio e non vergognarsi di se stessi; La dignità è … mi spiace. Non me lo ricordo più; La dignità è tutto! Per lo scrittore Moni Ovadia, “la dignità umana è inviolabile ed è un valore che non ha prezzo. Non può esistere dignità sociale o collettiva senza dignità individuale della persona, così come non può esistere dignità della persona senza dignità sociale”. Oggi in questo paese una famiglia ricca possiede in media 35 volte la ricchezza media posseduta dalla metà delle famiglie più povere. C’è una espressione utilizzata dal movimento dei contadini brasiliani che parla di “allargare il pavimento della gabbia”, la gabbia delle istituzioni coercitive che può essere allargata solo dalla partecipazione, dal conflitto, “perché questo è il luogo dove si scontrano oggi gli interessi, anche per come è ormai strutturato l’apparato produttivo nel nostro paese, il conflitto non è più soltanto quello classico tra lavoratori e imprese, anzi una parte delle imprese stanno oggi dalla parte del lavoro: sono quelle che tentano di salvare il lavoro“ (S. Camusso), poi ci sono le altre che vogliono cavalcare la crisi per guadagnare di più. Allora occorre che il “lutto” si trasformi in indignazione, l’indignazione in organizzazione, l’organizzazione in agitazione e l’agitazione in forza e questa forza in cambiamento. CRISI, SFRUTTAMENTO MAFIOSO E LAVORO NERO “… fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e di trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica”, perché …..è compito della Repubblica (art.34 della costituzione) rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana: quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare una scuola a tutti, dare a tutti gli uomini dignità di uomo“ (Piero Calamandrei). La CGIL, che già dieci anni fa denunciava il rischio di declino del paese, fu tacciata, vi ricorderete, all’inizio della crisi, dal governo, da ministri delle finanze creative, da diverse forze politiche, da imprenditori e pure da qualche sindacalista, di essere pessimista. Invece che intervenire con azioni efficaci a sostegno dei redditi da lavoro dipendente e da pensione, per rilanciare i consumi e riavviare l’economia, invece di intervenire con investimenti per infrastrutture materiali ed immateriali, per questi bastava solo premiare la produttività (mentre le aziende stavano per chiudere o de-localizzare! ), separare le organizzazioni sindacali, togliere qualche diritto, alzare l’età per il diritto alla pensione e commissionare qualche spot: il cittadino consumatore veniva invitato a “fare girare l’economia”, tanto si sa i ristoranti il venerdì sera come gli aerei erano pieni! Per il resto ci avrebbe pensato il mercato. In questi anni la micidiale deriva ideologica del sedicente liberismo ha fatto “carne di porco” della dignità della persona, con manovre finanziarie non solo inadeguate, ma anche sbagliate. Quanti ricordano oggi il “libro verde/bianco di Sacconi e il suo welfare delle opportunità e non degli interventi paternalistici“ ? Un progetto organico di smantellamento dei principi solidaristici del nostro paese, basato sul concetto di stato minimo, diversificato, individualistico, neocorporativo, opposto al welfare universale. Quante famiglie di operai edili e del nostro settore vivono oggi sull’orlo della povertà! La verità è che la crisi ha segnato le nostre condizioni di vita materiale e di lavoro, registrando paurosi arretramenti tanto di diritti che di reddito. Quanti lutti in questi anni! Questo è diventato un sistema in cui pochi godono della libertà, e la sicurezza, nel senso più pieno della parola, è garantita solo alla élite “aristocratica” di tecnocrati, banchieri e boiardi di stato. Le condizioni del mondo del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori sono peggiorate, per volontà, non di un “destino cinico e baro” ma per volontà di un capitalismo aggressivo senza morale che fa delle regole del fondo monetario internazionale uno strumento di battaglia di una nuova lotta di classe alla rovescia (Lotta di classe ?!, direte voi. Una risposta l’ha data un miliardario americano, W. Buffett, il quale ha dichiarato, non molto tempo fa “c’è una lotta di classe, è vero ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo”); ed anche per effetto