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Referendum

14.03.14 Si è concluso il 26 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Napoli. Di seguito la relazione del segretario uscente Ciro Nappo, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Buongiorno a tutti. Permettetemi di rivolgere un caloroso saluto e un ringraziamento al Segretario Nazionale della Fillea CGIL, Salvatore Lo Balbo. Siamo lieti che abbia deciso di vivere con noi questo importante appuntamento. Salvatore è il responsabile per la Segreteria Nazionale del Dipartimento “Infrastrutture, Territorio e Legalità e Mezzogiorno”, ed a questo dipartimento fanno direttamente capo gli Osservatori “Edilizia e Legalità” e “Territorio ed Aree Urbane”. In un comparto territoriale quale quello dell’Area Metropolitana di Napoli, devastato dalla edilizia speculativa selvaggia alimentata dalla criminalità organizzata, dove i caporali ancora decidono chi e quando debba lavorare ed a quale salario, dove l’economia sana è fortemente condizionata ed inquinata dal riciclo dei capitali della criminalità e dall’usura, dove la vera emergenza è quella della bonifica dei suoli collassati dai rifiuti illegali che stanno conducendo a morte vittime innocenti e le economie del territorio, il primo virus da estirpare è quello della illegalità. E diciamolo subito: se siamo qui in questo congresso della Fillea per delineare la nostra agenda per i prossimi mesi e per i prossimi anni, dobbiamo subito riempirla di appuntamenti di contrasto a tale illegalità, di approfondimenti su tali fenomeni, e dobbiamo subito tracciare linee guida capaci di farci invertire la rotta. Salvatore darà senz’altro, su questi temi e non solo, una competenza ed una passione preziosa per questo lavoro e senz’altro una presenza viva nel nostro impegno quotidiano, e potrà porre a livello nazionale e con efficacia tutta la centralità di questa grave emergenza napoletana. Salvatore, già in questo appuntamento, ci darà in proposito indicazioni preziose. Un vivo ringraziamento a Giovanni Sannino Segretario Regionale Fillea senza il suo prezioso lavoro la Fillea di Napoli non potrebbe oggi vantare risultati così importanti. Un grazie a Gianluca Daniele Segretario della Camera del Lavoro di Napoli che sta portando avanti con passione un grande impegno per il rinnovamento dei rapporti con i lavoratori, con i cittadini e le istituzioni, i cui frutti già si vedono nel ritorno alla centralità della CGIL. Un saluto e un ringraziamento alla Filca CISL ed alla Feneal UIL guidate dagli amici Segretari Generali, alla neo Vicepresidente dell’Associazione Costruttori Edili di Napoli, con la quale affronteremo sfide del settore e ci confronteremo, sono sicuro con lealtà, sulle tematiche attinenti al lavoro e allo sviluppo della città e del nostro settore. Un sentito ringraziamento alla lega delle Cooperative, al presidente e al Direttore della Cassa Edile di Napoli, al Presidente e al Direttore del CFME di Napoli, al Presidente e al Direttore del CTP e, naturalmente, un caloroso benvenuto alle tante compagne e ai tanti compagni anche oggi presenti e che hanno condiviso con noi in questi anni difficili e tormentati le tante battaglie che hanno caratterizzato il nostro lavoro. Saluto e ringrazio per il loro prezioso lavoro le Compagne e i Compagni della struttura e i tanti delegati che con il loro importante lavoro nei cantieri e nelle fabbriche ci hanno fatto vivere una fase precongressuale ricca di eventi e di confronti veri e reali; senza il loro impegno non avremmo potuto raggiungere traguardi così importanti e non avremmo potuto oggi celebrare un congresso i cui numeri appaiano rassicuranti per il nostro futuro e per gli impegni che dobbiamo ora tutti insieme assumere. I temi del confronto precongressuale sono stati tanti e tutti rilevanti, e non posso affrontarli se non andando subito al cuore delle questioni. Purtroppo l’emergenza non è cessata, anzi si è fatta più dura, ed è impossibile che tali dati non condizionino anche la nostra discussione. E la condizionano perché i dati dei quali ora dobbiamo tenere conto sono addirittura peggiori di quelli che abbiamo esaminato nel precedente congresso; all’epoca eravamo convinti di avere già toccato il fondo. Invece mi trovo ora a dover affrontare con tutti voi una discussione congressuale condizionata pesantemente da dati aspri e gravi. I numeri sono sconfortanti e non solo quelli relativi ai tanti posti di lavoro già persi e che purtroppo si continuano a perdere ogni giorno, ma anche quelli che vedono aumentare ogni giorno di più le imprese Edili e le aziende del settore in default e quelle in difficoltà irreversibili. Questi sono dati che disegnano un quadro locale a tinte fosche e che ci fanno sentire tutto il peso di un futuro - per l’intero paese – ancora incerto. Queste premesse connotano questa mia relazione, perché sono convinto che solo investendo nella discussione responsabilità ed obiettività, è poi possibile tracciare il percorso giusto per affrontare con qualche possibilità di successo l’emergenza che avremmo nei prossimi anni ed a partire dalle prossime settimane. Care Compagne e Cari Compagni, il futuro come sempre inizia da noi. E con noi ci sono i giovani, le donne, gli stranieri “non accolti”, i tanti cittadini che faticano a trovare una collocazione, quelli che lottano per tenersi stretto quel poco che hanno. Questa mia relazione sente tutto il peso delle loro difficoltà, ma anche tutto il coraggio della loro dignità, e leggere queste pagine è per me ritrovare i loro volti, le loro espressioni. In questi anni del mio mandato di Segretario Generale della Fillea di Napoli, mandato di cui mi onoro e che cerco di esercitare con il più costante impegno e il più severo monitoraggio di fatti e iniziative che si muovono sul territorio, ho avuto l’opportunità e la fortuna di incontrare centinaia e centinaia di persone con storie ed esigenze diverse e che ho sempre ascoltato con attenzione e rispetto e ricevendo testimonianze di umanità viva e reale. Ebbene, quello che alla fine ho registrato è una cosa semplice: Non possiamo Mollare! Dobbiamo lottare! Uniti, per il lavoro, per la Dignità, per il diritto a una giusta retribuzione e alla salute, per il presente e il futuro di questa città e dei nostri figli. Vedete, sono tante le circostanze difficili, le vertenze aperte, eppure solo con la forza di tutti noi, con la forza dell’unità e delle sane battaglie potremo sfondare il muro, a volte anche di indifferenza o di disattenzione, che talvolta alcune “Autorità” frappongono tra noi, il Sindacato, i lavoratori e i reali problemi. C’è bisogno di una svolta, di un deciso cambio di rotta. Serve recuperare la responsabilità, a tutti i livelli. Nelle istituzioni, negli apparati di potere, nelle banche, persino nelle più vicine Municipalità, il contesto se ingiustamente ostile o, peggio, culturalmente prevenuto va messo in discussione. Dobbiamo e possiamo rivendicare il giusto rispetto delle nostre istanze: rispetto per il lavoro, per le donne e gli uomini che ogni giorno sacrificano anche parte della loro vita a beneficio del sistema produttivo e del sistema paese. Quello stesso sistema Paese che troppo spesso, in cambio, rende poco. Almeno in termini di qualità delle prestazioni e delle possibilità di inserimento, e di reinserimento e di lavoro. Non possiamo assistere al costante impoverimento di Imprese, alla riduzione di opportunità e di lavoro del nostro territorio, senza opporre un muro forte e una serie di iniziative a supporto del rilancio. Di una ripresa economica che porta con sé sviluppo, nuova economia sana e spazi occupazionali per le nostre professionalità. L’Edilizia si sa è il motore dell’economia. Il settore delle Costruzioni è Anticiclico per Eccellenza, è capace cioè di invertire il senso