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17.03.17 Si è concluso il 24 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Vercelli. Di seguito la relazione del segretario uscente Alberto Soffiati, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Care compagne e cari compagni, amici ed amiche, gentili ospiti ed invitati, porgo a tutti Voi un cordiale saluto ed un sincero ringraziamento per avermi onorato con la vostra presenza. Sono oltremodo grato per la partecipazione al nostro congresso provinciale della nostra struttura nazionale nella persona del compagno Piero Leonesio, a dimostrazione di come la nostra categoria sia attenta a quanto accade in tutto il territorio del nostro Paese, anche in quelle piccole strutture e realtà provinciali, come la nostra. Questo, a mio parere, rappresenta un “patrimonio genetico” da preservare e se possibile esportare in tutte le categorie della Cgil, che mette in atto concretamente un concetto talvolta solo enunciato: essere presenti e radicati sul territorio. L’essere sul campo, che per realizzarsi deve avere come base concettuale la pari dignità e pari considerazione di tutte le strutture provinciali e di tutti i sotto-territori al loro interno, senza discriminazioni basate sulla grandezza o meno delle strutture stesse. Un saluto ed un ringraziamento alle amiche ed gli amici della Filca-Cisl e della Feneal-Uil di Vercelli, al Direttore della Cassa Edile ed al Tecnico della Scuola, ai segretari provinciali della Fillea piemontese ed ai segretari delle altre categorie della Camera del Lavoro che oggi ci hanno gratificato con la loro presenza o che nell’impossibilità di essere fisicamente qui, con telefonate e messaggi ci hanno inviato gli auguri di buon lavoro. Ultimi, ma non meno sinceri ed importanti, i saluti ed i ringraziamenti per la loro partecipazione al Segretario Generale della Fillea Piemonte Lucio Reggiori, ed al Segretario Organizzativo della Camera del lavoro di Vercelli Carmine Lungo, con i quali mi confronto ed interagisco quotidianamente nell’affrontare i problemi che il nostro ruolo ci riserva ogni giorno per tutelare il meglio possibile le lavoratrici, i lavoratori ed il lavoro stesso. IL CONGRESSO Il congresso in una organizzazione democratica e complessa come la nostra rappresenta uno dei momenti più importanti e cruciali, sia sotto l’aspetto politico, essendo un documento di programma per i futuri quattro anni, sia dal punto di vista organizzativo, perché non sono secondari l’assetto e le risorse necessarie per essere effettivamente in grado di attuare il programma politico stesso. Tuttavia credo sia poco corretto e poco realistico pensare, e comportarsi di conseguenza, che il congresso sia l’unico momento di democrazia nella nostra organizzazione, in tutti i suoi livelli di categoria ed in quelli della confederazione stessa. Credo che con questo congresso sia stato concretizzato ciò che sino ad oggi era solo un rischio: deformare il concetto di democrazia trasformandolo in una sorta di “anarchia autorizzata”, addirittura extra-tutelando le minoranze a scapito della maggioranza. Ci si è infilati in un vicolo cieco da cui sarà difficile uscire, soprattutto se non si cambieranno in fretta i regolamenti statutari . La diversità di opinioni è un fattore che deve sempre essere salvaguardato e che deve continuare a rappresentare un valore aggiunto ed una risorsa positiva per la CGIL, ma però occorre fissare dei paletti, onde evitare che ci ritrovi in situazioni di fatto ingestibili, e soprattutto che non si cerchi e non si riesca più a fare sintesi e mediazioni tra di noi. Mi auguro che in futuro per poter presentare ai lavoratori documenti alternativi tra loro la percentuale di condivisione raccolta precedentemente al congresso, all’interno delle nostre strutture, debba essere pari ad almeno il 20-25% , e che , in ogni modo ci debbano essere dei limiti etici e politici, pur nelle diversità, che non possano essere superati. Concetti politici radicalmente opposti, spesso conditi con astio, non possono essere rappresentati alle lavoratrici ed ai lavoratori da compagni della stessa organizzazione, in 50 minuti di assemblea e con la pretesa di essere capiti : credevo che al congresso precedente, peraltro in un contesto molto diverso dall’attuale, avessimo toccato il fondo ma, evidentemente, mi sbagliavo. Si rischia di aver creato il presupposto che in futuro gli interessi politico-partitici, di bottega, o addirittura personali, vengano messi davanti a quelli dei lavoratori ed a quelli dell’organizzazione stessa, che nel nome della democrazia deve abbassare testa e schiena dovendo addirittura fornire le risorse a chi la denigra e