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17.03.14 Si è concluso il 27 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Cagliari. Di seguito la relazione del segretario uscente Erika Collu, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Compagne e Compagni, Gentili Invitati, questo V Congresso della Fillea di Cagliari si celebra in un momento di gravissima difficoltà per tutto il mondo del lavoro, dilaniato da una crisi che non arresta il suo corso. Già nel precedente congresso la parola Crisi aveva caratterizzato, ahimè, la nostra discussione congressuale, e ancora oggi, purtroppo, a 4 anni di distanza, ci troviamo a dover contestualizzare questa fase importantissima della nostra organizzazione in un quadro politico, economico e sociale ancora cambiato e pesantemente segnato dalla più grave crisi degli ultimi 80 anni, dopo il 1929. Una crisi che ha cambiato irreversibilmente il destino di tre generazioni: quella di mio padre, la mia, con grossi rischi per quella futura. Una crisi che ha cancellato la possibilità di declinare i verbi al futuro, che ha cancellato certezze e nutrito le nostre vite di angoscia e insicurezza, svuotandole di qualsiasi capacità progettuale. Ho scelto bene queste parole, e non credo di esagerare: figli contro padri, italiani contro immigrati, uomini contro donne in una lotta perpetua per la sopravvivenza commisurata a un imbruttimento culturale sconosciuto per il nostro paese, protagonista di grandi battaglie di emancipazione e depositario di una gloriosa tradizione di valori di solidarietà, giustizia, democrazia e libertà. A guardare l’Italia oggi sembra che tutto ciò sia stato spazzato via da uno tsunami: una politica che ha tradito il suo significato fondante- di res pubblica- totalmente improntata ai personalismi e che di riflesso ha creato una società individualista e egoista, trasformando i nostri principi costitutivi in disvalori e annichilendo la forza dell’Unità. Una crisi che, come più volte si è detto, nasce in una dimensione economico-finanziaria ma fagocita tutto, l’etica e la morale per prima. Occorre ripartire da qui: “Ri-costruire” le condizioni economiche e sociali che permettano di riequilibrare la società verso un sistema basato sull’equità, sulla legalità e sulla sostenibilità. E’ questa la grande sfida e l’importante compito a cui siamo chiamati, l’obiettivo che non possiamo mancare. Tutto ciò sarà possibile solo rimettendo al centro il Lavoro. E il suo valore. E’ da questa convinzione che nasce l’idea di declinare questo Congresso in tal senso: “Costruire lavoro per un Futuro di Diritti Ambiente Sviluppo”. ANALISI DELLA CRISI La crisi in atto ormai da almeno un quinquennio nasce dal dominio del sistema finanziario che è andato progressivamente affermandosi a seguito del processo di globalizzazione e del modello speculativo praticato dalle più grandi economie mondiali: ci si è illusi, Noi No, che il primato dei mercati, e la loro presunta capacità di autoregolamentarsi, potessero funzionare come leva per la crescita e il principio della libera concorrenza potesse essere addirittura funzionale all’eliminazione delle disuguaglianze. Questa crisi ha miseramente dimostrato il fallimento del liberismo come modello sociale e di sviluppo. Gli effetti pesantemente negativi del liberismo più spietato e selvaggio, in spregio a qualsiasi logica che non fosse il profitto e la speculazione, sono stati amplificati dall’avvento di un processo di globalizzazione che, se da una parte ha azzerato le distanze “virtuali” tra il nord e il sud del mondo dall’altra, coniugato alla logica liberista, ha scavato un solco profondissimo, aumentando le disuguaglianze, rinsaldando in un’equazione inversamente proporzionale ricchezza e povertà. La rapidità di un mondo globalizzato- suo tratto distintivo- ha permesso di “esportare” con la velocità di un click gli scompensi finanziari, economici e sociali creati in un’area, delocalizzandoli in tutto il sistema. La “crisi finanziaria“, scatenata in seguito all’esplosione della c.d “bolla speculativa” del mercato immobiliare americano, successivamente è diventata economica, coinvolgendo l’economia reale, le produzioni, le esportazioni, il reddito e i consumi, con gli effetti devastanti che oggi purtroppo bene conosciamo. L’Europa è il centro nevralgico di questa crisi e l’Italia è il fanalino di coda. L’impostazione filo-tedesca attuale dell’Unione Europea, tutta impettita nelle politiche di austerity e sobrietà, in un momento in cui, per uscire dalla più grande crisi mondiale dopo quella del ’29, ciò che si dovrebbe fare è avviare un massiccio programma di investimenti pubblici, capace di neutralizzare l’emorragia di posti di lavoro, così da riattivare i consumi, ha di fatto tradito lo spirito dei padri fondatori della “costruzione Europea” che si proponevano di creare uno spazio per la libera circolazione delle persone e delle merci al fine di cancellare gli squilibri territoriali esistenti nella vecchia Europa- e rifondarla nel nome della solidarietà, sussidiarietà e coesione sociale. Un nuovo modello sociale europeo caratterizzato da una politica economica comune, dalla cooperazione in ambito sociale, da una comune visione sull’immigrazione come momento culminante della libera circolazione delle persone all’interno dello spazio europeo. Oggi questo nobilissimo progetto- di cui l’Italia è stata promotrice- fra i sei paesi fondatori della primissima CE, è miseramente degenerato in una mera Unione monetaria, in cui ciò che ci unisce è solo il titolo con cui si acquistano beni che, però, non hanno uniformemente lo stesso valore e, quindi prezzo, in tutti gli stati. Si capisce bene che questa visione puramente monetarista, capitanata dalla Germania, con il concorso della Banca Centrale Europea, del Fondo Monetario Internazionale e della Commissione Europea, ha soltanto affossato gli stati più deboli e acuito i conflitti nelle classi lavoratrici medio-basse, martoriate dalla pressione fiscale e dalla perdita del valore d’acquisto della moneta. La geniale trovata della codificazione del pareggio di bilancio e il c.d Fiscal Compact ha svuotato completamente i parlamenti degli stati membri della loro capacità di rappresentanza, ponendo gli stessi in una condizione di subordinazione e sudditanza che non tiene conto delle situazioni reali, ancora molto disomogenee, fra i vari paesi membri. Per il Sud dell’Europa questo sta significando un abbassamento delle tutele, sociali e sul lavoro, che rischia di ipotecare il futuro di milioni di persone. Bisogna cambiare direzione, riportare l’Europa al suo progetto primordiale , a partire dall’architettura istituzionale dell’Unione, con l’obiettivo originario di costruire gli “Stati Uniti d’Europa” con un conseguente significativo spostamento di poteri dalla Commissione al Parlamento Europeo. Dall’Europa della moneta all’Europa federale, nel quadro di una rinnovata dimensione