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18.03.14 Si è concluso il 21 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Arezzo. Di seguito la relazione del segretario uscente Andrea Bertelli, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
L'importanza di un Congresso è direttamente proporzionale ai contenuti che riusciamo ad esprimere durante il suo svolgimento. I contenuti derivano dal contributo che che ognuno di noi riesce a portare per valorizzare i temi di fondo proposti dalle mozioni Congressuali. Contributi che possono essere anche fortemente critici, purchè siano finalizzati a proporre qualcosa di costruttivo ,la polemica fine a se stessa non ci appartiene, non è patrimonio culturale della CGIL. Parto da qui perchè ritengo che mai come ora ,la nostra Organizzazione abbia necessità di effettuare una profonda riflessione sul proprio modo di essere Sindacato, sul proprio modo di fare Sindacato. Penso che si debba adeguare la nostra azione ai cambiamenti in atto,si debbano modulare la velocità di analisi, elaborazione e proposta ai tempi sempre più frenetici del mondo odierno. Oramai per definire il periodo di crisi che stiamo passando ,sono stati utilizzati tutti gli aggettivi possibili, ma credo che nessuno di questi riesca a far percepire nella sua interezza la portata e l'effetto devastante che ha avuto, sta avendo ed avrà non soltanto nel mondo del lavoro , ma nel tessuto sociale del nostro paese. Quando abbiamo svolto il nostro congresso nel 2010 eravamo già dentro un percorso involutivo dell'economia , il settore delle costruzioni ,già allora, registrava un -20% rispetto al 2008, ricordo che nelle grandi aziende si parlava del precariato e dei subappalti come di coloro destinati a subire gli effetti della crisi, in molte aziende si parlava per la prima volta di cassa integrazione e mobilità . La fotografia attuale è desolante, FORNACE BAGLIONI, LACA,FAMAR COTTO, ICIENNE,POLISTAMP LEGNO ,PROFER sono alcuni degli esempi di aziende che avevano i loro delegati con noi al Congresso 2010 ed oggi non esistono più, nell'arco di 4 anni abbiamo perso nella nostra provincia migliaia di posti di lavoro che non recupereremo mai , sono scomparse attività e con loro professionalità importanti. Avevamo in Provincia due territori che avevano maggiormente sviluppato il settore manifatturiero nelle costruzioni, il valdarno ed il Casentino, sviluppo che aveva portato benessere e qualità della vita mediamente più alta rispetto al resto della Provincia. Oggi questi territori sono quelli che mostrano la corda, il Casentino, con la crisi della MABO e di conseguenza del suo indotto sta vivendo una recessione spaventosa , il Valdarno ha visto crollare tutti quei mercati che avevano garantito benessere e perciò si sta lentamente spegnendo. Questo andamento dell'economia dovrebbe portarci a delle riflessioni molto più profonde rispetto al passato, per esempio mi domando se è ancora utile spendere risorse per mantenere in vita aziende tecnicamente morte o forse sarebbe meglio operare una profonda revisione degli ammortizzatori sociali per destinare gli aiuti alle imprese che possono creare nuova occupazione . Occorre ritornare alla logica per la quale erano nati gli ammortizzatori sociali, la cassa integrazione per crisi temporanee, gli altri ammortizzatori per crisi strutturali , accompagnandoli con politiche attive del lavoro attraverso percorsi continui di riqualificazione, riqualificazione vera ,finalizzata a coprire le richieste di professionalità . Penso che si debba fare un riassetto complessivo delle tutele per i lavoratori e le imprese, non ha alcun senso parlare di cassa integrazione “in deroga” dal 2008, il problema è strutturale non episodico. Perciò o si considerano le piccole aziende, l'artigianato , vitali per il nostro sistema produttivo, e si fanno contribuire ai costi di mantenimento dell'ammortizzatore sociale, non in deroga ma di norma , o si fa la