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19.03.14 Si è concluso il 17 marzo 2014 il Congresso Regionale della Fillea Sicilia. Di seguito la relazione del segretario uscente Francesco Tarantino, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Care Compagne delegate , Cari Compagni delegati, gentili ospiti, Sono convinto di interpretare il sentimento di tutti i partecipanti ai lavori odierni nel dedicare il XI Congresso della Fillea CGIL Sicilia al compagno Beppe Burgarella rivolgendo a lui un pensiero affettuoso e ringraziandolo per il contributo che ha saputo dare, nel corso della sua lunga militanza,alla crescita del nostro sindacato. Un sentito GRAZIE lo rivolgo a tutti i partecipanti per il contributo che offrirete alla discussione odierna per le riflessioni, le analisi, le risposte che si attendono i lavoratori, i disoccupati, i giovani ed i pensionati dopo la disastrosa crisi degli ultimi cinque anni; crisi che ha reso insostenibile la condizione di coloro che rappresentiamo e che, di converso, ha consentito ad una minoranza del paese di arricchirsi spropositatamente allargando in modo intollerabile la forbice sociale. Eurostat certifica che il 10% della popolazione possiede il 50% della ricchezza e che dentro il restante 90% della popolazione si è allargata l’area a rischio povertà che, in Italia, interessa il 19,6 % della popolazione, si attesta al 34,6% nel Mezzogiorno e che sale al 44,3% in Sicilia. I motivi scatenanti di questo ampio discrimine sono da ricercarsi nelle congiunture economiche sfavorevoli e nella incapacità della politica ad avvistare adeguate contromisure per arginare la pericolosa deriva che si è dipanata di fronte agli italiani; nel settembre 2008, con l’annuncio del fallimento della Lehman Brothers, si ebbe chiaro quale sarebbe stata la portata della crisi ancorchè già da almeno un anno la CGIL, in perfetta solitudine, avvertisse che il disastro fosse imminente osservando l’andamento degli indici economici e, seppur accusati di essere delle cassandre, invocavamo inascoltati il Governo a prendere immediati provvedimenti sul fronte del sostegno al lavoro ed alle imprese e misure per riequilibrare gli scompensi sociali. Avvertivamo già che la crisi avrebbe colpito il lavoro e, con esso, le categorie sociali più esposte come certifica oggi l’Organizzazione Internazionale del Lavoro con effetti spaventosi solo a leggere le cifre. 200 milioni di disoccupati dal 2008 al 2013, 75 milioni sotto i 25 anni. In zona Eurostat i disoccupati sono 20 milioni; in Italia sono 3.2 milioni pari al 12,7% con 700.000 giovani in cerca di occupazione ed 1 miliardo di ore di cassa integrazione. In Sicilia sono 160.000 i disoccupati di cui 59.000 nelle costruzioni dal 2008, 70.000 dal 2007. Stessa sorte non è toccata ad altri paesi europei come Belgio, Germania, Austria e Svezia poichè agendo sulle leve sia degli investimenti, soprattutto in edilizia, che sulle riforme strutturali in direzione del lavoro e sulla velocità delle decisioni, hanno conseguito risultati sulla distribuzione della ricchezza e sull’aumento del PIL che ha consentito loro di rientrare con tutti gli indici alla fase pre crisi mentre l’Italia, secondo le analisi di Bankitalia, qualora continuasse a crescere con i tassi attuali, potrebbe recuperare intorno al 2026. Nell’ultimo anno,infatti, il PIL italiano per la prima volta è sceso al di sotto della media europea, superata anche dalla Romania, Turchia e Ungheria. Ne deriva un giudizio negativo che pesa sulla classe politica incapace di progettare il paese ed il suo rinnovamento con particolare riferimento all’immobilismo dell’ultimo ventennio contrassegnato dalla sconsiderata politica basata sulla libertà di mercato, sulla finanza senza regole, sulla accettazione supina alla globalizzazione ed ai suoi precetti che ha finito col scaricare l’intero corpo della sua fallimentare azione su milioni di Italiani. I disastri economici di questa dissennata gestione della cosa pubblica hanno imposto un governo di Professori che ha scaricato