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17.03.14 Si è concluso il 24 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Taranto. Di seguito la relazione del segretario uscente Antonio Stasi, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Buongiorno a tutti e un saluto particolare a tutti i graditi ospiti che hanno accettato il nostro invito ad essere presenti a questo Nono Congresso Provinciale della FILLEA-CGIL di Taranto. Saluto la Presidenza. Siamo felici di avere con noi il Segretario Generale Nazionale FILLEA Walter Schiavella, il Segretario Generale della CGIL di Taranto Luigi D’ISABELLA e il Segretario Generale Regionale FILLEA Silvano Penna. Siamo in tempi di crisi, ma anche in tempi difficili per la democrazia e i valori della rappresentanza, così questa volta la relazione del segretario capovolgerà i cerimoniali tipici dei congressi e comincerà dalle voci di tutte queste crisi. Perché vogliamo essere coerenti con noi stessi e rendere plastica e visibile la missione che da sempre caratterizza la CGIL spesso sola di fronte ai venti dell’antipolitica e del populismo di maniera che serve solo, specie qui a Taranto, a creare piccoli patrimoni di rendita personale ad altrettanti piccoli gruppi senza proposte. Così parte integrante della mia relazione sarà un piccolo contributo filmato che è l’istantanea di uno dei nostri 365 giorni al fianco dei lavoratori. Vediamolo assieme. Video prodotto dalla FILLEA CGIL di Taranto con il contributo dei lavoratori e delegati FILLEA Taranto “Il Lavoro è dignità” RELAZIONE Abbiamo voluto cominciare così. Mettendo il dito nella piaga. Non parlando di numeri, dati statistici o cifre, ma di uomini e donne che la crisi la vivono con questo dolore lancinante conficcato nella loro dignità. Abbiamo voluto raccontarli con tre testimonianze simboliche perché queste sono le facce delle persone che incontriamo ogni giorno e che sembrano invece invisibili per il resto del mondo. Per noi non lo sono. Sono carne e ossa di un disastro che avevamo preannunciato, che avevamo urlato e sbattuto in prima pagina nelle mille proteste che abbiamo messo in atto dal 2005 ad oggi, ma che i vari governi non hanno voluto leggere e riconoscere. Queste sono le facce e le parole di un disastro annunciato, ma poi ci sono i dati quelli più freddi e lontani, ma ugualmente toccanti e drammatici. Quelli congiunturali dell’ANCE, dei produttori di cemento, dei laterizi, delle macchine per il movimento terra, del settore legno e infine delle nostre Casse Edili. Uno scenario in cui non c’è quasi nulla di incoraggiante. Anche in questo caso il declino, la scomparsa del settore sembra un destino già segnato. Rispetto alla crisi degli anni ’90 siamo ormai a una perdita di volume di lavori doppia. E la situazione non pare destinata a migliorare. Con il 2013 siamo arrivati, infatti, al sesto anno consecutivo di caduta. Una lunga fila di segni meno che portano il settore a perdere il 29% degli investimenti. Le proiezioni dei primi mesi del 2014, poi, dicono che questa contrazione è destinata a lievitare fino al 32%. I permessi di costruire sono passati dagli oltre 300mila del 2005 a meno di 100mila alla fine dello scorso anno. Le compravendite di case si sono dimezzate nel giro di pochi anni. Così come si è dimezzato il credito alle imprese del settore. Dall’inizio della crisi a oggi i posti di lavoro persi nelle costruzioni sono 446mila. Considerando anche i settori collegati alle costruzioni, arriviamo a quota 690mila. Non sono solo gli operai a restare a casa, ma tutte le figure professionali legate al cantiere: in un anno i progettisti (architetti, ingegneri e geometri) sono diminuiti del 23%. I fallimenti delle imprese, invece, sono arrivati a quota 11.177 su un totale di circa 48.500 aziende chiuse in tutti i settori economici in Italia. Soltanto nelle