Il segretario generale Fillea torna sul tema del sistema degli appalti, commentando l'ennesima pronuncia di un Tar che invoca percentuali massime per il subappalto.                        

“Semplificare il numero delle stazioni appaltanti, reingegnerizzare i processi, informatizzare con un’unica banca dati le procedure e soprattutto colmare il vuoto di personale tecnico che, negli anni si è creato, 15 mila tra architetti, geometri, ingegneri da reintegrare al più presto, almeno per la metà, con un concorsone nazionale: queste dovrebbero essere le priorità sul tema delle opere e del sistema degli appalti, e non certo liberalizzare l’istituto del subappalto, da sempre il principale veicolo di competizione al ribasso, infiltrazioni, lavoro nero, incidenti ed infortuni”, è il commento di Alessandro Genovesi, Segretario generale della Fillea Cgil, sulla recente pronuncia del Tar del Molise che invoca percentuali massime per il subappalto, ribadendo quanto già scritto dal Tar del Lazio anche in risposta alla contestazione da parte della Corte di Giustizia UE del limite ai subappalti previsti attualmente dal nostro Codice.

“E’ come se per portare più passeggeri da Roma a Milano invece di comprare più treni o pullman, magari anche più efficienti, sicuri e meno inquinanti, si portasse il limite di velocità a 300 km all’ora, lasciando il numero dei mezzi invariato e facendo fare agli stessi autisti solo più turni. Il rischio di pessimi viaggi e più incidenti sarebbe molto alto. Così è per chi, magari per rispondere a specifici interessi, invece di migliorare la pubblica amministrazione, garantendo più tutele e trasparenza, va predicando la liberalizzazione del subappalto e la concorrenza al ribasso”.

“Se poi  questi sono gli stessi che dovranno gestire le risorse del Piano Nazionale per la Ripresa e i 209 miliardi di euro per rilanciare l’economia del paese, la preoccupazione aumenta”  prosegue Genovesi,  secondo il quale gli appalti pubblici "dovrebbero contribuire ad un modello di sviluppo più giusto, a creare lavoro stabile e sicuro, a qualificare ulteriormente il mercato e le imprese, per avere anche infrastrutture migliori e più sicure. non ad alimentare modelli sbagliati, a perpetrare la logica del massimo ribasso, della precarietà, della scarsa qualità del lavoro e dei materiali, a vantaggio magari della stessa criminalità organizzata e degli imprenditori meno seri, spesso scatole vuote e senza dipendenti stabili che altro non sono che caporali legalizzati”.