dell’indifferentismo politico, come lo chiamava Calamandrei, che produce astensionismo, violenza, rifugio in forme di protesta elementare, seguito all’arretramento culturale e politico della sinistra italiana. In questi anni, secondo un recente studio dell’associazione Bruno Trentin-isf- ires, l’area della sofferenza occupazionale costituita da disoccupati, scoraggiati disponibili a lavorare e occupati in cassa integrazione è arrivata in Italia a circa 5 milioni, accanto a questa area c’è quella “grigia” di chi lavora a tempo determinato (praticamente tutti gli edili) o con contratti di collaborazione e i part-timer involontari che sono sempre secondo lo studio altri 4 milioni e mezzo, una cifra record se sommiamo le due aree. Ma la crisi ha avuto pesanti effetti sui redditi anche dei cosiddetti Lavoratori “tutelati”, quelli cioè a tempo indeterminato che in edilizia, poi coincidono generalmente con quelli a tempo determinato, si sa infatti che il rapporto di lavoro di un edile è legato al cantiere. Saranno contenti i teorici del “togliamo ai padri per dare ai figli”, gli stessi che accusano il sindacato di difendere solo i cosiddetti tutelati, il risultato di questi anni è stato “tolto ai padri e tolto ai figli”. Infatti sono diminuiti i diritti per i padri e sono diminuiti i diritti per i figli, si sono livellati al ribasso i salari dei padri e quelli dei figli, è aumento il prelievo fiscale sia per l’uno che per l’altro. A solo titolo di esempio, basta dire che in poco più di un decennio la sola quota delle addizionali sull’imposta complessiva gravante sui salari risulta quasi triplicata: dal 4,2% all’11,2% per i single (generalmente diciamo “ i figli”) e dal 5,8% al 17,1% per il coniugato (generalmente diciamo “ i padri”). La mancata riforma poi del cosiddetto “Fiscal drag”, cioè il fenomeno che si ha quando l’inflazione produce un inasprimento del carico tributario (e il contribuente finisce con il pagare imposte più elevate su un reddito reale immutato; al netto delle imposte, quindi, il suo reddito diminuisce), ha comportato un maggior prelievo tra il 2001 e il 2013 che va dal 3,2% ( del single/”figlio” ) al 5,3% (del coniugato/”padre”), insomma oggi il peso dell’irpef sul totale del prelievo arriva al 43%!, questo mentre si riducono continuamente le prestazioni di assistenza sociale. Il paradosso più evidente è che oggi anche chi lavora rischia di essere povero! La Banca d’Italia, calcola che il 10% delle famiglie più ricche in Italia possiede il 45% dell’intera ricchezza netta delle famiglie italiane a fronte della metà più povera che ne possiede meno del 10%. Per questo la CGIL già nel suo Piano del lavoro ( e poi nel documento congressuale - Azione 2) ha lanciato la proposta di una imposta patrimoniale ordinaria sulle grandi ricchezze per finanziare l’emergenza occupazionale attraverso lavori di pubblica utilità (Azione 8, lavoro di cittadinanza) a cominciare dalla messa in sicurezza dell’enorme patrimonio ambientale e culturale italiano (lavoro per tanti edili e affini). Oggi anche il presidente della Bundesbank (J. Weidmann) in un intervista recente ha dichiarato che “ in una situazione d’emergenza, per uno stato nazionale, una tassa patrimoniale può essere il male minore”! in questo contesto inoltre c’è la nostra condizione di insularità, di periferia geografica ed economica, quanto siamo lontani da Francoforte o da Bruxelles! Certo, neanche noi potevamo prevedere la durata e la ampiezza della crisi che è il frutto della incapacità dei governi a contrastarla, ma anche della nostra incapacità a rappresentare la complessità del mondo del lavoro di oggi, dei suoi cambiamenti epocali, ma come dice sempre Mauro Livi, “la crisi esige più sindacato e non meno sindacato”! un sindacato più forte anche sovranazionale che contratti con le istituzioni europee (azione 1- Europa), lì dove oggi si decidono le politiche economiche strategiche per un intero continente e per centinaia di milioni di persone, da Helsinki a Palermo. In Italia nel solo settore delle costruzioni si sono persi oltre 600 mila posti di lavoro e 12 mila imprese hanno chiuso, quelle entrate in procedura fallimentare sono aumentate del +6% in un anno, il 23% di tutti i fallimenti in Italia. Si sono ridotti del 30% gli appalti