tenta di demolirla. Credo che sia davvero venuto il momento di rivedere alcuni punti del regolamento interno, non si può più presentarsi ai lavoratori ed ai nostri iscritti divisi tra di noi e pretendere che capiscano realmente quelle diversità o quelle sfumature politiche che talvolta faticano a comprendere persino gli addetti ai lavori. Lavarsi la coscienza sostenendo che i lavoratori hanno “deciso autonomamente, votando liberamente in segreto e per iscritto” non è democrazia ma ipocrisia allo stato puro, sia etica che politica. In un momento così delicato politicamente per il nostro Paese, per le istituzioni, per i partiti e per il sindacato, noi compresi, in cui la crisi perdurante (di cui gli effetti non si riesce a capire quando inizieranno ad attenuarsi) offusca ed annebbia la capacità di ragionamento. L’andare dai lavoratori con due documenti contrapposti, dei quali uno sostanzialmente si è limitato ad attaccare la CGIL, contribuisce ad alimentare una visione del sindacato tale che ci fa confondere con la classe politica, senza preoccuparsi delle conseguenze che si lasceranno sul campo nei rapporti con le lavoratrici ed i lavoratori. In alcuni luoghi di lavoro, anche attraverso l’utilizzo di internet, con le sue applicazioni anonime e spesso con “infiltrazioni” non meglio verificabili, l’aver accentuato le diversità di pensiero, l’aver in ogni modo amplificato alcuni malcontenti interni alla nostra organizzazione esagerando su errori, forse anche effettivamente commessi, ha portato a servire ai nostri detrattori ed ai nostri nemici su un vassoio d’argento armi efficaci per metterci in seria difficoltà. Il clima “da forconi” presente nel paese era già di per se sufficiente per metterci in guardia dagli attacchi politici che cercano in tutti i modi screditare il nostro ruolo, senza che ci fosse bisogno di un attacco interno , che come sempre fa più male, e che si traduce sempre più facilmente con una sfiducia nella CGIL, in alcuni casi fornendo il pretesto per revocare l’adesione sindacale. I lavoratori ed i nostri iscritti, in questo momento sono, purtroppo, concentrati su problemi ben più gravi, chiunque abbia svolto le assemblee congressuali, con entrambe le mozioni presenti, può testimoniare il fatto che i lavoratori ci abbiano visto come dei marziani che parlavano in una lingua pressoché incomprensibile. Poi, come sempre è accaduto anche in passato, hanno fatto la loro scelta in base al rapporto di amicizia e fiducia che esiste con le RSA/RSU e con il segretario che svolge l’assemblea: non credo che ciò rappresenti la vera democrazia tanto declamata. Credo che il livello di democrazia realisticamente più “vero” ed attendibile, per decidere di linee politiche, programmatiche ed organizzative, in un’organizzazione sindacale democratica nei fatti e non solo nell’enunciazione, sia rappresentato dalle RSA/RSU e dai membri dei comitati direttivi delle categorie provinciali e delle Camere del Lavoro, ed è a tale livello che ci si dovrebbe confrontare e, quando ce fosse davvero l’esigenza, contare. Per quanto concerne le assemblee di base che abbiamo svolto mi pare più che giusto ringraziare tutti i delegati ed i membri del nostro Comitato Direttivo uscente, che con il loro impegno ed il loro prodigarsi hanno permesso di coinvolgere un numero di iscritti sostanzialmente uguale in percentuale a quello del congresso precedente, tenendo conto della riduzione dei lavoratori occupati nelle aziende della nostra provincia e purtroppo dell’aumento elevatissimo di compagni in cassa integrazione o in mobilità. Ecco un riepilogo dei numeri delle assemblee di base: La crisi nella nostra categoria sul nostro territorio Dal 2009 ad oggi sono stati persi 600.00 posti di lavoro in Italia, 30.000 in Piemonte, oltre 600 in provincia di Vercelli. Una analisi specifica del settore delle costruzioni, che raggruppa le imprese ed i lavoratori dei settori Edile, Cemento, Lapidei, Legno, Laterizi e Manufatti in cemento, dimostra che nella nostra Provincia la situazione in tema di lavoro è sicuramente lontana dall’essere buona: è allineata ai peggiori dati nazionali e ci si avvicina ad una crisi letale. Partendo dal settore edile si rileva che non ci sono più grandi cantieri, ed i pochi lavori che ci sono spesso vengono affidati ad imprese che vengono da fuori provincia e regione. La conseguenza incide sul numero degli addetti in Cassa Edile che oggi si assestano intorno a 2400 unità, contro un dato del 2009 di 2900 addetti, con un calo complessivo da inizio crisi circa del 20%. L’indicatore di riferimento indiscutibile è quello della massa-salari registrato dalla Cassa Edile che indica come i lavoratori abbaino