scelta di non considerare strategici alcuni comparti e indirizziamo gli sforzi altrove. Serve coraggio, capacità di analisi, capacità di cercare interlocutori ed alleanze,serve giocare un ruolo importante nei confronti della politica. Certamente non sarà semplice trovare interlocutori attendibili, in questo periodo sembrano scomparse tutte le rappresentanze collettive ,le varie trattative ai tavoli negoziali ne sono la triste conferma, le associazioni imprenditoriali non riescono a fare sintesi al loro interno, e perciò tutto diventa più complicato. Rimango convinto che seguire chi propone questo modello culturale porterà ad un ulteriore peggioramento delle condizioni nel nostro paese, ma purtroppo non sempre è semplice spiegarlo e farsi comprendere. Il nostro paese non può essere la manovalanza del resto d'Europa, non possiamo competere sul costo della manodopera, anni di politiche in tal senso, hanno prodotto esclusivamente riduzione di salari , ma tali sacrifici non hanno dato alcun beneficio al sistema produttivo, anzi, hanno contribuito ancor di più ad un clima di insicurezza che penalizza ulteriormente i consumi. La vertenza ELECTROLUX con la richiesta di profonda riduzione dei salari per mantenere aperti i siti produttivi italiani è un esempio lampante di quanti danni può fare il proseguire su questa strada. Si dice che la storia insegni, evidentemente non a tutti,si persevera in una direzione che non produce risposte vere, l'unica ricetta di cui abbiamo bisogno è rimettere soldi nelle buste paga,nelle pensioni, rendere cioè potere di acquisto alla grande massa di lavoratori e pensionati, non di demagogia. Dobbiamo convincere il Paese di tornare a parlare di qualità delle produzioni, di valore aggiunto, di sinergie tra aziende, va premiato il consorziarsi e non la parcellizazione . Ho detto prima che servirebbe maggior coraggio alla nostra Organizzazione, ma credo che ancor di più ne serva alla politica, chiunque si proponga per governare dovrà uscire dalle pastoie burocratiche, dai vincoli imposti dalle varie lobby. Certo , il farlo attraverso quello che considero un colpo di stato, in giacca e cravatta ma di fatto un colpo di stato, forse non è la soluzione migliore, siamo sicuri che cambiare in questo modo possa essere utile al paese ? è normale che la segreteria di un partito sfiduci e sostituisca il Presidente del Consiglio ricercando le medesime alleanze di prima, senza spiegare cosa ha combinato il precedente incaricato? Insomma se Letta non ha combinato nulla di buono, e ci sta che sia cosi, lo si dica chiaramente, presentando però una discontinuità , non solo tante chiacchiere e il medesimo equilibrio parlamentare. è normale che il Presidente della repubblica avalli tutto ciò senza battere ciglio? Sono domande secondo me opportune in questo momento, domande per le quali vorrei una risposta. Certo fa presa avere l'uomo forte che decide, in Italia piace,storicamente è successo un paio di volte, il ventennio fascista ed il ventennio berlusconiano, diversi in parte per alcuni contenuti ma che ci hanno entrambi presentato un conto salato e lasciato un paese in rovina . Tra l'altro l'instabilità politica e certi meccanismi di sostituzione del gruppo dirigente modello Società Per Azioni, ci rendono ancor più deboli agli occhi degli altri paesi. Anche per questa debolezza siamo l'unico Paese che prende l'Europa come alibi per non cambiare nulla in positivo, riusciamo soltanto a recepire,passivamente, quello che ci dicono, come ad esempio la liberalizzazione del mercato del lavoro, contribuendo a smantellare tutele che abbiamo e che altri Paesi ci invidiano. Dovremmo fare fronte comune con gli altri stati Europei, perchè è necessario fare una seria analisi dei punti più avanzati, in termini di diritti e tutele che ciascuno Stato ha e spingere il parlamento Europeo a discutere di estensione dei diritti e non soltanto di tagli e tetti al debito. Nelle nostre tesi congressuali