di marcia dell’economia. Da studi e dati accertati, le costruzioni rimettono in moto l’economia: ogni Miliardo di euro investito nell’edilizia genera 3,4 miliardi di euro e dà lavoro a circa 17.000 persone, quasi 11.000 nel settore, il resto nei comparti collegati. Il nostro settore, inoltre, ha un’altra caratteristica unica: genera e lascia sul territorio quasi l’80% della ricchezza prodotta, perché la manodopera, i materiali, le professionalità e tutto quanto è collegato al processo di costruzione viene acquistato o attinto dalle aree immediatamente adiacenti al luogo di costruzione. Tutti segnali, insomma, che evidenziano la forza propulsiva delle costruzioni: il nostro è l’unico settore capace di indurre nell’economia reale effetti tonificanti per fermare la caduta della produzione e dell’occupazione, di dare una spinta per invertire la tendenza alla recessione e di ripristinare condizioni per dominare l’emergenza. Emergenza, che oggi è sociale oltre che economica, nella nostra città più che altrove. Non mi sfugge, infatti, che un altro segnale della degenerazione della produzione è la pregnanza dell’economia illegale e criminale, che oggi - in Italia - arriva a realizzare il 10% del Pil. Al Sud, purtroppo, le percentuali si innalzano: il sommerso determina il 27% del Prodotto Interno Lordo e l’economia illegale va oltre il 12%. Serve allora sottrarre spazio alle economie “grigie”, fin troppo fiorenti, e dare forza alle imprese sane, che operano nell’alveo delle regole, della legittimità, della correttezza concorrenziale. E che, quindi, sono in grado di rispettare lavoratori e lavoratrici, in primis i loro diritti alla salute e al lavoro. L’edilizia, dicevo, produce effetti immediati, ha un forte potere occupazionale e spinge i consumi. La nostre regione, in questo senso, registra un primato negativo: i consumi sono scesi del 6%, contro una riduzione nelle altre aree del Paese inferiore ai 4 punti. Purtroppo, il tutto si innesta e dà un ulteriore colpo alla già fragile composizione sociale, al quadro socio-demografico del Sud e della Campania, in particolare. Quanto al nostro comparto, nello specifico, possiamo dire che lo scenario è profondamente negativo, dopo sei anni di crisi. Dopo il primo biennio di inizio della crisi economica e di settore, in cui gli impatti sono stati - tutto sommato - tamponati dalle situazioni in essere e dalle commesse di lavori, si è piombati nella recessione vera e propria che ha prodotto il maggior numero di danni, in termini di riduzione degli occupati, di contrazione di offerta di lavoro, di decremento produttivo, di peggioramento del tenore di vita. Il settore delle costruzioni risulta tra quelli più segnati sia a livello nazionale che a livello locale dalla crisi. Colpito come è dalla riduzione delle risorse per infrastrutture, dall’aumento della spesa corrente a scapito di quella per investimenti, poco sostenuto dal credito bancario e tartassato dalla imposizione fiscale. Senza dimenticare gli effetti perversi causati dai ritardi nei pagamenti della Pubblica Amministrazione. I dati più recenti hanno indicato, per il 2013, un altro anno di contrazione degli investimenti - il sesto consecutivo. In Italia, dal 2008 al 2013 il settore delle costruzioni ha perso circa il 30% degli investimenti in costruzioni. Eppure continuiamo a perdere occasioni su occasioni. A Napoli il progetto Sirena può essere definito un’occasione persa. Perché è stato uno di pochi strumenti utili e seri per il rinnovo del Patrimonio abitativo Napoletano, specie nel Centro Storico e nelle Periferie degradate della città. Ha dato lavoro a tanti Edili, ad Imprese, ha messo in moto un circuito economico virtuoso, ed era e resta indispensabile continuare quell’esperienza. A Napoli sono oggi attivi progetti di restauro di assoluto rilievo per l’importanza dei lavoro da eseguirsi, del patrimonio artistico ed urbanistico da salvaguardare, e per l’impiego di un esercito di restauratori, che hanno acquisito una preparazione ed una professionalità unica, e che nonostante i risultati non riescono a percepire da mesi gli stipendi maturati. Ritengo che l’esperienza del progetto Sirena possa essere ripreso anche per il progetto UNESCO. Tale progetto dovrebbe vedere nell’immediato la apertura di tanti cantieri di restauro per l’intero centro storico con l’impiego di oltre cento milioni di euro e la possibile occupazione per migliaia di nuovi posti di lavoro. E come non richiamare l’attenzione sulla lentezza con la quale si affronta il recupero e la messa in sicurezza di importantissime aree archeologiche quali quelle di Pompei, Ercolano, Stabia, Pozzuoli etc. Anche per tali opere si rischiano di perdere finanziamenti per centinaia e centinaia di milioni di euro, e restano in panchina migliaia di lavoratori che non realizzano il loro sogno di lavoro. Eppure il patrimonio culturale-storico-archeologico è un bene comune. Esso fa parte indiscutibilmente dello sviluppo sostenibile a cui mira il nostro settore. La vicenda di Pompei e a partire da esso tutta la filiera del comparto, la sua trascuratezza al limite del degrado è una palese testimonianza e conferma di una colpevole assenza di programmazione da parte del Pubblico. La precarietà che caratterizza il segmento produttivo e la mancanza di tutele, prima fra tutte la sicurezza e la previdenza, da l’esatta misura della miopia dei governi e delle istituzioni su una idea alternativa di sviluppo. Occorrono vere e proprie politiche di sostegno, per una formazione necessaria per la valorizzazione delle risorse professionali, investimenti di e in qualità, regole chiare per l’affidamento delle opere, selezione e qualificazione delle imprese, garanzia di congruità contrattuale, legalità e sicurezza per i restauratori e archeologi. Occorre superare la logica dell’effimero e dell’evento clamoroso per affermare una vera e propria cultura industriale della cultura, con politiche di vantaggio e di incentivazione tariffaria, mettendo in rete i siti di cui la Campania si vanta. E io, lo devo confessare, sono tra quelli che ogni volta che leggo che il mondo intero ci invidia le stazioni della nuova metropolitana, si arrabbiano perché nemmeno la grande professionalità delle maestranze che hanno fatto raggiungere tali lusinghieri traguardi, riescono a dare fiducia al settore e stimolare ed attrarre nuovi investimenti o la cantierabilità di quelli già destinati alla nostra area. E come tacere di quante camicie si è dovuto sudare per ottenere il finanziamento e la cantierabilità della chiusura dell’anello della metropolitana con la tratta centro direzionale aeroporto di Capodichino, e quante volte si è dovuto bussare alla porta del Comune di Napoli per far convocare le conferenze di servizio. E se il settore delle costruzioni piange, non stanno meglio gli altri settori che pure la FILLEA organizza e affronta ogni giorno. Penso al settore del Legno. A quello della nautica . A quello della produzione dei laterizi e manufatti A quello degli impianti fissi in genere. Tutti caratterizzati da crisi profonde che hanno sconfitto sogni e speranze e, di peggio, quelle che apparivano rosee certezze. Penso al polo nautico di Torre Annunziata che doveva segnare una crescita esponenziale in termini di produzione ed occupazione, e di sviluppo turistico e che invece ha visto saccheggiate risorse pubbliche oltre ogni limite ed ha visto svanire anche i pochi posti di lavoro che erano stati conquistati faticosamente. Penso alla RDB Hebel travolta dal fallimento della capogruppo e dal disinteresse delle aziende leader del settore che hanno negato un qualsiasi investimento nella nostra area, nonostante l’efficienza dell’impianto di Volla e l’alta professionalità delle maestranze. Penso alla grave crisi del settore del cemento che resta solo formalmente attivo, solo