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19.03.14 Si è concluso il 17 marzo 2014 il Congresso Regionale della Fillea Sardegna. Di seguito la relazione del segretario uscente Francesco Cordeddu, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Cari Compagni e Care Compagne, Gentili Invitati, Grazie per essere presenti oggi al IV Congresso della Fillea Regionale. Prima di illustrarvi la relazione, permettetemi di leggervi una piccola premessa: “Per voler utilizzare una metafora che esemplifichi l’attuale fase, viene facile pensare alla nave che attraversa il mare in burrasca. Non si vede e non si conosce l’approdo, non si può capire quanto la tempesta possa durare, lo scafo non è poi così resistente, chi sta in 2° e 3° classe non ce la fa più; ogni tanto qualcuno rema contro, qualche altro tenta di ammutinarsi, il comandante, più che un’esperienza da lupo di mare vanta qualche traversata come intrattenitore e non ci si può fidare troppo. Tra l’altro, non ascolta consigli da parte di nessuno, sa tutto lui; in questo contesto c’è solo da affidarsi alla buona sorte e sperare che la tempesta finisca quanto prima”. Iniziava così, l’11 marzo 2010, la relazione introduttiva del Compagno Carmelo Farci all’apertura della 3° assemblea congressuale della Fillea Regionale. Capite bene che, a distanza di 4 anni, il tanto auspicato approdo è ancora da raggiungere, anzi, contestualizzando questa breve premessa ad oggi, si potrebbe tranquillamente affermare che, a parte il cambio del comandante, tutto l’altro si è maledettamente e drammaticamente complicato, perché la nave è ancora nel bel mezzo della tempesta, tra l’altro sempre più fragile, oramai anche chi stava in prima classe non ce la fa più, lo scafo ha perso i remi, non c’è neanche più la forza per gli ammutinamenti, e la buona sorte è diventata una chimera. In questa cornice celebriamo il IV Congresso Regionale della Fillea, una cornice di vita drammaticamente complicata, sempre meno solidale, dove il bianco è contro il nero, il padre contrapposto ai figli, gli uomini contro le donne, dove il valore Lavoro e la dignità delle persone sono relegate sempre più ai margini della società rispetto all’egoistica esaltazione del mercato e dei suoi disvalori. Una cornice dove anche la politica sembra abbia abdicato ad esercitare il ruolo di strumento regolatore nel governo dei processi economici e sociali a servizio della società così da ridare alle giovani generazioni la speranza per un futuro migliore, dove il Lavoro e la sua dignità possano trovare cittadinanza. Assistiamo, invece, ad una politica continuamente screditata e funzionale solo al mero esercizio del potere. Tutto ciò rende evidente la responsabilità di un processo di globalizzazione che si sviluppa rapidamente, creando scompensi economici e sociali imprevedibili e dove gli eventi sviluppatisi in un’area provocano ripercussioni su tutto il sistema sia in termini economico-finanziari ma anche sociali, ambientali e climatici. E’ da questa semplice analisi che decliniamo il nostro Congresso con la parola d’ordine Lavoro e Futuro: solo ripartendo dal lavoro si può ricostruire un futuro che riequilibri la società verso un sistema basato sull’equità, sulla legalità e sulla sostenibilità. LA CRISI La crisi che oramai perdura da 6 anni si connota come la più lunga e drammatica di tutti i tempi, anche paragonata a quella del ’29 e mina alle radici il processo di integrazione europea, determinando, di fatto, il fallimento delle politiche di austerità e rigore attuate dall’Unione europea, provocando la recessione economica, il peggioramento delle condizioni materiali delle persone, l’aumento della disoccupazione, delle disuguaglianze e della povertà, con forti squilibri tra i paesi dell’area euro che tende ad accentuarsi pericolosamente (basti pensare al risultato del referendum in Svizzera sul lavoro dei frontalieri). Queste politiche hanno allargato il divario tra Nord e Sud dell’Europa e in Italia determinano un ulteriore aggravamento delle condizioni socio-economiche del Mezzogiorno, compresa la nostra isola. Il risultato è uno sviluppo dell’attività finanziaria senza limiti e regole, che ha pertanto reso possibile la circolazione di capitali senza alcun vincolo e controllo, svalorizzando il lavoro e riducendo l’occupazione, determinando una concentrazione della ricchezza e dei poteri in mano a pochi, svuotando l’Europa stessa dei suoi valori di solidarietà di sussidiarietà, di coesione e di pace sociale. Per questo credo sia necessario e urgente mettere mano all’architettura istituzionale dell’Unione Europea con l’obiettivo della costituzione degli Stati Uniti d’Europa, spostando contemporaneamente più poteri in seno al Parlamento europeo, in modo da passare celermente dall’Europa della moneta all’Europa federale, con una politica economica comune. Credo, inoltre, non possa più essere rinviato l’avvio di un processo di armonizzazione fiscale, a partire dalle rendite finanziarie. Si può uscire dall’attuale fase recessiva solo con più solidarietà europea, avviando un vero processo di riequilibrio in materia di competizione economica, completando il principio di libera circolazione interna con quello dell’armonizzazione delle condizioni retributive, fiscali e normative del lavoro e del mercato del lavoro, in modo da affrontare prioritariamente il tema della disoccupazione, soprattutto quella giovanile e femminile. Tutto questo sarà possibile solo attraverso la valorizzazione di vere politiche di sviluppo e mettendo in campo un piano straordinario di investimenti e di crescita che crei lavoro per i milioni di giovani e donne disoccupati. Nel nostro Paese le politiche dei governi di centro-destra praticate in questi anni si sono dimostrate assolutamente incapaci di arginare gli effetti della crisi e hanno di fatto amplificato il manifestarsi di episodi che fanno emergere anche pericolosi segnali di profonda e deplorevole crisi etica e morale, utilizzando il contesto per attuare scientemente un’azione di deregolazione in ambito economico, accentuando ulteriori diseguaglianze sociali, aumentando la forbice tra la ridistribuzione e l’accumulazione della ricchezza, determinando la crescita esponenziale della povertà anche tra i soggetti che lavorano (monoreddito). Tra i paesi industrializzati, l’Italia è l’unico Paese che somma un’altissima concentrazione della ricchezza e una patologica evasione fiscale stimata in circa 130 miliardi di euro annui. Necessita in proposito una radicale riforma fiscale non solo per motivi di giustizia sociale ma anche per rimuovere il principale vincolo alla crescita. Le riforme delle pensioni dei governi Berlusconi e Monti-Fornero hanno prodotto un sistema previdenziale tra i più rigidi d’Europa, introducendo automatismi che spostano indefinitamente in avanti l’età pensionabile, rendendo estremamente selettivo l’accesso alla prestazione, favorendo un clima di incertezza e di