costruzioni, cioè, sono stati segnati il 23% del totale dei fallimenti. Non è un caso che l’Abi consideri l’edilizia il settore che, al momento, comporta i maggiori rischi nel recupero dei prestiti. Anche la filiera dei materiali non va meglio. Dal cemento, da sempre un indicatore molto sensibile dello stato delle costruzioni, non arrivano segnali positivi. I dati dell’Aitec dicono che nel 2012 la produzione di cemento in Italia si è ridotta drasticamente, con un calo pari al 20,8% rispetto al 2011, attestandosi a 26,2 milioni di tonnellate. Stesso discorso per i consumi di cemento, che hanno registrato una riduzione del 22,1% nell'anno, arrivando a perdere il 45% circa rispetto al massimo raggiunto nel 2006.
E le prospettive per il 2014 permangono critiche, con l'attesa di un ulteriore forte calo dei consumi intorno al 20-25%, dopo che nel primo trimestre del 2013 si è già registrato un decremento del 22,4%. Una situazione che rischia di impattare sui produttori: attualmente si stima una capacità produttiva in eccesso intorno al 40-50%. Italcementi ha già dovuto dimezzare i suoi stabilimenti. Probabilmente anche gli altri grandi player, nei prossimi mesi, saranno costretti ad adottare una strategia simile, chiudendo siti produttivi e mettendo in cassa integrazione gli operai. Segno che non si tratta di una crisi transitoria ma di un ridimensionamento strutturale (e al ribasso) del mercato. E purtroppo la nostra Cementir rischia di subire lo stesso inesorabile destino. Stesso discorso per il legno. Tra il 2007 e il 2012, secondo i numeri di Federlegno, la contrazione per il settore è stata pari al 33%: un dato che include sia l’utilizzo per arredamento che gli altri impieghi del materiale. I laterizi (dati Andil) hanno perso il 27% soltanto nel 2012. Se si allarga lo sguardo fino al 2007, all’inizio della crisi, nel giro dei sei anni è andato in fumo il 63,5% del mercato dei mattoni. Le macchine da costruzioni (dati Unacea) hanno chiuso l’anno con un calo di circa un terzo del giro d’affari. Si tratta del quinto anno consecutivo di contrazione per il movimento terra, senza un accenno di ripresa. Insomma, non c’è bisogno di tutti questi dati per capire quanta crisi si sia accumulata sul comparto e quanto purtroppo a fronte di tale disastro siano mancate reali politiche anticicliche capaci di invertire la rotta. La situazione è invece sensibilmente peggiorata. Tutti gli indicatori settoriali disponibili mostrano intensità di cadute peggiori rispetto a quelle registrate nel 2009, ovvero alle prime battute di questa crisi. E le politiche messe in atto dal Governo Berlusconi e quelle realizzate dal governo dei tecnici guidate da Monti hanno finito per aggravare irreversibilmente gli effetti di una recessione che aveva già componenti strutturali, a cui si sono aggiunte inadeguatezze e miopie politiche. La mancanza di risorse pubbliche, la guerra dello spread, la stretta creditizia, il ritardo nei pagamenti della pubblica amministrazione e l’immobilismo del mercato immobiliare hanno completato l’opera, consegnando definitivamente il settore nelle mani molto spesso non troppo limpide di organizzazioni delinquenziali che hanno prima sostituito le aziende legali e poi conseguentemente svenduto i diritti e colonizzato appalti e grandi opere. Gli unici dunque ad avvantaggiarsi da queste crisi sono stati la mafia, la n’drangheta, la camorra che sotto molteplici forme sono arrivate anche qui da noi e svendendo opere, uomini e sicurezza ha acquisito al massimo ribasso tutto quello che poteva. L’ultimo caso è quello dell’appalto sospetto a Palazzo degli Uffici. Una destrutturazione del lavoro e delle regole che non può vedere il sindacato e il sistema dell’edilizia impotente. E qui voglio pubblicamente riconoscere il lavoro che stiamo tentando di svolgere, cercando di frenare, a volte a mani nude