il peso del risanamento sui lavoratori e sui giovani, attraverso una riforma pensionistica presentata come l’unica medicina in grado di ricreare le condizioni di sviluppo, di riaffermare la solidarietà fra generazioni, di rimanere ancorati all’eurozona per beneficiare di una crescita che veniva continuamente raffigurata attraverso la luce avvistata in fondo al tunnel, mentre il peso del fisco si è aggravato fino a far perdere il potere d’acquisto, la auspicata solidarietà fra generazioni ha penalizzato ulteriormente i giovani ed è aumentata l’area a rischio povertà nel paese. In un tale contesto ha trovato terreno fertile un ingiustificato anti europeismo di cui oggi si fanno portatori Grillo, la Lega e il condannato Berlusconi, questi ultimi responsabili diretti dello sfascio attuale, che oltre a soffiare sul fuoco del malcontento, propongono ricette tutte concentrate a difendere i propri fallimenti ma con il rischio di lasciare campo libero alle speculazioni di cui abbiamo già assaggiato il dispiegarsi durante la caduta dell’ultimo governo Berlusconi con lo spread arrivato a 600 punti. Noi siamo convinti che ipotizzare di uscire fuori dall’Europa e dall’Euro significa ripiegare la nostra economia su un terreno incognito e pieno d’insidie il cui risultato, nella migliore delle ipotesi, potrebbe rendere meno pesante la degenerazione del tessuto economico del nord Italia e la contemporanea certa asfissia delle economie del Mezzogiorno ma, nella peggiore delle ipotesi affonderebbe l’intera economia nazionale con effetti devastanti soprattutto per la nostra Sicilia. Abbiamo tutto da guadagnare nel rimanere ancorati al progetto di unione politica ed economica dell’Europa poiché è attraverso un programma di ampia solidarietà economica,di una maggiore coesione sociale, è nel rivendicare politiche industriali ed infrastrutturali comuni, un allentamento concertato sul patto di stabilità che si possono determinare le premesse per il benessere generale. In questo quadro sono certamente necessarie le politiche di austerity imposte dalla U.E. ,del rigore nei conti,ma non possiamo non evidenziare che sarebbero state indispensabili contestuali politiche a sostegno dello sviluppo e dell’occupazione, che occorresse praticare coraggiose politiche di riduzione del costo del lavoro finanziate attraverso provvedimenti, come la patrimoniale, come una tassa sulle transazioni finanziarie, come un inasprimento della lotta all’evasione fiscale tutte azioni dal carattere distributivo della ricchezza tra chi più ha e chi meno possiede. Forzare, allora, per un processo rapido di riforme strutturali diventa una necessità mentre, parallelamente, bisogna procedere sul versante normativo a garanzia di una maggiore equità. Così si isolano e si sconfiggono i populismi di qualunque formazione politica anche confidando in progetti riformatori che non siano la solita esternazione delle promesse ma un reale cambiamento dello Stato sul versante del suo assetto, del suo funzionamento, della legittimazione di chi viene eletto a rappresentare interessi in una democrazia, auspicabilmente e finalmente, compiuta. La vicenda della rappresentanza di genere nella nuova legge elettorale approvata alla camera, si presenta come un obbrobrio giuridico che non fa giustizia del desiderio di rappresentanza dell’insieme degli italiani. Costituisce un vulnus che va superato immediatamente e credo che come sindacato non possiamo rimanere inerti di fronte a decisioni che marcano un arretramento della democrazia. In questo senso trovo difficile esprimere un giudizio sul Governo Renzi senza rischiare di risultare sommario; nel suo discorso d’insediamento ebbe a dichiarare “la necessità di accelerare i processi di cambiamento dello Stato, della sua forma di rappresentanza, dell’estensione dei diritti, di premiare il merito ed al tempo stesso non perdere il legame con gli ultimi, i più deboli.” Parole condivisibili in linea di principio ma siamo in attesa dei fatti col rispetto che si deve al Premier fresco di nomina ma che non