sfiducia nel futuro, colpendo di fatto i soggetti più deboli nel mercato del Lavoro come le donne, i giovani, gli immigrati e tutti i lavoratori addetti ai lavori faticosi che caratterizzano tutti i comparti del settore. In questo mare in tempesta, la nave Italia, in un’ alternanza di comandanti, naviga in un mare che non conduce verso un approdo sicuro, ma annaspa in una palude fangosa nel maldestro e disperato tentativo di non sprofondare nella sabbie mobili, perseverando nella produzione di politiche incapaci di arginare gli effetti della crisi, al contrario tendenti a cristallizzarne gli effetti. Le politiche attuate hanno di fatto accentuato le sperequazioni e le differenze tra le varie zone del Paese, si è agito solo nell’unica direzione del contenimento del debito pubblico, determinando un forte prelievo fiscale sui redditi da lavoro e pensionati. Il nuovo governo, al di là delle legittime perplessità scaturite dalle modalità con cui è avvenuto l’avvicendamento al vertice, sembra segnare il passo quantomeno per la velocità con cui si intende imprimere il cambiamento di questo paese. Basti pensare all’approdo, dopo 20 anni, a una nuova legge elettorale, che seppure con tutti i dubbi di costituzionalità sollevati da eminenti costituzionalisti, reca certamente il segno di una rapidità di cambiamento mai conosciuta prima dall’Italia. L’esito dell’ultimo Consiglio dei Ministri fa ben sperare rispetto a un cambio di rotta, la direzione pare quella auspicata da tempo dalla Cgil (tassazione rendite, detassazione costo del lavoro, welfare universale), ma attendiamo gli atti ufficiali per spendere un giudizio compiuto nel merito dei fatti. La storia della sinistra e del sindacato confederale è sempre stata quella di sostenere le fragilità sociali con l’impegno solidale di tutti. Si ha bisogno di scelte politiche coraggiose che possano generare fiducia, che parlino di diritti, di sanità universale, di scuola pubblica, di lavoro inclusivo, di ruolo sociale dell’impresa che vuole regole, che non le considera un impedimento, riconoscendo che il vero limite è rappresentato dalle imprese che sfuggono, che eludono, che evadono, che attuano la flessibilità e la precarietà in nome della competitività, solo ed esclusivamente con l’abbassamento dei costi, che non difendono il ruolo del contratto nazionale, che mercificano i lavoratori, che non investono in innovazione e sicurezza, utilizzando l’alibi della libera concorrenza a danno di quella buona, praticando un’idea di sviluppo che prescinde dalla qualità. E’ stata sinora una politica incapace di dare l’esempio, di assumere decisioni se non quelle di una forte contrapposizione col mondo del lavoro, in particolare con la nostra organizzazione, la CGIL, verso la quale si sono attuati tentativi trasversali di isolamento, che solo la forza dei nostri cento anni e dei nostri iscritti, ci hanno permesso di non cedere a difesa dei valori costitutivi del nostro essere sindacato. Con l’autonomia che ci ha sempre contraddistinto, valuteremo le azioni di questo governo nel merito degli interessi dei lavoratori che rappresentiamo. DATI SULLA CRISI DEL SETTORE COSTRUZIONI A LIVELLO NAZIONALE Tutto questo pone il settore delle costruzioni in testa alla classifica dei settori colpiti dalla crisi. Nonostante le fonti governative continuino a pronosticare una debole ripresa, il settore delle costruzioni chiude penosamente il 2013, non lasciando intravvedere spiragli di ripresa neppure per il 2014. I numeri delle ultime rilevazioni pubblicate dall’Istat parlano chiaro: il 2012 per le costruzioni è stato un anno nero. Rispetto alla crisi degli anni Novanta la perdita di volumi di lavoro è ormai doppia. Nel 2013 si registra ancora un -6.9% negli investimenti in costruzioni, siamo ormai al sesto anno consecutivo di caduta. Una lunga fila di segni “meno” che portano il settore a perdere il 29% degli investimenti, con proiezioni e previsioni di contrazioni destinate a lievitare sino al -32%. Dall’inizio della crisi ad oggi i posti di lavoro persi nel settore sono circa 600.000!, con un decremento non solo degli operai ma di tutte le figure professionali legate al cantiere: in un anno i progettisti (architetti, ingegneri e geometri) sono diminuiti del 23%. I fallimenti delle imprese si attestano a quota 12.500 su un totale di circa 50.500 aziende fallite, spalmate nei vari settori economici; in Italia la percentuale delle imprese edili fallite è del 23% sul totale dei fallimenti. Anche la filiera dei materiali registra il segno “meno” chiudendo il 2013 con perdita in tutti i settori di nostro interesse ad esclusione dei lapidei. Il cemento, da sempre indicatore molto sensibile dello stato del settore, registra un calo produttivo del 12% nel 2012 (dato Gennaio-Settembre) e del 15% nei consumi, che rischiano di impattare sui produttori; attualmente si stima una capacità produttiva in eccesso intorno al 40-50%. Italcementi ha di fatto già dimezzato i suoi siti produttivi, con alte probabilità che anche gli altri grandi gruppi vadano nella stessa direzione con la conseguente messa in Cig dei lavoratori. Tutto ciò evidenzia che non si tratta di una crisi transitoria bensì di un ridimensionamento strutturale del settore cemento nel mercato generale delle costruzioni. Il settore del legno registra nel consuntivo 2013 un calo del fatturato del 3,2% e una perdita di addetti pari a 6.800 unità; le esportazioni invece proseguono il trend positivo degli ultimi tre anni con un + 2,4% anche se in misura più contenuta rispetto alle previsioni di inizio anno. Per il settore dei Laterizi la perdita di produzione è di – 8,8%, dimezzando di fatto la capacità produttiva nazionale. Per i lapidei, come segnalato dal Centro Studi della Fillea Nazionale, il recupero dei livelli pre-crisi si è già registrato e riguarda principalmente le esportazioni di materiali grezzi di pregio, con destinazioni sempre più frequenti nei Paesi emergenti. Questo stato di cose ha un impatto relativo sulle grandi imprese di costruzioni italiane perché molte di queste società hanno già da tempo spostato all’estero il proprio baricentro operativo. Gli esempi più significativi arrivano da Impregilo e Salini che oramai fatturano più di tre quarti del loro giro d’affari all’estero. Il drammatico effetto di queste scelte è la perdita progressiva e costante di oltre 100.000 posti di lavoro l’anno con una previsione di negatività anche per il 2014, testimoniato dai dati sulla disoccupazione +4.16 nell'ultimo trimestre 2013. Il problema è come riuscire a resistere di fronte ad un mercato che continua a ridursi, in cui i vari “piano casa” nazionali così come sono stati concepiti, hanno avuto effetti modesti ed in alcuni casi distorsivi rispetto agli obbiettivi predeterminati. Di fatto il settore delle costruzioni, che aveva subito un primo rallentamento fisiologico nel2008 in tutta Europa con una sensibile flessione degli occupati, ha smesso