indichiamo un percorso in tal senso, da sempre la CGIL è impegnata a far condividere l'idea che ci sia necessità di coniugare sviluppo economico, rispetto dei diritti e inclusione sociale. Proseguire esclusivamente con politiche di austerità si sta rivelando un metodo che non permette di uscire dalla spirale recessiva, servono politiche anticicliche con investimenti pubblici a sostegno della domanda. Certamente non può bastare dire all'Europa come cambiare la propria azione, priorità assoluta le dovranno avere le politiche interne di rilancio dell'economia. La strada da percorrere è obbligata, visto che ciò che è stato tentato di fare nel corso degli anni non ha prodotto risultati, oggi si deve invertire, anche culturalmente, la logica adottata. Diventa ancor più urgente pensare ad una maggiore tassazione delle rendite finanziarie , va disincentivato chi specula e premiato chi investe e produce lavoro. Ritornare ai principi costituzionali, chi ha più deve contribuire in misura maggiore al benessere collettivo, rilanciare o meglio avviare una vera politica di lotta all'evasione fiscale, rendere più equo il peso del fisco sulle buste paga, non sono solo modelli da perseguire, ma sono obblighi morali che lo Stato ha nei confronti di chi ha da sempre sostenuto il peso della collettività sulle proprie spalle, siano essi lavoratori o imprenditori. Su questi temi abbiamo un compito non facile, dobbiamo fare massa critica per indirizzare al meglio qualsiasi sforzo, dovremo essere capaci, di canalizzare l'insoddifazione e il disagio che c'è oggi nel mondo del lavoro, trasformandolo in protesta e proposte costruttive. Questo sarà un impegno importante, dove ci giocheremo la credibilità come Sindacato e dove ci misureranno i nostri detrattori. Negli ultimi anni, spesso abbiamo dato la sensazione di non riuscire a cogliere il clima che si respira nel paese, spesso ,malgrado la miriade di iniziative fatte, la sensazione che diamo è di immobilismo, la protesta viene vissuta in maniera importante nelle singole categorie o nelle singole vertenze, ma non riusciamo a costruire quel consenso generale come abbiamo fatto nel passato. Questo ci deve preoccupare e dobbiamo agire in fretta riportando la Confederazione al ruolo che le compete, serve concretezza. Per adesso , dopo le assemblee di base della nostra categoria, credo che si possa parlare di estrema concretezza, abbiamo gestito un congresso con 2 documenti alternativi, cosa rischiosissima in periodi di qualunquismo e demagogia, ma, grazie all'impegno di tutti , lo abbiamo fatto parlando del merito delle proposte, e per sincerità, soprattutto dei problemi che incontravamo nelle singole realtà, costruendo un consenso importante sulle posizioni della CGIL. Le proposte spaziano su 11 punti, tanti, forse troppi in una fase dove dovremmo convogliare le energie su alcune emergenze, ma sono tutti temi importanti ed è fondamentale affrontarli. Il documento è stato integrato da diversi emendamenti, segno di un dialogo ed un confronto che non viene mai meno all'interno dell'Organizzazione, che lo hanno arricchito rendendolo più chiaro nel perseguire gli obbiettivi prefissati. Parliamo di Europa, dell'Europa dei popoli e non delle banche, di come costruire modelli di tutela su scala più ampia rispetto a quella Nazionale, parliamo cioè di una netta inversione di tendenza rispetto a quanto ci viene proposto fino ad oggi. E' una strada si ovvia ma altrettanto necessaria, non possiamo sentir parlare di Europa quando si tratta di peggiorare qualcosa e non parlarne quando vi sono modelli avanzati di sviluppo da importare. Tutti i temi congressuali sono legati tra di loro, perchè è necessario avere una progettualità articolata per riuscire a risolvere in maniera strutturale i problemi, progettualità che purtroppo latita da tempo in Italia ad esempio sul versante fiscale. Siamo un paese anomalo, che ha la ricchezza concentrata su pochi, la tassazione del