esiteremo a censurare se dovessero trasformarsi in quello che si è temuta come una spregiudicata continuità con la precedente azione che abbiamo avuto modo di condannare per la mancanza di coraggio. I rischi ci sono tutti solo a vedere la carta d’identità della maggioranza che lo sostiene, per nulla diversa da quella che sosteneva il governo Letta. Ed anche gli ultimi interventi annunciati, come la riduzione dell’Irpef per redditi non superiori ai 25 mila euro, pur costituendo una scossa salutare per la nostra economia, hanno bisogno di verifiche e, quindi, di tempo per essere valutati nel loro effettivo impatto sociale. Avverto, nella logica degli annunci, una costante con esperienze che non vogliamo abbiano più a ripetersi; Voglio mettere a confronto l’annuncio di risorse per la ristrutturazione e sicurezza di 10.000 scuole (3,7 Mld stanziati) con lo stanziamento di 1 miliardo che Berlusconi annunciò a tale scopo nel 2009. Di questi ultimi 216 mln vennero stornati per il terremoto in Abruzzo e 610 mln tagliati da Tremonti con la delibera Cipe n. 6 del 2012 per conseguire il pareggio di bilancio dopo le rimostranze dell’Europa. Il punto è che i piani che finanziavano la messa in sicurezza di 1.500 scuole oggi dispongono di soli 112 milioni rimasti sostanzialmente inutilizzati; avvertiamo, quindi, la necessità di vigilare severamente sul suo operato non abdicando a censurare e contrastare nel caso di comprovata continuità col passato, ancorchè i primi annunci su job act, occupazione e alleggerimento del costo del lavoro appaiano solo scatole vuote; ne misureremo l’impatto non appena saranno noti i contenuti. Ma, appunto, sono solo annunci. Il nuovo non si manifesta solamente con i Tweet , il presenzialismo o le slide. Il nuovo, in questa congiuntura, non è nel dire ma nel fare. Mentre un giudizio più articolato è possibile esprimerlo sul Governo Regionale, dominato dalla ingombrante personalità del Governatore Crocetta che, nato sulla più volte annunciata rivoluzione, di fatto si limita a produrre titoli che danno indicazione di quel che si vuol fare ma che sul versante del lavoro non ha prodotto un solo atto per dare risposte al dramma occupazionale siciliano, pur possedendo le chiavi sia sul versante istituzionale che finanziario per avviare l’auspicato processo virtuoso che aggredisca la disoccupazione. E’ sufficiente prendere in esame la modifica del sistema delle Provincie, cosa che avrebbe portato a consistenti risparmi da utilizzare per dare vigore ad una manovra di bilancio giustamente bocciata dal Commissario dello Stato, inopinatamente impantanata negli scontri di fazioni opposte e senza un progetto unitario, e ci troviamo con una norma su aree metropolitane e liberi consorzi di cui non si riesce a comprenderne la portata economica. Apparentemente sembra che l’assetto istituzionale uscito dall’aula parlamentare complichi la vita dei cittadini, crei incertezze agli ex dipendenti delle Provincie, produca indeterminatezza nei finanziamenti, non chiarisca il trasferimento dei poteri. Abbiamo creduto molto nell’utilizzo dei risparmi della spending rewiew sia verso l’impegno della quota parte per la realizzazione delle opere infrastrutturali o per ridurre la pressione fiscale ed invece si è di fronte a risorse utilizzate per finanziare spesa improduttiva penalizzando, ancora una volta, lo sviluppo. In tal senso è sconsolante che non ci sia una vera politica di rilancio industriale. Abbiamo auspicato un interesse concreto alle problematiche del settore delle costruzioni ed alla richiesta di un impegno straordinario in tal senso e abbiamo, invece, registrato una rinuncia dalle decisioni rifiutando il confronto nel corso della manifestazione per l’occupazione edile del 31 maggio scorso, mentre il tavolo per l’esame della spesa in capo all’Assessorato ai Lavori Pubblici rimane in stand-by, innescando il sospetto che consistenti risorse per infrastrutture siano state dirottate verso la copertura dei buchi della manovra di stabilità impugnata dal Commissario dello