guadagnato meno in conseguenza del calo delle ore lavorate: da una media mensile di 160 ore individuali c’è stato un calo del 20%, tendente ad aumentare. L’utilizzo della CIGO è passato da circa 250.000 ore a quasi 310.000 ore con un aumento del 20% circa, che sommato al calo degli occupati significa una perdita di ore di lavoro impressionante, ed ancora oggi non si vede una speranza concreta per una via d’uscita. A tutto questo va aggiunto il fenomeno delle partite IVA fasulle, vera piaga crescente in tutti i territori, dove i lavoratori, siano essi manovali o specializzati, vengono costretti a dimettersi ed aprire la partita IVA diventando “impresari” di se stessi, come unica alternativa al licenziamento, largamente sottopagati sia rispetto a veri artigiani sia rispetto ai dipendenti . Nella stragrande maggioranza dei casi, dopo 2 o 3 mesi, i “neo-impresari” si rendono conto che in questo modo non reggono ma rivolgendosi al loro ex datore di lavoro (diventato il loro committente) spessissimo come risposta ricevono l’interruzione del rapporto di lavoro e l’inizio di un calvario che li porta a ritrovarsi disoccupati senza alcun diritto, neppure l’ASPI. Le grandi imprese edili della provincia necessariamente escono sempre di più spesso dai confini provinciali e regionali, costringendo di fatto i propri dipendenti ad allontanarsi dalle proprie famiglie per poter lavorare, incidendo fortemente sulla qualità della vita di quei lavoratori e dei loro familiari. Inoltre occorre aggiungere il vero “cancro” del settore: il lavoro nero, che tende a radicarsi pericolosamente quando si vivono momenti di crisi come l’attuale. I numeri relativi ai lavoratori “in nero” scoperti dagli organi di vigilanza sono circa gli stessi di un anno fa e paradossalmente questo significa che vi è stato un aumento del fenomeno, alla luce del fatto che i lavoratori regolari sono diminuiti. Il taglio dei costi delle imprese si ripercuote sulla sicurezza, sulla diminuzione del versamento dei contributi previdenziali attraverso il ricorso al part-time fasullo ed a volte, specialmente quando si tratta di lavoratori stranieri, si taglia direttamente sul salario, corrispondendo ai lavoratori un importo inferiore a quello indicato in busta paga. Nel settore Lapideo ( cave e marmo) si sta soffrendo forse la punta più alta della crisi ed anche qui, così come in tutti gli altri settori, si sono convenute procedure di CIGO e CIGS, di contratti di solidarietà dove possibile, e nei casi più gravi a riduzione di personale. Nel settore del Cemento, si tiene la soglia d’attenzione molto alta, in particolare per la Cementi Victoria di Trino, una realtà piccola ed unica nel panorama nazionale poiché ha ancora una gestione totalmente famigliare, dove il futuro è difficile da decodificare, ma la situazione è fortemente preoccupante per il futuro dei 35 dipendenti in forza. Sul territorio si confida sulla solidità del gruppo Buzzi-Unicem che ha uno stabilimento a Trino e che è l’unica azienda ad essere riuscita in questi duri mesi di crisi a non ricorrere all’utilizzo di ammortizzatori sociali. Sempre a Trino, comune particolarmente colpito dalla crisi, nel settore dei Manufatti in cemento registriamo la cessazione della CIGS della Ing. Franco – ex Rivoli, che ha visto la conseguente perdita di altri 50 posti di lavoro, con la collocazione in mobilità dei dipendenti. In questo panorama desolato stiamo lavorando per attivare dei tavoli di concertazione con lo scopo di arrivare a costruire e siglare dei protocolli di intesa condivisi con tutti i soggetti, gli enti pubblici e le associazioni , direttamente interessati a rimettere in moto economie e lavoro, sempre favorendo la legalità, la sicurezza e lo sviluppo delle attività delle imprese e dei lavoratori del territorio Vercellese e Valsesiano. L’iniziativa unitaria tenutasi a Vercelli il 23 gennaio scorso, che ha visto coinvolti tutti i soggetti istituzionali del mondo del lavoro, spero rappresenti un primo passo concreto per cercare di ridurre gli effetti del calo dei posti di lavoro tradizionalmente conosciuti e la creazione di nuove opportunità, mettendo in comune tutte le diverse forze possibili. Se Governo, Regione e Enti Locali non inizieranno a dare risposte concrete e non prenderanno provvedimenti urgenti, purtroppo, avremo a breve nel nostro Paese altre migliaia di licenziamenti e di fallimenti: mettere in sicurezza le scuole, il Territorio e le comunità dal rischio idrogeologico, favorire Patti Territoriali, favorire investimenti utili per rilanciare un’economia equa e sostenibile, rendere le infrastrutture efficienti, riqualificare le città, sono interventi concreti e possibili per il