capitale più bassa , un livello di evasione fiscale da record e la tassazione sul lavoro più alta, di fatto una miscela esplosiva che va disinnescata attraverso azioni forti e concrete, quali portare la tassazione delle rendite finanziarie alla media del livello europeo, introdurre una imposta sulle grandi ricchezze, riformare il sistema di tassazione delle pensioni e dei redditi da lavoro dipendente. E' un diverso approccio culturale e per ricostruire quella coscienza civile necessaria in tale discussione, va rimesso al centro dell'agenda politica l'istruzione. Le nostre proposte partono semplicemente da una netta inversione di tendenza, dopo anni di politiche tese a destrutturare il sistema pubblico chiediamo si torni a finanziarlo in maniera adeguata, istruzione e ricerca pubblici sono una risorsa per un paese non un costo. Il diritto allo studio deve tornare ad essere universale e vanno ampliati e qualificati i servizi pubblici educativi per i piccoli. L'istruzione , ai vari livelli, è un diritto per lo studente averla ed un dovere per lo Stato fornirla , e deve essere un percorso che accompagna la crescita fino all'inserimento lavorativo. Qualunque sia l'argomento che affrontiamo, c'è alla base una scelta politica che porta ad essere soddisfatti o meno, perciò è importante che la CGIL ponga molta attenzione al funzionamento del sistema politico nazionale . Preoccuparsi di avere un modello rispondente alle esigenze dei cittadini è vitale,i risultati che abbiamo sotto gli occhi sono il chiaro esempio di un sistema malato, non funzionale e che necessita di una profonda modifica. Abbiamo bisogno di un sistema stabile affinchè si possano avere interlocutori certi . Perciò oltre ad una razionalizzazione che porti anche dei risparmi , proponiamo di andare verso una democrazia partecipativa che riavvicini il cittadino alla politica , proponiamo di fare chiarezza sulle competenze, evitando sovrapposizioni inutili tra i vari livelli dello stato, esigiamo di fatto uno stato efficente ed efficace. Efficacia che si misura anche nelle politiche di sviluppo che vengono attuate. In questo campo purtroppo stiamo assistendo ad una carenza endemica di proposte che portino risultati, perciò vanno sostenute con forza le idee della CGIL. Siamo di fronte ad una crisi del sistema produttivo che abbiamo conosciuto dal dopoguerra ad oggi, il processo di deindustrializzazione è evidente, il manifatturiero Italiano non riesce ad essere competitivo con paesi che hanno conosciuto negli ultimi anni uno sviluppo velocissimo, direttamente proporzionale al nostro arretramento. Questo è frutto di precise scelte politiche e da li dobbiamo ripartire, dobbiamo invertire questo andamento. E' necessario, anzi obbligatorio, un rilancio degli investimenti pubblici soprattutto con interventi infrastrutturali , in una fase dove il privato non ha più risorse disponibili, in attesa che il sistema bancario ritorni a supportare l'economia reale erogando credito a imprese e famiglie, l'unica soluzione è che lo Stato sostenga il peso del rilancio, accompagnando la programmazione industriale con strumenti quali ad esempio la cassa depositi e prestiti. Una delle scommese più importanti che dovremo vincere è quella di tornare ad avere investitori stranieri nel nostro paese, e per farlo dobbiamo renderci appetibili. Non è pensabile avere ancora sistemi viari da terzo mondo, trasporto su rotaia che non da alcuna garanzia nè per i costi nè per il servizio, un territorio disastrato dal punto di vista idrogeologico, una politica energetica che dipende di volta in volta da decisioni estemporanee, reti informatiche che non sono in grado di sostenere il traffico necessario alle attività produttive. Sono tutti campi nei quali, se venisse fatta una programmazione seria , puntuale e controllata degli investimenti,potremmo trovare spazi di crescita impensabili ad oggi. La programmazione deve essere accompagnata da una rinnovata