Stato. Sui costi della politica si è fatto un gran trambusto mediatico e l’unico atto prodotto è quello di una riduzione del 10% delle sostanziose provvidenze in capo ai parlamentari, su cui pende il nostro giudizio negativo per la scarsa produttività legislativa ma anche per il segnale tiepido di cambiamento; sono aumentati i costi delle consulenze lasciando inutilizzate le numerose competenze che pur esistono nel vasto panorama della burocrazia regionale. Si è annunciata una lotta all’evasione fiscale e contributiva per alimentare il bilancio asfittico ed invece si tagliano in modo orizzontale le risorse per il funzionamento degli uffici ispettivi i quali, tra l’altro, scontano una forte carenza d’organico che li rende insufficienti per affrontare l’emergenza evasione fiscale e contributiva. Si annunciano migliaia di posti di lavoro per lo sfruttamento del fotovoltaico e l’unica piccola centrale solare in territorio Gelese, peraltro in fase di realizzazione con risorse europee, è stata chiusa con i lavoratori licenziati e col rischio fallimento del progetto più generale dello sfruttamento delle energie alternative. E potremmo continuare con un lungo elenco di annunci e di tradimenti per cui anche le buone cose fatte, come gli interventi sugli sprechi nella sanità e nella formazione, passano sotto silenzio rispetto ad una nave che lentamente affonda e che non ha nemmeno scialuppe di salvataggio per dare coraggio ai milioni di siciliani che auspicano un cambio di passo per uscire dal pantano delle sabbie mobili. In questo quadro di contesto, in cui è evidente l’azione fallimentare della politica per incidere su una svolta del paese, in cui ci si aspetta che si esca dall’ affabulazione che presenta il dejavu come modernità, ci siamo anche noi, il sindacato, i rappresentanti dei lavoratori e ci interroghiamo se il nostro agire quotidiano ha saputo essere all’altezza delle aspettative riposte o se ci ha fatti percepire, a tratti, inadeguati, accomunati ai politici che contrastiamo; ci chiediamo se abbia alimentato sentimenti di rabbia per una insufficiente reazione allo scontro che si stava consumando ed in cui il lavoro debole,caratteristica del nostro settore, ha peggiorato ulteriormente la propria condizione con particolare riferimento ai giovani, alle donne, precari e pensionati. Non facciamo sconti a noi stessi discolpandoci su quanto avvenuto come frutto di un pietoso destino e non cerchiamo alibi nel difendere quanto fatto come l’unica cosa possibile. Ci sono i lavoratori in carne ed ossa, con i loro problemi quotidiani, con le difficoltà che ormai sono la costante del loro e del nostro vivere che ci ammoniscono sulla sterilità del nostro agire. Ho partecipato a numerosi congressi provinciali e di base dove ho registrato quanto fosse alta la disperazione del nostro mondo e della necessità di approntare iniziative più forti, più cogenti, più stringenti nei confronti di una politica che stenta a rinnovarsi, vecchia ed immobile di fronte ai numerosi problemi del paese. Sono i 70.000 disoccupati delle costruzioni di questi ultimi cinque anni in Sicilia che ci rappresentano plasticamente sia l’andamento dell’economia che anche il nostro lento ripiegare in posizione remissiva. Sono gli operai che si suicidano per mancanza di lavoro, per la perdita di dignità, come ha lasciato scritto Beppe Bulgarella, che ci ammoniscono sulle nostre deficienze ed inefficienze. Tuttavia, è proprio a partire dalla consapevolezza di dove siamo arrivati e di come ci siamo arrivati che è possibile recuperare le fila di un’azione in grado di affrontare l’emergenza cui il Sindacato non può più sottrarsi, pena la sconfitta di una rappresentanza che, a parte i numeri, è più debole di quanto non sia già raffigurata dalla costante perdita di lavoro. E’ sufficiente guardare allo scarto, in termini di potere d’acquisto, fra i nostri stipendi e pensioni rispetto a quelli della media europea o del confronto sulla tassazione del lavoro per rendersi conto di quanto difficile sia sostenere che siamo il sindacato