e con gli strumenti inadeguati dei controlli di settore, uno marea di illegalità che per noi, è ormai diventato un obiettivo supremo. Ma accanto a tutto questo impegno torna lo spettro dell’invisibilità. Sono invisibili i lavoratori che finiscono per essere fantasmi con” false” partite IVA o che non rintracciamo più neanche nei controlli incrociati della Cassa Edile. Sono invisibili le imprese (quelle legali s’intende) a cui lo Stato non riconosce dignità pagando quello che deve. Ed è invisibile in sostanza tutto un comparto in cui l’evasione, l’elusione, l’illegalità consolida il primato delle mafie. Ed è qui tutto il dramma di una nazione che affida le sue opere strategiche, la vivibilità delle sue città non al sistema legale, quello che fa massa salari e che riconosce il valore delle leggi e delle norme (comprese quelle sulla sicurezza), ma ai senza scrupoli capaci persino di farsi grasse risate di fronte ad un terremoto o una alluvione. Una distorsione che crea volti e storie come quelle del filmato in apertura. Perché Libero, Antonio e Caterina sono le vittime di questa irregolarità complessiva che espelle dal ciclo produttivo uomini che hanno sempre lavorato, giovani figli di una vertenza come quella della Cementir, o donne specializzate che in una azienda come la De Carlo o la Natuzzi pagano indirettamente sulle loro spalle gli effetti di un mercato che stermina una filiera o delocalizza dove diritti e lavoro hanno peso e costo minore. Allora mi chiedo cosa deve accadere ancora prima che tutto questo dramma invisibile, agli occhi del mondo, sia assunto come priorità? Taranto è vittima della sua sindrome bipolare. Dimostra di odiare tutto quello che è industria, ma poi invoca lavoro e misure emergenziali. Eppure potremmo essere nei prossimi anni, se adeguate risorse saranno allocate su questo capitolo dai Ministeri competenti, il più grande cantiere d’Italia capace di assorbire buona parte della forza lavoro espulsa dal ciclo produttivo e di crearne addirittura della nuova. Ma ad oggi non è così. Taranto resta bipolare e inconcludente. Siamo fuori dai lavori che dovrebbero ambientalizzare la più grande acciaieria d’Europa e respingiamo tutti i progetti che potevano riguardare l’ambientalizzazione e l’ammodernamento di impianti come Cementir e Eni. Diciamo no a tutto, spesso pregiudizievolmente, e continuiamo a rimanere invisibili. I dati della crisi in Italia sono terribili. A Taranto sono un bollettino di guerra. Come già denunciato nelle Conferenze Stampa di Novembre 2013 e Gennaio 2014. Dal 2008 ad oggi tutto racconta di una decrescita costante e sistematica. Nel 2008 la posizione delle imprese attive registrate in Cassa Edile era pari a 1.253. Il dato censito fino al 2013 ci dice invece che ben 420 aziende hanno dismesso capannoni e cantieri e sono state abbattute dalla crisi. Il saldo al 2013 era di sole 924 aziende, ma temo che questo quadro ad oggi si sia ulteriormente aggravato. Questo settore in crisi ha inghiottito un esercito di operai. Metà degli uomini e delle donne che lavoravano nel comparto dell’edilizia oggi è nelle condizioni di Libero o di Caterina. Dagli 8.551 operai censiti nel 2008 oggi siamo solo a quota 4.325. Le ore lavorate e la massa salari sono poi la conferma del massacro. A fronte di 8.254.045 ore lavorate del 2008 nel 2012 quel valore si è ridotto a poco più di 3milioni (3.576.222). La massa salari è invece passata dai 68milioni 687.100 agli attuali 37milioni 120.493. Ciò vuol dire che non solo ci sono stati meno operai al lavoro, ma anche che gli stessi hanno lavorato meno ore e che il loro potere di acquisto si è notevolmente ridotto. Stanno per finire tutti gli ammortizzatori sociali, tra questi anche quelli in deroga e subito dopo sarà la cronaca di una morte annunciata per le imprese locali e soprattutto per quell’esercito invisibile