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Sindacato Nuovo, luglio 2023, pag. 13 - 14. Riqualificare, rigenerare, manutenere: i verbi di un nuovo patto tra lavoro e impresa per un salto indispensabile. Di Massimo Serafini, Comitato scientifico Nuove Ri-Generazioni.

Riqualificare, rigenerare, manutenere, sono verbi che dovrebbero essere molto apprezzati da un lavoratore o lavoratrice dell’edilizia perché le loro possibilità di lavoro futuro dipendono in larga parte da quanto più rapidamente il settore delle costruzioni deciderà di spostare le proprie attività dal nuovo da costruire alla riqualificazione e rigenerazione del già costruito. Questi tre verbi dovrebbero essere ben visti anche dai costruttori intelligenti, non prigionieri dell’idea che la competitività del loro settore e quindi i loro profitti, possono essere garantiti tagliando il costo del lavoro, la sua sicurezza e soprattutto devastando l’ambiente. Ormai il cambiamento climatico ci dice che è finito lo spazio da occupare con nuove opere, grandi e piccole che siano, o strappando ai comuni aree per costruire nuovi quartieri. La rigenerazione urbana e la stessa riqualificazione energetica degli edifici che l’Europa ci chiede di fare e che ossessiona i “dinosauri” e conservatori che governano questo paese, dovrebbe partire da qui, cioè dalla condivisione della necessità di una profonda riconversione ed innovazione del settore.

Infine sono tre verbi che aiutano il paese perché se il futuro sarà gradevole o pessimo sarà deciso dalla capacità o meno di controllare il clima, mitigandone la corsa verso l’ingovernabilità e adattando la popolazione ai cambiamenti già consolidati ormai irreversibili. 

Non è complicato da capire che questo salto è indispensabile, ma è noto che ciò che lo frena non è né un problema tecnico né di immaturità tecnologica, solo di resistenza politica perché spingersi su questa strada colpisce interessi corposi e assai bellicosi, che orientano gran parte del sistema mediatico ed è quindi tutta da conquistare, con le armi che il sindacato conosce bene cioè la lotta e la mobilitazione. Una vertenzialità che per essere efficace deve sapere andare oltre la tutela contrattuale delle lavoratrici e lavoratori del settore edile, ma unire attorno ad essi le altre mille contraddizioni che rigenerare una città mette in moto a cominciare da chi vive nelle abitazioni da riqualificare energeticamente. Possono essere giovani precari, donne, che la demolizione dello stato sociale ha richiuso in casa a svolgere i lavori di cura per rendere più faticosa e difficile la loro lotta di liberazione dal patriarcato, anziani con i loro mille problemi. Insomma serve pensare all’intero quartiere in cui le abitazioni sono inserite. Serve in poche parole quel sindacato di strada in cui fare incontrare tutti questi soggetti per definire una piattaforma che produca comunità energetiche, servizi sanitari, scuole, asili e nidi per l’infanzia, centri culturali, verde pubblico. Per vincere questa vertenza serve molta ricerca e formazione, alla prima deve pensarci lo stato, sulla seconda la Fillea ha una lunga tradizione positiva. 

Per lavoratrici e lavoratori si aprirebbero opportunità gigantesche, non solo di lavoro, ma anche di essere protagoniste/i della costruzione di città sostenibili come in fondo lo furono nella ricostruzione post bellica, anche se spesso fu pagata con sfruttamento e discriminazione di tante competenze perché quelle persone erano parte del partito comunista. 

È evidente che fra gli obiettivi della rigenerazione delle città non può mancare una strategia su come difenderle dagli eventi estremi. Non credo che quanto scrivo sia solo materiale per convegni accademici, ma ci sia spazio per agire e verificare molte delle cose fin qui scritte facendo valere il proprio punto di vista nella ricostruzione della Romagna dopo che alluvioni e frane l’hanno travolta. Tornando da Ravenna avevo ancora negli occhi le immagini della mia Romagna sommersa e devastata dalle frane; riflettevo anche su quanti veleni tutto quel fango da rimuovere poteva contenere, di cui nessuno parla, ma che terrorizza albergatori e bagnini sui quali, incombe l’apertura della stagione. 

In fondo tutto quel fango è un indicatore perfetto dell’insostenibilità del modello di sviluppo su cui regge la mia regione e il paese intero che dovrebbe sconsigliare di puntare, come invece si afferma, di voler rifare tutto com’era prima: un’urbanizzazione infinità che ha rubato ogni piccolo spazio ai fiumi, una zootecnia devastante e crudele verso gli animali, una agricoltura intensiva che ha avvelenato la terra e la nostra stessa alimentazione, l’elenco potrebbe continuare. Per questo è anche una grande occasione per cambiare. Il sindacato può sperimentare sulla ricostruzione della Romagna il suo progetto di rigenerazione. Non risolve nulla continuare a ripetere che gli ambientalisti avevano ragione a dire che il clima stava cambiando per davvero e di conseguenza non fare nulla per tentare di mitigarne la sua corsa faceva diventare realtà l’aumento degli eventi estremi che in questa zona del mondo l’Europa meridionale regala temperature record che a loro volta alternano lunghi periodi di siccità a precipitazioni violente e concentrate per cui su un territorio asfaltato, urbanizzato, disboscato in pochi giorni fa precipitare la pioggia che prima cadeva in sei mesi. Più che rivendicare “l’avevamo detto” c’è bisogno di tracciare rapidamente i primi elementi di un’altra ricostruzione con la quale sperimentare sulle macerie della vecchia Romagna l’ipotesi di rigenerazione che la Fillea ha voluto sia una delle priorità della sua iniziativa. Mentre scrivo mi torna in mente una vecchia canzone che si cantava nel 68. Cominciava con uno slogan che potremmo oggi tornare a cantare sotto i palazzi del potere, nazionale o regionale che sia: “che cosa aspetti ancora amico per capire”. 

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