sociale, con un forte coinvolgimento delle parti sociali nell’opera di programmazione politica, così come previsto dal Trattato di Lisbona. Si evince, chiaramente, che in questo nuovo e auspicabile scenario europeista, l’Italia deve assolutamente giocare un ruolo politico importante. L’esperienza italiana in Europa degli ultimi 20 anni non è stata per nulla incisiva e autorevole: chi ci ha rappresentato ha preferito raccontare barzellette e ha scelto nella foto di gruppo il momento, anche mediaticamente, più importante per lasciare un segno del nostro paese in Europa, foraggiando l’idea di un made in Italy “pizza-mafia-mandolino”. Tutto nel segno di un comune denominatore: assecondare le politiche economiche di una Germania dirigista e accentratrice, così come successivamente con Monti. Ciò che chiediamo invece è un’Europa e un’Italia dove i diritti siano davvero senza frontiere, dove prevalga un’idea di sviluppo diversa, che ponga al centro la qualità, dove la globalizzazione è equa e solidale, dove il lavoro, lo sviluppo e l’ambiente siano il modello sociale alternativo a quello liberista, dove sia centrale il valore del lavoro anziché la centralità del mercato. SITUAZIONE POLITICA La complicatissima fase politica italiana attuale porta il segno della bruttura e dello scadimento dell’ultimo ventennio berlusconiano, caratterizzato da una sequenza di provvedimenti organicamente coerenti alla salvaguardia dei propri interessi, nelle formule sapientemente studiate delle leggi ad personam. La produzione legislativa, in questo senso, è stata tanto copiosa quanto indegna: legge elettorale, scudo fiscale, immunità parlamentari, conflitto di interessi, condoni, sanatorie, frequenze televisive, Bossi- Fini sino a ritroso alla legge 30. Chi lo ha succeduto non ha fatto di meglio, basti pensare allo scempio fatto con la riforma sul welfare e pensioni dal ministro Fornero, che ha seppellito con un colpo di mano la vita di milioni di lavoratori. A osservare l’Italia degli ultimi anni si ha la stessa sensazione di un “fermo immagine”: il paese è immobile, i grandi temi sono ancora lì, in attesa di una risposta, capace di far ripartire un paese in stagnazione che ha bisogno di scelte politiche coraggiose, che generino fiducia, che parlino di lavoro, di diritti, di una scuola inclusiva, di una sanità universale, di impresa che non abdichi al suo ruolo sociale, che vuole le regole, che non le considera un impedimento, che sa che il vero limite è rappresentato da quelle realtà imprenditoriali che sfuggono, che eludono, che evadono, che non rifiutano la precarietà in nome del risparmio, che non difendono il contratto nazionale, che mercificano le vite umane, che non investono in sicurezza, in innovazione, che utilizzano perversamente il meccanismo della libera concorrenza a danno delle imprese buone, che così vengono tagliate fuori, da chi crede che un’idea di sviluppo possa prescindere dalla qualità. Purtroppo l’incapacità della classe politica di attuare un progetto condiviso che risollevasse le sorti del nostro paese ci ha lasciati privi di quegli anticorpi che ci avrebbero permesso di mitigare, in qualche modo, gli effetti pesantissimi di questa crisi. Devo dire che anche la staffetta di governo a cui abbiamo assistito in questi giorni fa gelare il sangue nelle vene, e per chi come me, è cresciuta nell’esempio di chi ha praticato la politica sempre nell’interesse della collettività, dei più deboli, dei lavoratori, è forte la rabbia e il disconoscimento verso chi, con sconcertante disinvoltura, in barba ai valori fondanti più forti, “vende” quest’operazione vergognosamente personalistica coniugandola all’interesse del nostro paese. Per natura, diffido sempre di chi si presenta con la presunzione di avere la verità in tasca, e se un’organizzazione- checchessia, un partito, un sindacato- si illude che il rinnovamento possa attuarsi attraverso l’ammodernamento, anche dei suoi valori identitari, credo che debba anche cambiare nome. L’illusionismo berlusconiano ha fatto vittime: una società governata da individualismo e personalismo imperanti, in cui la dimensione collettiva della socialità è sepolta sotto i colpi dell’io strabordante, in cui l’associarsi, il condividere, il socializzare a distanza zero è vissuto come retrogrado e anacronistico. Nell’era della rete, della virtualità, capace magnificamente di farci essere “presenti” contemporaneamente agli antipodi del mondo, abbiamo perso il piacere di confrontarci, di discutere, di fare gruppo, di unirci. Preferiamo esprimerci sui social network, sui blog, sulla rete in generale, perché è quella la società che conta, in una dimensione spersonalizzata e di grande solitudine. E di questo grande responsabilità ha la politica, incapace di dare l’esempio, in lunghi anni in cui i governi di centro- destra hanno intrecciato una forte contrapposizione con il mondo sindacale, in particolare con la Cgil, che, nonostante il tentativo trasversale di isolamento subito, non ha mai ceduto né tradito il suo Statuto. DALLA CRISI ALLE PROPOSTE: IL PIANO DEL LAVORO DELLA CGIL Davanti alla portata epocale e alla straordinaria complessità di questa crisi, a 64 anni di distanza dal Piano del Lavoro firmato da Giuseppe di Vittorio, la Cgil il 26 gennaio 2013- in occasione della sua Conferenza di Programma- lancia un “secondo “ Piano del Lavoro: Creare Lavoro per dare futuro e sviluppo al Paese”. Forti le analogie tra l’Italia di allora e quella di oggi: nel ’49 c’era l’esigenza di ricostruire dalle macerie di un conflitto mondiale, oggi da quelle di una devastante crisi economica. Il Piano del lavoro è un piano di legislatura per una nuova politica industriale, sociale e ambientale, fondata su una nuova politica fiscale. Indirizzare le risorse, pubbliche e private, verso l’innovazione e i beni comuni, nella ferma consapevolezza che “non si aprirà una nuova stagione di crescita e sviluppo se non si riparte dal Lavoro e dalla creazione di Lavoro”. Per ristabilire l’equilibrio bisogna partire da una riforma del sistema fiscale: è questa la leva su cui incidere per recuperare capacità di spendita e riattivare i consumi. In Italia il prelievo fiscale è fra i più alti d’Europa- pari al 44% nel 2013, con proiezioni di un livello stabile ben oltre il 44% anche per il 2014- peccato che ad esso non corrisponda la stessa offerta di infrastrutturazione e servizi presente in altri paesi europei. Il Rilancio della crescita economica del paese passa necessariamente, da un lato, attraverso una rimodulazione del peso fiscale, secondo un criterio solidaristico e progressivo, e dall’altro, una ferma lotta all’evasione fiscale coniugata a una decisa tassazione sulle rendite finanziare e sui patrimoni immobiliari, in linea con gli altri paesi europei. Due facce della stessa medaglia: prima di tutto ridurre le tasse sul lavoro, sia per la parte a carico dei lavoratori, che vedono così assottigliarsi il