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Referendum

20.03.14 Si è concluso il 12 marzo 2014 il Congresso Regionale della Fillea Toscana. Di seguito la relazione del segretario uscente Giulia Bartoli, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
“Con troppa insistenza e troppo a lungo, sembra che abbiamo rinunciato all’eccellenza personale e ai valori della comunità in favore del mero accumulo di beni terreni. Il nostro Pil ha superato 800 miliardi di dollari l'anno, ma quel PIL - se giudichiamo gli USA in base ad esso - comprende anche l'inquinamento dell'aria, la pubblicità per le sigarette e le ambulanze per sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine settimana. Il Pil mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa e le prigioni per coloro che cercano di forzarle. Comprende il fucile di Whitman e il coltello di Speck, ed i programmi televisivi che esaltano la violenza al fine di vendere giocattoli ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari e non fa che aumentare quando sulle loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari. Comprende le auto blindate della polizia per fronteggiare le rivolte urbane. Il Pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia, la solidità dei valori familiari o l'intelligenza del nostro dibattere. Il Pil non misura né la nostra arguzia, né il nostro coraggio, né la nostra saggezza, né la nostra conoscenza, né la nostra compassione, né la devozione al nostro Paese. Misura tutto, in poche parole, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”. Discorso durissimo nei confronti del Pil che Robert Kennedy, ex-senatore statunitense ed ex candidato alla presidenza, tenne il 18 marzo del 1968, tre mesi prima di cadere vittima in un attentato a Los Angeles. Care Compagne e Compagni, graditi Ospiti, vi saluto tutti e vi do il benvenuto all’8 Congresso della Fillea CGIL Toscana, il primo in seguito alla ricostituzione dell'istanza congressuale. Un momento questo che viene dopo 10 Congressi territoriali di categoria e soprattutto dopo le quasi 500 assemblee fatte in tutta la Regione. Che hanno visto la partecipazione di 9493 iscritti, il 98,31% dei quali si è espresso per il documenti 1 ‘Il lavoro decide il futuro’, e l'1,69 % per il secondo documento, primo firmatario Giorgio Cremaschi e sostenuto da 5 componenti il direttivo nazionale di cui 2 già dimissionari e aderenti ad altri sindacati. Un Congresso che vede nel rapporto e nel confronto con i lavoratori e i nostri iscritti l’elemento fondamentale da cui partire; senza ascoltare la nostra base o peggio ancora, con un'attenzione SORDA, la CGIL non può avere futuro. Ci siamo detti nelle premesse congressuali che questo doveva essere un Congresso diverso, di ‘ascolto’, dove i funzionari dovevano fare un passo indietro, necessario per evitare la deriva autoreferenziale e leaderista della politica, per rafforzare la nostra azione nella difesa dei diritti dei lavoratori contro gli attacchi che da più parti vengono ai corpi intermedi. Attacchi indirizzati proprio a quei corpi che permettono la rappresentanza collettiva a scapito del diretto rapporto leder-cittadino, che ha l’unico vantaggio di indebolire quest’ultimo a favore di una gestione autarchica della politica e del bene comune. Lo avevamo detto ma non ovunque è stato possibile, purtroppo il male del posizionamento ha avuto il sopravvento, 2 documenti si sono contrapposti all’interno della discussione congressuale. Ancor prima della stesura del documento ‘Il lavoro decide il futuro’ c’era già chi affermava che comunque si sarebbe presentato in contrapposizione; mi chiedo come si può definire questo atteggiamento? Assemblee in cui si attaccava la CGIL e il suo Segretario Generale, dove si usavano parole irripetibili contro i dirigenti di questa nostra grande organizzazione appellandoci alla democrazia, non è democrazia questa, ha solo il risultato ultimo di indebolirci. Come nel Congresso 2010 alla maggior parte dei lavoratori non sono interessate le diatribe interne, lo scontro Camusso-Cremaschi, poi Camusso-Landini non è stato oggetto di analisi ma di profonda critica nei confronti di tutta la CGIL. L'attenzione era rivolta alle dovute risposte ai problemi quotidiani, concreti, dei lavoratori, dei disoccupati, quando potranno riscuotere gli arretrati degli stipendi, cosa accadrà alla propria azienda e al loro posto di lavoro alla scadenza degli ammortizzatori sociali, come faranno a trovare un’alternativa occupazionale. Non dico, voglio essere chiara, che il Congresso non è un momento di analisi di cosa abbiamo fatto e come, di quali risultati siamo riusciti ad ottenere, di quali siano stati limiti della nostra azione, degli errori e delle debolezze ma con l’obiettivo di raddrizzarci, riposizionare la nostra attività e rafforzarci ulteriormente. Solo se questo, a partire da oggi, è la volontà di tutti, potremo davvero raggiungere gli obiettivi che ci siamo prefissati e cambiare marcia. Ho detto CAMBIARE perché non basta dirci come abbiamo sbagliato, ma è indispensabile riconoscere nel contesto quanto abbiamo fatto e avere la capacità di comunicarlo e trasferirlo ai lavoratori. Ricordo cosa ha caratterizzato questi 4 anni, dal post congresso 2010. A partire dalla già presente e pressante crisi, prima finanziaria poi economica sociale e culturale direi, diffusasi in Europa già prima del 2010, a cui si è risposto con le politiche sbagliate dell’austerità e del rigore contabile, che hanno avuto l’effetto di accrescere i danni già gravissimi della crisi, l’aumento delle disuguaglianze, della povertà, della disoccupazione. Di qualche giorno fa la notizia che in Germania