pubblici, si è ridotto del 20% il volume del fatturato. Il rapporto 2013 sul "sistema delle costruzioni in Italia" calcola in 80 miliardi di euro la perdita di valore del settore dall’inizio della crisi, le previsioni per il 2014 sono con il segno meno, con un'ulteriore riduzione del valore della produzione del 2,9%. In Sicilia negli ultimi 5 anni si sono persi 70 mila posti di lavoro in edilizia, ma la gestione degli appalti fa ancora a pugni con l’emergenza, in media trascorrono 1582 giorni contro i 583 della Lombardia e i 900 giorni della media nazionale! E la Sicilia ha un deficit infrastrutturale del 34,6%, rispetto per esempio al nord est, mentre la carenza di infrastrutture, è stato calcolato aumenta i costi dell’impresa del 20,6%. Per quanto riguarda la forza lavoro: - dati Istat: nel 2012 le imprese attive nelle costruzioni erano 813.277 e occupavano 1.072.000 dipendenti (di cui 853.000 operai e 682.000 tra liberi professionisti, partite iva, soci di coop,ecc..), con una media di 1.32 dipendenti per azienda. Il lavoro autonomo nelle sue varie forme pesa quasi il 40%, cosa c’è in questo 40%? Forse che molti operai sono costretti ad aprire la partita iva? E quante imprese così non versano in cassa edile? Sempre per quanto riguarda la forza lavoro, nella sola provincia di Palermo, (dati C.e.p.i.m.a.), si è passati : -Dai 18.883 operai attivi censiti in cassa edile nell’anno edile 2008/2009, -ai 12.180 operai attivi censiti in cassa nell’anno edile 2012/2013, -cioè 6.703 operai edili,il 35% in meno!Per quanto riguarda le ore lavorate, siamo passati: -da 14.536.348 di ore lavorate del 2008/2009 -a 9.132.020 di ore lavorate del2012/2013, -il 37% in meno di ore lavorate. Diminuisce la massa salari, si è passati : -dai 137 Mln di euro del 2008/2009 -a 115 Mln di euro del 2012/2013. -22 Mln di euro in meno di massa salari, il 17% in meno. Anche per le imprese il colpo è stato duro, siamo passati: -da 2.992 imprese del 2008/2009 -a 2.519 imprese del 2012/2013, -473 imprese, il 16% in meno. A questi dati vanno aggiunti tutti coloro i quali sfuggono al rilevamento della cassa edile, ovvero gli impiegati, i collaboratori esterni, i lavoratori dell’indotto: - Cemento ( la cui produzione in Italia secondo l‘Aitec - è calata del 22% rispetto al 2011, con volumi dimezzati in sette anni!, meno 45% , con l‘attesa di un ulteriore calo del 20-25% e un eccesso di capacità produttiva del 40-50%, in questo quadro tiene la nostra realtà produttiva di Italcementi di isola delle femmine); - Laterizi, ( settore travolto dalla crisi più degli altri e che nella nostra realtà significa Latersiciliana del gruppo Fauci, l’industria in contrada Himera che nonostante la crisi mantiene- dopo lunga e complicata trattativa- la propria forza lavoro tra produzione e cassa integrazione); - Legno (poche e piccolissime aziende, con pochi addetti tra queste la Albanese legno del presidente di Confindustria Palermo); - Lapidei ( aziende piccole ma realtà importanti che nel Palermitano sono quasi tutte confiscate e in amministrazione giudiziaria). Inoltre sfugge a qualsiasi statistica tutta quella parte di lavoro nero che già prima della crisi rappresentava circa il 30% del totale della manodopera e che oggi possiamo stimare essere intorno, se non oltre il 50% della forza lavoro. Ciò significa, come abbiamo più volte denunciato inascoltati dalle istituzioni, che a Palermo e provincia nei cantieri edili e affini un lavoratore su due è in nero, a nulla sono valsi in questi anni gli appelli delle organizzazioni sindacali degli edili palermitani. Anche all’indomani di tragiche disgrazie , non si è fatto nulla. Per contrastare questa condizione occorrono, come chiediamo da tempo, anche strumenti normativi per definire una sorta di “black-list” per le imprese irregolari, soprattutto per quanto riguarda la sicurezza e la salute sul lavoro. LEGALITA’, LAVORO REGOLARE E BUONA CONTRATTAZIONE “Il lavoro è la condizione che rende possibile a masse di cittadini non possidenti di partecipare alla pratica della cittadinanza e alle decisioni della politica. Senza la presenza costante di masse informate, consapevoli, partecipi, a volte conflittuali, sulla scena della vita pubblica, la democrazia è impossibile” (F. Colombo. La paga) In