grazie al continuo ricorso alla Cassa Integrazione. Penso alle tante aziende del legno che vivono una concorrenza agguerrita e senza esclusione di colpi, ed alle tante aziende artigiane che quotidianamente chiudono i battenti e scompaiono nel silenzio più assoluto. Il settore delle Costruzioni resta il termometro dell’intera economia italiana. E purtroppo questo termometro continua ad indicare temperature altissime e ben oltre il livello di guardia. In un breve periodo, dall’inizio della crisi, e cioè dal 2007, al primo trimestre 2013, in Italia si sono persi 446.000 posti di lavoro, nelle costruzioni. Cioè più del 20% della forza lavoro impiegata. E se consideriamo poi, anche i settori collegati, si stima una perdita di 690.000 posti di lavoro. E la Campania è quella che di più ha contribuito a tale saldo negativo, e quindi lo scenario è in modo allarmante in sintonia con quello nazionale. Nella nostra Regione, in 5 anni gli investimenti in costruzioni – il Pil del settore – è diminuito di più del 21%, con l’assurdo risultato che abbiamo perso 54.000 posti di lavoro. Nello stesso arco di tempo, è andata ancora peggio in provincia di Napoli: qui registriamo una riduzione del 38,5% delle ore lavorate, una flessione del 30% degli operai impiegati ed un rapporto tra Ore di cassa integrazione e Ore lavorate - nel 2013 - pari al 17,5%. Insomma, quasi 1/5 delle ore lavorate è sostenuto dalla cassa integrazione. Solo 5 anni fa, questo stesso rapporto era al 4%. Una delle conseguenze più immediate e nefaste di questi dati è la massiccia contrazione delle imprese in vita (o comunque in buone condizioni di efficienza e produttività): in pochi anni le imprese edili uscite dal mercato in Italia sono state 11.177, cioè il 23% di quelle di tutti i settori economici, e a livello regionale hanno abbandonato il campo circa 2.230 imprese. Di quelle chiuse o fallite, più della metà erano nella provincia di Napoli. E spesso il fallimento e la cancellazione delle società dal Registro delle Imprese testimoniano scelte ed espedienti truffaldini ai danni dei creditori e dei dipendenti. Nonostante lo ‘tzunami’ che ha colpito l’edilizia, il settore resta “portante” per l’economia: rappresenta infatti il 10% del Pil regionale ed è ancora l’unico in grado di creare le condizioni per un effettivo rilancio per l’economia e per aumentare la competitività e le condizioni di attrattività del territorio. E, attraverso queste, occasioni di lavoro, ora e in futuro. In questo senso appaiono convincenti alcune fotografie dell’economia: se lo Stato non interviene per correggere la rotta di un mercato del lavoro, di uno stato delle infrastrutture e dei servizi – alla cui base vi sono appunto le costruzioni - e se non indirizza flussi di finanza pubblica nella direzione delle infrastrutture e a garanzia di migliori condizioni di sicurezza del territorio, a tutela anche della salute pubblica, che Stato è? Recentemente, precisamente a gennaio, prima che il Presidente del Consiglio Letta desse le dimissioni, il Ministro delle Infrastrutture Lupi aveva parlato di voler destinare lo 0,3% del bilancio dello Stato, costantemente, alle infrastrutture. Sarebbe un deciso passo in avanti, sarebbe un modo per non perdere risorse pubbliche su spese improduttive, quelle correnti, ma soprattutto ottenere due risultati: lavorare costantemente a infrastrutturare un territorio - l’unico modo per renderlo più sicuro di fronte alle calamità naturali e più attrattivo per i flussi di capitali provenienti anche dall’estero – e, nello specifico, per porre Napoli, il Sud e l’Italia in reale competitività con altre realtà nazionali. Restituendo così occasioni di lavoro alle nostre città, ai nostri lavoratori e alle imprese. Del resto, il nuovo trend internazionale pone le grandi città al centro di tutti i processi produttivi: si calcola che oltre la metà del Pil mondiale si concentrerà in un numero ristretto di città - circa 600 nel mondo. E Napoli, dunque, insieme a Roma, Milano e Torino può e deve tornare al centro dei processi produttivi, delle grandi iniziative di rilancio dell’economia locale e nazionale. Per farlo, naturalmente, le risposte devono essere all’altezza del livello dei problemi che emergono e delle attese che una città come Napoli esprime. Solo con un progetto di ampio respiro, un piano di investimenti serio e articolato, si inietterebbero risorse nell’economia, generando un aumento dell’occupazione, una maggiore distribuzione della ricchezza per lavoratori e imprese e, in una parola, si renderebbe più forte, attrattiva e “ricca” la città e la Regione. E dunque tutto il Meridione e il Paese. A dirlo è stato pochi giorni fa il prof. Giannola, presidente dello Svimez, in un’intervista rilasciata al Mattino; Giannola ha parlato chiaramente del fallimento del concetto di “Locomotiva Nord”, secondo il quale sarebbero sufficienti la Lombardia e il Veneto per far ripartire il Paese. Le vere potenzialità sono nel Mezzogiorno. La politica deve rendersene conto – ha chiarito il presidente della Svimez. Su questo fronte, invece, siamo costretti a constatare che negli ultimi anni la tendenza a investire in modo stabile, destinando risorse pubbliche alle infrastrutture, si è invertita. E’ calato il monte delle risorse pubbliche destinate alle infrastrutture e ancora una volta è andata peggio al Sud. Un dato vale più di ogni parola: lo scorso anno il volume delle gare bandite per opere pubbliche in Campania è diminuito del 27%. Del resto, se vogliamo allargare l’analisi all’economia del Mezzogiorno, basta osservare il più recente Rapporto SVIMEZ, presentato a fine 2013. La situazione – in sintesi – è sostanzialmente questa: “Un Mezzogiorno a rischio desertificazione industriale, dove i consumi non crescono da cinque anni, si continua a emigrare per il Centro-Nord, il tasso di disoccupazione reale supera il 28% (crescendo di dieci punti rispetto al 2008, quando la crisi è iniziata), aumentano le tasse e si tagliano le spese”. In questo difficile quadro, una famiglia su 7 guadagna meno di mille euro al mese e in un caso su quattro il rischio povertà resta anche con due stipendi in casa. Secondo la SVIMEZ occorre quindi rilanciare una visione strategica di medio - lungo periodo, che veda la riqualificazione urbana, le energie rinnovabili, lo sviluppo delle aree interne, le infrastrutture e la logistica quali principali drivers dello sviluppo. In più, se consideriamo il lavoro che avevano prodotto 21 associazioni impegnate nel Mezzogiorno, tra cui la stessa Svimez, la situazione è irrimediabilmente chiara e drammatica. Alla fine del 2012 le 21 associazioni avevano formalizzato le loro proposte per “Una politica di sviluppo del Sud per riprendere a crescere”. L’avevano chiamato «Agenda» per ribadire il senso dell’urgenza delle scelte. Chiedevano alla politica di sfruttare l’occasione dell’allora imminente test elettorale (si votò a febbraio per le politiche) e di uscire «da rituali e generiche citazioni» a proposito del rilancio del Sud. Un anno dopo, a fine 2013, quando è stato fatto il confronto con gli studi dell’anno precedente, il bilancio è imbarazzante per partiti, Governo ed enti locali. Il Meridione ha continuato a perdere colpi, accentuando il suo distacco dal resto del Paese che pure ha pagato un prezzo alto alla crisi economica. Tutti gli indicatori economici e sociali sono peggiorati, trovare un segno positivo rispetto al 2012 è impresa disperata. La richiesta di tenere insieme il rigore sui conti pubblici, imposto dal Fiscal compact, e la necessità di «politiche di sviluppo idonee a contenere gli effetti del loro asimmetrico e squilibrante impatto sul territorio», come si legge nel documento, è rimasta a conti fatti lettera morta. Il Sud è sempre più ultimo, al punto che la stessa Bankitalia solo pochi giorni fa ha detto