più forte del continente. Lo è nei numeri ma non lo è nel rapporto fra numeri e risultati. Allora il primo tema è come diamo alla rappresentanza, in un settore frammentato come l’edilizia in cui il dimensionamento d’impresa da tre a cinque dipendenti interessa più del 70% del sistema, la capacità di tutela collettiva insieme a quella individuale. Questi sono i temi veri che interessano il nostro mondo e nessuno, nelle assemblee di base e nei congressi provinciali ha fatto cenno alla polemica Landini Camusso. Una polemica tutta interna al nostro vertice che si può riassumere nel guardare il dito piuttosto che la luna. Noi conveniamo con Schiavella quando avvertiamo la necessità di dare rappresentanza ai lavoratori scegliendo il cantiere, che è luogo di coagulo di diverse esperienze contrattuali, come terreno su cui sperimentare un modello di rappresentanza inclusivo, unificante delle diverse esperienze e delle diverse storie contrattuali, per rendere più partecipata ed al tempo stesso più aderente la nostra azione rispetto alle esigenze che lì si manifestano. L’esperienza maturata negli EE.BB. quale modo per rendere esigibili diritti legati alla produttività territoriale consente, oggi, di trasferire quel modello di tutela al sistema Cantiere per contestualizzare un welfare dal quale sono esclusi migliaia di lavoratori impegnati nel sistema più vasto delle costruzioni e penso al marmo, ai calcestruzzi, ai laterizi, al legno, ma anche delle forme di lavoro camuffate come le partite IVA o i lavoratori autonomi e finanche i metalmeccanici che fanno parte di quel contesto e che, insieme, rappresentano un terzo della forza lavoro complessiva in edilizia, ai quali, oggi, tra l’altro, viene sottratta una consistente fetta di salario. Ecco perché sostengo che il dibattito sulla rappresentanza, che rischia di lacerare la nostra organizzazione, non può limitarsi allo scontro di diversi modi di affrontare singole questioni, peraltro marginali poiché mossi da una critica al metodo e non al merito, ma dovrebbe, principalmente, essere dominato dalla reale dimensione di chi rappresentiamo e,per rappresentarli, quali correttivi bisogna apportare ad una intesa che parla ad imprese con più di 15 lavoratori. Come anche il mondo sempre più vasto dei disoccupati. Siamo eccezionalmente bravi nelle tutele dei bisogni individuali, nei rapporti con l’Inps piuttosto che con l’UPL, nel gestire l’ammortizzatore sociale più pertinente alla condizione del lavoratore stesso, ma dobbiamo interrogarci se lo siamo altrettanto nelle tutele collettive. E cioè, come rispondiamo alla loro legittima domanda di lavoro qui ed ora? Le esperienze dei “comitati per il lavoro edile” che hanno trovato modo di svilupparsi immediatamente dopo la scomparsa di Beppe Burgarella, nelle loro indipendenti dinamiche che abbiamo provato a ricondurre in rivendicazione unitaria, e che si è trasformata in una vasta mobilitazione il cui effetto è stato quello di una grande visibilità mediatica della problematica in edilizia ma che non ha ancora prodotto significativi risultati in termini occupazionali, ci ha insegnato che l’assetto istituzionale regionale, sia burocratico che politico, è assolutamente inadeguato ad affrontare questo livello di emergenza che prima di essere lavorativa è emergenza sociale, ed appare ripiegato più alla protezione di privilegi che allo sforzo intellettuale e pratico richiesto dalla gravità dell’attuale fase. Ci saremmo aspettati investimenti nel settore che più di ogni altro soffre dell’emergenza occupazionale, che ha un ruolo anticongiunturale proprio nei momenti di crisi e veniamo blanditi con l’impossibilità ad agire per non generare macelleria sociale. Sicchè si perpetuano finanziamenti a sacche di precariato che sono alternativi allo sviluppo. Perfino sul sistema delle coperture sociali si concordano fuori dai tavoli istituzionali ammortizzatori in deroga impedendo ai più deboli di poterne fruire, come dimostrato dai casi Fiat e Gesip cui è stato destinato il 50% delle somme disponibili. In