che da troppi anni attende che a Taranto si passi dalle parole ai fatti. I fatti invocati da noi sindacati di categoria hanno connotazioni precise e riguardano investimenti pubblici e privati che vanno sotto il nome di AIA ILVA, ENI, Cementir, Porto, ma anche Bonifiche (piano scuole ai Tamburi, PIP Statte, bonifiche Mar Piccolo). Abbiamo chiesto più volte su tutti questi fronti una assunzione di responsabilità. Abbiamo chiesto ai sordi e ai ciechi almeno il miracolo della ragione. Abbiamo chiesto che dopo tutte le verifiche necessarie e opportune, si apponessero finalmente in calce a tutte le autorizzazioni che giacciono sotto la coperta della burocrazia, le firme che decretino l’avvio dei lavori e il termine a questa agonia. Siamo in emergenza e l’immagine che suona come una bestemmia è quella di questi lavoratori appesi al filo teso tra aziende e istituzioni a dir poco distratte. Non ci rassegneremo a questa agonia e chiediamo che finalmente il cantiere Taranto possa partire. Un cantiere in cui dovranno trovare posto tutti i nostri lavoratori e per i quali , come ben sapete, abbiamo chiesto la sottoscrizione di un Accordo di Bacino che ne garantisca l’assorbimento. In altri casi avremmo chiamato questo intento clausola sociale. Oggi è più opportuno chiamarla Clausola di Sopravvivenza. A proposito di Protocolli un plauso a CGIL, CISL e UIL di Taranto che hanno, a novembre 2013, sottoscritto un’intesa con la Prefettura di Taranto in materia di Sicurezza sui luoghi di lavoro dell’Area Industriale Jonica. Eppure la CGIL e la FILLEA hanno indicato da tempo nel Piano del Lavoro e nell’integrazione di settore la ricetta per uscire dalla crisi e per distinguere (come dice Enrico Berlinguer nel video che vi abbiamo appena mostrato) tra austerità e rigore. Specie se a pagare sono sempre gli stessi. Non abbiamo avanzato proposte inagibili. Esattamente il contrario. Abbiamo chiesto ad esempio ai vari Governi di dare una sferzata sul tema della legalità. Di contro abbiamo ottenuto ministri sempre più agguerriti nei confronti della CGIL che si permetteva di chiedere ad esempio proprio nel settore edile, organici, mezzi e risorse per migliorare e aumentare in efficacia e autonomia i controlli e l’esigibilità e congruità delle sanzioni. Abbiamo indicato una strada fatta di cose concrete, partendo dalle emergenze e dai limiti che il nostro Paese deve superare per coscienza e per opportunità. Quando parlavamo di crisi e il Governo del momento, decaduto, negava con tutte le forze, chiedevamo le stesse cose di oggi. Solo che oggi quelle cose non sono più la medicina per un malato acuto, piuttosto rappresentano il salvavita per un paziente ormai cronicizzato, che non può aspettare un minuto di più per gli investimenti capaci di aprire cantieri, specie nel Mezzogiorno che soffre più di altri l’assenza di scuole, edifici pubblici, misure di risanamento urbano, bonifiche ambientali, interventi contro il dissesto idrogeologico o una soluzione degna alla grande emergenza casa di tanti dei nostri territori. Non a caso sul tema delle politiche abitative continuiamo a scontare ritardi e a registrare vergogne, senza un piano di investimenti nel settore in grado di dare risposte adeguate a chi nella nostra provincia, ad esempio, sconta il dramma della perdita del lavoro e quindi dell’incapacità di accedere ad una casa per cause non imputabili alla sua volontà. Parlavamo di emergenze e di opportunità. Proprio in questi giorni Legambiente e Protezione Civile hanno presentato, ad esempio, la classifica dei comuni censiti dal Rapporto su Ecosistema e rischio. In quell’elenco di amministrazioni pubbliche italiane che stanno tentando di fare qualcosa per arginare il dissesto idrogeologico e mettere in sicurezza il territorio, non figura nessun comune della provincia di Taranto, e dai 48 comuni a rischio censiti