chiaro e tondo che le sue Piccole e medie imprese, condannate al mercato interno perché troppo piccole per puntare all’export, non riusciranno ad agganciare la mini-ripresa del 2014. Il lavoro era un punto centrale delle proposte del documento di un anno fa. Ben 604 mila occupati in meno nel 2013 rispetto al 2007, l’ultimo anno per così dire «normale», prima cioè della grande crisi: nel 2012 il tasso di disoccupazione era salito al 17,2% (sei punti in più rispetto al 2007), ma un anno dopo ha superato il 20%. Per i giovani poi la notte è stata ancora più fonda: dal 46,9% del 2012 al 50,6% di un anno dopo, quasi due terzi più della media nazionale. Non serve commentare questi dati. Siamo di fronte ad una drammatica situazione per l’occupazione: se dall’inizio della crisi sono stati persi quasi 700 mila posti di lavoro, è evidente che se non si inverte la marcia si aprirà uno scenario di deindustrializzazione per Napoli, la Campania e il Sud. Non è una visione catastrofista, e in questo anche i vertici locali e nazionali dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili, concordano: “Non c’è più tempo, serve una visione strategica per l’economia e servono certezze perché senza politica industriale e economica, senza un piano serio di rilancio, che ponga il Sud al centro dell’agenda nazionale, non si va lontano” si legge sul sito nazionale dell’Ance. In più, con la forza stringente della tassazione, che finisce per pesare per più del 70% dell’intero sistema sui lavoratori dipendenti, siamo di fronte ad un evidente cul de sac. L'onere sulle buste paga dei dipendenti in Italia, secondo recenti studi, è del 43%; in Europa paghiamo quanto la Norvegia, senza averne in cambio i loro servizi, le loro infrastrutture e le tutele del welfare, soprattutto! Serve allora una svolta. In tal senso, venendo a recenti disposizioni normative del Governo, vale a dire le privatizzazioni di Enav e Poste e al rientro di capitali dall’estero, condivido la posizione del direttore generale di Confindustria Panucci, a dimostrazione che il buon senso non ha colore: “Le somme recuperate dal rientro di capitali, quindi recuperati a un circuito legale finanziario e sottratte all’evasione, dovrebbero essere destinate coerentemente alla riduzione della pressione fiscale”, così come concordo sugli introiti delle privatizzazioni: che “siano destinate alla riduzione del debito pubblico”. Sulla privatizzazione e sull’azionariato diffuso, abbiamo invece delle riserve. Che andranno valutate passo dopo passo, in virtù dello sviluppo del dibattito. Certo, non va meglio in altri settori. Basti pensare che ben undici Regioni italiane hanno sospeso le autorizzazioni all'Inps per il pagamento della cassa integrazione. Tra queste, la Basilicata, il Molise e la Sicilia. La maggior parte di queste Regioni ha bloccato le autorizzazioni tra giugno 2013 e settembre 2013. E manca un miliardo e settanta milioni di euro a copertura del fabbisogno di risorse per completare il 2013. Altro elemento che genera, evidentemente, una seria preoccupazione e, su cui vorrei portare la vostra attenzione, è quanto sia difficile – e talvolta impossibile - anche gestire l’emergenza transitoria per i senza lavoro. Prova ne sia l’esistenza di vertenze ancora aperte, ad inizio 2014, al ministero dello Sviluppo economico: se ne contano 159 e coinvolgono ben 120.000 lavoratori. E dato ancora più inquietante è che gli esuberi rappresentino circa il 15% degli occupati complessivi delle imprese coinvolte. Diciotto sono le imprese per le quali il Ministero ha aperto un dossier, quelle cioè che hanno dichiarato la cessione di attività. Ebbene, queste vertenze riguardano 2.300 lavoratori. E’ questo lo scenario che mi ha dato assillo, questo senso di responsabilità mi ha reso ancora più difficile il compito di relazionare e cogliere i punti più importanti, per portarli alla base di un dibattito forte, vero, nel Sindacato, con gli Imprenditori e con le Istituzioni. Del resto, l’allarme sulla difficile congiuntura che vive la nostra città è stata dichiarata, anche da tre importanti rappresentanti dell’imprenditoria locale. Oltre ad essere sottolineata dal triste primato che vede Napoli all’ultimo posto nell’ultima classifica delle città redatta anche quest’anno dal Sole 24 ore. Ma mi piace richiamare anche la testimonianza degli imprenditori. Gianni Punzo, patron dell’interporto Cis e di altre iniziative nell’area metropolitana di Napoli, ha recentemente affermato: ”Napoli è ferma, manca una progettualità capace di partire dalle cose concrete, creando le premesse per una vera riqualificazione territoriale”. E ha aggiunto “La verità è che nel Sud non si investe più”. Secondo uno studio dell’Università Bocconi, infatti, il potenziale di attrazione degli investimenti nazionali ed esteri nel Sud resta molto basso: è pari 3,7 nuovi investimenti per ogni milione di abitanti, contro il 7,9% del Nord Italia e il 14,3 delle altre regioni dell’Europa occidentale. Non si è discostata molto l’analisi dello scenario, forse più ampio, realizzata dal presidente dell’Unione Industriali di Napoli, Paolo Graziano, che nell’ultima assemblea dell’Unione Industriali di Napoli ha addirittura paventato il rischio di una vera e propria de-industrializzazione a Napoli e nel Mezzogiorno. A mettere il dito nella piaga, con una precisa e impietosa analisi, di recente ci ha pensato il neo presidente dell’Acen, Francesco Tuccillo, che nella sua relazione di insediamento – dopo aver snocciolato dati precisi sullo stato della crisi del settore - ha proposto una vera e propria “Vertenza Campania”, che veda uniti sindacati, imprese, politici locali e nazionali per porre all’attenzione del Governo nazionale e di Bruxelles la necessità di una deroga al patto di stabilità “stupido” come lo ha definito, incapace cioè di ‘liberare’ risorse da destinare a investimenti strutturali e non a spese correnti. Del tutto improduttive per la crescita e il rilancio dell’economia. Noi - come sempre - faremo la nostra parte e diciamo ai costruttori: Siamo qui, discutiamo e verifichiamo insieme come uscire dal guado. “Il settore delle costruzioni a Napoli, pur avendo una struttura forte e radicata, rischia di precipitare sempre di più in una crisi irreversibile”. Con questo grido di allarme avevamo anticipato il declino strutturale che prevedevamo, così come registravamo un notevole volume di vertenze aperte. Già 4 anni fa avevamo denunciato - a voce alta – la necessità di dover tenere desta l'attenzione sui problemi dell'edilizia sul nostro territorio e di rilanciare il dibattito sui temi della crisi. Lo avevamo fatto allora e lo faremo ogni volta che è necessario. Non ho citato la precedente relazione per auto-referenziarmi, quanto piuttosto per ricordare ai presenti che la Fillea Cgil, già 4 anni fa, c’era, osservava e richiamava tutti gli interlocutori alla massima attenzione. Qui, mi ricollego in particolare alla Vertenza Campania richiamata dal Presidente dell’Acen Francesco Tuccillo. Noi siamo qui, naturalmente, ragioniamo insieme, con i segretari della Filca CISL e della Feneal UIL, ma non possiamo astrarci dal quadro nazionale. Il contesto politico nazionale, infatti, il Governo e quanto ruota intorno a quest’assetto ‘instabile’ e poco produttivo, non ci fa ben sperare. Il Governo Renzi muove oggi i primi passi e sembra voler accelerare nella direzione della risoluzione delle urgenze, a partire dal lavoro, ma non possiamo non ricordare che i precedenti Governi hanno dato pessime performance, apparendo inviluppati, condizionati da logiche di parte e poco reattivi e vigili a fronte dei richiami, talvolta estremi, rappresentati anche dai drammi che si sono consumati in questi anni: dobbiamo ricordare, purtroppo, le decine di morti di lavoratori e imprenditori che, disperati, si sono tolti