di svolgere la sua funzione anticiclica. Il sistema delle imprese italiane sconta, tra i fattori di debolezza, un nanismo strutturale, che in periodi di crisi rende le imprese ancora più vulnerabili; a questo va aggiunta l’assenza di azioni anticrisi da parte dei governi del nostro Paese, con stanziamenti inadeguati e irrisori in confronto a quelli varati dagli altri paesi dell’Europa e degli Stati Uniti. Le tasse non diminuiscono: si stima un prelievo pari al 44.5% per il 2013 con stime che vanno ben oltre per il 2014, con l’unico effetto di comprimere ancora di più l’economia, e non è un caso se la stima previsionale degli organismi internazionali sulla crescita del Pil registrano il segno meno. Per questo la crescita non può prescindere dal ristabilire l’equilibrio, attraverso, da una parte, una vera riforma del sistema fiscale basata su una rimodulazione progressiva, capace di agire come leva per il recupero della capacità di spendita e per la riattivazione dei consumi, e dall’altra, attraverso una vera lotta all’evasione fiscale e a una tassazione delle rendite, finanziarie o immobiliari, in linea con il resto d’Europa. Per fare ciò, il Paese ha bisogno di un governo credibile e autorevole, capace di redistribuire i sacrifici necessari per ridurre il debito, riavviare l’economia e superare le logiche del condono e le sacche di privilegio. LE PROPOSTE DELLA FILLEA PER USCIRE DALLA CRISI L’attuale crisi si connota per la sua portata epocale in una drammatica quanto straordinaria complessità, nell’esaltazione del profitto ad ogni costo, dell’esasperazione individualista a discapito del valore collettivo e del lavoro come sancito dalla nostra carta costituzionale. Va attualizzato in questo contesto un nuovo patto sociale che metta al centro una nuova idea di società, che coniughi alcune esigenze fondamentali come il ripristino di una cultura delle regole, insieme ad una rinnovata responsabilità della cosa pubblica. Ciò renderebbe disponibili risorse da destinare ad una politica di programmazione a sostegno dell’economia, attraverso un piano di investimenti capace di riattivare l’economia e generare lavoro. Il lavoro deve essere rimesso al centro dell’iniziativa politica, il lavoro come deterrente all’accentuarsi delle diseguaglianze, il lavoro come strumento di giustizia sociale e dignità della persona. Il piano del lavoro della CGIL presentato in occasione della conferenza di programma svoltasi il 26 febbraio 2013 dal titolo “creare lavoro per dare futuro e sviluppo al Paese”, rappresenta l’unica proposta innovativa e lungimirante che individua nel Paese stesso la più grande ricchezza che abbiamo: il suo territorio, il suo patrimonio ambientale, storico, paesaggistico, la capacità del saper fare, del progettare, dell’innovazione; un patrimonio da cui ripartire per riprogettare il Paese e proiettarlo in un orizzonte di crescita e benessere sociale. In questo solco e coerentemente con gli obiettivi che ci siamo posti nel precedente Congresso, si sono sviluppate le azioni della nostra categoria. Sono tante le proposte che abbiamo avanzato, condivise con la Confederazione e dirette al mondo imprenditoriale; gli Stati Generali delle Costruzioni nel 2009 contenevano, già allora, proposte concrete quale il superamento del patto di stabilità per i Comuni virtuosi, operazione che avrebbe permesso l’attivazione di una miriade di opere immediatamente cantierabili, al disotto della soglia dei 5 milioni di euro, che avrebbero permesso di attenuare gli effetti della crisi ponendo il settore dell’edilizia nelle condizioni di esplicare il suo noto effetto moltiplicatore. Proposte che ancora oggi non trovano risposte nonostante ci si trovi di fronte ad un silenzioso e devastante stillicidio di posti di lavoro. Bene fa la Fillea ad aggiornare le sue politiche non solo nell’ottica di mitigare la crisi ma integrando con coerenza il piano del lavoro della CGIL con un proprio piano del lavoro che mette al centro un nuovo modello di sviluppo del settore, nel segno della legalità, della sicurezza e della sostenibilità, perseguendo gli obbiettivi di uno sviluppo che guardi all'utilità sociale e ambientale, migliorando la qualità della vita delle persone e soprattutto all'insegna della qualità del lavoro e dell'impresa. C'è l'assoluta necessità di attuare un nuovo modello di sviluppo edilizio che per noi significa archiviare definitivamente la strada della cementificazione selvaggia, dei condoni, del consumo indiscriminato del suolo e della speculazione. Serve un altro sistema che guardi alla manutenzione e al risparmio energetico, alla riqualificazione e al recupero urbano, alla messa in sicurezza degli edifici e del territorio, prevedendo i rischi sismici e il dissesto idrogeologico. CONTRATTAZIONE Lo sciopero proclamato unitariamente lo scorso 13 dicembre, a seguito dell'interruzione delle trattative con ANCE e COOP per il rinnovo del contratto nazionale dell'edilizia, ha avuto il significato non solo di denunciare la condotta ingiustificabile di quelle parti datoriali che si erano rese protagoniste, con l'intero sistema delle imprese, a condividere con Fillea Filca e Feneal, un orizzonte produttivo fondato sulla sostenibilità, il risparmio energetico, il costruire nel segno della qualità, ma al contempo è stata anche l'occasione per rilanciare la nostra proposta di un nuovo modello di sviluppo delle costruzioni. Dopo un anno di trattative ci hanno presentato una proposta di accordo con zero euro di aumento sul salario, la messa in discussione dell'APE (l'indennità professionale edile) e dell’intero sistema degli enti bilaterali, strumentalizzando a fini di mero risparmio la necessità che pure condividiamo di riforma degli enti, necessaria per la loro messa in sicurezza. L’interrogativo che ci poniamo come sindacato, nell’esercizio della contrattazione, è se sia possibile siglare un accordo a perdere. Per questo motivo continueremo a mobilitare i lavoratori e le lavoratrici dell'edilizia fino a quando non traguarderemo il rinnovo del CCNL, un diritto che non può essere messo in discussione perché per noi il CCNL è lo strumento indispensabile per garantire inclusione sociale e proteggere il potere d'acquisto dell'inflazione, tutelando condizioni economiche e avanzamenti professionali su tutto il territorio nazionale. Il 2013 è stato un anno importante per la categoria che ha rinnovato unitariamente tutti i contratti nazionali degli altri comparti; i risultati raggiunti nei comparti del cemento, del legno, dei laterizi e manufatti, dei lapidei, sono da ritenersi soddisfacenti, con un discreto aumento retributivo sul salario, e l'allargamento di alcune tutele relative per esempio alla previdenza complementare e alla sanità integrativa, ma soprattutto si è posto un argine al tentativo di ulteriore precarizzazione dei processi produttivi. Della stessa portata sono i risultati raggiunti con i rinnovi dei contratti edilizia