i salari reali al netto dell’inflazione nel 2013 sono diminuiti, segnale di possibile deflazione che dalla Germania potrebbe estendersi in tutta Europa, pericolo da scongiurare anche per la Germania stessa che fino ad oggi ha fatto la voce forte sulle politiche europee ed ora inizia a capire che, probabilmente, occorre abbandonare le politiche di austerità per scongiurare la caduta ulteriore dei consumi con la chiusura di altre imprese e la perdita di altri posti di lavoro. Occorre che l’Europa cambi politica abbandonando le idee liberiste che vedono nel fiscal compact un esempio lampante e che fino ad oggi l’hanno guidata, attribuendo al Parlamento Europeo un potere diverso, superando il patto di stabilità, determinando politiche industriali e infrastrutturali comuni, rimettendo il LAVORO al centro, in tutte le sue accezioni. Penso all’estensione dei diritti salariali e contrattuali a tutti i paesi Europei (chiaramente non al ribasso), per evitare fenomeni elusivi e di concorrenza sleale come peraltro si stanno verificando con i distacchi comunitari soprattutto nel settore edile, o che incentivano le imprese italiane a delocalizzare, rivolgersi all’estero, trasferendo la loro attività con costi più bassi a scapito dei lavoratori italiani. Penso al rispetto delle regole contrattuali presenti in alcuni paesi, che potrebbero essere minate da scelte della commissione europea che vede nel Durc e nella clausola sociale degli appalti, per esempio, elementi lesivi che riducono la libera concorrenza. Penso alla necessità di un sindacato europeo forte che si contrapponga e svolga una funzione concertativa e contrattuale, visto che sempre più sovranità verrà ceduta dagli stati membri all’Europa. La crisi che dal 2008 ad oggi ha invaso i paesi Occidentali, particolarmente l’Europa e in essa pesantemente l’Italia, ha visto una perdita di posti di lavoro impressionante soprattutto nel settore delle Costruzioni, l’ultimo ad essere coinvolto ma che oggi più di altri stenta a rialzare la testa. Una crisi che solo in Toscana registra all’incirca una perdita di 28000 posti di lavoro nel solo settore edile, una diminuzione di 3000 lavoratori ogni semestre, mediamente 250 per Cassa Edile, la chiusura di molte Aziende e la frammentazione e la destrutturazione delle rimanenti. Crollano gli investimenti pubblici e i contratti aggiudicati (-37% rispetto al 2010)., i Laterizi (con le Fornaci, quelle ancora aperte, che viaggiano abbondantemente sotto il 50% della loro capacità produttiva e occupazionale), per non parlare delle cementerie, che non rivedranno più un mercato che riesce ad assorbire le quantità del periodo pre crisi, o il legno entrato in difficoltà prima degli altri settori e oggi in tendenziale equilibrio. Le imprese che meglio sono riuscite ad affrontare la crisi sono quelle che avevano o hanno trovato canali nel mercato estero, quelle che attraverso le esportazioni hanno sopperito al crollo dei consumi interni. Esempio lampante di un settore che vive di esportazioni è il lapideo, principalmente per le imprese di Escavazione, meno quelle di sola lavorazione anche se vediamo convincenti segnali di controtendenza. Dall’ultimo Focus economia dell’Ires risulta comunque una capacità delle imprese toscane di resistere ad una prolungata crisi economica, e questo è sicuramente un segnale incoraggiante. Ma se non si attivano al più presto politiche industriali e investimenti pubblici questa sostenibilità temo che verrà meno. Altro dato che emerge è una sostanziale tenuta dell’occupazione nel confronto fra il 3° trimestre 2012 e 2013, con un incremento nel settore manifatturiero e nelle costruzioni. Scorporando però quest'ultimo dato, notiamo come a crescere sono i lavoratori così detti indipendenti e si riducono i dipendenti. L’aumento delle partite Iva fotografa il settore, dove, contro una serie di lavoratori che volontariamente e per professionalità scelgono questa forma di impresa, ce ne sono altri che si vedono costretti a prendere la partita iva e poi magari tornare a lavorare per il precedente datore di lavoro con meno diritti, dal salario alla formazione sulla sicurezza, dalla certezza occupazionale alla tutela in caso di cessazione. Per non parlare della concorrenza sleale che certe imprese appaltatrici, utilizzando tali lavoratori, attuano nei confronti di quelle che scelgono la correttezza. Questo tema non possiamo e non dobbiamo esimerci dall’affrontarlo, combattendo le false Partite Iva con tutti i mezzi ma nello stesso tempo tutelando e rafforzando la tutela in termini di formazione professionale e sulla sicurezza delle altre, anche attraverso i nostri enti bilaterali che - su questo punto e su altri come il Durc per congruità - possono rafforzare la loro funzione intervenendo sul monitoraggio delle presenze in cantiere, delle forme contrattuali, delle tipologie di CCNL applicato, della regolarità. Ma non basta. Non basta l’azione del sindacato, delle parti datoriali o quanto gli enti bilaterali possono fare, serve una vera, chiara e incisiva volontà imprenditoriale e soprattutto politica. Purtroppo siamo di fronte ad un settore dove l’irregolarità è diffusa, dimostrato dagli ultimi dati della DRL relativi alle ispezioni del 2013, dove su 2460 ispezioni effettuate in Toscana nel settore edile nel 45% dei casi sono stati riscontrati illeciti e in più del 53% violazioni sulla prevenzione in materia di sicurezza. Il dato allarmante che descrive gli effetti drammatici della crisi è il fatto che si cerca di affrontarla con il ricorso all’illegalità: a fronte di una riduzione di oltre il 30% delle ispezioni rispetto al 2011 e al 2012, c’è un’impennata di maxi sanzioni per