solo qualche anno fa, si è passati al poco edificante numero di 205 territori a rischio frane, smottamenti ed alluvioni nella sola Puglia. Siamo una delle Regioni più fragili dell’Italia eppure le nostre amministrazioni non avvertono la drammaticità di questa situazione che solo qualche mese fa, ad esempio a Ginosa, ha prodotto 4 vittime. Ebbene, molti dei progetti prioritari individuati nel Piano del Lavoro riguardano proprio l’assetto e la gestione del territorio e delle città o la riqualificazione del costruito. Che dire allora dell’eterna emergenza città vecchia a Taranto. La pioggia di questi ultimi giorni ha fatto venire giù altri tre palazzi. Per fortuna non si sono registrate vittime. Ma lì, questo territorio, oltre a perdere opportunità di lavoro e di sviluppo, sta perdendo inesorabilmente parte della sua storia e della sua memoria. Ma anche questo appare irrilevante per la nostra classe politica-amministrativa. Dalla mappatura dei rischi che corrono le nostre città, i nostri paesi, le sponde dei nostri corsi d’acqua o i territori a ridosso di lame e gravine, si potrebbe creare una grande onda d’urto positiva in favore del nostro settore. Si stima che il fabbisogno complessivo per il riassetto idrogeologico nazionale è definito nel piano nazionale per la sicurezza e la manutenzione del territorio (fonti Ministero Ambiente del dicembre 2012) ammonti complessivamente a 40miliardi di euro, distribuiti in venti anni, per un investimento di circa 1,2 miliardi di euro annui. Un intervento che dovrebbe essere prioritario, urgente, ineludibile perché riguarda milioni di italiani esposti al rischio e alla sopravvivenza, eppure le ultime richieste di finanziamento presentate dai comuni a rischio della provincia di Taranto si possono contare sulle dita di una mano. Scarsa visione? Scarsa attenzione? Scarsa capacità programmatica e progettuale? Forse tutto questo. Ma resta il fatto che lì l’emergenza e l’urgenza potrebbe trasformarsi in opportunità, continuiamo a scontare una palude di immobilismo. Eppure le opere in questioni spesso sono di dimensioni medio-piccole e costituiscono, se prontamente attivate, un bacino di attività immediatamente cantierabili, che potrebbero sfociare in tempi rapidi in positivi effetti sulla produzione e l’occupazione del settore. Come FILLEA abbiamo le idee chiare. Sappiamo che la sicurezza dei luoghi in cui abitiamo è una priorità che lo Stato deve assumere senza ulteriore indugio (dal dissesto idrogeologico a quello sismico) e per questo abbiamo chiesto: - L’avvio di un programma di studio e mappatura completa del territorio; - Il finanziamento di un Piano Nazionale per la sicurezza e la manutenzione di tutte le aree a rischio; - Ma anche interventi in settori mirati che guardino, all’uso responsabile del territorio per mitigarne e delimitarne il consumo, alla green economy e alla sostenibilità delle costruzioni, ad un adeguato piano di rilancio complessivo che premi maggiormente la trasformazione di territori già antropizzati rispetto a quelli naturali dove tutto è da rifare, alla riqualificazione urbana. Su quest’ultimo aspetto le nostre proposte nascono pensando al domani. Al futuro che crea lavoro e viceversa, perché in un modello di generazione diffusa dell’energia e del recupero dei materiali, persino quelli di scarto, è impensabile non far ripartire il settore da quello che abbiamo e va migliorato, reso più sicuro, moderno ed ecosostenibile. Una teoria della crescita in sintonia i dettami del risparmio che anche in ambito strettamente edilizio dovrebbe riguardare: - La riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare pubblico, dove si possono sperimentare nuove procedure per l’affidamento dei lavori e nuove modalità di coinvolgimento degli investitori privati; - Il recupero delle aree residuali e dismesse, che non possono