questi anni sono sempre cadute in un “vuoto assordante” le nostre richieste alla Prefettura di Palermo di convocare tutti i soggetti interessati per provare a costruire soluzioni di contrasto allo sfruttamento e al lavoro nero. Anzi nel silenzio generale della politica sono stati “disarmati” perfino i nuclei ispettivi del lavoro dei Carabinieri, non potenziati gli ispettorati del lavoro provinciali che ancora attendono i famosi 300 ispettori. Si è persa una battaglia perché non la si è voluta combattere, confidavamo ingenuamente nei 300 ispettori come gli antichi greci confidavano nei 300 eroi spartani! Leonida oggi sarebbe vivo, si, ma per codardia! A distanza di anni e di lutti, tutto questo ci fa fare una grave considerazione o quanto meno ci pone due interrogativi: Forse che le istituzioni, in questa fase di crisi, considerano il lavoro nero come un ammortizzatore sociale? Allora si sappia che oltre il rischio per le vite e la salute dei singoli lavoratori c’è un altro rischio che abbiamo più volte denunciato: una competizione al ribasso tra le imprese, trascina le imprese sane nel sommerso, nella illegalità mafiosa, nella insicurezza, aumentando così sfruttamento e rischi per la salute e un generale impoverimento della nostra società. Forse è’ ora di riconsiderare, quanto meno per tutti gli appalti pubblici e/o almeno per quelli sopra una certa soglia, l’avviamento al lavoro attraverso un pubblico collocamento, per sottrarre a caporali e affaristi la possibilità di sfruttamento. In questi mesi, come sapete, abbiamo sottoscritto unitamente alle altre Organizzazioni sindacali del settore Protocolli di intesa per l’utilizzo di manodopera locale con diversi comuni della nostra provincia, come Bagheria, Termini Imerese, Sciara, Corleone, Palermo, ecc ed anche con l’associazione dei costruttori di Palermo (Ance). A distanza di tempo possiamo trarre il giudizio che il più delle volte e tranne che in qualche piccola occasione non possono essere l’unico strumento per soddisfare la fame e le attese di lavoro nelle nostre città, lasciando tutto alla discrezionalità delle imprese e ad una finta libertà di impresa con i soldi di tutti. Non possiamo più accettare che soprattutto negli appalti pubblici, dove i sono soldi pubblici si consenta una gestione “privatistica“, lasciando all’imprenditore con i soldi dello Stato la possibilità di discriminare i lavoratori. Lo Stato, infatti, da un lato impedisce al lavoratore edile di andare in pensione in una età decente, dall’altro nulla fa per consentire il collocamento di un lavoratore oggettivamente spesso svantaggiato perché troppo vecchio per le imprese!, troppo giovane per l’Inps. Occorrono a nostro avviso subito riforme legislative che modifichino: - l’avviamento al lavoro, per i cantieri edili finanziati da stato/regione/comune attraverso un collocamento pubblico; - flessibilità dell’età pensionabile (affinché si possa scegliere di andare in pensione dopo i 62 anni) e pensione contributiva di garanzia (azione 3 -Pensioni) - forme di sostegno al reddito attraverso quello che il documento congressuale della CGIL chiama “lavoro di cittadinanza” (Azione 8 - inclusione sociale). Nella crisi ci sono anche imprenditori che proprio approfittando della crisi si arricchiscono sulla pelle dei lavoratori i quali, per soddisfare i bisogni delle proprie famiglie, accettano lavoro nero, sottopagato ed anche quando sono “messi in regola”, debbono in alcuni casi perfino subire il pizzo sul proprio stipendio. Non sono pochi i casi infatti di coloro i quali sono obbligati a restituire a questi “parassiti” gli importi equivalenti agli assegni familiari ricevuti e alla erogazione di cassa edile, oltre che “regalare” ore di lavoro aggiuntive non retribuite. Spesso queste imprese sono impegnate in cantieri sia privati che pubblici, spesso sono mafiose e solo grazie alla coraggiosa azione delle forze dell’ordine e della magistratura, in una parola dello Stato, vengono liberate e tutti noi lavoratori, sindacato e società civile esultiamo, salvo poi spesso scontrarci con una cattiva gestione delle stesse imprese da parte dello stesso Stato, riportando come in un gioco dell’oca infernale, ancora una volta i lavoratori nella disperazione e nel bisogno e anche quelle che hanno