lavoro nero (+51%) e di contratti non regolari (+36%), un esempio è proprio quello delle false Partite Iva. Sappiamo che le ispezioni sono spesso mirate, ma siamo consapevoli della necessità di aumentare consistentemente dei controlli soprattutto ora. Purtroppo questo si scontra con una pesante riduzione delle risorse disponibili per gli enti ispettivi. Il sindacato deve essere in prima fila nel contrastare e denunciare fenomeni di illegalità, ma al proprio fianco deve avere le istituzioni; per questo continuiamo a chiedere un protocollo regionale sugli appalti e sui lavori volto alla difesa della legalità e al contrasto alle infiltrazioni malavitose. Da queste la nostra regione non è immune: lo dimostrano anche gli arresti di qualche settimana fa che hanno coinvolto imprese che da tempo lavoravano sul territorio Toscano, in lavori privati e pubblici - come quello degli Uffizi - in subappalto ad imprese storiche del territorio. Chiediamo la piena applicazione del “Protocollo salute e sicurezza” allegato alla legge regionale 38 che impegna tutti all’utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa per l’aggiudicazione degli appalti. Esso è disatteso nella sostanza: solo in poco più del 14% degli appalti di lavori infatti viene utilizzato l’OEPV, e anche dove la si utilizza le percentuali di ribasso sono altissime. C’è qualcosa che non funziona. I vincoli al patto di stabilità limitano gli investimenti e chiediamo un cambio di passo, ma la soluzione non può essere appaltare al ribasso: a quale prezzo, poi? Che l’opera non sia portata a compimento, che i materiali utilizzati siano scadenti, che la sicurezza e il rispetto dei contratti degli orari e del salario siano un optional? Per non parlare di quanto costa al pubblico la realizzazione di piccole e grandi opere... e poi ci diciamo che non ci sono soldi per far ripartire un settore che, con la sua storica funzione anticiclica, permetterebbe una ripresa generale. Penso alle varianti in corso d’opera, penso alla corruzione, penso al fatto che 1 Km di Tav in Italia costa 61 milioni di euro mentre la Madrid-Siviglia (tanto per fare un esempio) costa 9,8 milioni. Penso ai 5 miliardi di danni che in 18 mesi si sono avuti a causa di frane e allagamenti, e quanto si poteva risparmiare con interventi prevenzionistici. Penso infine all’evasione fiscale, 270 miliardi l’anno evasi che rappresentano circa il 17% del Pil. Solo intervenendo su quanto detto riusciremo a fare politiche di investimenti, e a risollevare un paese stremato dalla crisi e dalla sua debolezza strutturale. Una debolezza rispetto ad altri paesi principalmente legata, oltre a quanto detto, alla corruzione, all'evasione dilagante, all’incertezza della Giustizia, ai ritardi infrastrutturali, alla scarsa attenzione alla formazione e alla riqualificazione professionale, alla distorsione dei capitali dal lavoro alla rendita che ha determinato una bassa capacità innovativa delle imprese e un’elevata ondata speculativa. Senza dimenticarci le sbagliatissime politiche del credito che hanno sollevato banche e Istituti affossando le imprese (soprattutto quelle del settore delle costruzioni ritenuto a rischio) e i consumi. Ci sentiamo spesso dire che un ostacolo alla concorrenza è la rigidità del mercato del lavoro e anche una scarsa produttività dei lavoratori. Rigettiamo pienamente queste accezioni. Primo. I lavoratori in Italia, dati alla mano, lavorano mediamente più ore dei loro colleghi tedeschi per esempio, e sono soggetti a meno ore di formazione professionale (considerata più un costo che un investimento). E solo come esempio ancora, sottolineo che il nostro 0,30, versato per i più in fondi di formazione professionale, in Francia è dell’1,2 per le imprese di piccole dimensione, e le risorse dell’FSE sono diversamente utilizzate e più rivolte agli inoccupati. Gli scarsi investimenti nelle imprese, poi, fanno sì che in molti casi si lavori con macchinari obsoleti che chiaramente hanno perso la loro capacità produttiva. Secondo. Abbiamo 46 forme contrattuali, in edilizia - indipendentemente da queste - il lavoro è legato al cantiere e si può licenziare per fine lavori o addirittura fine fase lavorativa. Diciamoci con chiarezza che questo non è un ostacolo, ma c’è la volontà di deregolamentare il sistema per spogliarsi di quella responsabilità sociale che anche la Costituzione attribuisce. Per evitare che questo sia l’unico modus operandi, e che solo così si possa stare sul mercato, occorre che le regole siano uguali per tutti e che tutti le rispettino o vengano portati a farlo. Su questo sono d’accordo, difendiamo le imprese serie e corrette che fanno della professionalità e della qualità del lavoro il loro agire. Dal 2010 ad oggi, e anche negli anni precedenti purtroppo, la CGIL si è trovata a contrastare politiche che avevano il solo obiettivo di rispondere a quelle due accezioni definite prima come ‘ostacolo alla concorrenza’. Ci sono state modifiche pesantissime al Diritto del Lavoro con il Collegato Lavoro, che ha definitivamente cancellato il concetto che il lavoratore è la parte debole del rapporto lasciando alla sensibilità dei giudici il riconoscimento di tale sacrosanta debolezza, ha introdotto l’arbitrato e reso costoso ricorrere in giudizio. C'è stato l'articolo 8 e ci possiamo aggiungere anche il 9 e l’11 della manovra di Ferragosto Sacconi/Berlusconi, con l’introduzione dei contratti di prossimità e della derogabilità di leggi e CCNL; unitariamente con le associazioni datoriali, abbiamo sottoscritto di non applicarlo, ma è legge e produce visibilmente i suoi effetti sulle spalle dei lavoratori e indebolendo la contrattazione nazionale. Tutto