loro reddito, già gravato dalla grande varietà di tasse esistenti in Italia, e si sa che una crescente pressione fiscale deprime i consumi, sino a diminuire le entrate stimate (IVA), sia per la quota a carico delle imprese, scoraggiate nei confronti delle assunzioni; contestualmente, l’eliminazione del fenomeno di elusione fiscale permetterebbe il recupero di importanti somme che andrebbero a incidere positivamente nel costante e deciso assorbimento del deficit pubblico e che in parte potrebbero essere destinati anche ad aumentare le detrazioni fiscali su salari e pensioni a sostegno delle famiglie. Un nuovo patto sociale, dunque, che metta al centro una nuova idea di società civile, che metta insieme alcune esigenze fondamentali, ovvero il ripristino di una cultura delle regole, insieme a una nuova responsabilità della “cosa pubblica”, e di riflesso, un governo credibile e autorevole capace di imporre a tutti, in modo equo e proporzionale, i sacrifici necessari per ridurre il debito e riavviare l’economia, superando la logica del condono o le sacche di privilegio, esenti dal concorrere al bene comune. L’esempio dello scudo fiscale varato lo scorso anno rende bene il concetto. Sempre nel segno dell’equità, è necessario procedere concretamente verso una razionalizzazione dei costi: non tagli lineari in comparti strategici importanti del settore pubblico come la scuola, la sanità, la ricerca e l’innovazione, ma indirizzati verso gli sprechi e i privilegi che si annidano nella politica e fra i manager della Pubblica Amministrazione (vitalizi, pensioni d’oro, benefit, scorte non giustificate, rimborsi elettorali spropositati). Si renderebbero in tal modo disponibili risorse da destinare a una reale politica di programmazione di interventi a sostegno dell’economia: un piano di Investimenti capace di riattivare l’economia e di generare benessere per la collettività. In questo senso, l’intervento pubblico come soggetto atto a governare processi economici e sociali deve essere forte e deciso. In Italia, si è maldestramente pensato al contenimento del debito pubblico, anziché sostenere la domanda, e quindi, il rilancio dell’economia attraverso un piano di massicci investimenti in settori strategici capaci di invertire la rotta e riattivare l’occupazione, e quello delle costruzioni, nel suo insieme, è notoriamente anticiclico per eccellenza. Da questa crisi, ne siamo convinti, se ne esce soltanto rimettendo al centro dell’azione economica e dell’agenda politica del governo, il Lavoro. Le disuguaglianze cresciute in questi anni misurano la mancanza di Lavoro, perché è da lì che nascono. L’impostazione innovativa del Piano del Lavoro della Cgil parte dal presupposto avanguardista che la prima grande ricchezza dell’Italia è se stessa, il suo territorio, il suo patrimonio ambientale, storico, paesaggistico, la sua capacità di progettare e saper fare che trova la sua consacrazione nel made in Italy. La rivoluzione, prima di tutto culturale, richiamata nel Piano del Lavoro, individua nella cultura del Lavoro- che determinò il miracolo economico degli anni ’60- una delle ricchezze da cui ripartire per riprogettare il paese. Nelle azioni individuate dalla Cgil per cogliere l’obiettivo della buona occupazione si sposano coerentemente le proposte della Fillea per rilanciare il settore nel segno dell’utilità sociale e ambientale, del miglioramento della qualità della vita, e soprattutto all’insegna della qualità dell’impresa e del Lavoro. Sono 7 le proposte che la Fillea fa per dare nuovo impulso al settore, recuperare migliaia di posti di lavoro e generare un processo virtuoso su tutta la filiera delle costruzioni: - riassetto idrogeologico - riduzione consumo di suolo - riqualificazione urbana - efficienza energetica - energie rinnovabili - prevenzione sismica - infrastrutture Tante sono state le proposte avanzate in tal senso in questi anni, e condivise, peraltro, anche con il mondo imprenditoriale, in occasione degli Stati Generali delle Costruzioni, già nel 2009, finalizzate ad un inversione di tendenza riconducibile all’effetto moltiplicatore esercitato dall’edilizia. Interventi concreti quali il superamento del patto di stabilità per quei comuni virtuosi rispetto all’attivazione di quella miriade di opere immediatamente cantierabili, al di sotto della soglia dei 5milioni di euro, che permetterebbero già da sole di innescare un’inversione di tendenza. Richieste che, a tutt’oggi, rimangono inascoltate e disattese, davanti a uno stillicidio devastante e a un’emorragia inarrestabile di posti di lavoro. Quando ancora si piangevano le vite spezzate dall’alluvione consumatasi a Capoterra nel 2008, una nuova tragedia ha colpito la nostra regione: i morti di Olbia dello scorso novembre sono vittime di una politica ceca, devota al condono, allo spreco e al malaffare, incapace di individuare nell’opera di prevenzione la duplice funzione di messa in sicurezza del territorio e di nuova occupazione. Mi chiedo che senso abbia utilizzare risorse pubbliche per ricostruire laddove la furia della natura si è ripreso il suo spazio, piuttosto che, invece, ricostruire altrove, nel rispetto del territorio e delle sue regole. La sostenibilità, in questo senso, è una scelta irreversibile per quanto riguarda la nostra categoria: l’unica opzione capace di coniugare sviluppo economico, salvaguardia ambientale e tutela sociale. Il collasso ambientale a cui ci rimandano i fatti richiamati è il risultato impietoso di quanto sia stato prodotto da un liberismo sfrenato e da un processo di globalizzazione avvitato su se stesso, da un sistema industriale basato sul consumo illimitato delle risorse, che ormai è superato e va aggiornato. E’ questa l’idea della Fillea : un nuovo modello di sviluppo declinato in termini di sostenibilità e eco- compatibilità. No a un’ulteriore cementificazione del suolo ma recuperare l’esistente e costruire diversamente, sviluppando la ricerca tecnologica dei processi produttivi, dei materiali da costruzione in un crescente impatto zero con la dimensione ambientale. In questa partita si gioca il futuro della Sardegna. Negli anni di queste legislature sprecate, il manipolo di luminari a cui i sardi hanno affidato la loro terra ha perseverato in una condotta miope e dilettantistica, senza avere la benché minima idea di quali fossero gli interventi capaci di avere un riflesso, in termini di tutela ambientale ma anche di sviluppo e quindi di occupazione. Ci si è esercitati invece nel tentativo sistematico di demolire un piano paesaggistico che- aldilà di alcune rigidità da limare- ha avuto il merito di stabilire delle regole (troppe forse?), per dare, invece, risposte a subdoli appetiti di parte: si capisce bene che per una regione che punta sul turismo, attratto dalle sue bellezze naturali, puntare sulla cementificazione delle coste è un’idea da premio Nobel. In una situazione di colpevole immobilismo, dove l’economia