la vita in questi anni. Quello in carica, come il precedente, è un Governo di scopo, di larghe intese, per risolvere questioni d’urgenza. La nostra sensazione, invece, è che anche le istanze all’ordine del giorno - tra queste, innanzitutto come uscire o reagire alla crisi che morde -non abbiano trovato giusto contenimento, la giusta risposta, a partire da una oculata, obiettiva fotografia. Il rilancio dell’economia sembra quasi uno slogan ad uso e consumo di politici interessati, mentre le imprese muoiono, i territori si impoveriscono e lavoratori e lavoratrici, laddove possano, smettono addirittura di cercare lavoro. Non bastano le posizioni, le dichiarazioni dal tono spesso roboante che poco hanno a che vedere con la realtà sociale e produttiva del Paese, con le attese di lavoratori e imprese, con le necessità del sistema economico e sociale e con le urgenze del nostro Meridione. L’attenzione della Fillea Cgil, proprio per questo, è stata e sarà sempre massima. Il segretario generale della Fillea Cgil, Walter Schiavella, aveva chiesto a gran voce all’esecutivo la convocazione del mondo delle costruzioni, “dopo anni di vuote promesse e di ricette sbagliate, che hanno portato il Paese nel baratro e le costruzioni al disastro, per ascoltare la voce di sindacati ed imprese. Solo così – aveva aggiunto Walter – si potrà avere la misura dell'urgenza di un intervento sistemico sul settore, perché in questi anni l'edilizia è diventata terra di conquista delle economie illegali e criminali”. Un duro intervento, che mi piace richiamare. “Fino ad oggi abbiamo fatto i conti con ricette fallimentari, sintetizzabili in uno slogan: zero investimenti e deregolazione selvaggia ed il risultato è sotto gli occhi di tutti: quasi 700mila posti di lavoro in meno in pochi anni, 400mila lavoratori in nero, crescita esponenziale di fenomeni di caporalato, una forte restrizione del mercato pubblico, concorrenza al ribasso, riduzione dei controlli, aumento esponenziale di varie forme di elusione ed irregolarità a partire da falso lavoro autonomo, invasione del mercato e del sistema degli appalti da parte di economie illegali e criminali, il tutto mentre il deficit infrastrutturale pesa come un macigno sullo sviluppo, le città esplodono e degradano e il paese frana o è sott'acqua.” Sento di sposare le parole del nostro segretario generale: “Abbiamo bisogno di discontinuità, sia sul piano del metodo che del merito, occorrono risorse, regole e una azione strutturale e straordinaria contro illegalità e irregolarità. Occorre restituire allo Stato quell’autorevolezza sul piano delle regole e dei controlli che i governi precedenti hanno smantellato, a partire da alcuni interventi a costo zero l’abolizione delle gare al massimo ribasso e la legge sulla qualificazione dell’impresa.” Insomma occorre “un’azione forte e concreta a sostegno dello sviluppo che sappia mettere al centro la qualità del lavoro, dell’impresa e la sostenibilità”, un vero e proprio piano industriale che potrebbe contare su enormi risorse, provenienti, per esempio dalla patrimoniale, ma anche alla tassazione della rendita immobiliare e alla lotta all’evasione, che stimiamo essere - solo nel settore dell’edilizia - superiore ai 25 miliardi, tra evasione Iva ed elusione contributiva.” Un piano industriale che punti a dare priorità alla riduzione del gap infrastrutturale con la realizzazione dei “corridoi europei, concentrando risorse e ottimizzando l’utilizzo dei fondi Unione europei” e che liberi risorse attraverso “l’allentamento selettivo del patto di stabilità per interventi di messa in sicurezza del territorio, a partire dalle aree colpite dalle calamita naturali e dalle aree a maggiore rischio idrogeologico e sismico.” Ed infine il sostegno alla “riconversione ecologica ed energetica dell'edilizia e delle abitazioni.” Non possiamo allora che insistere, darci da fare, interrogare i nostri interlocutori e pretendere risposte. In termini di progetti, prospettive e impegni. Il nostro nucleo sindacale è solido, la nostra base è compatta, ci assiste e ci sostiene. Ne è prova anche il lavoro di questi anni: arriviamo a quest’assise Congressuale provinciale, dopo una intenso calendario di incontro con i lavoratori cantiere per cantiere, e impianti per impianti, e nelle nostre sedi territoriali dell’intera provincia. Ciò a testimonianza del nostro radicamento sul territorio grazie all'attività dei nostri dirigenti e dei delegati e alla loro partecipazione alla vita e alle attività del sindacato. Si sono svolte 70 assemblee di cui 36 nei luoghi di lavoro e 34 nelle sedi territoriali. Tali iniziative hanno visto il coinvolgimento di 5.510 lavoratori, per una quota di partecipanti pari al 68,74% degli iscritti, confermando oltretutto che il radicamento della Fillea su tutto il territorio provinciale. Abbiamo discusso con le lavoratrici e i lavoratori, su due documenti Congressuali, “Il Lavoro Decide il Futuro” primo firmatario Susanna Camusso e “Il Sindacato è un’altra cosa” primo firmatario Giorgio Cremaschi. La discussione sviluppatosi, ha fatto registrare un consenso quasi unanime al documento “Il Lavoro Decide il Futuro” con 5.454 voti pari al 98,67%. La Fillea Cgil, dopo 30 anni, è riuscita è ridiventare la prima Organizzazione Sindacale nella nostra provincia, e a tale risultato si è pervenuti grazie al quotidiano lavoro di un sempre maggiore radicamento nei luoghi di lavoro, ed alla instancabile opera di proselitismo e di assistenza che i nostri compagni impegnati in tale attività hanno costantemente garantito ogni giorni nei luoghi di lavoro setacciando cantieri piccoli e grandi e intercettando bisogni e domande. L’intero Apparato sotto la guida attenta della intera Segreteria si ò dato traguardi ed obiettivi che ha poi puntualmente raggiunto e consolidato. Un grazie a tutti e uno stimolo ancora più forte a fare in modo che il nostro primato possa essere sempre più significativo. Come è nella nostra tradizione, non faremo mancare la nostra attenzione alle vertenze del lavoro, la nostra vigilanza continuerà ad essere massima sulla questione della sicurezza, della qualità e della salute degli ambienti di lavoro. Non a caso la FILLEA ha ritenuto giusto e doveroso costituirsi parte civile in processi penali aperti a seguito di incidenti sul lavoro nei quali si sono purtroppo registrati gravi omicidi bianchi. Abbiamo voluto in tal modo manifestare la nostra solidarietà alle famiglie delle vittime, e nel contempo testimoniare a tutti che non si può abbassare la guardia nei luoghi di lavoro. Il nostro comparto, purtroppo, continua ad essere tra i più colpiti da incidenti e infortuni sul lavoro. Venendo ai dati sugli infortuni, la Campania – nel nostro comparto – conferma la discesa, avviata già negli anni scorsi, nel numero di infortuni subiti dai lavoratori. Secondo l’ultimo rapporto dell’Inail Campania, infatti, gli infortuni a Napoli - in tutti i settori - sono calati del 6,96%, mentre in regione il calo supera l’8%. Sono calati gli infortuni e gli incidenti gravi, ma anche un solo morto sul lavoro, un lavoratore ferito è come un caduto in guerra. Ha lo stesso valore, con la differenza che qui, a cadere, sono padri di famiglia che non hanno nessuna missione di guerra. Quindi, chiediamo e pretendiamo SOLO condizioni di sicurezza sui cantieri! Per farlo, bisogna aumentare ulteriormente gli sforzi e gli impegni, le collaborazioni con gli organi e gli enti competenti per i controlli sui cantieri. I tanti operai caduti sul lavoro, nei cantieri edili come nei nostri impianti industriali, nella stragrande maggioranza, non sono vittime di una loro imprudenza, come spesso si tenta di giustificare, ma hanno invece pagato il conto per la scarsa attenzione e lo scarso impegno delle imprese - soprattutto quelle meno serie - e degli organi di