superato la lunga fase del sequestro e sono arrivate alla confisca vedono il loro futuro incerto, per questo abbiamo sostenuto con tutte le nostre forze la proposta di legge di iniziativa popolare “ io riattivo il lavoro” che la CGIL e le altre associazione antimafia hanno presentato. Occorre subito una riforma dell’agenzia dei beni sequestrati e confiscati che dia allo Stato gli strumenti e le risorse per “gestire” sequestri e confische sempre più numerosi, complessi ed economicamente importanti a cominciare da quelle simbolo in questi anni come l’Ati Group di Bagheria (la più grande azienda edile strutturata, dopo il comune di Palermo con il Co.i.m.e., nella nostra Provincia), che senza interventi è destinata alla chiusura, così come le Immobiliari Strasburgo, Sansone e Raffaello ; così come le cave Consona, Buttitta e Giardinello, che in questi anni di amministrazione giudiziaria si sono rivelati importanti realtà economiche. Non possiamo accettare l’impostazione di chi come il presidente del tribunale , misure di prevenzione di Palermo ( a proposito si può criticare un magistrato nelle sue, diciamo esternazioni?), sostiene in una dichiarazione alla agenzia Ansa: “la nostra priorità è la legalità e non l’occupazione”, come dire ci occupiamo solo di case, terreni e beni mobili e non delle persone, oppure quando sostiene, in una iniziativa di Confindustria Palermo, che i problemi li ha avuti dalle banche e dal sindacato, a lei diciamo che le siamo vicini perché condividiamo la lotta alla mafia , ma che la legalità e l’occupazione devono diventare la nostra comune preoccupazione, se vogliamo fare della lotta alla mafia una lotta di popolo e soprattutto se vogliamo davvero vincerla. Priorità allora è fare sistema, costruendo un circuito virtuoso per tutto il tempo necessario, tra le aziende “liberate” dalla presenza mafiosa avendo come obiettivo comune: legalità, lavoro regolare e buona contrattazione. Ma per combattere sfruttamento mafioso e lavoro nero occorre anche una azione preventiva sistematica quotidiana. Per affermare la legalità occorre la presenza dello Stato ogni giorno, così come occorre lo ribadiamo ancora una volta che la Regione Siciliana (a cui il testo integrato con il Dlgs 106/09, attribuisce il compito di coordinare e fare funzionare tutti i soggetti preposti), garantisca i controlli attraverso la copertura degli organici a cui vanno destinati le migliori professionalità. La priorità dunque è ancora una volta “fare sistema“, fare funzionare il coordinamento tra i diversi soggetti pubblici e privati interessati: Inail, Ispesl, spresal, ispettorato del lavoro, anche attraverso l’azione degli strumenti della bilateralità (non sostitutiva però alle funzioni proprie dello Stato). A Palermo un nuovo ruolo può avere il nuovo ente bilaterale della formazione e della sicurezza (Panormedil-Cpt) che si è costituito a seguito della fusione della scuola edile Panormedil e del Cpt di Palermo. Un ruolo di stimolo, di coordinamento, un luogo di incontro e confronto di competenze diverse, ma di comuni obiettivi: la salute e la sicurezza dei lavoratori nei luoghi di lavoro. In questo contesto dobbiamo confermare ogni giorno il nostro ruolo, attraverso non solo la nostra presenza nei cantieri, ma soprattutto attraverso la nostra azione che deve diventare sempre più presidio di legalità, per fare questo occorre confermare la nostra natura e il nostro ruolo di “organizzatori, di “costruttori“ di accordi e mediazioni, quando questi sono possibili per gli interessi dei lavoratori, di “agitatori” quando questi sono contrari agli interessi dei lavoratori. Occorre cioè “praticare nel merito la nostra autonomia senza mai farla diventare autoreferenzialità“ (W.Schiavella), ma questo vale tanto per noi quanto per le nostre controparti: non dobbiamo, non possiamo rinunciare, pena l’inutilità, a guidare l’innovazione e lo sviluppo del settore anche attraverso l’organizzazione del lavoro e l’innovazione contrattuale, a partire dalle coerenze che tutti assieme dobbiamo realizzare in ordine alla stagione contrattuale. Importanti risultati sono stati raggiunti in questi quattro anni, ricordo il rinnovo dei CCNL del 2010 e del conseguente e non scontato contratto integrativo provinciale di Palermo (con