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03.10.12 Dopo il terzo giorno di occupazione nessun segnale positivo sulla situazione che ha determinato un nuovo stop ai lavori del carcere di Uta. Il ministero latita, nemmeno il provveditore ha varcato i cancelli del cantiere per dialogare con gli operai e sollecitare la società a rispettare gli impegni. Nulla di fatto neanche dopo l’incontro con il Prefetto lunedì mattina. Ne parlano in un comunicato Chicco Cordeddu ed Erika Collu

della FIllea regionale e provinciale  "a parte l’interessamento della presidente dell’associazione Socialismo e Riforme Maria Grazia Calligaris, c’è un silenzio pericoloso che potrebbe portare gli operai a azioni eclatanti per far sentire le loro ragioni. Chiediamo un provvedimento d’urgenza del ministero che ripristini la legalità e regolarità nel cantiere per salvaguardare i posti di lavoro e garantire la consegna del carcere”.
Secondo la Fillea Cgil la società Opere Pubbliche sembra quasi coperta da un sistema di protezione che lascia correre tutto, persino le più semplici regole che disciplinano gli appalti pubblici. E’ un atteggiamento inaccettabile se si considera l’importanza dell’opera, la cui consegna è prevista – almeno secondo il ministro Severino – entro fine dicembre, ma anche se si pensa alla crisi generale che attraversa l’isola e in particolare ai 18 mila posti di lavoro persi in edilizia.
“La vertenza va avanti da aprile scorso – denunciano Chicco Cordeddu e Erika Collu – e a distanza di tutto questo tempo il ministero ha tollerato le inadempienze di una società che, nonostante riceva regolarmente i finanziamenti pubblici, continua a non rispettare i contratti e gli accordi e, di conseguenza, i tempi di consegna dell’opera”. La situazione si fa sempre più grave perché, dopo il licenziamento di quindici lavoratori nei mesi scorsi, altri quindici sono stati destinati da Opere Pubbliche ad altri cantieri: ora il sindacato si chiede come potrà andare avanti la costruzione dell’opera senza la manodopera necessaria e quali altre promesse verranno fatte ai dipendenti rimasti per convincerli a lasciare il presidio e ricominciare a lavorare nonostante la società continui a non pagare stipendi e cassa edile. “E’ paradossale che dove il lavoro c’è – ed è davvero raro di questi tempi – nessuno vigili affinché vengano rispettate regole minime, lo è ancor di più perché c’è di mezzo un ministero e si tratta di un’opera pubblica”.

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