artigiani e edilizia Confimi. La contrattazione ed il suo esercizio sono per il nostro essere sindacato elementi essenziali per svolgere la funzione di rappresentanza dei lavoratori, che va riconosciuta e misurata. Ecco perché come CGIL auspichiamo da 30 anni una legge sulla rappresentanza. A tal proposito, riteniamo giusto dare un giudizio positivo sull'accordo del 10 gennaio 2014, che consente di dare finalmente esigibilità all'intesa sulla rappresentanza del 2013 e del 2011. Come categoria, chiediamo alla Confederazione la sua estensione anche alle altre associazioni datoriali, impegnandoci, così come deciso nel comitato direttivo della Confederazione, a chiederne la validità tra i lavoratori. IN SARDEGNA In Sardegna la crisi ci consegna dati ancora più drammatici, la legislatura presieduta da Cappellacci si è rivelata un totale fallimento, l'operato di questa giunta e della sua maggioranza è stata definita “un’occasione sprecata”; anziché attuare interventi per aggredire i nodi strutturali che condizionano pesantemente l'economia dell'isola, si è scelta la strada del non fare e della demagogia, cercando di recuperare con gli ultimi colpi di coda, come l'approvazione del PPRS in chiusura della campagna elettorale e rispondente solo agli interessi di lobbies che di sicuro non hanno a cuore il destino dei sardi e della Sardegna. L'anno che si chiude sarà ricordato come uno dei più duri per l'economia sarda, dove alla perdita di competitività si è aggiunto il tracollo dell'industria e delle infrastrutture di interi territori. Si spera nel 2014 per intravvedere l'uscita dal tunnel ma credo non sarà un percorso breve né immediato. Le previsioni di risalita del PIL a livello nazionale rispetto agli ultimi 5 anni, è di appena l’+1% e peraltro non produrrà effetti immediati sull'occupazione; in Sardegna questa speranza naufraga in quanto, dopo che nell'ultimo anno sono 3,5 i punti percentuali persi in termini di Pil e decine di migliaia di posti di lavoro, la crescita rimarrà ferma allo + 0 , in uno scenario che, senza sostanziali interventi anticiclici, è destinato a rimanere in stagnazione sia nei redditi che nei numeri di occupati. l'ISTAT specifica che, negli ultimi 12 mesi il Pil pro-capite regionale, è stato di 19.722 euro contro una media nazionale di 26.000 euro. Arriva all'11% secondo il rapporto Svimez, la fetta di famiglie che percepisce meno di 12.000 euro annue mentre sfiora addirittura il 50% l'incidenza dei nuclei monoreddito. Continua anche la contrazione nel settore industriale. Tra il 2007 e il 2011 il valore aggiunto del comparto è diminuito di 21,6 punti percentuali e contemporaneamente si è ridotta anche la proiezione estera delle imprese. Gli addetti alla manifattura sarda, considerando anche il 2012, secondo gli analisti della Banca d'Italia, sono diminuiti in tutto di quasi un quarto, mentre dalla metà dello scorso decennio il numero delle imprese del settore si è ridotto di oltre il 20%. Solo nel comparto edilizio sono aumentate del 55% in tre anni le procedure fallimentari delle imprese mentre nel settore immobiliare le vendite hanno fortemente risentito della contrazione dei mutui ( -23% le vendite di abitazione, -18% quelle dei locali commerciali). La disoccupazione è schizzata al 18,5% all'inizio del 2013 (primo trimestre), rimanendo sostanzialmente stabile al 18,6% nel periodo aprile/giugno, scendendo al 14,8% nei mesi estivi e riposizionandosi al 17,5% nell'ultimo trimestre, facendo registrare un +2% rispetto al 2012, dato drammaticamente superiore al periodo pre-crisi. In valore assoluto, nell'ultimo anno 2012/2013 l'isola ha perso 43.000 posti di lavoro. Non solo, nello stesso periodo si è registrato un boom della cassa integrazione in deroga e della mobilità per i dipendenti di fabbriche in crisi, destinate forse a non riaprire i cancelli. Analogamente è cresciuto nel frattempo il tasso di disoccupazione che vede un picco nella fascia di età tra i giovanissimi (15/24 anni), che nell'isola si attesta al 50% mentre è vicino al 25% il dato dei ragazzi tra i 15/29 anni che non studiano, non si formano e non lavorano, alimentando nuovamente il preoccupante fenomeno della dispersione scolastica. Le ragioni del declino sono legate alla mancata soluzione dei nodi strutturali che condizionano pesantemente il sistema produttivo e contribuiscono a peggiorare gli effetti della crisi globale. In primo luogo il gap infrastrutturale che posizione l'isola al quart’ultimo posto nella classifica delle regioni italiane per dotazioni di reti e servizi ai cittadini e alle imprese, al di sopra solo di Molise, Basilicata e Valle d'Aosta. La dotazione infrastrutturale complessiva dell'isola risulta, infatti, molto al di sotto della media nazionale e nell'ultimo decennio è ulteriormente peggiorata. Resta infatti pari a 100 la dotazione disponibile per i cittadini italiani, ai sardi ne compete solo la metà, il 53%. Il divario con il resto del Paese appare ancora più evidente se si considerano le sole infrastrutture economiche: con una dotazione regionale del solo 51%, paragonata sempre con il valore 100 dell'Italia. Nel 2001 la distanza con l'Italia era minore, il valore assegnato alla regione era il 74% ma da allora sono peggiorate quasi tutte le dotazioni (strade, ferrovie, porti e reti bancarie) diminuendo la capacità di soddisfare la richiesta di servizi da parte delle imprese e dei cittadini in generale. Anche per quanto riguarda le infrastrutture relative ai servizi utili ad accrescere il benessere sociale, siamo ben distanti dal valore medio nazionale; anche se migliora leggermente rispetto al 2001, passando dal 54% al 58%. L'incremento si spiega con un leggero miglioramento delle strutture culturali e ricreative e delle strutture sanitarie. Rimangono stagnanti, rispetto al 2001, le strutture per l'istruzione, per le quali la Sardegna si colloca al terz’ultimo posto, superando solo la Basilicata e la Valle D'Aosta. Nessuna delle grandi questioni considerate essenziali per consentire il mantenimento delle attività produttive è stata risolta. Il nostro sistema economico risulta appesantito dai mancati impegni in materia di energia e sconta anche un grave ritardo nella definizione di un accordo di programma per lo sviluppo locale ed il rilancio delle attività anticicliche e tradizionali come l'edilizia. Un disagio e un’ emergenza che, in questi anni, abbiamo denunciato e gridato assieme a decine di migliaia di lavoratori sardi, che vivono una condizione di vita al confine della sopravvivenza. Abbiamo chiesto a gran voce che oggi, non domani, siano messe in campo misure straordinarie per fermare la crisi e creare nuove condizioni di sviluppo. Non bastano più gli interventi di sostegno al reddito, ci vuole molto di più e subito. Soprattutto nel settore delle costruzioni ed in edilizia, che risulta il maggiormente colpito da questa crisi, scontando una perdita occupazionale che oramai si avvia a