progettualità per competere sui livelli qualitativi dei prodotti e abbandonare la strada disastrosa della competizione sui prezzi. Il comparto delle costruzioni, che ad oggi è quello che sta pagando il prezzo più alto alla crisi, potrebbe , anche rapidamente , ritornare ad essere volano dell'economia, serve però che vi sia una forte convinzione e condivisione dei percorsi di rilancio. La programmazione economica dovrà intrecciarsi con elementi fondamentali, quali la formazione e la riqualificazione . Certo, non è semplice, veniamo da una situazione dove il sistema pubblico di è stato snaturato, i Centri per l'Impiego non danno la sensazione di poter contribuire in maniera determinante a ricollocare il personale, sembra semmai che svolgano una mera azione burocratica. Di positivo , in Provincia di Arezzo , c'è il fatto che presso i centri per l'impiego sono attivi gli sportelli anticrisi e che il sistema formativo e del lavoro ha sempre sostenuto le nostre richieste di cassa integrazione straordinaria, in deroga e quant'altro. Però questo va bene in emergenza, ma noi dobbiamo uscire dall'emergenza e tornare alla normalità , perciò va restituito al collocamento pubblico il ruolo che gli compete, non è pensabile che quasi tutto passi attraverso agenzie di lavoro interinale. L'aver rinunciato come settore pubblico ad un ruolo attivo nel collocamento, a favore del profitto di agenzie private, è stata una precisa scelta politica, profondamente sbagliata e di cui oggi vediamo gli effetti estremamente negativi. Probabilmente anche come CGIL su questo tema abbiamo abbassato un po' la guardia, l'aver confidato su di un corretto utilizzo delle normative sugli interinali, è stato probabilmente una sottovalutazione della portata che avrebbe avuto un'applicazione scorretta della norma. La scelta poi di costituire la categoria del NIDIL è, secondo me, quasi un accettare il precariato , un avallarlo come situazione ineludibile e non modificabile, purtroppo l'opposto di ciò che enunciamo anche nelle tesi congressuali, forse sarebbe opportuna una riflessione molto profonda sugli obbiettivi che vogliamo darci. Il tempo indeterminato è e deve essere l'obbiettivo unico, poi in casi particolari, per specifiche mansioni e competenze, va bene anche il ricorso al lavoro in affitto, ma deve essere l'eccezione e non la norma. Parlare, discutere, rivendicare diritti è per la nostra Organizzazione un obbligo morale ancor prima che statutario, perciò tutto quello che indica una volontà di difendere i più deboli è patrimonio della CGIL. Vorrei allora spendere un po' di tempo per parlare del profondo cambiamento che sta vivendo la società moderna, oggi non basta più avere un lavoro per essere tranquillo, oggi si può avere un'occupazione e rasentare la soglia di povertà. Fino a pochi anni fa sarebbe stata una cosa impensabile, oggi è una drammatica realtà che ci deve costringere ad affrontare urgentemente temi quali il salario minimo garantito, che non è il reddito di cittadinanza, cosa dal mio punto di vista improponibile, sia per i costi che per la difficoltà ad individuarne i beneficiari, visto il tasso di evasione fiscale italiana. Il reddito minimo invece è lo stabilire con certezza che non può esserci un lavoro che non permette di vivere, che la retribuzione del proprio operato deve essere equa. In molti paesi Europei è già presente, da noi sarebbe una rivoluzione culturale , sarebbe un primo vero passo verso la soluzione di molti problemi, anche non direttamente collegati. Penso ad esempio anche alle gare di appalto, dove l'aggiudicazione è spesso dettata dal taglio direttamente proporzionale alle retribuzioni dei lavoratori. Questo vale per tutti i settori ed in particolar modo per quelli dei servizi, dove il costo dell'intero appalto è spesso esclusivamente il costo della monodopera, perciò introdurre un tetto minimo di salario sotto il quale non si può scendere, avrebbe anche il pregio di garantire una