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Sindacato Nuovo, Novembre 2023, pag. 6-9. Dopo la strage di Brandizzo, la Fillea Torino intervista l’ex procuratore capo di Torino Raffaele Guariniello. A cura di Massimo Cogliandro, Segretario generale Fillea Torino e Piemonte.

Sui fatti di Brandizzo, la Fillea Piemonte intervista il Dott. Raffaele Guariniello, magistrato di cassazione, dal 1992 ha esercitato il ruolo di Procuratore aggiunto presso la procura di Torino per poi diventare procuratore capo; dopo 48 anni di servizio oggi è in pensione. Negli anni si è occupato di importanti casi nell’ambito del mondo del lavoro, per citarne solo alcuni: lo scandalo dell’archivio segreto della Fiat e delle tangenti nella sanità, il presunto abuso di farmaci nel calcio, la strage della ThyssenKrupp e tra gli ultimi il processo Eternit.

D. Dott. Guariniello, quanto accaduto a Brandizzo ha creato rabbia, indignazione e colpito la coscienza di molti. Sicuramente anche la sua di ex magistrato. Che idea si è fatto in merito?

R. Se il lavoro uccide, scrissi nel 1985. Da allora, per decenni si sono fatti processi su processi, nel tentativo e nell’ansia di soccorrere i deboli: uomini e donne non protetti nei cantieri, nelle fabbriche, nelle campagne. Solo che da qualche tempo in materia di sicurezza sul lavoro, la giustizia penale non fa più paura a nessuno. Eppure, fare giustizia non vuol più dire occuparsi soltanto di criminalità comune o di criminalità organizzata, di furti o di mafia. Vuol anche dire tutelare la sicurezza e la dignità dell’uomo. Il cammino è accidentato, ma non impraticabile. Un vanto delle nostre leggi è che il pubblico ministero non dipende dal potere politico, deve agire senza farsi condizionare da ragioni di opportunità, è tenuto a prendere notizia dei reati di propria iniziativa, ad esempio da un articolo di giornale, senza aspettare la denuncia della polizia o della vittima. Al di là delle stanche parole di circostanza, dobbiamo dare risposte concrete alla domanda: che fare?

D. I controlli sono insufficienti, gli ispettori del lavoro sotto dimensionati, l’organizzazione del lavoro da migliorare con nuove procedure e ausilio di tecnologie digitali. Sono questioni note, ma lei cosa ne pensa?

R. Occorre certamente irrobustire gli organici e la professionalità dei servizi di vigilanza. Ma non basta. Troppo spesso i processi penali sui morti e sui disastri si fanno con una tale lentezza o superficialità che si concludono con la prescrizione o con l’assoluzione. La conseguenza è devastante. Si diffonde un allarmante senso d’impunità, l’idea che le regole ci sono, ma che si possono violare senza incorrere in effettive responsabilità. E si diffonde tra le vittime e i loro parenti un altrettanto inquietante senso di giustizia negata. Ben si comprende che sia diventato un tema all’ordine del giorno l’allungamento dei termini di prescrizione per i reati di omicidio e lesione personale colposi (o perlomeno l’esclusione della prevalenza delle circostanze attenuanti rispetto all’aggravante della violazione delle norme antinfortunistiche, o la previsione di un autonomo reato di omicidio o lesione colposa da lavoro). Ma rendiamoci conto che, prima di tutto a tutela delle vittime dei reati, la strada maestra è quella di fare i processi in tempi rapidi e di arrivare a sentenze ispirate da indagini approfondite. 

D. E la proposta di costituire una Procura Nazionale sulla sicurezza sul lavoro?

R. Sono tante, sono troppe, le procure della repubblica chiamate ad operare anche nel settore della sicurezza sul lavoro. Con questo risultato. Che vi sono procure della repubblica (poche) specializzate, e procure della repubblica (la maggior parte) non specializzate, e per di più con un organico a tal punto ridotto da impedire ai pochi magistrati presenti di farsi la competenza e l’esperienza necessarie. Eppure, il caso ThyssenKrupp dovrebbe aver fatto scuola. Ci sono voluti 10 anni per arrivare alla fine del processo. Ma il processo si è salvato dalla prescrizione. Perché? Perché si sono impiegati 2 mesi e mezzo per fare le indagini. Qualcuno dice: perché a condurle erano magistrati più bravi degli altri. Ma non è così. La ragione è che le indagini furono fatte da magistrati specializzati, e per giunta anche mediante atti non usuali nell’ambito dei procedimenti aventi per oggetto infortuni o malattie professionali: come la perquisizione all’interno dei computer e supporti informatici o dei server accessibili dalle sedi aziendali. Atti che il nostro codice di procedura penale non riserva solo a reati come quelli di mafia, ma che legittima anche per omicidi o disastri colposi (o con dolo eventuale). Atti che sono indispensabili per ricercare le effettive responsabilità, non solo ai livelli più bassi dell’organigramma aziendale, bensì pure dentro le stanze dei consigli di amministrazione, là dove si decidono le politiche e le strategie della sicurezza. E atti che schiudono le porte verso scenari probatori magari impensabili. Come ancora una volta dimostra il caso ThyssenKrupp. Solo grazie all’immediata perquisizione dei computer fu possibile scoprire il fatto, sottolineato dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza finale del 14 ottobre 2014, e cioè che “la dirigenza ed i tecnici dell’azienda deliberarono consapevolmente di installare l’impianto antincendio solo dopo il trasferimento della linea a Terni”.