questo, fatto al solo scopo di legittimare l’accordo separato della Fiat. E poi c'è stata la Legge (non voglio chiamarla Riforma) Fornero sulle pensioni, approvata in un momento difficile, dove ci dicevano che eravamo sull’orlo del baratro (ma ovviamente non sapremo mai se era vero) e fatta passare come una norma per i giovani ma che in sostanza penalizza tutti. E qui ribadisco fortemente l'esigenza di un cambiamento radicale, sottolineando anche la insufficiente risposta data dalla nostra organizzazione ad un intervento di impatto pesantissimo come questo si è dimostrato. La Legge Fornero sul Mercato del Lavoro, infine, come ciliegina sulla torta che - in una situazione di crisi come quella che coinvolgeva il nostro paese - ha pensato bene di riformare gli ammortizzatori sociali riducendone la portata (oltre a non renderli universali come da tempo la CGIL chiede fortemente), di estendere il contratto di lavoro a tempo determinato e di non ridurre le 46 forme di lavoro presenti, senza contare l’attacco continuo all’articolo 18 come se tutti i limiti allo sviluppo italiano fossero lì e non quelli che enunciavo prima. In questo contesto si è mossa l’azione della CGIL e delle sue categorie. Principalmente attraverso la funzione propria dell’Organizzazione ossia la CONTRATTAZIONE, rappresentando e difendendo i diritti collettivi di lavoratori e cittadini. In questi anni la nostra azione si è rivolta prevalentemente alla Contrattazione difensiva: i 54126 accordi difensivi sottoscritti complessivamente in Toscana dal 2010 ad oggi dimostrano quanto forte è stato l’impegno dei sindacati alla salvaguardia dei posti di lavoro. Di questi 297 sono Contratti di solidarietà ed hanno interessato circa 15000 lavoratori. Uno strumento che si è rivelato importante nella sua modalità difensiva, solidaristica, dove ognuno vede ridotte le proprie ore di lavoro per permettere a tutti di lavorare e dove le imprese accettano strumenti meno flessibili, nella consapevolezza e nella responsabilità di garantire indifferentemente i propri lavoratori. Uno strumento messo a rischio dalla riduzione del 10% delle integrazioni salariali da parte del Governo, intervento veramente miope. Consideriamo il CDS, anche nella sua modalità espansiva, un possibile mezzo per aumentare l’occupazione e ridurre le ore di lavoro in quelle aziende dove il lavoro c’è, al fine di permettere l’assunzione di nuovo personale giovane in affiancamento a chi è poco distante dalla pensione e può trasmettere le competenze. Riteniamo, in questa analisi, che la gestione degli orari di lavoro acquisti una importanza centrale nella contrattazione. Il lavoro che c’è deve essere ridistribuito, e dove ce n’è di più bisogna evitare ricorsi allo straordinario strutturale, come accade anche in questo periodo di crisi, per assumere nuovo personale. La solidarietà deve tornare ad essere un valore. Cosa fa, cosa ha fatto il sindacato? In questa ultima tornata contrattuale, che ha visto sottoscrivere unitariamente tutti i CCNL scaduti tranne quello dell’edilizia di Ance e Coop, su cui tornerò, sono riuscita a percepire nelle assemblee dei lavoratori, forse per la prima volta, il valore vero attribuito ai diritti. A livello economico le chiusure sono state dignitose ma mai abbastanza, erose da tasse e contributi; siamo però riusciti, ed è stato un traguardo importante, a non mettere in discussione alcun diritto, come la malattia per esempio, più volte attaccata, o a porre limiti all’applicazione della legge Fornero sul MdL. I lavoratori devo sapere tutto questo, dobbiamo saperlo trasmettere. Oggi vediamo messi in discussione diritti conquistati dopo anni di lotte, e una volta persi - e ci vuole un attimo -, sarà difficilissimo riconquistarli. Non basta, è vero. Siamo ancora nel pieno della trattativa del contratto Ance Coop; per la prima o forse la seconda volta, gli artigiani hanno firmato il contratto prima dell'Industria, un contratto che giudico complessivamente soddisfacente. Ora bisogna portare a termine l’ultimo scoglio. La difesa dell’Apeo (anzianità professionale edile), il diritto alla carenza malattia, la tenuta, anzi, il rafforzamento della responsabilità sociale d’impresa, il salario. Non capiamo l’atteggiamento delle controparti (qui presenti e non me ne vogliano), una trattativa contrattuale strana, dove, per una parte, le organizzazioni sindacali sono state spettatrici di una contrattazione interna alla parte datoriale; non capiamo come è possibile scendere in piazza tutti insieme per chiedere il rilancio del settore e la lotta all’irregolarità e poi nelle segrete stanze della contrattazione pretendere il ribasso dei diritti e del salario. Non ci stiamo! Certo che, oltre a ridistribuire reddito (e noi lo facciamo con la contrattazione), occorre intervenire sul cuneo fiscale. La crisi è anche una crisi di consumi, e il crollo delle compravendite di abitazioni (oltre che dall’impossibilità di accedere al credito) deriva anche da questo. Ed è inutile, penalizzante per il lavoro, proporre l’estensione delle aperture domenicali per negozi e grande distribuzione se non si riconsegna il valore nelle mani delle persone. Oggi vediamo calare i consumi anche di prima necessità e concentrali su pasta, pane, eccetera. Sembrano altri tempi, ma è l’oggi, l’aumento delle file alle mense della Caritas e l’aumento delle famiglie sotto la soglia di povertà è reale. Svolgiamo a pieno il nostro compito, contrattiamo, ma con una visione a lungo termine, strategica per il settore. Penso agli Enti Bilaterali. Una riforma è necessaria, indispensabile efficientarne l’azione per non perderne i presupposti e gli obiettivi per cui sono stati