locale langue, le imprese muoiono, il ricorso agli ammortizzatori sociali è tristemente diventato l’unica ancora di salvezza per le migliaia di lavoratori espulsi dal mercato del lavoro, ci si è perversamente dilettati nel parto di ben 4 piani casa, che non hanno avuto nessun effetto, neppure per le lobby che in un primo momento l’avevano salutato positivamente. Per parlare di Noi, Noi Sardi, credo che il risultato elettorale scaturito dalle elezioni rappresenta un crocevia dirimente per la ripresa e un’opportunità verso la via dello sviluppo. Grandi aspettative certamente da questo risultato elettorale perché grandi sono le priorità di questa Sardegna: lavoro, scuola e burocrazia sono nodi da troppo tempo irrisolti, su cui si gioca certamente una partita importante per il futuro di questa regione. Ridare centralità al lavoro in una terra martoriata da false promesse e tanta demagogia in anni in cui ha prevalso una gestione personalistica, rispondente alle richieste di oligarchie che mai hanno avuto a cuore i destini della Sardegna e di Noi Sardi. La Sardegna torna nelle mani dei Sardi, solo il tempo ci consegnerà un giudizio sull’operato di questa fase che si è aperta il 16 febbraio. Certamente il 52% dei Sardi ha deciso di non esprimere il proprio voto, e questo è un dato che deve far riflettere la classe politica vincitrice di questa competizione elettorale. Ad essa il compito e il dovere di riavvicinare i Sardi alla politica, attraverso azioni concrete che parlino dei bisogni reali delle persone, della società, colmando quella distanza, quella disaffezione, e quella sfiducia che i dati sull’astensionismo chiaramente certificano. Bisogna partire subito, e velocemente, perché la condizione attuale vissuta da migliaia di lavoratori, incastrati in un sistema di ammortizzatori sociali inadeguato e iniquo, ha bisogno di rapidità: va dato subito un segnale al mondo del lavoro rimasto in questi anni inascoltato e mortificato. Auspichiamo l’avvio di un nuovo ciclo della politica, recuperando il suo valore originario di governo dei processi economici e sociali a servizio delle persone. Memori degli errori del passato, rinnoviamo anche l’auspicio per la creazione di ampi processi di condivisione e coinvolgimento di tutti i soggetti della società e gli operatori dei settori al fine di addivenire a soluzioni partecipate e non calate dall’alto. QUADRO DEL SETTORE COSTRUZIONI IN PROVINCIA DI CAGLIARI I dati certificati dalle casse edili ci consegnano un quadro allarmante e in caduta libera. I numeri impietosi e freddi aiutano a capire l’emergenza vissuta da migliaia di lavoratori espulsi dal settore. Rispetto al sistema Edilcassa, nel semestre gennaio- giugno 2007 il numero degli addetti nel settore era di 6755 con un monte ore lavorato pari a 4.350.000, nel semestre gennaio- giugno 2013 gli addetti si sono dimezzati con un calo del 57% di ore lavorate pari a 1.881.000. Per la Cassa Edile di Cagliari la situazione non cambia: per l’annualità 2007- 2008 si contavano 6376 addetti con un monte ore lavorate di 6.205.000 per passare tra il 2012 e 2013 a 3650 addetti e 3.100.000 ore lavorate; anche qui la riduzione è del 50% secco. *DATI ANDAMENTO CASSA EDILE **DATI ANDAMENTO EDILCASSA La filiera dei materiali da costruzione non attraversa una fase migliore. Il comparto del legno è stato completamente spazzato via, con la totalità delle realtà produttive locali coinvolta da ammortizzatori sociali , in alcuni casi a zero ore; il settore dei laterizi e manufatti in cemento arranca fra mille difficoltà, prima fra tutte l’annosa questione dei costi energetici che incide sulla competitività e che non ha ancora trovato ascolto da parte delle istituzioni regionali. La condizione del settore dei lapidei, tradizionalmente articolato in piccole realtà di natura più che altro familiare, non si discosta dal contesto di gravissima drammaticità dell’intera filiera. Anche il settore cemento, pur facendo riferimento ad un grande colosso nazionale, e che in una prima fase è parso salvarsi dalla crisi, da ultimo è stato inserito in un programma di ristrutturazione aziendale nazionale. Questo quadro desolante ci chiama tutti, insieme a Filca, Feneal e alle Confederazioni, a mobilitare l’attenzione su una vertenza compiuta e complessiva per il settore, che richiami alle responsabilità i soggetti deputati al fine di dare risposte concrete al territorio che si traducano in scelte che parlino di occupazione e rilancio del tessuto produttivo locale. A tal proposito salutiamo positivamente il Piano triennale delle Opere pubbliche 2014- 2016 presentato dal Comune di Cagliari a luglio 2013 e di cui ci sono stati forniti gli aggiornamenti in termini di attuazione e realizzazione dei lavori, qualche settimana fa dallo stesso sindaco Zedda e dall’Assessore ai lavori Pubblici Marras. Un piano di investimenti consistente pari a 343 milioni di euro nel triennio di cui 87 milioni di opere già aggiudicate e 72 milioni di interventi prossimi alla fase finale dell’iter procedurale di aggiudicazione, per un totale di 160 milioni. Interventi volti al miglioramento della viabilità, rifacimento e riqualificazione delle piazze cittadine, messa in sicurezza del patrimonio scolastico, impianti sportivi, riqualificazione del lungo mare Poetto, già partito, manutenzione immobili comunali, edilizia residenziale pubblica e beni culturali. Un programma imponente di cui ci interesserebbe capire quali ricadute occupazionali produrrà sul territorio cagliaritano; a tal proposito auspichiamo la costruzione di protocolli d’intesa che possano costruire opportunità di lavoro sul territorio, in grado di neutralizzare la polverizzazione già tipica del settore e vincolare le imprese vincitrici al rispetto del contratto nazionale e delle condizioni integrative previste, in un fronte comune contro l’irregolarità, l’elusione, affermando la sicurezza del lavoro come valore imprescindibile. Altrettanto allettante risulta la possibilità che la città si aggiudichi lo status di Città Metropolitana che varrebbe un altro 5% delle risorse della programmazione europea destinata appunto alle città metropolitane. Il tessuto produttivo locale presenta storicamente un sistema di micro-imprese sotto-capitalizzate, che si addensano sull’offerta dei piccoli appalti pubblici in una lotta perpetua per accaparrarsi fette di lavoro nelle più svariate forme di sub-appalto e secondo le regole del massimo ribasso, fattori che si ripercuotono sistematicamente su tutti i frammenti del processo produttivo, dal costo delle maestranze alla sicurezza. L’edilizia privata di tipo residenziale non rappresenta più uno sbocco occupazionale per i lavoratori del settore, a causa di una grossa fetta di invenduto e della condotta più restrittiva delle banche. Sotto il segno di una crescente precarizzazione e parcellizzazione delle unità imprenditoriali, accentuata dalla crisi degli ultimi anni senza