essere l’ennesima opportunità di speculazione immobiliare, ma devono diventare l’occasione per la riqualificazione ambientale e persino sociale di alcune aree della città; - La demolizione e ricostruzione delle aree degradate e non più recuperabili; - L’ampliamento e la riqualificazione del patrimonio di edilizia residenziale pubblica; - La rivitalizzazione dei centri storici, che devono tornare ad essere luoghi in cui si abita e si lavora, non solo monumenti del degrado e dell’abbandono. Un quadro d’assieme che non deve farci dimenticare il vuoto pneumatico che registriamo ormai da molti anni nelle politiche industriali di questo paese, quelle che dovrebbero avere sostegno economico e finanziario adeguate. E’ ormai un tormentone per la FILLEA. Noi chiediamo che l’attenzione dello Stato arrivi attraverso politiche basate su sostegni selettivi alle imprese che investono soprattutto in innovazione e ricerca, che qualificano il loro prodotto ad esempio con il Made in Italy del nostro comparto del legno e arredo, che sappiano riaccordare le filiere e distretti produttivi anche nel segno della green economy. E il primo punto che riguarda l’economia sostenibile del settore dovrebbe essere la messa in sicurezza degli impianti. Cosa che per la Cementir di Taranto, oggi in sofferenza, alcuni anni fa si era prefigurato sotto forma di revamping e di rilancio addirittura di mercato e occupazione per quel sito ora declassato e in bilico. La FILLEA a livello nazionale ha definito, dunque, in ogni suo aspetto tutti gli interventi nello specifico, disegnando una cartina di strategie che risponde alle tutele che l’Europa ci chiede di avere nei confronti dell’ambiente, del territorio e del paesaggio. Beni che dobbiamo tutelare e che per questa ragione vanno ripensati con l’acume, l’onestà e il rigore di chi conosce il settore, di chi rispetta le regole e di chi rispetta il lavoro. Guardate, su questo come sindacato abbiamo il dovere di vigilare, perché non tutto il lavoro è buon lavoro e non possiamo assolutamente delegare ad altre coscienze quello che invece appartiene alla nostra storia confederale e di categoria. Noi siamo il sindacato delle grandi lotte per la sicurezza. Quello della denuncia nei confronti di ogni tipo di lavoro grigio, nero o irregolare. Quelli che per primi, insieme alla categoria dei braccianti, ha condannato, perseguitato e equiparato a reato penale il reato di intermediazione illegale di manodopera, in una parola il caporalato. Siamo il sindacato che deve tornare ad affrontare unitariamente i tempi difficili di una crisi ma anche di una destrutturazione della democrazia che tenta di smantellare la CGIL minandola dal suo interno con bandiere populiste e integraliste che non possono vederci complici o silenti. Dice bene il nostro segretario nazionale Susanna Camusso, la CGIL torni ad avere testa e cuore nelle cose concrete e dedichi tutte le sue importanti e riconosciute energie nell’affrontare la crisi economica, sollecitando e conquistando politiche capaci di ridare al Paese competitività e sviluppo, scongiurando le tante situazioni di crisi aziendale, di licenziamenti, supportando le difficoltà economiche di chi è in cassa integrazione, mobilità o è esodato, e cercando in tutti i modi di tutelare e, se è possibile far avanzare ed estendere, i diritti e la democrazia nei luoghi di lavoro. Ecco perché il lavoro decide il futuro ed ecco perché come FILLEA ci candidiamo a presentare un nuovo modello di sviluppo per il settore delle costruzioni che guardi a questo orizzonte temporale e alla capacità di costruire Città Future in cui il lavoro, i diritti e la democrazia tornino ad essere valori centrali. Io segretario da circa un anno ho ben presente questi capisaldi e so che gli obiettivi che ci siamo proposti sono una meta che possiamo raggiungere solo assieme nell’alveo di