costituiti. Serve però un disegno, una strategia appunto, un progetto chiaro e condiviso dalle Parti Sociali. Semplificare e non deregolamentare, rendendosi ognuno responsabile sulle scelte del passato e coraggioso per le scelte future. Un sistema bilaterale forte vede la presenza di tutti i soggetti del settore, vede un rafforzamento dell’azione sulla Sicurezza: con la messa in atto degli RLST in tutta la Regione determinando però un equilibrio necessario tra costi sostenuti e attività da svolgere, allineandone la disciplina a livello Regionale. Sulla Formazione: valorizzando il Formedil Regionale con la sua azione di indirizzo e coordinamento, vanno sollecitate le nostre Confederazioni a far valere nelle tripartite regionali il grande valore sociale e qualitativo svolto dalle scuole edili, e il loro dovuto riconoscimento nel quadro della riforma regionale della formazione. Non è pensabile che l’edilizia ne sia esclusa. Bisogna dare finalmente attuazione alla Trasferta Regionale da parte di tutti i territori, e attivare meccanismi di collaborazione, sinergia e condivisione fra enti di diverse province fino a sperimentare percorsi di integrazione. Contrattazione appunto, che per la nostra Regione non è solo edilizia. Manca la firma del CCRL del settore lapideo; dopo un anno dall’avvio della discussione, sostanzialmente ancora è un nulla di fatto. Dobbiamo dare risposte a tutti quei lavoratori affinché non si sentano di serie B: sono lavoratori professionali, con grandi capacità artistiche e manuali. Hanno diritto al contratto come i loro colleghi dell’industria, vogliamo valorizzare questo settore ma servono risposte concrete o dovremo mettere in campo azioni di mobilitazione. Azioni che dal mio punto di vista dovremmo estendere a tutti i settori dell’artigianato, da anni in attesa di rinnovo. Due fra tutti, legno e metalmeccanici e su questo la confederazione dovrebbe sostenerci. La CGIL deve necessariamente affrontare un'analisi su una concreta riforma della contrattazione basata su 4 elementi fondamentali: - Inclusione di tutte le figure del mondo del lavoro, quelle da anni fuori dalla contrattazione. E' indispensabile ricomporre il mondo del lavoro per ridare forza all’azione sindacale e maggiori tutele e diritti a chi fino ad oggi ne è stato privo. E, a mio parere, è in questo contesto che occorre parlare di salario minimo garantito, altra cosa il reddito di cittadinanza su cui, permettetemi, ho forti perplessità - Rafforzare e ricondurre il grande numero di CCNL ad oggi presenti ad un livello più organico ed esigibile, accorpando e semplificando non su grandi aggregati contrattuali ma sulla base di omogeneità di filiera o settore merceologico. Penso ad esempio all’edilizia: occorre un contratto unico da applicare a tutti coloro che lavorano in un dato cantiere, eliminando dumping indotti dalla scomposizione della rappresentanza associativa o da altri CCNL come il multiservizi - Riqualificare la contrattazione di 2°livello - Assegnare alla contrattazione sociale un ruolo fondamentale di sostegno e di qualificazione del welfare territoriale: penso ai servizi agli anziani e alla non autosufficienza, alle mense e al trasporto, agli asili nido, alle tariffe e al contributo affitti. Si tratta quindi di un grande strumento di redistribuzione del reddito; pensiamo però che oggetto di contrattazione con le amministrazioni pubbliche devono diventare anche tutti gli strumenti urbanistici, nel coinvolgimento delle rappresentanze sociali sulla pianificazione urbana e nelle scelte di sviluppo di un territorio come mezzo di partecipazione e condivisione collettiva. In questo contesto, acquista ulteriore importanza la questione della Rappresentanza sindacale che va estesa a tutte quelle forme di lavoro che ne erano escluse; va rafforzata e resa esigibile nella sua stesura regolamentare, vanno valorizzati quegli accordi a partire dal 31 maggio fino al 10 gennaio. Dovremmo auspicare che tali modalità di certificazione della rappresentanza non rimangano solo patrimonio delle organizzazioni sindacali ma siano la base affinché anche tutte le Associazioni Datoriali recepiscano questa sfida. Parlo alla mia organizzazione, alla CGIL, l’ho detto dove ne ho avuta la possibilità: il metodo con cui siamo giunti alla firma il 10 gennaio, e lo scarso coinvolgimento nella fase finale di quell'accordo delle Categorie Nazionali e delle Confederazioni, hanno determinato una situazione, peraltro in questa fase congressuale, di difficile gestione; ciò ha fatto sì che la discussione si trasferisse allo scontro personalistico tra Susanna Camusso e Maurizio Landini e si distogliesse l’attenzione sui veri contenuti di quell’accordo. Sono partita dal metodo perché in molti casi il metodo è sostanza ma ci sono delle regole, delle regole condivise e approvate da tutti, c'è il nostro statuto; finché la dialettica democratica e di merito rimane all’interno delle regole è costruttiva, ma poi diventa altro. Il Direttivo Nazionale, ritornando sulle sue decisioni, ha individuato la necessità di sottoporre il testo al voto degli iscritti, di tutti gli iscritti (tranne i pensionati che se ne sono tirati fuori), lasciando le modalità alle categorie nazionali. Considero questa una giusta decisione, nell’interesse della CGIL tutta. Ora però è l’ora di mettere un punto. Parliamo di merito. Parliamo del fatto che non potranno più decidere sindacati minoritari, che finalmente sapremo chi rappresenta cosa, che i CCNL verranno sottoposti al voto o del rafforzamento delle RSU nella contrattazione aziendale, parliamo del fatto che non ci sono sanzioni per i lavoratori a differenza di quanto veniva sostenuto e di quanto è