dubbio, ha preso piede il fenomeno delle ditte individuali e delle partita iva, che molto spesso mascherano forme di lavoro subordinato a tutti gli effetti ma che bene rispondono alle esigenze di risparmio di quelle imprese “pirata”, che falsano il sistema e lo dequalificano. Non è pensabile, lo abbiamo ripetuto mille volte, che si diventi titolari di un’impresa attraverso la semplice iscrizione alla Camera di Commercio, senza alcun tipo di qualificazione, senza alcun bagaglio di competenze specifiche, senza una solida struttura finanziaria e un’adeguata dotazione tecnologica. Ciò non fa altro che appesantire un sistema già estremamente fragile, cresciuto massicciamente negli anni dopo Tangentopoli, che ha iniziato a rallentare già a partire dal 2008, seppure allora si trattasse di un calo fisiologico, e che la crisi degli ultimi 6-7 anni ha completamente ripiegato su stesso perché probabilmente la straordinaria crescita conosciuta dal settore ha interessato solo l’aspetto quantitativo, senza sviluppare una vera politica industriale come antidoto alle involuzioni del mercato. Accanto al nanismo cronico di cui è affetto il sistema d’impresa locale- rese ancora più vulnerabili dalla crisi, anche per effetto della stretta creditizia da parte degli istituti bancari, si è consumata un'altra metamorfosi del modello classico di impresa: da imprese fondate sul Lavoro, sulla professionalità delle maestranze, su know how spendibile e riconosciuto sul mercato a scatole vuote, immobiliari senza lavoratori, orientate esclusivamente alla speculazione, che annichiliscono il valore del Lavoro e fanno male all’intero sistema. Per noi rimane sempre attuale l’idea del “cantiere qualità” lanciata qualche Congresso fa e purtroppo ancora lontana. Ed è a tutti i sistemi d’impresa e associazioni datoriali del settore che rivolgiamo, ancora una volta, l’appello di veicolare, al loro interno, la necessità non più procrastinabile di uscire da queste ambiguità per costruire sinergicamente una rete di impresa dove la qualità, la legalità e la sicurezza sono fattori qualificanti, sono i criteri a cui le imprese devono rispondere per poter accedere e operare nel mercato e non siano vissuti invece come orpelli, gabole e restrizioni da aggirare. Noi crediamo che paradossalmente questa crisi possa aiutare a ri-fondare il sistema di impresa, selezionando le imprese “buone” e espellendo quelle realtà che alterano il mercato e rappresentano uno dei costi più alti per i loro competitor sullo stesso segmento. Verso una crescita qualitativa, quindi. Per fare questo occorrono regole certe e esigibili che garantiscano una tutela reale: in Italia si ha la tendenza a declinare le norme in un groviglio incomprensibile di procedure lunghissime, autorizzazioni a più livelli e discrezionalità degli uffici, con l’unico risultato di sclerotizzare il contenuto normativo, produrre solo burocrazia e fermare l’iniziativa dentro le aule del Tar o del Consiglio di Stato. Una semplificazione normativa da cui si evinca un diritto e una colpa all’interno di un perimetro di azioni chiaramente consentite e chiaramente vietate. In questo senso, auspichiamo un livello di interlocuzione istituzionale elevato da cui, con il più ampio coinvolgimento possibile delle parti sociali e di tutti gli operatori del settore, si possano costruire scelte ampiamente condivise e da cui far scaturire sinergie positivamente recepite dalla collettività interessata. CONTRATTAZIONE E ENTI BILATERALI La contrattazione e il suo esercizio sono per il nostro Sindacato elementi essenziali per svolgere la funzione di rappresentanza dei lavoratori. Il CCNL è uno strumento indispensabile per garantire inclusione sociale e proteggere il potere d’acquisto dall’inflazione, tutelando condizioni economiche e avanzamenti professionali su tutto il territorio nazionale. Questo vale ancor di più oggi. Il 2013 è stato un anno importante per la categoria che ha rinnovato unitariamente e positivamente tutti i contratti nazionali, ad esclusione del contratto edilizia industria e cooperazione. I risultati raggiunti negli altri contratti, a partire da quello del cemento, primo fra tutti ad essere stato rinnovato, sono da ritenersi soddisfacenti, con un discreto aumento retributivo e l’allargamento di alcune tutele relative per esempio alla previdenza complementare e al contenimento dei tentativi di precarizzazione dei processi produttivi. La partita ancora aperta con Ance e Coop fa capire che dietro l’alibi delle esigenze di flessibilità di un’organizzazione produttiva sempre più frammentata, in realtà c’è spesso l’esclusivo interesse delle imprese a ridurre i costi a scapito del salario. Il sistema bilaterale, nato dalla contrattazione per rispondere positivamente alle peculiarità del cantiere, in primis la sua temporaneità e mobilità sul territorio, è un elemento importantissimo per dare applicazione e certezza ad alcuni specifici istituti di natura salariale quali le ferie, la tredicesima, gli scatti di anzianità, ma anche altre materie importantissime come la formazione e la sicurezza. Rammarica constatare che per le nostri controparti la bilateralità sia diventata un costo: per noi rimane una conquista e un’opportunità per tutto il sistema che non può certamente diventare oggetto di scambio. Se la modernità deve tradursi in un arretramento su diritti consolidati, certamente non può esserci convergenza delle posizioni. La bilateralità del settore è un valore da difendere e valorizzare in virtù della sua azione strategica nell’ambito della mutualità e assistenza, della formazione e della sicurezza. Certamente, il contesto attuale pone forte l’esigenza di una riforma del sistema bilaterale da cui siamo consapevoli dipende la sua difesa. La condizione attraversata dagli enti anche in provincia di Cagliari rispecchia la generale situazione di difficoltà: il vertiginoso calo di tutti i principali indicatori (massa salari- ore lavorate- n° lavoratori- n° imprese- ore cig) disegnano un quadro allarmante che ci consegna l’obbligo di agire per mettere in sicurezza il sistema. Un processo di riorganizzazione degli enti che attraverso l’efficientamento delle risorse consenta agli enti di continuare ad operare secondo la mission per cui sono nati, senza snaturarne finalità e obiettivi, come soggetti contrattuali al servizio del sistema e non sostitutivi di funzioni propriamente pubbliche. Ed è proprio nell’ottica di “fare sistema” che a Cagliari si è proceduto all’unificazione della Scuola Edile e del CTP, le cui funzioni di formazione e sicurezza si intrecciano coerentemente. In Edilcassa si è approdati, con grande senso di responsabilità anche degli stessi lavoratori, a un contratto di solidarietà che ci auguriamo possa traghettare l’ente, fra un anno, a nuovi lidi di ripresa. Con tutta probabilità, anche per la cassa edile si renderà necessaria una scelta analoga. Riteniamo positiva la discussione in