rilancio dei nostri settori che sono stati per un decennio uno dei principali motori dell’economia reale. La crisi ed il nostro assetto organizzativo All’inizio di questa crisi siamo stati tacciati di essere disfattisti, di essere negativi a prescindere, che non avevamo capito nulla dell’economia mondiale e nazionale ed invece, purtroppo, avevamo ragione da vendere. Il mondo del lavoro dipendente uscirà da questa fase storica talmente ridimensionato ed in ogni modo cambiato, che anche la CGIL dovrà modificarsi di conseguenza: un argomento di organizzazione delicato all’interno delle nostre strutture, speso offuscato e nascosto in un intreccio con le decisioni più prettamente politiche. È ineludibile il fatto che ci dovremo modificare, riorganizzare ed attrezzare per il futuro diversamente da come siamo oggi, alla luce dell’inevitabile calo di risorse economiche che la crisi e la situazione occupazionale ci stanno lasciando in eredità. E’ una questione complicata di cui tutti all’interno della CGIL ne condividiamo l’esigenza, ma poi, sul come si debba affrontarla ci creiamo i veri problemi: le soluzioni sono spesso rimandate con rimandi non meglio definiti uniti ad un preoccupante “cominci qualcun altro, poi ci adegueremo anche noi”, o peggio ancora “i difetti sono sempre a casa di altri, che inizino a modificarsi loro”. Concetti spesso mascherati dietro lo scudo dell’autonomia politica, sia da parte delle categorie sia da parte delle strutture territoriali confederali. In realtà le riorganizzazioni sino ad oggi si sono affrontate quasi sempre solo nel momento in cui non se ne poteva più fare a meno, alla fine subendo le necessità e l’improrogabilità, talvolta dettateci da altri, quando invece si sarebbero potuti ottenere risultati migliori se solo avessimo agito per tempo ed in via preventiva, condividendo davvero una reale esigenza sulla quale dover trovare una soluzione attraverso percorsi stabiliti insieme. Il fattore economico non può essere considerato importante solo nel momento in cui ci vengono a mancare le risorse. È profondamente sbagliato che in funzione dei fattori economici si cambi l’idea di come dovremmo essere organizzati: se ho i soldi sono perché la categoria abbia la più completa autonomia, altrimenti rivendico l’essere un’organizzazione confederale e il concetto di solidarietà è sacro e rappresenta un elemento fondante della CGIL, per cui tutti devono provvedere ed aiutare chi è in difficoltà economiche, naturalmente con in testa “mamma CGIL” . La Cgil è, e deve restare un’organizzazione confederale, rimodificandosi e ritornando sempre più alle sue origini, perché, a mio modo di vedere questo sarà l’unico schema organizzativo possibile per difendere concretamente i diritti delle lavoratrici dei lavoratori, sempre più simili tra loro nelle difficoltà quotidiane e nelle esigenze materiali che si è costretti ad affrontare, con le stesse armi di sempre, ma oramai più spuntate, recuperando nella sua essenza il termine di solidarietà. Ritengo altresì che la scelta confederale, del “ritorno” alle Camere del Lavoro, sia l’unico modo per garantire realmente la presenza sul territorio mantenendo quell’assistenza sindacale e quei servizi di cui hanno sempre più necessità i nostri iscritti. Credo anche che non si debba ricercare una soluzione unica rispetto alle esigenze dei territori, ma che ci si debba sforzare e rendere conto che strutture e regioni così diverse tra loro dal punto di vista geografico ed orografico necessitino di avere soluzioni organizzative diverse. Le esperienze passate devono essere di aiuto e di riferimento, altrimenti i territori più lontani dai centri di decisione saranno sempre i più penalizzati e gradualmente saranno sguarniti di risorse sia umane che economiche, malgrado la buona volontà di tutti i soggetti coinvolti. Si dovranno trovare soluzioni “miste”, condivise tra le strutture di categoria a quelle confederali. Il presidio del territorio è un concetto di cui spesso ci riempiamo la bocca ma poi operiamo scelte che inevitabilmente portano in direzione opposta. Io sono l’ultimo arrivato in Fillea ma credo di poter affermare, senza paura di essere smentito, che la nostra sia una categoria esemplare sotto questo punto di vista, che è sempre stata allineata con le scelte confederali, che non ha mai fatto esecrabili fughe in avanti o rivendicazioni di autonomia politica “ad hoc”, a seconda della convenienza del momento, che sino ad oggi ha contribuito realmente nell’aiutare le strutture confederali dei singoli territori, pur essendo una categoria economicamente solida e che avrebbe potuto non essere così “fedele” al concetto di confederalità. Anche oggi la