questi ultimi 5 anni , assieme ai disoccupati,abbiamo rivendicato la necessità di far fronte a quella che riteniamo sia la principale emergenza lavoro ovvero quella del mondo delle costruzioni. Abbiamo evidenziato la paradossale situazione di risorse già disponibili che possono diventare cantieri nell’immediato e, di contro, del consistente numero di disoccupati del settore. Il ruolo che ci siamo assunti con le continue mobilitazioni dei lavoratori e dei disoccupati edili è stato quello di aumentare la consapevolezza delle Istituzioni sulla difficoltà del vivere quotidiano di un settore che sta morendo e che diventa parabola della morte dell’intera Isola. Noi riteniamo che occorra aumentare la rivendicazione, renderla più accentuata e più imponente, per costringere a rendere disponibili gli investimenti pubblici finalizzati alla realizzazione di infrastrutture che consentano di attenuare il forte discrimine fra la Sicilia ed il resto d’Italia e che pongano le basi per un autentico sviluppo. Non nutro dubbi che su questa battaglia troveremo accanto a noi Filca e Feneal, con le quali abbiamo iniziato un percorso di comune collaborazione e rivendicazione. Occorre pretendere la immediata cantierabilità di opere stradali per 2.121 milioni riferiti all’Anas e di 1.275 milioni riferiti al CAS. I progetti sono già finanziati e attendono solamente una delibera di recepimento del Contratto Istituzionale di Sviluppo (CIS ) per avviare Nord-Sud Camastra Gela 520 mln; Licodia Eubea 112 mln; Birgi-Mazzara del Vallo 134 mln; Bronte-Adrano 55 mln; Agrigento-Caltanissetta 990 mln; Bolognetta Lercara 296 mln; Tangenziale S. Gregorio 10 mln; ). Le opere in capo al CAS sono Siracusa-Gela e Ragusa-Catania la quale sta appesa alla stipula di una convenzione fra Ministero per le Infrastrutture e il Project financing Tecnis. Anche per il sistema ferroviario sono stanziati 2.426 per la direttrice Palermo Catania e si è in attesa anche per quest’opera del CIS ma rivendichiamo il riposizionamento delle poste della Catania Messina già stanziate nel 2004 e poi dirottate per finanziare ammortizzatori in deroga. Attraverso la nostra rivendicazione richiediamo un impegno per la competitività territoriale che è stata una debolezza della Sicilia rispetto all’attrattività degli investimenti. La competitività territoriale, si deve basare su un sistema articolato ed intermodale di dotazione infrastrutturale, che è la premessa per un rilancio produttivo dell’isola. Non siamo riusciti a trattenere la grande industria come la Fiat e rischiamo di assistere alla fuga degli ultimi investimenti sia sul versante energetico ( ENI ) che su quello della Microelettronica proprio per carenti vie di comunicazione veloce (strade e ferrovie), insufficiente sistema portuale, aeroporti dimensionati a trasporto nazionale, di limitate vie telematiche, nessun interporto, anche se è di pochi giorni fa l’annuncio del finanziamento di 78 mln per quello di Termini Imerese. Dovremmo attrarre investimenti ed assistiamo alla fuga di quelli esistenti. Invochiamo la modernizzazione territoriale e constatiamo che l’alta velocità, e con essa la modernità, si ferma in Campania, e che si subisca il continuo ritardo della spesa per opere che ridarebbero fiato allo sviluppo dei territori. Se l’area ortofrutticola di Ragusa e di Siracusa sta subendo un tracollo occupazionale e produttivo non è soltanto l’effetto di una crisi che riduce i consumi quanto, soprattutto, del fatto che una merce che debba spostarsi da quelle zone verso i mercati italiani od Europei costa di più che trasportare la medesima merce da Israele o dalla Turchia. Ci chiediamo se sia corretto che quell’area geografica non abbia nemmeno un chilometro di autostrada o come sia possibile che sia stato cancellato, dai programmi di RFI, al netto dell’asse Palermo Catania Messina , l’insieme dei finanziamenti dei collegamenti ferroviari minori. Come possiamo parlare di potenziamento delle autostrade del mare se ancora permangono dubbi sulla valorizzazione dell’area portuale di