superare le 25.000 unità, riflesso non solo della minore domanda di abitazioni ma anche della mancanza di progettualità e di realizzazione di opere pubbliche. Le imprese subiscono gli effetti della crisi finanziaria e della stretta creditizia operata dalle banche, costringendole a rimandare o a rinunciare all'avvio di nuovi interventi di iniziativa privata. Il contesto di recessione in Sardegna si misura nel calo degli appalti pubblici. Il 2013 è stato un anno drammatico e la riduzione del mercato delle opere pubbliche ha riguardato tutto il territorio isolano. La provincia di Olbia/Tempio risulta particolarmente penalizzata e vede una riduzione del numero di gare di appalto superiore del 35% ed un riduzione dell'importo dell'85%. Contestualmente anche le altre province registrano un segno “meno” : Cagliari -18,2% , Sassari -21,8% , Nuoro -29,8%, Oristano -36,4% (più della Gallura ma con una calo degli importi del 6,2%), Ogliastra -29,5%, Medio Campidano -17,6%, Sulcis -15,7%. Dati terribilmente preoccupanti rispetto alle altre aree del Paese; nel resto d'Italia gli enti territoriali hanno ridotto la loro domanda appena del 7%, le imprese pubbliche del 2% e del 27% in termini economici. Anche i Comuni continuano a risentire largamente del perdurare della crisi e dei tagli alla spesa pubblica; riducendo il numero delle gare da 1.228 a 879, facendo registrare un -28% e una minore spesa: da 362 a 293 milioni di euro (-19%). Per quanto attiene la Regione, il forte calo dei lavori di importo inferiore al milione di euro, che tradizionalmente è stato il segmento di riferimento più diffuso per le piccole imprese, certifica che in materia di piccole opere cantierabili, la Regione ha prodotto solo annunci e dichiarazioni senza realizzare niente. Secondo i dati dell'ISTAT gli occupati nel settore, già ridotti del 16% tra il 2010 e il 2012, registrano una ulteriore flessione tendenziale del 10,3% anche nel 2013. Le aspettative e le speranze create con il nuovo quadro politico emerso dalle consultazioni del 16 febbraio scorso e l'avvento del centro-sinistra con l'affermazione della giunta Pigliaru, sono estremamente forti e ci auguriamo segnino un forte tratto di discontinuità con la precedente giunta Cappellacci, per rilanciare lo sviluppo della nostra isola e dare risposte al nostro settore che da tempo chiede un insieme di provvedimenti che consentano di creare condizioni di sviluppo nel segno dell'utilità sociale e ambientale e al contempo all'insegna della qualità dell'impresa e del lavoro. PIATTAFORMA REGIONALE Con questo orizzonte, lo scorso 26 novembre, assieme a Filca e Feneal si è tenuta l'assemblea regionale dei quadri e delegati, dall'ambizioso titolo “Costruire Lavoro (legale, sicuro, sostenibile)”, conclusa dal nostro segretario Nazionale Walter Schiavella, che ci ha visti protagonisti, assieme alle confederazioni, nel proporre a tutti i soggetti istituzionali e a tutto il sistema delle imprese, una piattaforma di sviluppo per il settore che guardi oltre la crisi, cogliendone tutte le opportunità. Sostenibilità come scelta irreversibile per la Fillea, come unica opzione capace di attuare quella rivoluzione eco-compatibile che dica no alla cementificazione selvaggia ma recuperi l’esistente, sviluppando la ricerca dei processi produttivi, dei materiali da costruzione con il chiaro obiettivo di impatto zero con la dimensione ambientale. Questo chiediamo alla nuova giunta, che senza infingimenti attui un’azione politica di sviluppo, ripartendo dal P.P.R. del 2006 e abrogando contestualmente gli effetti distorsivi del P.P.R.S. approvato dalla giunta Cappellacci in chiusura di campagna elettorale. Necessita ripartire prioritariamente da qui perché il collasso ambientale a cui ci richiamano anche le vittime dell’ultima tragedia che ha investito la nostra Regione, soprattutto nell’oristanese, nel nuorese e in Gallura, sono il segno tristemente tangibile di una politica cieca, devota al condono, allo spreco ed al malaffare, figlia di un liberismo sfrenato e di un processo di globalizzazione avvitato su stesso, incapace di individuare nella prevenzione la duplice funzione di messa in sicurezza del territorio e di una nuova occupazione. La Sardegna, si sa, è a forte vocazione turistica, quindi diventa prioritario salvaguardare l’ambiente; per questo è fondamentale ripartire dal piano paesaggistico che, al di là di alcune rigidità da limare , ha il merito di stabilire delle regole: siamo ben consci di quale edilizia si sia sviluppata nelle coste, quali livelli di irregolarità nell’esecuzione dei lavori ed anche quale devastante speculazione, in spregio alle regole urbanistiche, quasi sempre ispirata dalla filosofia dell’abuso e del relativo condono. Occorre inoltre che su questi temi vada sviluppato il massimo consenso ed il confronto con gli enti locali e tutti i soggetti interessati, trovando il giusto equilibrio tra enti locali e Ras in merito alla co-pianificazione, evitando di attuare soluzioni non condivise e calate dall’alto. Non c’è contraddizione tra edilizia e turismo, se è un’edilizia di qualità che costruisce infrastrutture ed opere utili dentro il perimetro dello sviluppo sostenibile. La carente infrastrutturazione è da sempre un tema che ha caratterizzato le rivendicazioni del sindacato sardo, proprio per il ruolo che essa riveste soprattutto in un contesto di insularità. Paradossalmente la nostra identità, la nostra cultura, le nostre tradizioni, sono strettamente connesse ad una riorganizzazione vera della rete viaria, che così com’è porta inevitabilmente allo spopolamento delle zone interne con la conseguente dislocazione degli abitanti nei grossi centri urbani. Le zone interne possono diventare un autentico volano di sviluppo in un orizzonte che vede il binomio turismo-edilizia alleati nel far conoscere l’altra Sardegna, quella meno conosciuta, meno visitata, la Sardegna identitaria. Un’idea di sviluppo che parta dal censimento del patrimonio abitativo in costante degrado ed abbandono. Pensiamo che tale patrimonio, in un contesto internazionale e in un percorso di agevolazioni di natura fiscale e di recupero, risulterebbe una ghiotta occasione per un turismo amante dell’ambiente, della natura, dei percorsi eno-gastronomici e dell’ospitalità che caratterizza questa terra e i sardi. E’ in questo salto di qualità della vita che trova compimento il titolo del nostro congresso “Città Future”. Un progetto ambizioso in cui i Comuni avrebbero un ruolo determinante nell’offerta del proprio patrimonio abitativo, cogliendo il duplice risultato del contenimento dello spopolamento con la creazione di nuova occupazione. In queste direzioni va definito con urgenza un piano straordinario di programmi integrati per il recupero e il riuso delle grandi aree urbane, per la valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico- comprese le aree delle servitù militari dismesse- e la definizione di un progetto