Fillea si dimostra attenta e previdente, ed è tra le prime categorie che, vedendo l’esigenza di dover “correre ai ripari” da subito e fino a che siamo in grado gestire le scelte, ha iniziato a proporre alla confederazione (che peraltro mi appare un po’ poco coraggiosa, troppo timida) progetti reali di ristrutturazioni interne. Progetti da realizzarsi con l’approvazione della confederazione stessa e sotto una regia regionale che garantisca la fattibilità, in relazione alle risorse materialmente in campo ed ai problemi logistici e geografici che possono sussistere. In Piemonte abbiamo iniziato un ragionamento, nel cosiddetto quadrante Verbania-Novara-Vercelli-Biella, che cercheremo di sviluppare e concludere dopo il termine del congresso, nel tentativo di fare in modo che tutte le risorse umane della categoria, segretari, apparati, RLST, siano utilizzate al meglio, anche attraverso alcuni scavalchi tra gli attuali confini provinciali, simulando ed anticipando il loro probabile scioglimento. Questo ragionamento tiene e terrà conto anche delle difficoltà che si sono iniziate ad incontrare nelle gestioni economiche delle Casse Edili e degli altri enti bilaterali di nostro riferimento, che vedranno probabili variazioni future, con fusioni tra territori limitrofi, di cui noi non possiamo ignorarne gli effetti. È solo da un anno esatto che sono arrivato in categoria e solo da allora ho veramente iniziato a capire la logica ed il funzionamento degli Enti Bilaterali, con la loro complessità e le loro caratteristiche e necessità, ma posso affermare senza dubbio di smentita che le gestioni precedenti hanno davvero svolto in modo impeccabile il loro compito. La Cassa Edile di Vercelli è piccola ma estremamente virtuosa, citata a livello nazionale come esempio di efficienza e di buona gestione, che ha sempre seguito una logica parsimoniosa ma equilibrata, politicamente corretta, senza lasciarsi allettare nei momenti più ricchi, come il passaggio dell’alta velocità, al compiere scelte di “comodo e comodità” che poi si sarebbero rilevate mortifere e che non si sarebbero potute mantenere nel tempo. Una politica di rigore nel tenere sotto controllo i costi di gestione e del personale, improntata all’efficienza ed alle reali necessità ed esigenze lavorative all’interno dei nostri tre Enti, con stipendi equilibrati e non spropositati per nessuno, con una sinergia ed un intreccio delle mansioni svolte oculati, tarati sulle reali esigenze delle aziende e dei lavoratori: una gestione sana e non “politica” come talvolta abbiamo visto svilupparsi in altri territori. Oggi raccogliamo i frutti di quelle sagge decisioni, i bilanci reggono, le prestazioni erogate ai lavoratori, nelle loro qualità ed entità (Ape, vestiario, prestazioni) pure e senza dover effettuare tagli, a volte anche drastici come abbiamo notato in altre realtà, nonostante la crisi, nonostante il calo delle aziende ed il calo del monte-salari dei lavoratori. È quindi con ancor più soddisfazione che questo anno celebreremo il 50° anniversario della sua fondazione che coinciderà con il ritorno nella sua sede storica di corso Rigola, ,a ristrutturazione finita, presumibilmente entro la fermata delle ferie estive, ed è con fermezza che già da ora sosteniamo che il nostro modello dovrà essere quello di riferimento in caso di modifiche e/o fusioni future con altri territori limitrofi, parafrasando un termine calcistico “squadra e schemi che vincono non si cambiano”. Il calo delle entrate in tutte le nostre Casse Edili regionali, determinato dall’abbassamento del numero delle aziende iscritte, dai sempre meno lavoratori iscritti, del calo delle ore di lavoro effettive, sta velocemente portandoci in una direzione di necessità di intervento obbligata: unire tra loro strutture vicine, forse anche la possibilità di avere un possibile ed unico Ente Regionale con strutture di servizio nei territori, sarà un tema ineludibile nel prossimo futuro. In ogni modo ed in qualsiasi caso sarà definita e modificata l’organizzazione degli Enti Bilaterali, già da oggi credo ci si debba porre il problema di come sia venuto il momento di ragionare e sperimentare un modello di iscrizione sindacale, di natura quantomeno regionale, per arrivare poi anche ad una delega nazionale. Non solo perché la fusione-trasformazione degli enti renderebbe comunque necessario un adeguamento, ma anche perché, sia pur gradualmente e con tempi diversi, non ci potremo più permettere di avere risorse umane sufficienti per “rincorrere” i nostri iscritti che si spostano sul territorio nazionale, tenendo anche conto che in questo clima politico è sempre più complicato e meno scontato iscrivere i lavoratori. Nei