atto a livello regionale sull’unificazione di tutti i sistemi contrattuali in un’unica cassa edile, un approdo che non può più essere rimandato, a maggior ragione in un momento in cui la crisi ha amplificato le criticità legate a un sistema frammentato che, se perseverasse nella direzione attuale, metterebbe in serio rischio la sostenibilità stessa del sistema. Questo consentirebbe una omogeneizzazione delle prestazioni per lavoratori e imprese, Il senso di responsabilità ci richiama tutti a spenderci per far si che questo pericolo venga scongiurato, nell’interesse bilaterale dei lavoratori e delle imprese. Purtroppo, a oggi, non è stato ancora rinnovato l’integrativo provinciale degli edili, sia nella sua dimensione provinciale che regionale: un fatto gravissimo che non può trovare nella crisi un’alibi. La contrattazione integrativa va estesa e sviluppata in forme nuove, che coniughino anche la complessità dei processi produttivi moderni, in realtà produttive dove spesso convivono, fianco a fianco, lavoratori inquadrati in diversi contratti di riferimento, con condizioni salariali e retributive diverse. La contrattazione di filiera o di sito come la contrattazione d’anticipo sono momenti molto importanti da sviluppare e sperimentare perché consentono di implementare aspetti di qualità del cantiere, anche prima della sua fase di avvio, come nel caso della concertazione preventiva, che consente di coinvolgere anche le istituzioni e i rappresentanti del territorio. DEMOCRAZIA E RAPPRESENTANZA La nostra categoria vive la dicotomia del processo produttivo legato alla fabbrica e la specificità dell’unità cantiere. Da qui discendono due problemi opposti: in edilizia, poiché la contrattazione di II livello si articola sul livello territoriale, si riesce a dare uniformità alla miriade di lavoratori dislocati nei cantieri della provincia, negli impianti fissi, invece, la contrattazione integrativa è monca perché riguarda solo le aziende più grandi. Il Testo Unico sulla rappresentanza sottoscritto il 10 gennaio 2014 da Cgil Cisl Uil e Confindustria rappresenta un punto di approdo importante, coerentemente agli accordi del 28 giugno 2011 e del 31 maggio 2013, in materia di democrazia e rappresentanza. Si definisce un modello di rappresentanza sindacale trasparente, democratico, e fortemente partecipato dall’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici, arginando la deriva degli ultimi anni fatta di intese separate, di discriminazioni ai tavoli negoziali, di limitazioni alle libertà sindacali e riconfermando il valore del CCNL come elemento di garanzia e di certezze dei diritti, sia sul versante retributivo che su quello normativo, per tutti i lavoratori e le lavoratrici su tutto il territorio nazionale. Come uscire da una spirale in cui è negato il giudizio dei lavoratori e in cui è assolutamente ininfluente chi e quanto si rappresenta? Per riportare democrazia nei luoghi di lavoro servivano regole certe e condivise. Sono 30 anni che la Cgil chiede la legge sulla rappresentanza, in applicazione all’art.39 della Costituzione, e ne ribadiamo ancora oggi la necessità, ma i lavoratori non possono aspettare i tempi di una legge o dei tribunali. Ecco perchè sono importanti questi accordi, per la prima volta sottoscritti con le controparti datoriali. Il Testo unico stabilisce - come si certificano gli iscritti- tramite un soggetto terzo- cioè la rappresentanza di ogni organizzazione sindacale deriverà dalla media tra iscritti e voti ottenuti per le elezioni delle RSU; - la partecipazione ai tavoli contrattuali non sarà scelta discrezionalmente dalle controparti, secondo un criterio di parzialità e preferenza, ma vi parteciperanno le organizzazioni che raggiungeranno una rappresentanza di almeno il 5%; - i nuovi CCNL saranno efficaci e esigibili solo se avranno il consenso del 50%+1 delle RSU insieme al 50%+1 dei lavoratori e delle lavoratrici interessati; - le RSU saranno elette proporzionalmente al voto dei lavoratori e delle lavoratrici; laddove esistono le RSU non si potrà tornare indietro alle RSA (nominate e non elette); - le RSU avranno potere decisionale sulla contrattazione di II livello come stabilito dal ccnl. Come potete ben capire, è un’idea di democrazia che dà forza e potere alle RSU perché siamo convinti che per rilanciare la contrattazione è fondamentale che chi rappresenta i lavoratori sia riconosciuto e scelto. Dal canto nostro, questo accordo sconta il limite di rivolgersi a una ridotta platea di lavoratori e non essere adeguata allo specifico produttivo e contrattuale del settore edile. Nel settore delle costruzioni ma anche nella filiera dei materiali da costruzione sono molti i lavoratori di imprese non afferenti a Confindustria ma soprattutto per il tessuto produttivo locale, fatto di aziende affette da nanismo e sottodimensionamento, ancor più sono i lavoratori dipendenti di imprese al di sotto delle 15 unità nelle quali è pregiudicato il diritto di eleggere le Rsu. Oggi, pertanto, lo sforzo e l’impegno a cui siamo chiamati tutti è come estendere gli importanti e positivi strumenti di rappresentanza e democrazia, definiti dal regolamento attuativo sottoscritto con Confindustria, a un mondo del lavoro molto più frammentato e complesso dei tradizionali agglomerati produttivi delle fabbriche, che pur conservando la loro importanza, non riflettono la complessità di alcuni segmenti produttivi altrettanto importanti. Per fare questo c’è bisogno di un Sindacato forte, che dall’intreccio sinergico tra Categorie e Confederazione, tragga la linfa necessaria a concretizzare il valore fondante della nostra Organizzazione: “aiutare chi è indietro, chi è in difficoltà, far avanzare i loro diritti affermandoli dove ci sono tutele maggiori per cercare di estenderle a tutti”. ATTIVITA’ DELLA FILLEA: COSA ABBIAMO FATTO E COSA VOGLIAMO FARE Questi lunghi anni di crisi ci hanno posto dinanzi agli occhi la complessità di un mondo del lavoro profondamente cambiato, e nel suo mutamento, maledettamente complicato anche dal versante della nostra capacità di rappresentarlo compiutamente, nella quotidiana constatazione che “la crisi esige più sindacato, e non meno sindacato”. Sui pochi posti di lavoro attivi si aggira sempre più pesantemente lo spettro della paura della perdita del posto di lavoro, e serpeggia tra i lavoratori, subdolamente insinuata talvolta dai datori di lavoro, l’idea di dover arretrare su partite conquistate, mentre fra coloro che il lavoro l’hanno perso e hanno smesso, dopo cinque anni dall’inizio di questa crisi, di cercarlo, impéra la delusione e lo scoramento. Nella nostra attività quotidiana abbiamo respinto questa idea di rassegnazione, cercando di essere in tutti i modi un porto sicuro per i lavoratori. Questi anni ci hanno visto protagonisti di vertenze e battaglie condotte al fianco dei lavoratori nell’unico vincolante imperativo di non tradire mai la fiducia che avevano