per il recupero dei centri storici. Un piano straordinario per il recupero dell’esistente, quindi, centrato sul risparmio energetico, la definizione di un “piano casa” regionale che affronti in modo strutturale il disagio abitativo, articolato su un programma di edilizia economica e popolare capace di dare risposte all’emergenza abitativa di molti giovani, anziani ed immigrati, un piano straordinario che veda il recupero e la manutenzione e messa in sicurezze dell’ingente patrimonio edilizio scolastico; una rivisitazione, con lo Stato, del patto di stabilità soprattutto per i Comuni virtuosi, capaci di mettere in moto tante piccole opere che assieme possano dare risposte ad un settore agonizzante; un piano straordinario di infrastrutture che permetta alla Sardegna di colmare il divario con il resto del Paese e dell'Europa, a partire dalle grandi incompiute: la diga di Maccheronis a Torpè, di Cumbidanovu a Orgosolo, e Monte Nieddu a Sarroch. Sul sistema ferroviario sardo, oggetto di continui scippi, giustificati solo dal non ritorno economico, va invece rivendicato il diritto alla mobilità delle persone con il completamento del doppio binario della tratta Cagliari- Porto Torres, e soprattutto il trasporto merci su rotaie, che attualmente avviene per l'85% su gomma. Continuità territoriale di persone e merci quindi che vanno garantite con la modernizzazione delle reti di trasporti in cui urge recuperare un deficit storico con interventi sull'assetto viaria attraverso il completamento - della SS 131 nel tratto Oristano /Sassari e Nuraminis/Sanluri - della SS 125 con il finanziamento e l'appalto degli ultimi lotti Villaputzu/Tertenia e Barisardo/Tortolì, - recuperare gli incredibili ritardi nella realizzazione della nuova SS 195 Cagliari/Pula, tra l'altro unica via di evacuazione dell'area industriale di Sarroch, - la traversale sarda, - il riammodernamento della D.C.N. 131, - adeguamento della SS 554 - la tanta agognata Sassari/Olbia, per la quale sono in fase di esecuzione tre lotti, su un totale di nove, mentre altri due si apprestano a dare inizio ai lavori, purtroppo non in un clima di condivisione tra i compagni della Fillea e i colleghi di Filca e Feneal del territorio, rispetto agli accordi preliminari all’apertura dei cantieri, dove aleggiano ancora una volta gli spettri degli accordi separati, anche questi a mio avviso condizionati dal segno della crisi. Seppure con queste convinzioni credo che, nel contesto dato, bene abbiano fatto i compagni della Fillea di Olbia e Sassari a denunciarne i contorni, in quanto per noi la crisi e l'urgenza dell'ultimazione dei lavori non possono in alcun modo giustificare deroghe alla leggi e ai contratti, soprattutto in una regione come la nostra dove il dramma della disoccupazione imporrebbe soluzioni alternative all'allungamento dell'orario giornaliero, magari con doppi turni di lavoro. In quest'ottica speriamo in un ripensamento degli amici di Filca e Feneal, e soprattutto delle imprese, onde sfatare ogni possibile sospetto di altri interessi, quali il tentativo di recuperare diseconomie dovute all'alto ribasso (45%) effettuato in sede di aggiudicazione A tal proposito come categoria continueremo a sollecitare la confederazione, le istituzioni e le associazioni di imprese affinché ci affianchino nella battaglia per l'abrogazione del massimo ribasso nell’aggiudicazione di qualsiasi appalto, in nome di una più incisiva lotta all'illegalità attraverso il rafforzamento dei controlli automatici ed incrociati sin dall’inizio dei lavori, il rafforzamento del DURC per congruità, la tracciabilità obbligatoria, anche nel privato, di ogni pagamento in cambio di un rafforzamento degli incentivi fiscali per ristrutturazioni e risparmio energetico, in una logica di emersione del nero. Affrontare, inoltre, il nodo dei subappalti, come azione di contrasto al fenomeno dell’ infiltrazione mafiosa nel settore, che in questo contesto di crisi sempre piu si fa strada anche in regioni che ne erano estranee fino a qualche tempo fa. Su questi temi lanciamo la sfida anche alle associazioni datoriali, affinché ci affianchino nel perseguire la strada della bonifica del settore, che viaggia da troppi anni in un confine troppo labile tra legalità, illegalità ed elusione, convivendo di fatto con buon 25-30% di lavoro irregolare. A tutto il sistema datoriale chiediamo, coraggio, coerenza e costanza, perché troppo spesso, assistiamo ad enunciazioni di principio condivise, ma poi si agisce sotto banco con prassi contrastanti. Troppo spesso negli ultimi anni siamo stati chiamati a iniziative comuni, a sottoscrivere protocolli d'intesa comuni, ma, con altrettante frequenza constatiamo poi di fatto la negazione di orientamenti condivisi. Condivisione per noi significa il rispetto delle norme contrattuali, soprattutto quelle afferenti alla contrattazione di 2°livello; è incomprensibile, infatti, il rifiuto in Sardegna, da parte di tutte le associazioni datoriali, di sottoscrivere gli integrativi provinciali e regionali, rimanendo l'unica regione in cui non si è siglato nessun accordo. Accordi che evidentemente vengono visti come fardello economico e non come opportunità di rafforzamento del settore. Con questa convinzione unitariamente a Filca e Feneal, sollecitiamo anche in occasione di questo congresso un ripensamento nel merito di tutte le associazioni. Con la stessa convinzione sollecitiamo le associazioni alla ripresa del confronto sulla riforma della bilateralità, condividendo un percorso che porti alla definizione di un progetto atto a razionalizzare e rendere più funzionale il sistema degli enti paritetici, superando steccati istituzionali e campanilismi locali, collocandoli in un contesto più ampio come quello regionale, funzionale a creare condizioni di omogeneità verso imprese e lavoratori, sempre più interessati ad una continua migrazione interna e cogliere così l'obiettivo di pari opportunità su tutto il territorio regionale. Siamo convinti di questo perché in Sardegna gravitano 4 casse edili interprovinciali di emanazione ANCE, 1 regionale ANIEM ed una regionale Confartigianato; la domanda che ci siamo posti è se ha ancora senso l’esistenza di molteplici sistemi in un mercato sempre più ridotto che vede il suo potenziale ridursi di quasi il 40%, sia in termini di ore lavorate che in termini di addetti. Noi pensiamo che sia giunto il momento di fare sintesi, sia noi ma soprattutto il sistema datoriale; spogliarci della tendenza all'autoconservazione, in favore di una non più rinviabile fase innovativa, che però non deve sacrificare assolutamente il principio costituivo di mutualità e assistenza per le casse edili, di formazione e la sicurezza per il C.P.T. E scuole. L'evoluzione del settore impone una revisione delle tradizionali figure professionali, il rischio di essere espulsi dal mercato del lavoro sarà strettamente legato al grado di riqualificazione che saremo in grado di mettere