territori si gira sempre più a vuoto, con cantieri sempre piccoli, trovando sempre più spesso le stesse aziende e gli stessi lavoratori impiegati, che nel frattempo sono magari stati costretti a diventare partite Iva. Anche l’accordo sulla rappresentanza siglato in Gennaio pur rappresentando una svolta epocale nei rapporti con le controparti e con le altre Organizzazioni Sindacali, sotto l’aspetto dei criteri di conteggio e di verifica degli iscritti porrà alla nostra categoria scelte, non semplici ma indispensabili, sotto questo punto di vista, in linea con quanto ho evidenziato precedentemente. La nostra è una categoria particolare, unica nel panorama della CGIL, che sino a quando non si tocca realmente con mano se ne sottovalutano le esigenze e le difficoltà di gestione. Tra le nostre peculiarità e necessità vi è sicuramente quella di avere una struttura nazionale, segreteria ed apparato, di una dimensione tale da essere in grado di rispondere alle esigenze dei lavoratori dovendo muoversi in una pletora di settori diversi tra loro, coadiuvando le diverse necessità delle strutture territoriali, cercando di rispondere ai loro bisogni di assistenza e di colmare le loro lacune. Pur in un’ottica futura di ridimensionamento di tutti gli organici, provinciali, regionali e nazionali, inevitabile e dettato dal calo delle risorse, credo sarebbe un errore pensare di ridimensionare eccessivamente il livello nazionale. Credo però che sarebbe un errore altrettanto grave il non capire (e fare in modo di realizzare) che le strutture provinciali, destinate anch’esse ad adeguare il proprio organico sulla base del nuovo livello economico delle entrate, devono essere lasciate il più possibile al lavoro nei loro territori, coinvolgendole il meno possibile in percorsi di “condivisione politica” e di organizzazione. Si finirebbe per oberare eccessivamente di impegni i compagni sottraendo le risorse umane che garantiscono concretamente la fonte delle entrate per tutti di livelli, attraverso il costante impegno e presenza nei territori per la tenuta del tesseramento. Occorrerà, invece, ridurre quelle strutture che, pur svolgendo ruoli nobili e temi interessanti e di supporto alla categoria nei vari settori, non rappresentano l’indispensabile e non possono costituire alternativa al lavoro svolto sul “campo”, dove invece potrebbero essere reimpiegare le risorse umane coinvolte. il quadro politico e I RAPPORTI UNITARI Il difficile momento che stiamo vivendo ha portato ulteriore incertezza e più confusione sul ruolo della politica e dei partiti, in un mondo in cui appare sempre più evidente che la finanza ed il denaro determinano ed impongono le scelte che condizionano la vita. Questa situazione, per noi inaccettabile, sembra così forte da essere inattaccabile e non modificabile. Tutti i ragionamenti di riforma del welfare e di solidarietà sociale sembrano destinati ad essere presi in considerazione solo nel momento in cui si parla di tagli e di diminuzione delle spesa pubblica, a prescindere dalle reali esigenze della gente. La caduta del governo Letta e l’ascesa di Renzi, prima a segretario del PD, poi a Presidente del Consiglio, senza nel frattempo aver riscritto la nuova legge elettorale (che al di là dei proclami continua ad essere un ottimo alibi per fare ingoiare qualsiasi rospo) ed essere andati al voto, personalmente mi ha sconcertato e non mi ha trovato in sintonia. Come credo anche molti altri italiani, molti altri compagni, faccio sempre più fatica a sentirmi rappresentato da un centro sinistra sempre più centro e sempre meno sinistra, proprio a partire dal PD in cui ho militato ed a cui sono stato iscritto sino ad oggi, che non riesco più a sentire mio, che vedo sempre più lontano dalle esigenze dei lavoratori e votato ad accettare la logica di continuare ad imporre sacrifici alla gente comune per una ragion di stato in cui, comunque, i patrimoni veri non vengono coinvolti nel risanamento del paese, in cui finanza e banche continuano ad imporre le proprie linee. Mi ero posto un obiettivo anni fa: non essere democristiano, mai e comunque. Non ho capito se, mio malgrado, lo sono diventato lo stesso, senza accorgermene, di certo non l’ho scelto formalmente. Al di là delle battute io sono un uomo della CGIL e la linea politica della mia organizzazione, decisa democraticamente al nostro interno, è venuta, viene e verrà sempre prima di quella di qualsiasi partito politico, esistente o futuro che sia, anche nel caso non la condividessi fino in fondo. Dopo tutte le discussioni del caso e le eventuali votazioni interne, la linea decisa dalla maggioranza deve essere vincolante e rispettata da tutti, senza