stato sudato questo accordo e non scontato. E’ un regolamento contrattato e quindi diverso da quanto avremmo fatto se lo avessimo deciso noi, ma ha una portata storica. Questa intesa ha cambiato però i presupposti iniziali del congresso. La Fillea Nazionale e tutto il gruppo dirigente avevano fatto la scelta di partecipare integralmente alla stesura del documento ‘Il lavoro Decide il Futuro’, cercando di far sì che le proprie idee diventassero patrimonio del testo e di tutta l’organizzazione, senza la necessità di personalizzare apponendo una firma a quello o a quell’altro emendamento. Un documento che recepisce in larga parte la nostra idea di sviluppo, quella che delineammo, in tempi non sospetti, a Genova nell’assemblea nazionale dei quadri e delegati. Uno sviluppo che si bassa sulla sostenibilità, intesa in tutte le sue accezioni: sostenibilità del costruire, dei materiali utilizzati come della progettazione, sostenibilità del lavoro, che significa qualità, sicurezza, diritti, legalità, occupazione, formazione, sostenibilità del vivere (lavoratori ma anche cittadini), riduzione del consumo del suolo, rigenerazione urbana, abbattimento dei consumi energetici e quindi sostenibilità ambientale. Un documento che si divide in azioni, la parola d’ordine è agire. Agire per creare LAVORO, solo così usciremo dal pantano. Crediamo in una diversa idea di città, CITTA’ FUTURE appunto, dove la pianificazione urbana acquista un’importanza centrale e così come dicevo, la concertazione. Ho affermato che la crisi non è solo una crisi congiunturale ma strutturale, e cioè legata al modello di sviluppo adottato ed al conseguente modello produttivo che ha determinato una fase di profonda cementificazione del territorio, determinando un evidente effetto sull'assetto idro-geologico, minando il paesaggio e il nostro patrimonio storico-artistico. Davanti ad un abusivismo tollerato e favorito dalla gestione del territorio, con strumenti di pianificazione spesso non attenti né alle implicazioni urbanistico-ambientali né spesso alle risposte ai bisogni sociali come quello della casa. A fronte di un numero elevato di abitazioni invendute o sfitte, infatti, c’è un’alta emergenza abitativa, e su questo, credo, il pubblico può e deve fare la sua parte rafforzando il proprio intervento con politiche di housing sociale. Vorremmo essere in grado di monitorare le aree industriali dismesse, i centri storici da recuperare e le aree delle periferie da riqualificare, condividendo progetti volti non solo alle energie rinnovabili ma al completo efficientamento energetico degli edifici pubblici e privati, in ottemperanza alla corretta direttiva europea sulla neutralità energetica (per cui, se non ci adeguiamo, rischiamo come al solito delle sanzioni), all’utilizzo di materiali innovati o tecniche già sperimentate anche in altri paesi, rapportandoli chiaramente al clima, alla materia prima disponibile e al territorio. Costruire insomma una filiera del settore, certificata nella qualità materiale ma anche di chi vi lavora, sostenendo quelle imprese che intendono andare in questa direzione e convertire la propria attività. Crediamo che questo possa essere in parte il mercato del futuro prossimo e vorremmo che le imprese locali siano in grado di affrontarlo. Questa è una delle proposte da discutere con la Regione Toscana, che si è dimostrata sensibile al tema: penso ad una delle ultime iniziative che ha vista la costituzione di una rete di filiera del legno. Oltre ad affrontare il tema dell’edilizia scolastica, dopo un progetto presentato con la FLC in cui si chiedeva non solo una mappatura delle condizioni degli edifici scolastici in Toscana, ma si proponeva un protocollo che facesse delle modalità del costruire, del recupero, dell’ammodernamento e della predisposizione di spazi, luce e arredamento non solo qualità del costruire ed efficientamento ma fosse anche da modello quale fonte di formazione sociale e del cittadino per i bambini. Il Presidente del Consiglio sembra aver preso a cuore il tema dell’edilizia scolastica: non perdiamo il treno come è successo - per varie responsabilità - con il Piano casa, in cui la Regione Toscana ha visto approvato il solo progetto del Comune di Firenze. Non crediamo che questi siano slogan, siamo il sindacato delle costruzioni e per nostra natura e anche per necessità oggettive siamo concreti. Così come delineato nel Piano del Lavoro della CGIL, al Congresso riconfermiamo le nostre ambizioni, quelle di voler cambiare davvero il settore delle costruzioni nel suo complesso. Altro tema che incide sulla debolezza strutturale del nostro territorio sono le infrastrutture, il rafforzamento di porti, interporti, aeroporti e reti ferroviarie anche per rafforzare e favorire il trasporto su rotaia, il compimento di opere importanti come la TAV o l’avvio di quelle già previste: mi riferisco tra le altre alla A11 e alla 3° corsia dell’A1 Firenze sud Incisa. Dovremo agire affinché queste opere, al netto degli interventi della magistratura, vengano realizzate. E occorre sollecitare anche da parte istituzionale Autostrade ad iniziare le cantierizzazioni: sono interventi indispensabili per lo sviluppo della nostra Regione. Per l’attrazione degli investimenti, evitando che diventi un imbuto o peggio ancora una Regione di solo passaggio, oltre a far ripartire un settore che ha visto negli ultimi anni la perdita di moltissime aziende di livello nazionale, e che oggi vede le imprese di fuori come unici soggetti capaci di intercettare grandi opere e lavori pubblici, e le imprese toscane stare lì ad aspettare una fetta di sub appalto. La Fillea e la CGIL devono essere chiare, convinte della