Termini Imerese, per la circostante area industriale, per l’interporto che insieme attiverebbero investimenti per circa 380 milioni di euro, che sta diventando simbolo dell’agonia dell’intera isola. L’area di Termini Imerese non sta morendo perché è andata via la Fiat ma, al contrario, la Fiat è andata via perché quell’area non dà garanzie di sviluppo,non è più attrattiva. Così auspichiamo la velocizzazione della spesa delle risorse già stanziate per il porto di Augusta, il porto di Pozzallo, quello di Porto Empedocle, quello di Trapani e di Castellemmare; ciascuno ha una sua vocazione ma tutti a facilitare il trasporto di merci e persone. Per non tacere delle 94 opere di depurazione ed impianti fognari con 1,15 miliardi di euro finanziati dal Cipe nel 2012 che, se non spesi entro il 2015, ci avvierà alle procedure di infrazione. Ad oggi una sola opera risulta avviata mentre le altre si trovano in fase di progettazione o di approvazione. Opere che darebbero un forte impulso alla tutela dell’ambiente ed una grande mano all’occupazione non solo edile. E’ indispensabile procedere alla riforma della burocrazia, renderla più celere, più efficiente, più legata ai bisogno dei siciliani. Al contrario una inefficiente macchina burocratica che si aggiunge all’imponderabile attività del Cipe che ci ha abituati alla comparsa e scomparsa dei finanziamenti, spesso stanziati per ben tre volte ed in tempi diversi per la medesima opera, ostacolano insieme la certezza dei finanziamenti e, per converso, dei tempi di realizzazione delle opere. Riforme ed investimenti, quindi. Nell’area di Termini Imerese si sono bloccati i lavori del raddoppio della linea ferroviaria. La battaglia dei lavoratori di ItalTunnel non è stata solo tesa a difendere il lavoro ma, soprattutto, a difendere le ragioni dello sviluppo di quel territorio ed a lanciare un monito alla politica regionale perché si schieri a fianco dei lavoratori. La Sicilia è Italia, recita lo slogan del nostro congresso,e a nessuno è dato di sottrarsi alla responsabilità di lavorare per la sua crescita. Gli edili debbono fare la propria parte per rilanciare sul progresso e sulla modernità a partire dalla rivendicazione del loro lavoro. La modernità non si misura solamente attraverso la realizzazione di infrastrutture ma anche di come rigeneriamo i centri urbani, le periferie e di come aumentare l’efficienza energetica del patrimonio abitativo. Nel convegno che come Fillea tenemmo a Siracusa nel settembre 2013 sottolineavamo il senso delle “Città Future” che è il tema del nostro congresso: Recupero dell’esistente, consumo di suolo zero, risanamento dei centri storici, messa in sicurezza del territorio, costruzioni a basso impatto energetico sono le direttrici. Tuttavia è corretto rimarcare alcuni aspetti che costituiranno il fronte di maggiore impegno della Fillea Regionale per i prossimi 4 anni. A partire dalle risposte al fabbisogno abitativo quantificabile, secondo il Sunia Sicilia, in 40.000 unità immobiliari. Le risposte risiedono nel recupero del vastissimo patrimonio esistente ed inutilizzato a partire da quello edilizio pubblico mettendo in campo una forte rivendicazione territoriale che incida sui nuovi PRG e che costringa all’allineamento alle prescrizioni europee che indicano, a partire dal 2014, una quota del 3% annuo degli interventi di ristrutturazione e recupero ai fini energetici. In questo quadro diventa indispensabile puntare sul Social Housing proponendo agevolazioni sui mutui , per aiutare le giovani coppie ad investire nel recupero di abitazioni dei centri storici favorendone il ripopolamento e la messa in sicurezza. A questo fine la Regione ha già stanziato 75 mln ma dobbiamo scommettere su un più incisivo impegno economico sia nei progetti integrati di riqualificazione delle città, ove ci sembra insufficiente la dotazione di 17 mln, che nei contratti di quartiere ( 30 mln). Non sottaciamo, nemmeno, l’importanza che ha un ampio piano di riqualificazione degli edifici dinanzi al rischio sismico nella considerazione