in campo con i nostri enti; l'edilizia del futuro impone un percorso formativo che sappia colmare il deficit di innovazione; non farlo significa indebolire non solo il tessuto produttivo, ma soprattutto le opportunità dei lavoratori a reinserirsi nel mercato del lavoro. Stesso discorso vale per la sicurezza; le innovazioni nei materiali e nei processi produttivi portano con sè nuovi rischi che impongono nuove conoscenze per cui la pianificazione della formazione a livello regionale diventa strumento di salvaguardia per un mercato della forza lavoro sostanzialmente chiuso nella sua mobilità al solo perimetro regionale. Come Fillea, Filca e Feneal crediamo in questo progetto, lo abbiamo sostenuto e siamo disponibili al confronto, urge però darsi dei tempi e regole da rispettare affinché quanto affermiamo si traduca in atti concreti. Se cosi non è bisogna essere chiari ed evitare di perdere tempo prezioso, c'è la necessità di un confronto continuo e produttività, gli incontri fatti tanto per lavarci la coscienza non ci interessano. Tra i punti nodali attraverso cui passa lo sviluppo dell'isola, l'energia assume un aspetto prioritario ed è un fattore chiave per lo sviluppo delle attività manifatturiere, anche del settore delle costruzioni che sconta un + 30% di costi energetici sulla produzione industriale. Siamo l'unica regione che non ha il metano. Avevamo sperato nel progetto GASLI previsto entro il 2012 ed invece se ne sono perse le tracce, ma la nuova giunta regionale deve decidere in fretta se no si rischia di vedere perduti gli investimenti in parte pubblici e in parte privati destinati alla realizzazione delle reti e dei bacini di distribuzione. Ma soprattutto si corre il rischio del tracollo totale dell'intero comparto industriale dei materiali di costruzione, già pesantemente condizionati dalla crisi dell'edilizia e che vede un sostanziale ridimensionamento del potenziale produttivo. Il settore dei laterizi con il fallimento di alcune società, fra le quali le Laterizi Torre e la contestuale cessazione di attività presenti principalmente nel nord e sud dell'isola, vivono una crisi senza precedenti; si lavora a singhiozzo al solo fine di colmare la debole richiesta del mercato interno, sempre più investito da fenomeni d'importazione, derivati dal surplus produttivo nazionale, che ne compromettono ulteriormente le capacità produttive degli impianti . Il settore cemento, dopo la definitiva chiusura dell'impianto di Italcementi a Scala di Gioca, conta solo due siti, Siniscola (Buzzi Unicem) e Samatzai (Italcementi), interessati anche questi da crisi di mercato con un decremento del 60% di produzione nell'ultimo quinquennio ed un’ulteriore riduzione dell’ 8% prevista per il 2014. Non si salvano i lapidei del Goceano e della Gallura, sia sull'estrazione che sulla verticalizzazione del prodotto; considerato fino a qualche anno fa uno dei settori portanti dell'economia isolana, oggi è interessato da una crisi che ne mina l'esistenza stessa, eccezione fatta per il distretto di Orosei che mostra una vitalità sia in termini organizzativi che produttivi. Il settore dei manufatti in cemento è sottoposto nella sua totalità al ricorso agli ammortizzatori sociali senza che anche per questo settore si intravedono segnali di ripresa. Il settore del legno ha subito un tracollo senza precedenti, tra i più esposti al rischio di scomparsa; basti pensare che anche il comparto del sughero, fiore all'occhiello della Gallura, registra per la prima volta, da parte di aziende storiche, il ricorso alla cassa integrazione guadagni ed alla mobilità per cessazione di reparto, in quanto, a causa della mancanza di commesse, il processo produttivo si arresta alla fase embrionale di trasformazione della materia prima, senza giungere alla verticalizzazione del prodotto. Bisogna intervenire in questo settore con una diversa e più attenta politica di riforestazione, rispettosa della vocazione dei nostri territori, investendo sulla ricerca ed innovazione tecnologica dei processi produttivi e dell'utilizzo del prodotto nei processi di bioedilizia. Questa è la ricetta che occorre mettere in campo per rilanciare i nostri settori produttivi e il comparto dell'industria in Sardegna, per creare processi di lavorazione di qualità, abbattendo i costi impropri, promuovendo i prodotti, rafforzando l'esperienza dei distretti industriali, verticalizzando e diversificando le produzioni, senza prescindere dall'adeguamento infrastrutturale e dalla soluzione del problema energetico. A tal proposito è indispensabile una rivisitazione della legislazione di sostegno che premia chi si consorzia. Auspichiamo un intervento deciso in materia da parte della nuova giunta regionale. Viviamo oggi in Sardegna una situazione condizionata da tante contraddizioni, che amplificate dalla crisi rischiano di condizionare anche le nostre scelte. Questa assemblea congressuale ha anche il compito di effettuare un bilancio dell'attività svolta, sia sul piano politico che organizzativo, non solo per individuare le criticità e le debolezze, ma anche per superarle, adeguando al meglio la nostra azione a un progetto ed un programma di lavoro coerente e funzionale al conseguimento degli obiettivi futuri. Anche per questo la nostra attività non può prescindere dal rafforzamento dell'attività unitaria con Filca e Feneal; per noi la difesa dei diritti e la tutela dei lavoratori passa attraverso un sindacato forte e autorevole, capace di sostenere le politiche settoriali, contrattuali e organizzative, nel rispetto delle regole nazionali propedeutiche a sviluppare il necessario confronto ed interlocuzione con le nostre controparti naturali e con le istituzioni, in particolare con gli assessorati regionali competenti, affinché si recuperi un rapporto del tutto inesistente con la giunta Cappellacci. CONGRESSO Questa fase congressuale ha visto svolgersi su tutto il territorio regionale 112 assemblee coinvolgendo 5121 lavoratori, pari al 44.13% dei lavoratori iscritti alla Fillea, con 5048 voti a favore del documento 1, pari al 98.57% dei voti totali. L’analisi dei Congressi territoriali ci consegna la complessità di un mondo del lavoro, e nel suo mutamento, maledettamente complicato, anche sul versante della nostra capacità di rappresentarlo, intercettarne i bisogni nuovi e saperli rappresentare in un binomio sempre più stringente fra tutela collettiva e tutele individuali, obbligati anche dalle azioni scelte dai governi di delegare sempre più le proprie funzioni a patronati e centri fiscali. In proposito, negli ultimi anni siamo riusciti a sviluppare ottime sinergie con i Servizi della confederazione, che rappresentano certamente un’eccellenza in fatto di tutele individuali dei lavoratori. Abbiamo sviluppato ottimi progetti di integrazione, sia con il CAAF ma soprattutto con l’Inca, affiancando anche ottimi progetti di reinsediamento nel territorio, con il fine di potenziare e