necessità di scelte partecipate dalla collettività, ma una volta che le decisioni sono state prese si va avanti, senza il sostegno a comitati che nascono spesso su spinta di qualche personaggio o lobby locale per interessi poco collettivi - diciamo così -. Questo prescinde dall’obbligatorietà dei controlli e delle procedure chiaramente Infine, parlando di infrastrutture, sarà necessario confederalemente riprendere a gran voce la nostra richiesta alla Regione Toscana di estendere il protocollo firmato con Autostrade nel cantiere della Variante di Valico e della Tav sul pronto soccorso a quello con Anas sulla Siena-Grosseto, fino a farlo diventare una buona prassi da applicare in tutte le grandi opere infrastrutturali in Toscana. Altra partita aperta, che faceva parte delle richieste avanzate alla Regione Toscana il 31 maggio con l’iniziativa di Fillea Filca e Feneal e l’incontro con l’assessore Bugli, è quella del settore lapideo, oggi più che mai sulla cronaca quotidiana a causa della presenza - nelle modifiche al piano paesaggistico - di vincoli al parco delle Apuane e alla possibile chiusura delle Cave ivi presenti e nella zona contigua. Noi ribadiamo in questa circostanza la necessità di un tavolo regionale di settore, che affronti il tema del paesaggio e dei vincoli all’escavazione e sia legato alla necessità di tutelare la produzione e i lavoratori regolamentandone l’estrazione: penso alla obbligatorietà della lavorazione in loco del materiale, alla definizione di un marchio e della filiera che riconosca e valorizzi quella produzione e quelle professionalità. In altre occasioni ho detto che sono convinta che non si creano filiere per decreto, ma possono essere sostenute e indirizzate. Un sistema di tracciabilità del materiale estratto anche per evitare fenomeni elusivi ed evasivi, oltre a verificare la fatturazione del marmo e il valore del venduto. Siamo convinti che non è riducendo l’intervento pubblico che riusciamo a ripartire ma al contrario rafforzandolo. Non è riducendo la spesa, ma qualificandola, che ce la faremo: questo è il tema decisivo ed è vero per le spese in opere infrastrutturali, come abbiamo visto precedentemente, ma anche per gli investimenti pubblici (che dovrebbero uscire dal patto di stabilità) o per la spesa nell’istruzione e nella Ricerca. La logica che ha pervaso la mente dei Professori al Governo è stata quella di tagli lineari, è stata quella lungimirante di ridurre le risorse alle amministrazioni pubbliche (che potevano investire), alla ricerca (necessaria per l’innovazione e le sperimentazioni), alle politiche attive del lavoro (necessarie per riqualificare il personale e renderlo rioccupabile su un mercato del lavoro profondamente cambiato), alle politiche passive (in una situazione di crisi delle imprese e di riduzione del lavoro), alla Sanità e alla spesa sociale (in un momento in cui le risorse a disposizione delle famiglie crollano e si rinuncia, dati alla mano, a curarsi), all’Università (con l’effetto di veder ridurre le Iscrizioni drasticamente). Ripeto, scelte senza dubbio lungimiranti per un paese che sta arretrando, a questo punto, non solo economicamente ma anche socialmente e culturalmente. Tutto questo non intervenendo su sprechi, evasione fiscale (i 270 miliardi non sono diminuiti), elusione, spese militari e consulenze pubbliche, tanto per fare degli esempi. Dicevamo, la parola d’ordine è il Lavoro. Abbiamo fatto tanto per ridurre il disagio sociale e occupazionale con le quantità di accordi difensivi che vi dicevo, ma è chiaro che gli ammortizzatori sociali sono solo un cerotto per una ferita ben più grande, consumato il quale la situazione emerge peggiore di prima. Sono anche dell’idea che in molti casi usiamo gli ammortizzatori in situazioni incancrenite, certi che la ripartenza non ci sarà e che la cessazione sarà inevitabile come inevitabile sarà il ricorso alla mobilità per chi ne avrà diritto. Non sarebbe questo il problema se fuori ci fosse una condizione diversa, un mercato del lavoro che dà opportunità. Oggi il Presidente del Consiglio presenta il "Jobs Act", reiteratamente proposto come misura salvifica in grado di invertire il ciclo della disoccupazione soprattutto giovanile. Come abbiamo detto noi, che siamo così critici anche di un'idea della politica interpretata dagli uomini della Provvidenza, non è certo con le regole e con l'ingegneria istituzionale sul mercato del lavoro che si innescherà un ciclo virtuoso di crescita. Lo abbiamo già visto con le legge inutili o dannose della stagione di sapienti che hanno finito di affossare definitivamente istituti come l'apprendistato, con il risultato che piú dell'85% dei nuovi contratti di lavoro attivati è di natura temporanea. Non è chiaro se ci sarà consentito un confronto reale, oppure, in assoluta continuità con Sacconi e Fornero, ci verranno comunicati dei provvedimenti. La confusione regna sovrana tra "contratti a tutele crescenti", "contratti di inserimento" non si sa se rivolti ai giovani, a chi ha perso il lavoro o all'intera platea dei lavoratori, il/la Naspi che sostituirebbe l'Aspi, magari sostituendo la cassa integrazione in deroga e allargando la tutela ai parasubordinati o altro ancora. Tutte cose di cui si può discutere, magari ricordandosi che 25.000 lavoratori e lavoratrici nella sola Toscana aspettano ancora il saldo della cassa in deroga per il periodo da Agosto in avanti, e prima di parlare di superamento di un istituto bisognerebbe garantirne la piena fruizione non formale ma sostanziale. Quel che è chiaro è che queste misure non saranno in grado di creare un solo posto di lavoro in più, così come non lo hanno creato le politiche degli