il grande limite di non applicazione ai lavoratori edili del Coime per gli effetti della cd. Legge Brunetta), così come importanti risultati sono stati raggiunti in questa stagione contrattuale con la firma dei rinnovi di tutti i contratti, anche in quei settori che più di altri hanno sofferto la crisi (come laterizi, cemento, artigiani edili) tranne però quello più importante del settore, cioè il contratto edilizia industria (Ance- Coop), che non è più oggi, come nel passato, il “contratto apripista”. La speranza è che nelle prossime ore ( per chi legge: il prossimo 5 marzo è convocata a Roma presso l’Ance la delegazione trattante) si determini la realizzazione di un accordo sul contratto nazionale dell’edilizia industria risolutivo necessariamente anche per dare seguito all’accordo sul testo unico sulla rappresentanza, il cui regolamento attuativo è stato sottoscritto lo scorso 10 gennaio, tra Confindustria e Cgil, Cisl e U il, recita : “ il CCNL ha la funzione di garantire la certezza dei trattamenti economici e normativi comuni per tutti i lavoratori del settore ovunque impiegati nel territorio nazionale”. USCIRE DALLA CRISI: TERRITORIO, INFRASTRUTTURE E CASE SICURE “… abbiamo sempre respinto l’equazione Mezzogiorno uguale grande infrastrutturazione, perché per noi il dibattito sulla importanza delle grandi infrastrutture nel Sud lo abbiamo superato : per noi il Mezzogiorno ha bisogno di tutte le infrastrutture, a partire da quelle legate alla mobilità territoriale, a quelle legate all’uso di risorse idriche e delle fonti energetiche, la grande infrastrutturazione è indubbiamente una preziosa opportunità per dare lavoro ed è una condizione per lo sviluppo, ma lo è soprattutto se al suo fianco si sviluppa un processo che ha radici più profonde nello sviluppo locale e queste radici le trova dando risposte a bisogni che si traducono in altre opportunità di lavoro e sono la realizzazione delle reti, il recupero ambientale, la manutenzione, la ricostruzione, il restauro, il recupero urbano“. (da, Fillea. Conferenza Nazionale delle Costruzioni nel Mezzogiorno, Bari, 2002)In questi anni abbiamo posto al centro delle nostre iniziative la necessità di fare partire le opere seppur piccole ma immediatamente “cantierabili” (ricordo la campagna nazionale della Fillea dei cosiddetti “novantanove cantieri”), perché capaci di dare immediate risposte al bisogno di lavoro, ma contemporaneamente abbiamo più volte denunciato, anche attraverso la costituzione dei “comitati per il lavoro edile” e con le nostre iniziative, con le nostre manifestazioni )e poi scioperi, presidi, finte inaugurazioni di opere pubbliche, flash-mob, gli scioperi alla rovescia e persino con “l’acchianata” degli operai edili disoccupati al Santuario di Montepellegrino), l’assenza negli anni della crisi di finanziamenti e progettazione per la costruzione di piccole e grandi infrastrutture, di opere pubbliche utili, indispensabili alle nostre città. L’assenza di politiche strategiche di sviluppo, la cattiva politica, la Mafia e una concezione clientelare dei diritti allontanano in un futuro remoto le possibilità di recupero, in termini economici e sociali, delle differenze con il resto del paese. La crisi, i ritardi della burocrazia, la fragilità finanziaria e il “nanismo” delle imprese Palermitane determinano un quadro ancora più complicato. Le uniche opere pubbliche che si faranno a Palermo sono state pensate, progettate e finanziate in alcuni casi 15 anni fa. Il dato sconfortante è che nella crisi nessuna opera pubblica significativa è stata pensata, progettata e finanziata. Dall’inizio degli anni ottanta in Italia la spesa per infrastrutture è passata dal 3,5% del Pil all’1,6% previsto per quest’anno. Lo stesso “anello ferroviario” unica grande opera pubblica che deve ancora partire in città, risale come progettazione e finanziamento a prima della crisi. Appare evidente quindi “la necessità di rilanciare gli investimenti per superare la crisi, almeno quanto il rigore dei conti“, anche perché gli investimenti in opere pubbliche aiutano il settore che più di altri ha maggiore capacità anticongiunturale. Inoltre è evidente che investire in opere pubbliche: scuole, strade, ponti, ferrovie, ecc. significa investire sulle future generazioni