riposto in noi. Ne voglio ricordare solo alcune perché rappresentative delle contraddizioni di questo tempo: - la lunga vertenza del cantiere del Carcere di Uta che ci ha visti costantemente impegnati in questi anni in una lunga battaglia di rivendicazione per la certezza del salario e dei diritti di rappresentanza: una battaglia che ha portato il cantiere all’attenzione degli organi di stampa, anche nazionali, già a partire dalla manifestazione unitaria degli edili tenutasi a Roma nel 2011, e proseguita sino a qualche mese fa. Mi sento, a questo proposito, di ringraziare Walter Schiavella e la compagna dell’Ufficio Stampa della Fillea Nazionale, Barbara Cannata, per non averci mai fatto mancare sostegno e supporto in una battaglia i cui fatti ci hanno dimostrato di aver ragione. - E ancora la battaglia ingaggiata contro l’impresa Manca a seguito dell’iniziativa del tutto unilaterale - in barba alle modalità concertative storicamente consolidate tra l’impresa e le RSU- di voler procedere al licenziamento di 5 lavoratori storici: ho ricevuto una grande lezione di sindacato in quella battaglia e per questo mi sento di ringraziare tutti i lavoratori dell’impresa Manca. Soltanto stando uniti, si vince. Per quanto riguarda gli impianti fissi, mi piace ricordare la vertenza della Duelle: - un fiore all’occhiello dell’industria locale dei serramenti in cui l’incapacità e il dilettantismo di chi doveva preservare il patrimonio professionale e umano della fabbrica ha compromesso la capacità di stare sul mercato. Anche qui scioperi, blocco dei cancelli, occupazione della fabbrica: oggi la situazione è in stand by protetta dall’attivazione di una cassa integrazione che possa nell’immediato proteggere i livelli occupazionali e garantire un minimo di retribuzione ai lavoratori. Quello che ci auguriamo, e per il quale ci spenderemo, è certamente il rilancio di questa fabbrica, anche attraverso l’intervento di nuovi soggetti e un’eventuale conversione dell’attività produttiva verso nuove fette di mercato. In quei mesi di grande fermento e preoccupazione ho avuto modo di intrecciare storie di vita e di persone che, seppure in un momento di grandissima difficoltà, hanno voluto condividere una battaglia di diritti e di lavoro. Grazie. TUTELE INDIVIDUALI: SINERGIA COI SERVIZI E’ il messaggio che cerchiamo di trasmettere anche all’altra parte della nostra Famiglia, quella composta da chi purtroppo un lavoro non ce l’ha più e vive la sua vita nell’anelito di poter concretamente disporre di risorse che a oggi sono ancora un vergognoso miraggio. La trasformazione del mondo del lavoro, la necessità di dover dare una risposta e di voler rappresentare centinaia di disoccupati, di lavoratori dotati di grande professionalità, espulsi dal sistema produttivo perché fagocitati da questa crisi, ci ha messi davanti alla pressante necessità di ripensare la nostra azione anche in termini di tutela individuale. Dal 2011 abbiamo messo in piedi un progetto mirato, che, nel tempo, ha dato i suoi frutti anche dal punto di vista del proselitismo, contribuendo grandemente a fidelizzare centinaia di quei lavoratori ancora più “invisibili” perché fuori da un posto di lavoro. La Conferenza dei Servizi tenutasi in Sardegna, e anche a Cagliari nel 2012, ha rappresentato un momento importante per la nostra organizzazione, assumendo un valore aggiuntivo perché svoltasi proprio all’apice del gravissimo contesto di crisi. In un momento di totale precarietà e instabilità del mondo del lavoro, in una condizione sociale complessiva di emergenza, non più solo di povertà ma di progressivo impoverimento con un conseguente arretramento della condizione reddituale di lavoratori e pensionati, abbiamo sentito ancor più forte l’esigenza di intercettare bisogni nuovi e saperli rappresentare, in un binomio sempre più stringente fra tutela collettiva e tutela individuale. Una situazione questa che fa il paio con la scelta dello Stato di delegare, in maniera esponenziale, a patronati e centri fiscali funzioni proprie del pubblico. Da qui è scaturita l’esigenza di darsi un nuovo assetto organizzativo, sulla scorta di quanto deciso già nel 2008, in occasione della Conferenza di Organizzazione, e che ha un significato tutto politico, Da questo punto di vista, credo di non fare un torto a nessuno affermando che su questo versante la Fillea sia stata avanguardista rispetto a temi come - REINSEDIAMENTO - INTEGRAZIONE - PROSELITISMO In ordine, il REINSEDIAMENTO è un tratto specifico dell’attività svolta dalla Fillea ; è nel suo DNA. La disomogeneità e la polverizzazione dei luoghi di lavoro non permette di “incontrare” i lavoratori solo sui luoghi di lavoro. Per noi, per la Fillea, stare sul territorio è un’esigenza naturale, significa andare incontro alla precarietà, all’incertezza, all’instabilità propria del settore e dargli voce. Da anni, siamo presenti con cadenza settimanale sul territorio (Quartu, Muravera, Sinnai, Burcei, Dolianova, Senorbì) e in alcuni periodi dell’anno- in occasione delle campagne di tesseramento e proselitismo legate alla vecchia mini- aspi- abbiamo rafforzato la presenza anche in altre sedi camerali; un modo per stare al passo e intercettare i nuovi bisogni sociali dei lavoratori. E’ qui che trova compimento la sinergia tra categorie e i Servizi della Cgil, il patronato INCA e i nostri CAAF, nel dare concretezza alla decisione di stare sul territorio, di accorciare le distanze e avvicinarsi alla gente, allontanando quell’avvilente analogia che può farci percepire come una realtà afferente al pubblico o a una casta. Solo il rapporto diretto con i lavoratori che ci onoriamo di rappresentare può darci la legittimità della rappresentanza. Il territorio dunque come un’opportunità e una risorsa, non come un costo. Ecco perché crediamo molto nel progetto delle Zone camerali, che deve essere valorizzato e rilanciato in nome della Confederalità. In questi ultimi anni, siamo riusciti a sviluppare ancor di più sinergie “intelligenti” con i Servizi, che rappresentano uno strumento di eccellenza nella tutela individuale dei nostri lavoratori. Un’integrazione, quella con i Servizi, che va sviluppata e valorizzata per fare la differenza, nella convinzione che è la categoria la porta attraverso cui ci si avvicina alla Cgil e rappresenta, senza alternative, la soluzione endemica al problema delle risorse, all’implicazione economica che lo stare sul territorio comporta, ovvero fare PROSELITISMO. Fare sistema fra Servizi e categorie al fine di potenziare e qualificare l’offerta delle tutele individuali significa allargare la nostra base di rappresentanza, intercettare persone che altrimenti non saremmo in grado di avvicinare, e per fare questo bisogna essere protagonista del proprio territorio, conoscerlo e orientarlo. Credo fermamente, e ancor di più oggi, che si debba tornare a coltivare il seme della militanza per la creazione di una solida rete di