esclusioni, verificando che ci comporti conseguentemente. Credo veramente sia l’unico sistema che, partendo dal basso di ogni funzionario sindacale provinciale per salire nella scala organizzativa fino ai livelli nazionali, garantisca ancora oggi, così come ha garantito e garantirà anche in futuro, quell’autonomia politica della nostra organizzazione, che in passato ci ha portato a scendere in piazza contro decisioni di governi definiti “amici”, ma che noi non condividevamo. Certamente l’attuale quadro politico non è confortante ma non ci si può arrendere al qualunquismo o peggio ad una rassegnazione di immutabilità dell’attuale situazione. Dobbiamo reagire, dobbiamo insistere e pretendere che a partire dal livello nazionale, per arrivare poi a quello Europeo, si cambino le cosiddette “regole del gioco”, le basi su cui si calcolano le effettive ricchezze e disponibilità economiche delle varie nazioni. L’uomo deve essere posto al centro del concetto di economia, non il denaro ed il guadagno: è l’economia che deve essere impostata in modo tale da rispondere alle esigenze degli uomini, che deve essere al servizio dell’uomo, non il contrario, determinando di fatto una schiavitù non riconosciuta ma reale, che fa aumentare in modo spropositato sofferenze e povertà. Non è possibile continuare ad ignorare come le ricchezze dei vari paesi cosiddetti evoluti sia sempre più nelle mani di pochi, che i poveri continuino ad aumentare e siano sempre meno aiutati e lasciati a loro stessi, dove il limite economico del reddito che definisce lo stato di povertà e/o indigenza (con le conseguenti contromisure per porvi un rimedio) lo determina chi la povertà non la vive sulla propria pelle. Il fallimento del capitalismo come sistema capace di auto-alimentarsi e di portare condizioni di vita positive in tutto il mondo è sotto gli occhi di tutti, eppure non lo si vuole ammettere, così le scelte politiche vengono fatte ancora come non fossero reali prima l’11 settembre e poi l’attuale crisi. La politica deve tornare ad essere determinante e vincolante nel processo di redistribuzione delle risorse disponibili e di condivisione dei miglioramenti che il progresso tecnologico e le ricerche ci hanno consegnato, in un’ottica di globalizzazione ineludibile ed inevitabile, che deve garantire la sopravvivenza dell’intero pianeta. A partire da ogni singolo stato, compreso il nostro. L’unità sindacale ha rappresentato e rappresenta tuttora uno degli elementi più nobili ed efficaci per far comprendere alla politica le necessità e le esigenze dei soggetti più deboli e per dialogare e raccogliere il pensiero della gente comune. Non posso non sottolineare di quanto fosse giusta la posizione della CGIL che ha fermamente difeso il ruolo del contratto nazionale e lo ha mantenuto al centro dei propri obiettivi strategici, anche quando ciò ha costituito motivo di divisione tra le organizzazioni sindacali. In questa crisi spaventosa, in cui tutte le nostre controparti hanno cercato, chi più chi meno, di approfittare della situazione per toglierci i diritti acquisiti ed aumentare i carichi di lavoro, i rinnovi dei contratti nazionali hanno rappresentato l’unico momento positivo, piccoli baluardi difensivi in un mare in tempesta: credo che CISL e UIL ce ne debbano rendere merito. Nella nostra categoria ci sono stati ormai praticamente i rinnovi di tutti i contratti nazionali di settore, un quadro complessivamente positivo, ma manca il rinnovo del contratto più importante, quello dell’industria edile. Non perché i lavoratori edili siano più importanti degli altri, ma perché è il contratto che rappresenta più di tutti il concetto di solidarietà tra lavoratori, di mutualità tra di loro, con il punto più alto del ragionamento rappresentato dal premio APE, che è la base naturale della costituzione delle Casse Edili stesse, nella loro accezione. Non a caso è il contratto che è stato preso di mira dai padroni, perché sotto-sotto è così che si sentono, con una battaglia che è in primis ideologica oltre che di sostanza, e che rischia di mettere in discussione l’esistenza degli Enti Bilaterali stessi. Sino ad oggi ci siamo mossi bene, mettendo in atto quanto era giusto, dosando bene le forze a nostra disposizione, anche in un’ottica di lotta che potrà prolungarsi nel tempo, che a visto nello sciopero del 17 dicembre e nelle manifestazioni nazionali una prova di forza riuscita, che ha permesso di riprendere le trattative, portando anche al rinnovo del contratto degli artigiani edili per la prima volta anticipando, speriamo, quello dell’industria. Mi permetto di fare un appunto negativo sull’organizzazione della manifestazione di Milano, che è stata davvero