concorrenza non più basata esclusivamente su tagli a salari e diritti. Certamente abbiamo di fronte un percorso non semplice, riuscire a far diventare pratica quotidiana quello che oggi è l'eccezionalità . Comporta anche di riuscire finalmente a costruire una società senza divisioni, nella quale non vi siano discriminazioni. Parlarne oggi, durante la peggiore crisi che sia mai esistita nell'economia Italiana è secondo me un atto importante, è facile sentire dire che gli stranieri portano via il lavoro e che sono essi stessi parte del problema, ma è una convinzione profondamente sbagliata, frutto di una lettura approssimativa e qualunquista del problema . Siamo un paese che ha perso la memoria, siamo un paese che è rinato basandosi su coloro che erano emigrati e oggi ce lo dimentichiamo, penso sia ingiusto, penso che , malgrado le difficoltà quotidiane, si debba far fronte comune con chi è più ricattabile di noi e rivendicare norme di civiltà che tutelino i migranti, sapendo che riuscire ad avere garanzie per chi è debole permette di mantenere diritti e tutele a tutti. Al tempo stesso , senza falsa demagogia però , dobbiamo far comprendere che anche chi arriva oggi deve difendere ciò che trova, non deve pensare che siano solo gli altri a farlo perchè è un diritto acquisito, troppo spesso succede e questo ci indebolisce . La discriminazione non è solo razziale, ve ne è una ancora più subdola e strisciante, quella verso le donne. E' impossibile che ancor oggi si debbano sentire storie fatte da ricatti, pressioni ,violenze, basta , dobbiamo dare a chi è in queste condizioni il coraggio di denunciarle, dobbiamo dargli noi il coraggio perchè crediamo in una società giusta, in una società che non abbandona nessuno e che protegge chi denuncia certi fatti. E' un compito non facile anche perchè , troppo spesso sono le famiglie stesse i luoghi dove nasce per prima la discriminazione, però credo che l'unica strada per risolvere qualcosa è il parlarne, il silenzio, l'omertà non sono un rimedio ma un sintomo della malattia stessa. Tutti i temi che poniamo sono importanti, necessari, doverosi da affrontare , ma l'essenza dell'attività sindacale si racchiude nelle proposte sulla contrattazione. Un Sindacato che rinuncia a contrattare non è un Sindacato, si trasformerebbe in erogatore di servizi o in forza politica. La CGIL è IL Sindacato, perciò nel nostro DNA c'è l'obbligo morale di stare ai tavoli di trattativa , e per far questo dobbiamo riaffermare alcuni principi fondanti. Penso all'universalità del C.C.N.L. da contrapporre alle logiche individualistiche che ancora ci propinano. Dovremo lavorare per ridurre il numero del C.C.N.L.,accorparne alcuni per settori omogenei, semplificarli e renderli esigibili con certezza. Gli ultimi accordi interconfederali vanno nella direzione giusta , avere stabilito regole certe ci impegna al loro rispetto, ma obbliga anche tutti gli altri al rispetto dei patti. Gli accordi separati dovuti alla mancanza di regole certe hanno prodotto danni ingenti al mondo del lavoro e ci hanno costretto solamente a giocare in difesa. Ma certamente da soli, nel peggior periodo dell'economia mondiale mai visto, senza una legislazione di appoggio è difficile difendersi , ora possiamo provare a ripartire in avanti. Certo ancora è solo un accordo con confindustria, dovremo trovare sponda politica perchè sia trasformato in Legge, ma almeno abbiamo un punto fermo e delle certezze. All'interno dei Contratti andrà rafforzata e riqualificata la contrattazione di 2° livello, l'esempio dell'EVR in edilizia è calzante, in teoria contrattiamo salario, in pratica si fa un esercizio meramente intellettuale. Il 2° livello deve tornare ad essere il momento in cui, a seconda che sia aziendale o territoriale, si cuce un vestito su misura per quell'azienda o quel territorio, perciò deve ricomprendere affinandole caso per caso le soluzioni a tematiche specifiche, nel rispetto dei limiti e