qualificare l’offerta delle tutele, ma anche con il chiaro obiettivo di allargare la nostra base di rappresentanza, intercettando i bisogni di quei lavoratori che altrimenti non saremmo riusciti ad avvicinare. Colgo l’occasione per ringraziare l’Inca regionale, con cui stiamo condividendo un altro ambizioso progetto di collaborazione che vede la “costruzione” di un’anagrafe previdenziale dell’edilizia, allo scopo non solo di orientare i lavoratori della Fillea ad una prospettiva pensionistica, ma anche per studiare e cogliere l’evoluzione delle tutele per i lavoratori del nostro settore in un’ottica di prevenzione e sicurezza. Un progetto formativo che, pur essendo dimensionato sul livello regionale, si svilupperà a partire dal territorio, tratto distintivo dell’azione quotidiana della nostra categoria, così come , peraltro, coerentemente con quanto deciso dalla conferenza d’organizzazione del 2008. Diciamo questo, confortati dai dati degli ultimi 4 anni che ci vedono, seppur in un contesto di crisi così drammatica , cogliere, sia a livello di categoria che come confederazione, risultati importanti sul fronte del proselitismo: da 10984 iscritti del 2009 agli attuali 11683 al 31/12/2012, confermandoci primo sindacato tra le categorie dell’industria. Un risultato importante quello della nuova sindacalizzazione, da ascrivere in buona parte alla capacità progettuale che siamo riusciti a mettere in atto, sinergicamente con la confederazione, che ha importanti ricadute non solo in termini di rappresentanza e rappresentatività, ma anche perché da essa dipende anche la nostra autonomia economica e quindi organizzativa, di programmare, attuare e cogliere gli obiettivi della nostra agenda sindacale. In questi anni come Fillea Sardegna abbiamo cercato di sviluppare al meglio le linee guida scaturite dal precedente congresso, agendo in direzione di creare le condizioni per sviluppare quel giusto e naturale ricambio generazionale che diventa essenziale per la continuità della nostra organizzazione. Abbiamo investito in termini di risorse umane e finanziarie con l’obiettivo di forgiare un nuovo gruppo dirigente per la Fillea oggi e per la Cgil domani, soprattutto verso i giovani e le donne. Abbiamo fatto tutto questo supportati dall’importante contributo della Fillea nazionale sia in termini altamente qualificati sul versante formativo e anche economico. A tal proposito voglio ringraziare Mauro e tutta la segreteria nazionale a nome del gruppo dirigente della Sardegna; così come voglio ringraziare la Cgil sarda e il suo segretario Michele Carrus che ben conosce la natura e la vocazione spiccatamente confederale della Fillea sia per la sua capillare presenza nel territorio, sia per la sua affidabilità politica. Con la Cgil Regionale, coerentemente al percorso tracciato dal documento per la riforma organizzativa, elaborata dalla commissione organizzativa della Cgil, il 22/7/2013 e in linea con la delibera assunta dal direttivo della Fillea Nazionale, abbiamo intrapreso un’azione comune sul fronte della riorganizzazione anticipando di fatto un’ esigenza irrimandabile in funzione dei nuovi assetti sia istituzionali che organizzativi che la confederazione si propone di affrontare subito dopo il congresso, perseguendo gli obiettivi di rafforzamento del nostro insediamento nei posti di lavoro e nel territorio, attivando sempre più la partecipazione democratica alla vita dell’organizzazione di militanti e iscritti, attraverso la liberazione di risorse economiche e umane, valorizzando l’esperienza maturata e la razionalizzazione delle strutture e organi esecutivi ai vari livelli dell’organizzazione. Questo congresso sancisce il ripristino del livello regionale come istanza congressuale con il compito di coordinare e conferire maggiore omogeneità alle politiche del settore, rafforzandone la funzione di supporto ai territori. Un ringraziamento di cuore alla compagna Jessica per il suo prezioso contributo sul versante amministrativo, sempre molto attenta al principio del “rendere conto, per rendersi conto”. Ringrazio tutto il gruppo dirigente della Fillea Sardegna per avermi supportato in questi anni ma soprattutto per la disponibilità che mi hanno sempre accordato a supporto del progetto riorganizzativo, spogliandosi dell’abito di auto-conservazione di auto-referenzialità, mettendosi a disposizione della Fillea e della Cgil, che vedrà nel nuovo gruppo dirigente che scaturirà da questo congresso, traguardare con determinazione l’obiettivo di affermare i diritti e il lavoro oltre crisi, verso una società migliore per noi e per le generazioni future. La presenza oggi del Compagno Peppuccio Cordeddu, Segretario della Fillea di Cagliari, che ringrazio infinitamente per averci onorato della sua presenza, protagonista nel ’61- insieme ai lavoratori edili di allora- della grande e vittoriosa battaglia che portò alla costituzione delle casse edili e delle scuole edili- assume nel contesto attuale un significato altamente simbolico e importante per la nostra organizzazione: un ponte fra generazioni diverse che ci vede negli anni sempre uniti nel valore del lavoro e delle rivendicazioni promosse da questa categoria in nome dei diritti dei lavoratori che rappresentiamo. "Mi piacerebbe sognare che il Mediterraneo sia davvero mare di pace non di guerre dichiarate alla civiltà, all’accoglienza, alla giustizia. Mi piacerebbe che la libertà di movimento appartenesse ad ogni donna e ad ogni uomo e che ad ogni essere umano venisse data la libertà di trovare rifugio, se sta cercando salvezza. Mi piacerebbe un’Europa capace di un’unica sola barriera: quella contro il crimine dalla tratta di esseri umani e del traffico d’armi dei paesi dove guerre e persecuzioni costringono alla fuga gli abitanti. Mi piacerebbe sognare per quei bambini e per quelle bambine, portati in braccio sul barcone della speranza, meta o almeno un rifugio differente da una piccola bara bianca. Mi piacerebbe che la legalità in Italia e nel Mediterraneo fosse una cosa normale e non l’eccezione da sottolineare con qualche premio così come la solidarietà. Vorrei che combattere la mafia divenisse semplicemente un dovere e non vocazione al martirio. Vorrei che in questo Natale non ci fossero bambini costretti a vivere in clandestinità solo perché il loro papà ha un cognome straniero ed è irregolare o si chiama Di Matteo e il suo mestiere è la lotta alla mafia. Mi piacerebbe che la bellezza, la bellezza che ci hanno lasciato le generazioni prece-denti, la bellezza della natura che questo paese ci potrebbe regalare, la bellezza delle nostre città, del mare, delle isole, delle mie isole, diventasse la leva per combattere il declino e rilanciare il paese. La bellezza dei luoghi, la bellezza delle produzioni, la bellezza dei gesti tra le persone, la bellezza del soccorso e dell’accoglienza". Giusy Nicolini, Sindaco di Lampedusa e Linosa

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