D. Ecco perché dobbiamo creare la procura nazionale in materia di sicurezza sul lavoro. Giusto?

R. Assolutamente, altrimenti resta largamente insoddisfatta un’ulteriore esigenza, quella di svolgere finalmente in tutto il territorio nazionale azioni sistematiche e organiche di prevenzione in ordine ai problemi che maggiormente insidiano la vita e la salute dei lavoratori, anche ma non solo, traendo spunto dalle tragedie ormai consumate. Accade l’infortunio su una gru, su un ponte, su una funivia, su una linea ferroviaria, a diciottenni in scuola-lavoro. Più che mai necessario è sviluppare indagini incisive e rapide sullo specifico evento. Ma non basta. Occorre anche porsi degli interrogativi: in quale stato versano le altre gru, gli altri ponti, le altre funivie, le altre linee ferroviarie nel Paese? Vengono rispettate le regole che ne disciplinano la sicurezza, a partire da quelle che presiedono alle loro verifiche? E i soggetti incaricati delle verifiche provvedono adeguatamente? Si tratta di interrogativi che allo stato attuale rimangono senza risposta. Ogni procura della repubblica ha un’area limitata di competenza territoriale, e non può certo mettersi ad allargare le indagini nelle altre zone del Paese. Ben diverso sarebbe l’approccio di una procura nazionale, legittimata a promuovere finalmente in tutto il territorio nazionale i necessari accertamenti. Anche perché non tutti sanno, persino in sede istituzionale, che il nostro codice di procedura penale chiama i pubblici ministeri a svolgere attività d’indagine non solo a seguito di denuncia, ma anche di propria iniziativa. Ed anche perché non tutti -persino pubblici ministeri e ispettori- hanno assimilato quella responsabilità prevista dal D.Lgs. n. 231/2001 a carico delle stesse imprese anche per i delitti di omicidio colposo e di lesioni personali colpose gravi o gravissime commessi con violazione delle norme sulla tutela della sicurezza nei luoghi di lavoro. Senza di che continueremo ad assistere a un ulteriore fenomeno: l’attuale, fuorviante frammentazione delle indagini su situazioni analoghe quando non identiche che si verificano in diversi luoghi del Paese. 

D. Ci può fare qualche esempio?

R. Certo: infortuni sul lavoro o malattie professionali o disastri che si verificano in aziende facenti capo alla medesima società o al medesimo gruppo e, dunque, a casi che non coinvolgono soltanto una circoscritta zona territoriale. Ogniqualvolta esplode un’emergenza del genere, si avverte la necessità di una gestione unitaria del caso. E invece accade che ogni singola procura o non valuti proprio il fenomeno o valuti autonomamente un solo aspetto del fenomeno, non abbia il quadro d’insieme, e non sia, pertanto, in grado di approfondire il fenomeno nella sua globalità. Ogni procura esamina un pezzetto della storia complessiva, e non ha la possibilità di ricomporre le diverse tessere in un mosaico coerente. Il risultato è che di rado riusciamo a cogliere le effettive cause e le reali dimensioni del fenomeno, non sempre riusciamo a comprenderne le ripercussioni profonde sulla salute, troppo spesso le effettive responsabilità rimangono avvolte nel mistero. Come stupirsi allora se, ad esempio, le indagini sui tumori professionali occorsi a lavoratori di stabilimenti della stessa società esercenti la medesima attività e situati in diverse parti del territorio italiano si chiudano in una zona con la condanna e in altre zone nemmeno si aprano o finiscano con un’archiviazione?

D. Parliamo anche di catene dei subappalti (recentemente liberalizzati dal nuovo codice degli appalti) che, per la nostra esperienza, non favoriscono i controlli sulla qualità, la sicurezza e la legalità del lavoro. Lei cosa ne pensa da magistrato che conosce bene da vicino queste problematiche?

R. Dalla fine degli anni ottanta, leggo tutte le sentenze della Cassazione penale. Ne traggo che ormai, nel settore della sicurezza sul lavoro, prevalgono nettamente le sentenze che ci fanno entrare nel mondo degli appalti e dei cantieri. Nessun dubbio, quindi, che sia necessaria sotto diversi aspetti una riforma organica di alcune norme del codice penale e del Testo Unico sulla Sicurezza del Lavoro (il decreto 81 del 2008). Ma altrettanto certo è, però, che nel frattempo dobbiamo porre fine ad applicazioni riduttive largamente diffuse delle norme attuali. Mi riferisco, in particolare, agli obblighi da anni vigenti che, in caso di attività lavorative svolte da imprese appaltatrici o sub-appaltatrici, gravano, sì, sui datori di lavoro di queste imprese, ma che già oggi puniscono in prima linea lo stesso committente, e segnatamente lo stesso vertice dell’impresa committente, ivi compresa la grande impresa, che non tuteli la sicurezza dei lavoratori distaccati nella sua azienda o nei cantieri. 

E si badi: sono luoghi di lavoro, non solo i locali aziendali, ma persino le strade o le autostrade o le linee ferroviarie, o, per ricordare una recente sentenza della Cassazione, anche una nave battente bandiera indiana ormeggiata davanti al porto di Bombay. E non lasciamo soli gli RLS, a maggior ragione dopo la prima condanna del 26 settembre 2023.

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