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Sindacato Nuovo, Gennaio 2023, pagina 16. Alla fine, 24 ore di negoziati straordinari hanno evitato che la Conferenza Onu sul clima si chiudesse con un clamoroso fallimento. di Rossella Muroni, Presidente Nuove Ri-Generazioni.

Avrebbe dovuto chiudersi venerdì, invece il documento finale è stato approvato nelle prime ore di domenica 20 novembre. Oltre 24 ore di negoziati in più che hanno fatto la differenza, evitando che la Conferenza Onu sul Clima di Sharm-el-Sheikh (Cop27) si concludesse con un clamoroso fallimento. 

Nonostante la prevista istituzione di un fondo specifico ‘loss and damage’ per risarcire i danni causati dalla crisi climatica nei Paesi più vulnerabili - che sono anche quelli meno responsabili del cambiamento climatico - rappresenti un passo storico, il testo delude su adattamento e riduzione delle emissioni, inoltre manca del tutto l’ambizione rispetto al phase-out dalle fonti fossili. 

Il documento finale approvato alla Cop27 salva sulla carta l’obiettivo di mantenere il riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi dai livelli pre-industriali, sottolinea l’importanza della transizione alle fonti rinnovabili e auspica l’eliminazione dei sussidi alle fonti fossili. 

Ma chiede soltanto la riduzione della produzione elettrica a carbone con emissioni non abbattute, non l’eliminazione. Soprattutto, non dice nulla sulla riduzione né sull’eliminazione dell’uso dei combustibili fossili. 

Vuoi perché lo stesso Paese ospitante del vertice, l’Egitto, ha lavorato insieme agli altri paesi produttori per rallentare la transizione dai fossili alle rinnovabili, vuoi per la presenza massiccia della lobby oil and gas. E anche, forse, perché in piena crisi energetica legata alla guerra russa all’Ucraina il gas e il petrolio sono ancora considerate da molti Paesi sviluppati, per quanto costose, fonti di transizione, mentre il più inquinante e accessibile carbone è utilizzato soprattutto dai Paesi emergenti e in via di sviluppo. 

L’Emissions Gap report dell’Unep, pubblicato a pochi giorni dall’avvio della Cop, aveva messo nero su bianco che gli impegni di riduzione delle emissioni adottati dai vari Stati mettono il mondo su una traiettoria che ci porterà a un aumento della temperatura di 2.8°C entro fine secolo. Quella traiettoria esce intatta da Cop27 visto che il testo non pone alcun vincolo sul necessario incremento degli impegni di taglio delle emissioni dei singoli Stati. 

Tanto che il segretario generale dell’Onu Guterres in conclusione della conferenza ha dichiarato: “Dobbiamo ridurre drasticamente le emissioni ora, e questa è una domanda a cui questa COP non ha risposto”. 

Delusa per motivi analoghi anche la Ue. Il vicepresidente della Commissione Timmermans a caldo ha affermato: “noi abbiamo cercato di portare tutti sull’obiettivo di 1,5 gradi, sul picco delle emissioni al 2025 e su una chiara intenzione di eliminare i combustibili fossili. Questa settimana abbiamo sentito 80 paesi sostenere questi obiettivi. Tristemente, non li vediamo riflessi qui. Alcuni hanno messo barriere non necessarie sulla strada. Ma noi non ci fermeremo dal lottare per fare di più”.

Ricordiamo infatti che secondo gli ultimi rapporti dell’IPCC e della IEA, per essere in linea con la soglia critica di 1.5°C, le emissioni climalteranti devono raggiungere il picco a livello globale entro il 2025 e diminuire entro il 2030 del 43% rispetto ai livelli del 2019. L’accordo per istituire il Fondo Loss and Damage è davvero un fatto storico e di giustizia climatica, atteso da tre decenni dai Paesi poveri ed emergenti e osteggiato da altrettanto tempo dai Paesi sviluppati. 

Il blocco degli industrializzati, infatti, temeva venisse sancito il principio del “chi emette paga” con responsabilità vincolanti sulle emissioni storiche e possibili risarcimenti a otto zeri. Il fondo sarà in gran parte destinato alle nazioni più vulnerabili, con qualche spazio per i Paesi a reddito medio che sono gravemente colpiti dai disastri climatici, e avrà diverse fonti di finanziamento. Una soluzione di compromesso. 

L’Ue, ad esempio, avrebbe voluto legare il fondo a impegni stringenti di adattamento e mitigazione e avrebbe voluto escludere esplicitamente dai Paesi beneficiari la Cina. Questo perché il gigante rosso è ancora classificato come Paese in via di sviluppo nei colloqui sul clima delle Nazioni Unite, nonostante sia da tempo diventato una potenza economica mondiale ed il primo emettitore globale. In Egitto l’Europa ha giocato un ruolo da protagonista, minacciando di lasciare i negoziati senza un buon accordo e soprattutto presentando una proposta che ha riaperto i giochi e le trattative consentendo di arrivare al compromesso finale. 

Ma ha peccato di poca ambizione annunciando l’impegno a ridurre le emissioni climalteranti del 57%, anziché del 55%, entro il 2030. L’Ue può e deve andare oltre, tagliando le emissioni di almeno il 65% al 2030 rispetto ai livelli del 1990, così da raggiungere il ‘net zero’ al 2050.

E l’Italia? Il nostro Paese ha partecipato alla Cop27 quasi da osservatore: non ha avanzato proposte di sorta, ma è stata nel processo grazie all’azione europea e al fatto di essere Stato membro Ue. Il passaggio del ministro Pichetto Fratin è stato breve e surreale più che incisivo: ha spiegato all’inviato speciale per il Clima degli Stati Uniti Kerry che entro l’anno l’Italia può autorizzare 10 nuovi GW di rinnovabili. Peccato che lo scorso anno ne abbiamo installati a mala pena 1,5 GW. E ancora non si sa nulla su come il nostro Paese, dopo un fresco ok a nuove trivelle, intenda adeguare il suo Piano energia e clima almeno ai più ambiziosi obiettivi climatici europei.

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