delegati sul territorio, capaci di essere punto di riferimento nel territorio e per il territorio, superando auto- referenzialità di gruppi dirigenti ma realizzando nella sua essenza, lo spirito, la vocazione e la missione della Cgil: “stare fra la gente” nell’interesse dei lavoratori. Il dato consuntivo 2012 attesta la categoria su 3100 iscritti (1° categoria dell’industria e 2° nella CdL di Cagliari); un traguardo importante considerato il contesto, che è stato possibile mantenere attraverso l’attività diretta sui cantieri ma anche attraverso la funzionalizzazione delle attività legate alla tutela individuale e agli ammortizzatori sociali. A tal proposito sono significativi i dati certificati dal nostro sistema Inca relativamente all’attività svolta dalla categoria nell’ambito delle tutele individuali: nel periodo 01/01/2013 al 23/09/2013 sul dato complessivo di categoria a livello regionale, la struttura di Cagliari ha inciso sino a oggi per n° 1197 pratiche relative a ammortizzatori sociali ordinari; ciò significa che da sola la struttura di Cagliari - a consuntivo sino a settembre -si avvicina al dato totale regionale registrato dalla categoria (n°1978) al 30/08/2012. Anche sul versante degli ammortizzatori sociali in deroga, rispetto ai quali la Fillea è impegnata a vantaggio dei lavoratori già dal 2010, i numeri subiscono incrementi importanti: se a settembre 2012 le pratiche seguite ammontavano a n° 894 (592 proroghe e 302 prime concessioni), oggi si contano n°367 nuove prime concessioni e un totale di n° 1112 proroghe di diverse annualità. La nuova sindacalizzazione resta il nostro obiettivo, politico prima di tutto, per le implicazioni che esso comporta anche in termini di rappresentanza e rappresentatività, ma anche perché è la nostra fonte di autonomia che ci permette di programmare, attuare e cogliere gli obiettivi della nostra agenda sindacale. La tabella che segue mette a confronto i dati certificati dalla Cassa Edile e dall’Edilcassa, e dalla quale si evince una sostanziale tenuta sul primato della Fillea rispetto sia alla rappresentanza, che misura la sindacalizzazione sul totale dei lavoratori attivi, iscritti alle Casse, compresi i non sindacalizzati, sia alla rappresentatività, correlata, invece, ai soli lavoratori sindacalizzati. Prendendo a riferimento il dato annuale dell’ultimo periodo, ottobre 2012- settembre 2013, in Cassa Edile si riscontra un tasso di sindacalizzazione pari al 52.15%, con un margine di nuova sindacalizzazione di ben 47.84%; in Edilcassa, seppure con una lieve differenza positiva, il dato è similare, con un tasso di sindacalizzazione del 55% e uno speculare margine di nuova fidelizzazione pari al 45%. E’ chiaro che la nostra azione futura deve essere profusa per cercare di abbassare la soglia dei lavoratori non sindacalizzati sul territorio. % RAPPRESENTATIVITA' % RAPPRESENTANZA CASSA EDILE CAGLIARI FILLEA FILCA FENEAL FILLEA FILCA FENEAL OTTOBRE 2012- SETTEMBRE 2013 59.89 24.29 15.82 31.24 12.67 8.25 APRILE- SETTEMBRE 2013 58.01 25.62 16.37 29.84 13.18 8.42 OTTOBRE 2012- MARZO 2013 60.16 24.25 15.57 31.85 12.84 8.24 OTTOBRE 2011- SETTEMBRE 2012 57.06 27.12 15.81 29.73 14.03 8.18 % RAPPRESENTATIVITA' % RAPPRESENTANZA EDILCASSA SARDEGNA FILLEA FILCA FENEAL FILLEA FILCA FENEAL OTTOBRE 2012- SETTEMBRE 2013 60.21 18.99 20.79 33.11 10.44 11.43 APRILE- SETTEMBRE 2013 60.99 18.65 21.24 32.11 9.96 11.35 OTTOBRE 2012- MARZO 2013 60.36 19.53 20.10 26.12 8.45 8.69 OTTOBRE 2011- SETTEMBRE 2012 59.27 20.50 20.22 24.76 8.56 8.45 CONFEDERALITA’ La fase che per noi si chiude con questo Congresso è stata una stagione all’insegna della Confederalità e dell’Unitarietà del Sindacato, valori importanti che devono essere valorizzati e perseguiti, replicando il coinvolgimento e la partecipazione di tutti i lavoratori nell’interesse dei lavoratori stessi. Appuntamenti importanti che ci hanno visto partecipare alla Manifestazione Nazionale di Cgil Cisl e Uil tenutasi a Roma il 16 aprile 2013 per rivendicare adeguati finanziamenti per gli ammortizzatori in deroga, richiamati il 24 maggio con una manifestazione indetta dalle segreterie confederali regionali a Cagliari, propedeutica alla manifestazione nazionale del 22 giugno a Roma dal titolo “Lavoro è democrazia”. Il 15 novembre abbiamo partecipato alle 4 ore di sciopero, con un presidio in P.zza del Carmine, per manifestare il nostro dissenso verso una legge di stabilità che non prevedeva alcun segno di discontinuità rispetto al passato nel segno del Lavoro, dell’equità e dell’uguaglianza. Sono tanti i sit - in e i presidi messi in campo per sollecitare lo sblocco delle risorse sugli ammortizzatori sociali a cui abbiamo partecipato per iniziativa confederale. La rivendicazione, insieme alla contrattazione, sono i momenti più alti e gratificanti del nostro essere Sindacato, ed è questa la strada che vogliamo continuare a percorrere. Quando ho iniziato quest’esperienza nella Fillea, quasi 8 anni fa, non sapevo cosa mi aspettava. Volevo viaggiare, conoscere il mondo, mettendomi al servizio di chi ha poco o niente. Ho capito subito che sarebbe stata un’avventura totalizzante: per anni ho vissuto il complesso di scontare la doppia colpa di essere contemporaneamente “giovane” e “donna” e seppure, non lo nascondo, siano stati diversi i momenti in cui è stata fortissima in me la sensazione di non sentirmi all’altezza delle responsabilità che l’organizzazione mi chiamava a esercitare, ho cercato rifugio e forza nelle storie e nelle vita di tutti quei lavoratori, compagni di vita, che riconoscevano nella Fillea un punto di riferimento che non poteva tradirli e abbandonarli. A tutti Voi, che oggi siete delegati a rappresentare una parte di quelle vite, ai Compagni del Direttivo che mi hanno accolto in questa grande Famiglia, riservandomi grande fiducia, ai Compagni della Segreteria che hanno camminato con me in questi mesi, alle Compagne e ai Compagni della Struttura di Cagliari, che non si risparmiano mai, con una dedizione e una devozione che fa la forza di questa Fillea, alla Segreteria della Fillea Nazionale che mi ha dato questa grande opportunità, a Carmelo per il suo esempio di integrità ed etica, e a Chicco, un padre, un fratello, un Amico, un Compagno, un maestro che mi ha insegnato tutto in questi anni di esperienza in Fillea e di cui custodisco sempre la lezione più preziosa: “mai tradire il mandato di fiducia che ti danno i lavoratori”, rivolgo il mio Grazie più sincero. Come in una grande Famiglia, ci sono le discussioni e i confronti che mai devono mancare nel segno di quel pluralismo che contraddistingue la nostra Organizzazione, ma sempre come in una grande Famiglia, sappiamo essere capaci di stringerci forte forte nella consapevolezza più grande che Uniti non ci ferma Nessuno. “Ci si salva e si va avanti Se si agisce insieme E non solo Uno per Uno” (E. Berlinguer)

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