vigilanza a garantire la sicurezza sui luoghi di lavoro. Continueremo a confrontarci e a chiamare alle loro responsabilità le imprese del settore e i rappresentanti Istituzionali deputati al controllo. Tuttavia la crisi non legittima il mancato rinnovo dei contratti. Tutti debbono fare la loro parte, di certo anche noi, ma dire tutti significa che tutti i protagonisti si devono fare carico di rendere vantaggiosi per tutte le contrapposte posizioni i rinnovi contrattuali. Un segnale in tal senso viene dal recente rinnovo del CCNL Edili Artigiani che ha reso trasparente questo risultato, gli stessi rinnovi contrattuali della filiera delle costruzioni a partire dal cemento, dal legno, dai laterizi e manufatti, il rinnovo di questi contratti si è data una risposta di fiducia alla crisi, affermando che se si vuole si può fare. E venendo ai momenti che attengono alla contrattazione va rimesso al centro il modello contrattuale su due livelli, uno nazionale e uno decentrato, territoriale. Va riconfermato il modello contrattuale basato su due livelli: nazionale e territoriale, più una opzione contrattuale di cantiere da realizzare di "anticipo" in grandi opere o grandi cantieri (sempre aggiuntiva alle prime due). Grandi opere quali Scavi di Pompei e Progetto Unesco per Napoli potrebbero trovare notevole convenienza nella stipula di accordi sulla contrattazione di anticipo. Non è detto che gli accordi di anticipo le imprese li devono stipulare solo con la camorra, anzi avrebbero più interesse a creare le condizioni, anche con la contrattazione decentrata, a tenere la camorra lontana dai cantieri. Strumentazioni contrattuali che già abbiamo e che si tratta di confermare e implementare. Un modello contrattuale (molto moderno, in sintonia con le scelte della confederazione) quello edile, preso ad esempio e magari da estendere anche in altri comparti. Soprattutto per il secondo livello di contrattazione realizzato ( meglio previsto ) a livello territoriale e copertura generalizzata per tutti i lavoratori. Un modello contrattuale che prevede un " ampio e diffuso" sistema bilaterale contrattuale che serve alla gestioni di specifiche materie contrattuali. Materie che vanno dal salario (ferie, tredicesima, scatti anzianità), alla formazione professionale e continua, alla sicurezza. Con un ruolo anche rispetto alla regolarità e trasparenza attraverso il rilascio del DURC. Le controparti (Ance e Coop) insistono molto sul tema "costi contrattuali della bilateralità" e la necessità di una forte riduzione lasciando così intravedere la disponibilità a maggiori spazi economici per i lavoratori, solo a fronte di un certo risparmio ottenuto dai costi della bilateralità. Una discussione che somiglia molto, a quella della riduzione dei costi della politica... Per risanare l’economia…. Come da non sottovalutare sono le proposte tuttora in campo delle controparti su questioni importanti come la responsabilità in solido da abolire, la precarietà da accrescere, il secondo livello da marginalizzare, la retribuzione della malattia da ridurre. Per non dire dell’APE da cancellare. Mentre era quantomeno ORIGINALE la proposta di un aumento contrattuale per il triennio pari a zero euro. Dopo accesi confronti siamo passati – a livello nazionale - da un aumento di 0 euro (sembra incredibile, ma era proprio questa l’offerta delle imprese) ad una proposta di 60 euro. E’ evidente che rispetto alla proposta iniziale è stato fatto un passo in avanti, ma la cifra è ancora lontana dalle nostre richieste. Inoltre, l’Ance propone di far slittare la prima tranche al 2015, il che significherebbe lasciare i lavoratori senza aumento per DUE anni, un sacrificio che non possono ancora chiederci. La seconda è allungare la durata del contratto al 31 dicembre del 2016. Ipotesi ugualmente inaccettabile. Siamo in contrasto – e ci toccherà lottare, uniti - anche sul Premio Ape e sulla riorganizzazione degli Enti bilaterali. E’ evidente, che bisogna avviare un percorso – sufficientemente rapido - per giungere a un rinnovo. Sono stati così fissati altri tre incontri, il 19 febbraio se ne è fatto uno, ne seguiranno altri due: il 4 e il 5 marzo per arrivare - ci auguriamo - ad un'intesa soddisfacente. Del resto, il contratto, che riguarda in Italia 800mila lavoratori, è scaduto dal 31 dicembre del 2012. E su una cosa siamo d’accordo con l’Ance: O il Governo capisce che il mondo delle costruzioni non può più marciare così o altrimenti le imprese e i lavoratori perderanno la battaglia. Una seconda riflessione riguarda il contesto produttivo ed i cambiamenti di questi anni. Le modifiche introdotte con le riforme del mercato del lavoro da un lato e le trasformazioni della impresa edile e la presenza nel cantiere di lavoratori autonomi, partite IVA, oggi in numero equivalente o superiore al "classico" lavoratore dipendente. Scelte e conseguenze di oculate decisioni normative che hanno reso più vantaggioso non solo in termini di costi altre forme di lavoro rispetto a quello dipendente... Che i cantieri con questa "organizzazione" produttiva e del lavoro realizzano comunque le opere!!! Pubbliche e, soprattutto, private. E si ottiene comunque il risultato finale: l’opera in quanto tale... Tutto il resto passa in secondo piano, la sicurezza, la legalità , la regolarità, la professionalità, il costo sociale e ambientale. Non è che questa modalità ha portato al fallimento.. Ha portato tutto alla esasperazione, ad un certo degrado, ad un impoverimento anche culturale e della dignità del lavoro. Per risalire questa china altre sono le leve su cui agire oltre a quelle contrattuali. Altro tema che mi piace mettere al centro è quello della contrattazione “inclusiva". Si tratta di un tema ancora aperto e di difficile risoluzione. Bisogna capire cosa fare nel concreto. Soprattutto in assenza di precise volontà politiche e legislative di intervento in materia. Che oggi però sembrano guardare addirittura in direzione opposta a quella di una ricomposizione qualificata e responsabile del ciclo produttivo e dei soggetti che lo praticano. Un ciclo produttivo oggi deregolamentato e pieno zeppo di "falsi lavoratori autonomi" che di autonomo non hanno niente a cominciare dalla professionalità (in maggioranza sono manovalanza e migranti). Lavoratori quindi che dobbiamo recuperare al ruolo di dipendenti per dare loro le giuste garanzie e tutele in un percorso da fare in trasparenza con opportuni e mirati monitoraggi, con le imprese e le istituzioni. Salvaguardando quei lavoratori autonomi professionali e specializzati che scelgono per opportunità e non sotto ricatto di darsi quella prospettiva. Assumendosene con coscienza oneri ed onori. E’ evidente che il mondo delle costruzioni vive un periodo di transizione assai delicato e denso di pericoli, ed occorre che la legislazione di settore torni a dettare leggi serie e improntate al miglioramento delle condizioni di lavoro. Ci troviamo in tal senso in pieno accordo con chi afferma la necessità di regolamentare il sistema del massimo ribasso d'asta. Fondamentale in quest'ottica il rapporto con le associazioni dei costruttori, al fine di potere fare arrivare un messaggio univoco al legislatore. E sempre di concerto con i costruttori è necessario proseguire la battaglia di legalità per estirpare la piaga del lavoro nero, dello sfruttamento dell'immigrazione clandestina, dell'odioso fenomeno del caporalato. Un mercato, quello del lavoro sfruttato, che ogni giorno si manifesta in tutte le piazze delle periferie locali e nazionali. Chiediamo più ispezioni, più controlli, più sanzioni. E' soprattutto l'esiguità dei controlli ad alimentare l'egoismo e la delinquenza dei caporali e a creare le precondizioni delle tragedie dei morti sul lavoro. Ebbene, per questi motivi noi continuiamo a credere che l'unica strada da percorrere