incentivi e dei bonus "una tantum" seppure sulle assunzioni. Non c'è quindi operazione che può rilanciare le assunzioni senza un cambio della politica economica, fiscale, redistributiva, della programmazione e senza un rinnovato diretto intervento dello stato in economia con misure, anche temporanee, in grado di produrre il necessario shock economico. Se invece l'obiettivo è garantire che, come peraltro affermava il Ministro Giovannini, vista la situazione di crisi drammatica, l'importante, specie per i giovani, è offrire un'opportunità purchessia, quindi un tirocinio, un servizio civile, un voucher è indifferente, allora, ci troveranno contrari, il lavoro è un'altra cosa! Seguire la strada degli investimenti, di una diversa politica industriale e strategica garantire e riformare l'accesso al credito per imprese e cittadini da un lato, rafforzare le politiche attive del lavoro dall'altro. Questo ci differenzia ancora in peggio da alcuni paesi europei. In Italia infatti investiamo appena 5 milioni di Euro l’anno sulle politiche attive, lo 0,03% del Pil, in Germania l’investimento (perché di questo si tratta) si aggira intorno agli 8,8 miliardi, con 1.000 Euro l’anno spesi in media per ogni singolo soggetto da rioccupare contro gli 81 Euro spesi dall’Italia. Il risultato è una riduzione della capacità dei Centri per l’Impiego di dare risposte (in Italia solo il 2,6% trova lavoro attraverso i CPI, in Toscana la cifra è intorno al 6), una esternalizzazione delle attività riducendo qualità e diritti dei dipendenti, una scarsa capacità di affrontare i velocissimi mutamenti del mercato in termini di riqualificazione professionale, intervenendo sempre in emergenza quando dovremmo attivare percorsi di formazione continua. Non voglio essere pessimista ma è necessario un sostanziale cambio di passo. Per dare un futuro al 42% dei giovani che non studia e non lavora, una prospettiva, per dare futuro a più del 12% degli attivi oggi disoccupati, per sostenere tutte quelle persone che a causa della legge Fornero (e non solo) sono a casa, troppo vecchi per lavorare e troppo giovani per accedere alla pensione. La pensione, un miraggio per molti che hanno sacrificato la loro vita al lavoro, una vana speranza per le generazioni più giovani. La Fillea non ha condiviso gli emendamenti sulle pensioni presentati al documento per i motivi che dicevo prima, ma non per questo (e gli ordini del giorno approvati in molti congressi territoriali lo dimostrano) non ha la sua idea sulla profondissima trasformazione a cui quella legge deve essere sottoposta. In particolare, la CGIL deve avere il coraggio di fare una distinzione fra chi ha svolto un certo tipo di lavoro nella vita e chi un altro, coraggio che in passato ha solo parzialmente avuto. La legge attuale lega l’età pensionabile alla speranza di vita media, considerando quindi una omogeneità di condizioni; gli studi che la Fillea con l’Università di Roma ha fatto ci mostrano invece una realtà profondamente diversa. Uno per tutti, il lavoratore edile (ma poteremmo prendere ad esempio il cavatore, il fuochista e chi ha lavorato i fonderia), che ha una speranza di vita di 7 anni più bassa della media. Abbiamo il coraggio di dire che è su questa che si calcola la pensione!! Abbiamo la forza di sostenere che anche questi lavoratori hanno il diritto di godere della pensione o pretendiamo che, spesso a causa di carenza contributive dovute alla mobilità e alla precarietà del settore, per raggiungere una pensione dignitosa debbano lavorare fino a 70 anni? E a quali condizioni? La dignità delle persone è messa a dura prova: decine di lavoratori e imprenditori che hanno deciso di togliersi la vita, senza speranza, con l’incubo e la vergogna di tornare a casa e guardare in faccia i propri figli. E tutti coloro che si sentono minacciati o ricattati, che devono dire grazie che il lavoro ce l’hanno come se fosse un privilegio, e accettare condizioni peggiori con la spada di Damocle del licenziamento. E i lavoratori migranti, che oltre ad affrontare le difficoltà generali hanno a che fare con norme e regole che limitano la loro libertà come la Bossi Fini che lega il permesso di soggiorno al lavoro, e se lo perdono dopo alcuni mesi rischiano l’espulsione. Con la famiglia da mantenere, accetteranno ogni forma di ricatto. E le donne, che non più per scelta ma per necessità decidono di rinunciare al lavoro perché i nidi costano troppo, perché non conviene pagare la baby sitter o semplicemente perché senza lavoro. Giovani e possibili mamme si sentono chiedere che intenzioni hanno prima di essere assunte. Non è dignità questa, non è un paese normale, un paese che si definisce cattolico e non sostiene la famiglia, un paese bigotto ma con il più basso tasso di natalità in Europa, un paese in cui è difficilissimo e costosissimo adottare un figlio, in cui occorre andare all’estero per la fecondazione assistita e si fa obiezione di coscienza diffusa sulla pillola abortiva. Vorrei infine ricordare tutte quelle donne vittime di violenze familiari: in Italia dal 2000 al 2013 sono state assassinate 2323 donne, nel mondo ogni anno vengo assassinate 60mila tra donne e bambine, 165 al giorno. E’ una guerra dove una parte è disarmata. Difendiamo la nostra costituzione, diffondiamone i principi e applichiamoli ognuno per proprio conto, parliamone ai bambini. «Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un Italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione» Voglio chiudere con le parole di Piero Calamandrei, pronunciate nel Discorso ai giovani tenuto alla Società Umanitaria a Milano il 26 gennaio 1955

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