che di queste opere pubbliche ne trarranno maggiore beneficio. In questo quadro abbiamo posto attenzione negli anni come Fillea di Palermo, assieme alle altre organizzazioni sindacali degli edili palermitani, al ruolo delle amministrazioni regionali e locali. La loro quota sul totale degli investimenti pubblici nazionali è infatti cresciuta, da questi oggi dipendono i tre quarti della spesa: Regione, Comuni, Asp, etc.., secondo la stessa Ance (associazione dei costruttori edili) una delle cause che rallentano la spesa ed impediscono l’utilizzo anche dei fondi europei per le opere pubbliche, dipende dal fatto che gli enti locali siciliani non dispongono di progetti definitivi da presentare per il finanziamento, tanto per le grandi opere pubbliche, quanto per i piccoli e medi cantieri che poi sono quelli più interessanti per il nostro sistema di impresa, utili a cominciare dal necessario recupero dell’esistente, come dimostra l’impressionante catena di crolli avvenuti di recente a Palermo, basti pensare a cosa è successo al quartiere della Vucciria (notizia che ha fatto il giro del mondo) o al quartiere del Capo e non solo. In questo senso occorrono provvedimenti forti e definitivi nei confronti dei proprietari privati che non ripristinano una condizione di vivibilità, ma occorre che nella fattispecie il comune di Palermo, ripristini l’ufficio del centro storico, recuperi lo spirito e l’impegno di un intervento deciso di ricostruzione e di restauro sull’enorme patrimonio storico monumentale (spesso di propria proprietà), anche attraverso un eventuale “esproprio per pubblico decoro” se non anche per pubblica utilità ed intervenga in via sostitutiva o attraverso il proprio personale (il comune di Palermo è l’unica città in Italia che possiede le maestranze per farlo, l’ex Dl24) o attraverso appalti pubblici. In una città dove però gli spazi verdi e quelli edificabili sono ormai limitati, la vera scommessa è quella di rigenerare il costruito, che significa poi puntare a materiali innovativi e porsi l’obiettivo consumo di suolo zero. In Italia, (come a Palermo) il 60% degli edifici è stato costruito prima del 1974, anno di entrata in vigore della prima normativa antisismica e necessita pertanto di messa in sicurezza. Tutelare il suolo, significa spingere le imprese a puntare sull’edificato. Consumo di suolo zero, significa impedire ulteriori impermeabilizzazioni del nostro territorio, significa puntare alla riqualificazione del patrimonio edilizio pubblico (una direttiva UE stabilisce che a partire da gennaio 2014 ogni anno siano realizzati interventi di ristrutturazione in almeno il 3% delle superfici degli edifici pubblici), significa dotarsi di un libretto antisismico per tutti gli edifici esistenti. Significa (come ha fatto il Comune di Palermo, anche se ad oggi i risultati ancora non si vedono, per via dei limiti alla cubatura?), concentrare gli interventi sulle aree industriali dismesse, sul centro storico, sui quartieri residenziali caratterizzati da una scarsa qualità architettonica ed inadeguati rispetto alle attuali normative antisismiche, idrogeologiche e di risparmio energetico (significa quasi tutto il nostro patrimonio edilizio). Il passaggio dalla demolizione alla ricostruzione può inoltre prevedere forme di reimpiego degli scarti provenienti dalla demolizione. Tale intervento di demolizione e ricostruzione, ad impatto zero in termini di consumo di suolo, consentirebbe circa 10 anni di piena occupazione per il mondo delle costruzioni e il riassorbimento di quasi 600 mila addetti del settore! Si potrebbe chiosare che “dai diamanti non nasce niente“, ma dalla crisi del “cemento”, potrebbe nascere una nuova politica urbanistica. Consumo di suolo zero, significa un cambio di mentalità, un mutamento culturale che punti ad una edilizia sostenibile. Consumo di suolo zero, significa sapere che si sono modificate le condizioni che hanno tenuto in piedi la “bolla immobiliare” degli anni duemila. Consumo di suolo zero e recupero dell’esistente significa una scommessa di rilancio per una città come Palermo, vittima del sacco edilizio del secolo scorso e per le tante altre città della provincia che come la capitale hanno visto devastato il proprio territorio e la propria storia. Costruire