sia quella dell'inclusione sociale. Portarli dentro la nostra comunità per sottrarli al mercato illegale. E farlo significa essenzialmente dar loro diritti, il voto amministrativo, la cittadinanza immediata a chi nasce su suolo italiano, meno sanatorie regolate dal sesso o dal lavoro svolto dalla lavoratrice o dal lavoratore immigrato. Al reato di clandestinità noi vogliamo opporre il reato di riduzione in schiavitù per chi sfrutta i clandestini. Anche nei cantieri della nostra provincia e come d’altra parte avviene in tutta l’Italia, diventano ogni giorno sempre più numerosi gli occupati provenienti dal mondo della immigrazione. Anche noi dobbiamo essere portatori di una maggiore e nuova attenzione nel processo della loro integrazione, diventando protagonisti di iniziative che la accelerino e la rendano riconoscibile. Quanto più questi nostri colleghi di lavoro potranno uscire dall’isolamento e potranno integrarsi, tanto più aumenterà anche la democrazia nei cantieri che non è un obiettivo di poco conto. Più democrazia significherà: meno discriminazione, più diritti, meno caporalato, più formazione, più professionalità, più sicurezza attiva e passiva, più futuro per tutti. Non a caso la Fillea è una categoria da anni impegnata per una politica di vera accoglienza degli immigrati e di efficace loro educazione a quella legalità che deve essere vissuta non come un ostacolo, ma come una opportunità per quel desiderio di vita migliore che li ha spinti a lasciare il loro paese. E, venendo al nostro territorio, bisogna aprire al più presto un tavolo di confronto per definire un piano programmatico efficace per incentivare la regolarità contributiva, lo sviluppo dell’economia locale attraverso gli investimenti nell’edilizia, la sicurezza e il contrasto al lavoro nero. E’ giunto, dunque, il tempo perché si giunga con velocità alla concretezza delle decisioni. Anche e soprattutto rispetto allo sblocco delle grandi opere pubbliche, che potranno contribuire alla crescita economica, allo sviluppo e alla buona occupazione. L’occasione del Congresso torna utile allora, ora più che mai, per riportare l’attenzione sulla necessità di stringere i tempi e aprire un confronto serrato tra imprenditori, sindacati e istituzioni: le grandi opere, i grandi Progetti approvati dall’Unione Europea restano ancora, purtroppo, per la maggior parte sulla carta, mentre i dati della cassa edile continuano ad essere preoccupanti. Nel mese di novembre 2013 le ore lavorate denunciate sono 1.241.175 con una riduzione di 283.354 ore rispetto al 2012, ma il dato preoccupante è la massa salari meno 2.946.927 Euro rispetto al mese di Novembre 2012, mentre il numero dei lavoratori scende per lo stesso periodo di 1966 unità. Il Governatore Caldoro in vero ha effettivamente dato impulso ed accelerazione alla gestione dei Fondi europei; ciò nonostante, la nostra regione resta l’ultima per il volume di spesa dei fondi rendicontata a dicembre 2013. E’ stato speso solo il 31,8% dei fondi disponibili. Ci ha scavalcato anche la Calabria. Serve allora uno sforzo, uno scatto per migliorare le modalità da un lato di programmazione – ricordo che siamo alla vigilia della programmazione 2014-2020 dei fondi comunitari, l’ultima grande tornata di fondi europei che potrà contribuire a recuperare la distanza, non solo strutturale, tra il Nord e il Sud dell’Italia e dell’Europa – e dall’altro, serve migliorare la macchina organizzativa e burocratica che consente di tradurre i programmi in Opere. Mi riferisco, in particolare, al Comune di Napoli, ente attuatore di moltissimi interventi. Ricordo che per l’intero parco progetti Ue, i famosi 19 Grandi Progetti, sono disponibili 2,779 miliardi di euro ed essendo afferenti alla programmazione Fesr 2007-2013, le opere andranno realizzate e rendicontate entro la fine di dicembre del prossimo anno. Siamo in forte ritardo! Vengo a qualche esempio concreto. Per l’area di Napoli Est, uno del 19 grandi Progetti approvati dalla Commissione Europea, sono programmate opere per un totale di 206 mln di euro. Ebbene saranno 11 le gare da bandire. Ad oggi, sono state bandite solo due gare, per le quali sono già scaduti i termini per la presentazione delle offerte. Ma non si ha alcuna notizia, a distanza di mesi. Per la terza, la scadenza fissata è al 24 marzo. Se a questi dati di fatto, aggiungiamo che per ogni gara, escluse quelle in cui è già richiesto il progetto esecutivo, chiusa la prima fase amministrativa, si procede a più fasi: pre-aggiudicazione, a cui seguono verifiche; aggiudicazione; contrattualizzazione; “esecuzione progetto”; approvazione progetto dalla Pubblica Amministrazione; consegna aree e cantierizzazione - fasi che richiedono, in media, diversi mesi - è ancora più lampante il ritardo con cui ci sta muovendo per aprire i cantieri e avviare la realizzazione delle opere. Insomma, preso a campione un Grande Progetto nel territorio di Napoli, appare evidente che serve una scossa, uno scatto di azioni e volontà, anche e soprattutto negli enti Attuatori - in questo caso e non solo - il Comune di Napoli, che deve attivarsi, mettere in campo tutte le migliori forze per rendere possibile una rapida cantierizzazione delle opere. E non perdere occasioni di sviluppo e occupazione. Bisogna far presto e aprire i cantieri: Napoli Est, il Centro Direzionale, la Metropolitana di Napoli, il Centro Storico di Napoli(grande progetto UNESCO), Pompei e il riavvio dei lavori della S.S. 268 - la cosiddetta strada della morte – sono alcune delle grandi occasioni che non possiamo perdere. Questi progetti, infatti, se concretizzati, garantirebbero posti di lavoro, investimenti e una crescita dell’intera economia cittadina ad oggi inimmaginabile. L’ho già fatto in questi mesi, e ancora oggi, con l’occasione del Congresso - pongo l’attenzione su questi ritardi, per sollecitare tutti gli interlocutori Pubblici, affinché ai proclami e alle promesse seguano i fatti. Sul Centro Storico ritengo che non saremmo all’altezza dei nostri compiti se non facessimo ogni sforzo per spingere tutti a guardare al lavoro edile quale occasione di una riqualificazione urbana non solo auspicabile ma indispensabile, e di riequilibrio del territorio in termine di sicurezza e di sviluppo. A partire dalla vivibilità e dai servizi necessari. E’ importante farsi carico - e come Fillea Cgil lo chiediamo da tempo - di una complessiva valorizzazione del Patrimonio culturale e naturale del nostro centro storico. Napoli ha uno dei più ricchi ed estesi centri storici d’Europa, connotato dalla stratificazione di più stili architettonici, talvolta disposti gli uni accanto agli altri, nelle chiese, nei Palazzi, nelle opere non solo pittoriche; ebbene – nonostante abbia ottenuto il riconoscimento di “Patrimonio dell’Umanità” dall’Unesco dal 1995 – versa oggi in uno stato di degrado e di insicurezza. La sua straordinaria varietà e ampiezza, la struggente bellezza di queste risorse, va valorizzata e resa fruibili ai cittadini e ai turisti. L’occasione del grande Progetto Centro Storico, nonostante abbia visto la riduzione del finanziamento – da 200 ai 100 milioni attuali – va sfruttata. Vanno bandite le gare, al più presto, e avviate le opere. Il rischio, ancora una volta, è che i fondi vengano restituiti o mal spesi. Dobbiamo realizzare le enormi potenzialità di sviluppo e di attrazione, anche internazionale, del centro Storico. Abbiamo di fronte una chance eccezionale di sviluppo per l’intera area, un volano per l’economia dell’intera area metropolitana di Napoli a partire dalla ‘chiamata’ dei tanti lavoratori edili e restauratori espulsi dal ciclo produttivo. Pompei La FILLEA CGIL di Napoli confida nella autorevolezza, nella disponibilità e nella sensibilità del nuovo Presidente del Consiglio dei Ministri, affinché finalmente cessi la situazione