dei dettami imposti dai CCNL. Elemento imprescindibile da curare con attenzione è il governo degli orari, sempre più è indispensabile una gestione "sociale" degli orari di lavoro. Ad esempio, i contratti di solidarietà sono uno strumento efficace sia di difesa degli attuali posti di lavoro, che occasione di sviluppo , ma anche qui senza una chiara spinta legislativa, ci troviamo spesso di fronte a consulenti che per incapacità nel gestirli, sconsigliano le aziende dal farlo, perciò avere una normativa certamente esigibile in materia diventa vitale. A livello territoriale poi va estesa la contrattazione sociale , riuscire ad avere servizi efficenti a costi equilibrati, riportare a livelli di eccellenza il settore socio sanitario, discutere di tariffe del servizio pubblico, ricondurre il tutto ad una idea che il ruolo sindacale non si esaurisce nel posto di lavoro, equivale ad avere un incremento salariale, anzi spesso ha un valore culturale e sociale più grande. Il ruolo della contrattazione , se adeguatamente sostenuto, può anche essere elemento di contrasto alla illegalità specialmente in settori come l'edilizia, dove il confine tra lecito ed illecito è labile e spesso valicato con facilità disarmante. Ad Arezzo nel passato abbiamo sottoscritto molti protocolli con gli Enti locali , li si indicavano le modalità di partecipazione alle gare di appalto, i requisiti occorrenti, come avvenivano i controlli, ma spesso non basta, il nostro territorio , specialmente lungo la dorsale della A1 , valdarno e valdichiana, è purtroppo facilmente penetrabile da organizzazioni criminali. E' solo di qualche settimana fa l'ultima retata che ha portato all'arresto di imprenditori edili residenti in valdarno, con appalti di tutto rispetto come gli Uffizi a Firenze , imprenditori collusi con la camorra che in questa fase di assoluta carenza di denaro, hanno invece molte risorse derivanti da traffici illeciti. Come CGIL non possiamo lasciare che questo avvenga, va presa una chiara posizione cercando di sensibilizzare le Istituzioni in tal senso. Ho lasciato volutamente per ultimi due punti a mio avviso fondamentali nella discussione Congressuale, le pensioni e la democrazia . Per ultimi ed insieme perchè hanno anche un filo conduttore che è la necessità di coerenza. Coerenza perchè se da un lato avanziamo proposte di reintrodurre una gradualità nell'andare in pensione legata alla tipologia di lavoro, della necessità di andare in pensione con i 40 anni di contributi perchè nel nostro settore è devastante l'allungamento del periodo lavorativo, proponiamo l'abolizione delle assurde penalizzazioni economiche per chi va in pensione con meno di 62 anni, i cosiddetti precoci , come se fosse stata una colpa l'aver iniziato a lavorare giovanissimi, indichiamo nel garantire una pensione dignitosa ai giovani di oggi come elemento imprescindibile di civiltà, dall'altro lato quando sono state introdotte queste norme la presa di posizione della Confederazione non è stata coerente con quanto dicevamo. La proclamazione di sole 3 ore di sciopero a fronte di un cambio epocale sul sistema pensionistico, è stata una risposta inefficace, inutile, incomprensibile, una risposta della quale ancor oggi ci portiamo dietro i danni che ha prodotto in termini di credibilità della CGIL. Certo, c'erano motivazioni alte per non proclamare 8 ore di sciopero generale a Roma, rischio fallimento del Paese, la tenuta dei rapporti unitari , ma allora avremmo dovuto avere il coraggio di non fare neanche le 3 ore , confrontandoci nel merito, spiegandone le ragioni,sarebbe stato più coerente. Credo che una riflessione profonda su quanto accaduto non possa che far bene alla CGIL, si ammetta di avere sbagliato valutazioni e si riparta, non ricostruendo ,perchè per fortuna non è venuto meno, ma restituendogli il vero valore che ha, da quel rapporto di fiducia con i lavoratori che è elemento fondante dell'Organizzazione. Auspico anche che