una idea di sviluppo della città, della sua area metropolitana e della sua provincia in maniera condivisa attraverso opere infrastrutturali utili e moderne, significa affrontare la questione della carenza degli alloggi attraverso un piano di costruzione e ristrutturazione di case, secondo i nuovi canoni di bioedilizia, insomma significa recuperare l’idea di “cantiere qualità“, già teorizzato dalla Fillea, (“un‘ idea nuova di mercato delle costruzioni, dove la grande infrastrutturazione, le grandi opere, rappresentano una faccia della medaglia; ma l‘altra è l‘enorme potenzialità presente nelle attività di recupero e di valorizzazione dell‘ambiente e del territorio, di riorganizzazione delle città e dei servizi, di restauro dei beni culturali. E‘ l‘ idea che il costruire non debba necessariamente essere associato ad attività speculative ed invasive, ma essere leva sulla quale agire per uno sviluppo sostenibile …”. F.Martini.) Principio ormai fatto proprio anche dalle associazioni datoriali e contrapposto al “cantiere in deroga” di questi anni, basti pensare a quanto è successo a L’Aquila dopo il terremoto con le “new-town” o alle opere all’isola della Maddalena volute dal Governo di allora per il vertice del G8, esemplificazione tragica del modello Berlusconiano abilmente o grossolanamente rappresentato sulla lavagna di “porta a porta”: una linea di qua, una linea di là, con un bel tunnel in cui passano tanti neutrini, dal Gran Sasso alla Svizzera! NOI LA FILLEA Compagne e compagni, gentili ospiti,La Fillea che abbiamo portato al 5° Congresso è il frutto del lavoro intenso di questi anni e di chi mi ha preceduto. Questa è una federazione forte negli iscritti e nel suo vasto gruppo dirigente ed è in costante trasformazione come tutte le cose. In questi anni abbiamo accompagnato e guidato questa trasformazione facendo forza sulla esperienza dei compagni più anziani, che voglio qui ringraziare per la loro generosità. L’incontro tra queste generazioni ha arricchito la Fillea di Palermo, che oggi si presenta con una segreteria e un gruppo dirigente rinnovato, una nuova generazione di lavoratrici, di lavoratori, di sindacaliste e sindacalisti, nel solco della migliore tradizione della CGIL. Solo in questo modo e nonostante questi anni di crisi economica la Fillea è potuta paradossalmente crescere, in termini di adesioni e posso dire anche in termini di peso politico. Come iscritti siamo stabilmente sopra i 5.500 tra lavoratori edili e degli altri settori e questo appare tanto più importante in considerazione dell’accordo sulla rappresentanza che costruisce per il futuro una unità competitiva tra le organizzazioni sindacali, accordo che rappresenta per noi un risultato importante per dare esigibilità alle intese e coerente con gli obiettivi e con i contenuti degli accordi del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013. Intesa che non può e non deve diventare occasione di contrapposizione interna alla CGIL, in quanto lascia inalterati gli spazi contrattuali della categoria, che dovrà semmai adeguare l’accordo, attraverso la contrattazione nazionale, alla realtà produttiva del settore delle costruzioni, anche attraverso la bilateralità e la contrattazione di secondo livello. Care compagne e cari compagni, “Da dove sorgerà il sole?”, E’ la speranza che vive nel cuore della notte. E’ la domanda dei nativi americani che sanno che la “notte” può essere molto lunga. La nostra è un’epoca di crisi. Non è una constatazione nuova, né rivoluzionaria. E’ un’epoca in crisi di fronte al fallimento dei sogni che aveva nutrito il passato. Eppure il sole sorge ogni giorno e tramonta ogni giorno per tutti noi. Dobbiamo solo aguzzare lo sguardo per indovinare da dove spunterà la luce. Quella che abbiamo dinnanzi è una luce che ci porta in una direzione su una strada che non è né lunga né accidentata, così come non è né comoda né sicura. Essa è semplicemente una strada nuova. Il sindacato di strada come lo abbiamo inteso e praticato in questi anni dovrà sempre più misurarsi con questa nuova condizione, una nuova frontiere. Una nuova luce per il sindacato italiano, per i lavoratori e per tutti noi. Buon lavoro a tutti, viva la Fillea, viva la CGIL. 

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