ormai insostenibile ed inqualificabile di degrado nella quale è precipitata il sito archeologico di Pompei. Sollecitiamo, quindi, tutti gli Attori pubblici a voler adottare ogni provvedimento per scongiurare il pericolo della perdita dei finanziamenti e soprattutto che la nostra Regione perda una occasione tra le più preziose per la salvaguardia del proprio patrimonio archeologico e per il rilancio delle attività produttive e della occupazione. La nostra economia non può assolutamente perdere un’occasione così strategica di rilancio e conservazione del patrimonio e così importante anche in termini di immagine internazionale. Chiedo, allora, che venga immediatamente convocato il tavolo di monitoraggio che dovrà garantire una necessaria ed indispensabile accelerazione del Grande Progetto. - Ho fatto solo alcuni esempi, potrei continuare con la definitiva chiusura dell’anello della nuova Metropolitana di Napoli che consentirà i collegamenti diretti da e per Capodichino; - Il definitivo e completo recupero del rione Terra e dell’area archeologica di Pozzuoli - La nuova linea alta velocità Napoli Bari e stazioni e viabilità collegate - Il rifacimento e la messa in sicurezza dell’intera strada Statale 268 del Vesuvio, purtroppo nota come ‘la strada della morte’; - Sedi universitarie; - Il recupero e il riuso dei poli industriali dismessi; - I piani di edilizia residenziale; - Il completamento dei lavori della stazione di Piazza Garibaldi; - O ancora con i piani di recupero e manutenzione edifici pubblici e privati; - La messa in sicurezza degli edifici scolastici; - L’Interramento della stazione di Pompei e completamento raddoppio binario; - Raddoppio tratta Torre Annunziata-Castellammare. Insomma, non possiamo consentire che, a seguito anche di entusiastiche presentazioni di progetti e roboanti annunci di immediato rilancio e sviluppo economico, a fronte di opere di straordinario valore strategico, con progetti davvero capaci di mettere in modo l’economia per le proporzioni dei lavori e il potenziale di occupazione che genererebbero, in parte anche stabile, le nostre Istituzioni si muovano come pachidermi, con organizzazioni farraginose e improduttive, decretando – di fatto – l’insuccesso delle iniziative. Provocando, dunque, lo spreco di importanti risorse della Comunità Europea che – se spese bene e nell’immediato - sarebbero capaci di dare una risposta alla crisi che morde, offrendo una boccata di ossigeno ai tanti lavoratori espulsi dal mercato e alle imprese edili, garantendo al territorio l’occasione di migliorare in servizi, in qualità delle infrastrutture, collegando anche i diversi ‘pezzi’ di città e di realtà produttive, sociali e culturali della città. E qui chiamo in causa la Regione Campania, il Comune di Napoli – ancora poco attrezzato e lento nella sua macchina organizzativa e burocratica - il Provveditorato alle Opere Pubbliche, la Soprintendenza di Napoli, le cui attività sono fondamentali nei bandi per la realizzazione di Opere Pubbliche. Mi avvio alla chiusura. I prossimi anni saranno decisivi anche per i rapporti tra Acen e Organizzazioni Sindacali. In particolare viene richiesto un profondo ripensamento degli enti bilaterali riconsiderandone le funzioni e le strutture e le autonomie territoriali. I livelli territoriali per non essere “commissariati” devono collegialmente pervenire ad intese ed accordi per la individuazione di strutture in sintonia con le scelte nazionali e tali da rendere più omogenee e competitive le aree di intervento, dalla formazione alla assistenza, alla efficienza dei servizi, alla loro economicità, evitando carrozzoni e sprechi. Decisivo in tal senso sarà la tenuta dei rapporti tra le Organizzazioni Sindacali Territoriali. Bisogna acquisire fino in fondo una funzione unitaria capace di condizionare positivamente il confronto con l’ACEN e portare a casa risultati utili per l’universo che rappresentiamo. Lo dico con vera umiltà ai miei colleghi Segretari Generali perché sarà questa la nuova frontiera dei nostri rapporti. Guai a dividerci o porci e sentirci in concorrenza. In Campania e nella provincia di Napoli, caratterizzata da un’ emergenza che non si attenua e che diventa sempre più grave, gli Enti Bilaterali devono ripensare il loro ruolo e cambiare sì ma per essere più aderenti e più di supporto ad una così grave crisi. E le Organizzazioni Sindacali devono ritrovare in un rinnovato e più forte rapporto unitario la legittimazione ad un più proficuo confronto con le istituzioni e le parti sociali. Da anni, infatti, siamo impegnati in un lungo braccio di ferro con la Regione Campania, il Comune di Napoli e le Autorità di Governo, e tentiamo ogni giorni di far uscire i tanti, famosi progetti dai cassetti nei quali vengono immancabilmente riposti dopo ogni riunione e tavolo di concertazione. E non a caso possiamo vantare un dato incontestabile: la stragrande maggioranza dei tavoli di concertazione per la cantierabilità delle opere pubbliche è stato convocato solo dopo le nostre pressanti richieste. La stragrande maggioranza dei protocolli di legalità per l’avvio dei cantieri sono stati sottoscritti solo che dopo che la FILLEA e le altre OOSS li avevano rivendicati quali corretto strumento di corresponsabilizzazione di tutti i protagonisti sociali. E continueremo a farlo e potremo farlo con successo se più uniti e quindi più forti! Ci sono ora tutte le premesse affinché si possa avere nella nostra area metropolitana, una reale inversione di tendenza nella nostra economia, ed i grandi progetti possono costituire in proposito una funzione di volano. Le ingenti risorse economiche che sono state faticosamente attratte per il nostro territorio non possono essere ora perdute per l’incapacità della mano pubblica. Si tratta di centinaia e centinaia di milioni di euro che se ben utilizzati, potranno in tempi brevi modificare il destino del nostro territorio, contribuendo sensibilmente alla sua riqualificazione ed alla sua vivibilità. Dando ad esso un assetto nuovo, per un futuro possibile. Non ci interessa ora fare un bilancio delle responsabilità e dei ritardi accumulatisi fino ad oggi, di quello che si poteva fare e non si è fatto. Ma se oggi le Organizzazioni Sindacali non si fanno interpreti della rabbia e dei bisogni della gente, non si va da nessuna parte. E per intercettare queste voci dobbiamo essere necessariamente uniti e produttivi. Io oggi posso ringraziare Raffaele ed Andrea e le loro Delegazioni, con delle certezze. So che siamo tutti consapevoli di quanto possa essere determinante per il successo delle nostre lotte, aprire una nuova stagione di rapporti unitari con una sola bussola che non può essere che quella del contributo che insieme vogliamo dare alla nostra area metropolitana, ed al futuro dei suoi cittadini, e dei lavoratori di questo determinante comparto. Sono certo che verrà oggi da tutti voi un importante contributo che riuscirà a colmerà le tante lacune di questa mia relazione, e che renderà più delineata l’agenda del lavoro che dovremo affrontare da domani. Dobbiamo tutti metterci in discussione e trovare la forza e gli stimoli e le strade giuste per costruire un futuro diverso, per creare le condizioni di una reale e positiva inversione di tendenza. Da domani mattina dobbiamo guardare in faccia i tanti lavoratori dell’edilizia e le loro famiglie, sapendo che il tempo non rema a loro favore ma che anzi fa regredire le loro condizioni. Ho una grande ambizione, quella di poter replicare nel prossimo congresso della Fillea ad una affermazione del grande Eduardo attualizzandola. Eduardo ci ha consegnato una frase ricca di speranza: Adda passa a nuttata! Io vorrei invece essere nelle condizione di poter al più presto affermare: Finalmente é passata a nuttata!.

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