scarsa in tutto, con il comizio che non si è sentito ed il tentativo quasi di fare finire tutto in sordina, a bassa voce, finire presto sembrava un’esigenza prioritaria ma francamente del tutto incomprensibile (almeno così diciamoci). Se il sindacato è diviso e non porta risultati non può che essere confuso con la politica e, conseguentemente, viene considerato dagli stessi lavoratori non come parte di se ma addirittura come un antagonista, quasi come una controparte: l’antipatico “noi e voi” spesso sentito facendo le assemblee. La direzione in cui oggi CGIL-CISL-UIL si stanno muovendo e che ha portato a siglare l’accordo sulla rappresentanza è un concreto passo in avanti per rafforzare la posizione ed il ruolo stesso del sindacato, di tutte e tre le organizzazioni, nei fatti ribadisce e gratifica la bontà delle posizioni che FILLEA-FILCA-FENEAL hanno tenuto e messo in campo già da tempo. Nel nostro territorio il rapporto unitario è buono, pur nelle diversità di esigenze, e fino ad oggi abbiamo mantenuto un alto livello di correttezza tra noi, sia nel rapporto con i lavoratori sia con le aziende, che ci ha fatto reggere bene anche in occasioni di vere difficoltà. Credo di poter affermare che il buon rapporto non è solo di facciata ed inerente esclusivamente al lavoro, ma è anche un rapporto di amicizia, che sa mantenere il rispetto reciproco anche se vi sono diversità di vedute e quando non c’è condivisione politica e che è stato fondamentale nel creare l’esistente buona gestione degli Enti Bilaterali. Mi auguro fortemente che i cambiamenti organizzativi intervenuti o che dovessero intervenire in futuro non vadano a compromettere quanto di buono abbiamo faticosamente costruito e mantenuto sino ad oggi. Di certo non saranno la Fillea di Vercelli od il sottoscritto che per primi porranno in essere atteggiamenti volti a deteriorare il rapporto tra noi, ma certamente non staremo a subire passivamente e senza reagire qualora fossero altri a commettere scorrettezze o tentativi di irregolarità. CONCLUSIONI Quando si scrivono le relazioni ci si propone sempre di essere brevi e concisi, ma come spesso accade, si finisce poi per essere lunghi e noiosi, credo perché quando ci si ferma a riflettere i concetti che vengono in mente sono sempre tanti e scegliere quali siano i più importanti è davvero molto difficile, oltretutto si ha sempre la sensazione di aver dimenticato qualche cosa. L’ultima mia considerazione è in realtà un ringraziamento a tutti voi delegati, per l’impegno che avete profuso quotidianamente nel tenere i rapporti con i lavoratori ed i nostri iscritti, spesso in situazioni ambientali molto difficili, dovendo subire gli sfoghi, anche spropositati, di colleghi qualunquisti spesso aizzati dalla cattiva politica, o sull’orlo della disperazione. Non è facile per nessuno continuare a perseguire un obiettivo difficile e faticoso com'è il nostro, tutelare i più deboli in una società diventata sempre più individualista e votata all’egoismo è un compito sempre più arduo, soprattutto per chi è “sul campo” tutti i giorni come lo siete voi. Grazie al vostro impegno siamo riusciti a raggiungere il traguardo del 100% del tesseramento in un anno così difficile come lo scorso 2013: ritengo sia stato un risultato enorme, oltre ogni più rosea previsione della vigilia, che cercheremo in ogni modo e con tutte le forze di eguagliare anche nel 2014. Voglio ringraziare anche la Camera del Lavoro, a partire dalla Segreteria per arrivare a tutte le sue diverse componenti, ma in particolare il Patronato Inca e l’Ufficio Vertenze, che con la nostra categoria hanno un ottimo rapporto di collaborazione e stimolo, in una logica di continuo miglioramento da ottenersi attraverso la conoscenza delle reciproche problematiche, anche con critiche costruttive volte al miglioramento delle prestazioni offerte ai lavoratori, nell’interesse dell’intera CGIL. Oggi, purtroppo, non è potuto essere qui presente con noi Carmine, che come sapete in questo momento è impegnato in un recupero fisico che gli auguriamo il più breve possibile, ma soprattutto completo e definitivo, che ce lo restituisca efficiente e “cazzuto” come è sempre stato. A lui va il mio ringraziamento più forte, per avermi sopportato più di tutti, con tutti i miei difetti (spero anche con qualche pregio) e con le carenze di un segretario nuovo che aveva, e che ha ancora oggi, molto da imparare da una categoria così complessa: ti aspetto presto. Sperando di non avervi annoiato troppo ed essere stato di stimolo per riflettere sulle nostre amate Fillea e CGIL, vi ringrazio per l’attenzione che mi avete dedicato.

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