una organizzazione che conferma i suoi valori statutari e il rispetto del pluralismo, ma non può dimenticare storia e passato anche recente. Per giungere a dei risultati apprezzabili abbiamo bisogno di tutta la CGIL, ma anche di una FILLEA in piena salute che malgrado la crisi sappia confermare la sua leadership, con le donne, i giovani, i lavoratori extracomunitari che sempre più si affacciano anche in questo comparto. Ma anche con l’unità con FENEAL e FILCA che sui temi della regolarità, della legalità e dell’occupazione ci hanno fatto registrare una certa tenuta, non sempre pari all’avanzamento condiviso delle posizioni su altri temi come quelli della contrattazione territoriale o sul salario. Penso che questo settore abbia bisogno di unità sindacale per poter fronteggiare le tematiche che riguardano la Sicurezza, lo Sviluppo, l’Occupazione e la lotta al Lavoro Nero e Sommerso e, sicuramente si troveranno punti convergenti al fine di raggiungere obiettivi soddisfacenti per il settore che rappresentiamo. Su questo punto l’ANCE sappia che non retrocederemo di un passo. Perché la crisi non può essere scaricata sul salario o sulla contrattazione, rischiando di spaccare la schiena dell’anello più debole della catena: i lavoratori. Che sia ben chiaro non accetteremo mai una struttura della contrattazione territoriale che non sia esigibile per tutti, non derogabile e sviluppata nella piena autonomia delle parti. Un ruolo importante hanno anche gli Enti Bilaterali. Penso alla Cassa Edile di Taranto con il rilascio del DURC (Documento Unico di Regolarità Contributiva) e con il buon lavoro che si è apprestata a fare nelle ultime settimane attraverso le visite nei Comuni e gli Enti di Spesa per far conoscere il ruolo dell’Ente attraverso uno scambio di comunicazioni continue al fine di fronteggiare le irregolarità delle Imprese e dare al settore un contributo significativo in relazione alla Legalità. L’Ente Scuola Edile che ha dato e darà un valido apporto di alta professionalità per i Corsi di Formazione e Sicurezza volti a formare giovani, lavoratori, tecnici, assistenti di cantiere, direttori tecnici e delegati per la sicurezza. Tutto ciò finalizzato alla professionalità e alle nuove sfide che verranno, il Mercato del Lavoro. Il CPT di Taranto che con il valido contributo, attraverso le visite sui cantieri finalizzate alla messa in sicurezza degli stessi, potrà migliorare la qualità della vita dei lavoratori e del lavoro, e contestualmente volta ad una diminuzione dei rischi. Un invito ai tre Enti: massima comunicazione affinché tutto l’operato diventi sistema per la crescita del settore e la salvaguardia e legalità del lavoro. Siamo tutti ostaggi di una crisi senza precedenti, ma anche di una incapacità di porre le questioni sotto la lente critica di un regime, che come ho già detto, è di sopravvivenza per l’intero comparto. Maglie di un’unica catena che non può conoscere coni d’ombra in fatto di dignità del lavoro e riconoscibilità concreta del valore di tutte le parti in campo. Io ho ereditato la guida di questa straordinaria e combattiva organizzazione nel periodo forse più duro della storia moderna del nostro Paese e ogni giorno, da mattina a notte inoltrata, continuo ad essere, insieme a tutta la segreteria, ai collaboratori e ai nostri delegati, davanti ai cancelli e dentro ai cantieri scenari di questo disastro. Voglio ringraziare i miei collaboratori più stretti e i delegati che sono al mio fianco e mi sostengono quotidianamente. Io come la FILLEA non mi fermerò e continuerò a progettare quella Città Futura fatta di buona contrattazione, lavoro regolare, case e strade sicure, legalità e sostenibilità ambientale. Non è un sogno. E’ il segno del nostro impegno e della nostra infinita caparbietà. Noi siamo la FILLEA-CGIL!

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