da questo Congresso possa venire una proposta, un ordine del giorno o un emendamento che caratterizzi le nostre proposte e raccolga in maniera ancor più precisa e puntuale le necessità del settore in tale materia Negli ultimi anni , si è anche opacizzata l'immagine della Confederazione all'esterno, serve una lucidatina velocemente , dare l'impressione di immobilismo più che di dinamicità rischia di farci sembrare stantii, ci paragona sempre più ad una politica delle poltrone, una politica che invece combattiamo quotidianamente perchè inutile e dannosa. Questo certamente non vuol dire essere avulsi dalla politica, ma semplicemente avere con essa un rapporto di rispetto reciproco , noi abbiamo bisogno della politica, della buona politica, di avere convergenze su interessi comuni, altrimenti avremmo solo tanta teoria e pochi risultati. Ci vuole coraggio, tanto coraggio, quasi incoscienza a gettarsi sempre nella mischia , ma la CGIL deve farlo, soprattutto valorizzando il proprio patrimonio principale, i lavoratori ed il rapporto con il territorio. Nelle proposte sulla democrazia parliamo, tra le altre cose , di un decentramento verso i territori delle risorse, di rafforzare il ruolo delle RSU. Concordo pienamente e deve essere la base dalla quale far partire ogni azione, penso inoltre che, ma non con spirito polemico, siano finiti i tempi in cui le strutture Nazionali portavano iscritti attraverso la firma dei contratti o semplicemente perchè rappresentavamo una ideologia vicina ai lavoratori, bei tempi ma purtroppo andati. Oggi gli iscritti li fanno le RSU e i funzionari negli impianti fissi, li fanno i Compagni che girano i cantieri con la propria presenza quotidiana in edilizia,li fanno i servizi della CGIL e si mantengono con l'impegno del territorio, nelle trattative, nella gestione delle crisi, nella assoluta disponibilità che i Compagni danno nel fare il proprio lavoro . E' necessario che su questo tutta la Confederazione, non solo le singole Categorie, prenda coscienza e provveda a rafforzare le strutture territoriali, magari alleggerendo qualche struttura superiore di fatto ridondante. Volutamente per ultimo un tema che è entrato nella discussione Congressuale in maniera a dir poco devastante, un tema che si intreccia con le proposte sulla democrazia che facciamo nei documenti. L'accordo del 14 gennaio sulla rappresentatività è diventato, per me in maniera impropria, il tema centrale del dibattito Confederale, penso che sia profondamente sbagliato utilizzare l'accaduto strumentalmente , da una parte e dall'altra. Stiamo assistendo ad una diatriba che ha un sapore esclusivamente di resa dei conti tra gruppi dirigenti, non è questo il Congresso della CGIL e non deve esserlo. Sminuire un accordo che secondo me ha una importanza storica nei rapporti sindacali è un errore marchiano, pertanto riterrei più opportuno, chiudere il Congresso con le sue regole, e poi portare la discussione nei luoghi di lavoro per condividere la valenza dell'accordo. Certo , e qui il richiamo alla coerenza, firmare un protocollo simile senza aver fatto alcuna consultazione con coloro che si troveranno applicate queste regole è stato un atto sbagliato, un atto che sposta l'attenzione dal merito al metodo. Come spesso succede, si fanno buone cose, ma si sminuiscono per leggerezza. E' sbagliato cadere in certi errori, applicare le nuove regole porterà un peso maggiore dei lavoratori nelle trattative, renderà finalmente esigibili i patti sottoscritti. Noi siamo la parte debole quando trattiamo e aumentare le regole e le garanzie è per noi sinonimo di tutela e trasparenza. Perciò auspico che questo Congresso si concluda con le prerogative di quando è iniziato, un Congresso unitario che , magari anche duramente ma con correttezza, discuta su come riportare al centro dell'attenzione del Paese il lavoro ed i lavoratori. Grazie e buon Congresso a tutti.

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