che sui circa 2,7 milioni di alloggi in Sicilia,sono circa 1,7 milioni quelli che avrebbero bisogno di interventi manutentivi per regolarizzarne la staticità sismica. E ciò può essere possibile se il sistema di incentivazioni, introdotto per l’efficienza energetica, diventa permanente, se il finanziamento di progetti viene programmato sul modello dei piani città, se verranno esclusi dal patto di stabilità l’insieme degli interventi che parlano alla riqualificazione energetica e sismica del patrimonio sia pubblico che privato, se, infine, il Governo Regionale avvierà immediatamente il tavolo di concertazione per la programmazione dei fondi comunitari 2014-2017 ove sono previste le misure denominate Agenda Urbana e Risparmio Energetico. Per il riassetto idrogeologico della nostra isola, nei prossimi 4 anni dovremo essere impegnati non soltanto a rivendicare la quota parte delle risorse potenzialmente messe a disposizione per tale scopo dal Cipe ( 13 miliardi per il sud per i prossimi 20 anni) ma a far diventare la mappatura dei rischi del territorio con l’individuazione delle sue priorità il progetto su cui lavorare per prevenire i disastri che, il più delle volte, risultano annunciati e luttuosi. Secondo il rapporto Ance-Cresme le province a maggiore rischio risultano quelle di Messina, Agrigento, Caltanissetta-Gela. A partire da queste aree i soggetti che governano il territorio, e penso all’Assessorato Regionale al Territorio e Ambiente, debbono proporre delle norme che pongano una moratoria per l’ulteriore impermeabilizzazione delle aree limitrofe a coste, a fiumi, a laghi, a zone franose, poichè la riduzione del 50% del consumo di suolo entro il 2020 e del 100% entro il 2030 deve poggiare su una imponente programmazione che la politica non mostra di avere. Nella presentazione del nostro piano per il lavoro individuammo come possibile la annuale spesa di 170 milioni, in parte riferiti agli ex Fas, oggi FSC ( Fondo Sociale di Coesione) di cui si conosce la dotazione ma non la destinazione ed in parte dalla programmazione delle risorse europee. Queste risorse non possono che essere aggiuntive a quelle già stanziate per la bonifica dei SIN (Siti di Interesse Nazionale) individuati ( Gela, Milazzo, Siracusa e Biancavilla) poiché lamentiamo che gli stanziamenti a vario titolo effettuati con atti regolarmente approvati spesso vengono stornati per inseguire emergenze e diventa impossibile adottare una seria programmazione confacente ai bisogni dei siciliani. La certezza delle risorse è precondizione per la programmazione degli interventi pena il prevalere del senso di abbandono. In questi giorni si sono aperte linee di dibattito che hanno visto tutte le forze politiche e il Premier Renzi, convergere sulla indispensabile attivazione di risorse per mettere in sicurezza il patrimonio scolastico. Delle promesse di finanziamento abbiamo già detto. In Sicilia i nostri figli frequentano scuole che per il 71% dell’intero patrimonio sono al limite dell’inagibilità. Conveniamo con Renzi che questa è una priorità e che merita il massimo dell’attenzione per cui non è più possibile accettare la logica dell’annuncio. Io credo che anche per noi valga il rimprovero di uscire fuori dall’ambito della semplice denuncia e programmare un’azione rivendicativa che ci veda coralmente insieme noi, il sindacato della scuola (FLC), le associazioni degli studenti, degli insegnanti, dei genitori per essere pungolo nei confronti di chi assume impegni e poi non li mantiene. Garantire la sicurezza dei nostri figli nei loro tempi di studio è anche nostra prerogativa. Non taciamo, nemmeno, degli interventi sul patrimonio artistico e monumentale siciliano di cui lamentiamo la cattiva manutenzione e, spesso, l’incuria di veri e propri tesori della nostra storia. L’immenso patrimonio artistico dell’isola è l’unico giacimento di materia prima che possediamo ma, proprio perché immenso, non siamo in grado di valorizzare e custodire come si dovrebbe. E’ un patrimonio che andrebbe curato da abili mani che attendono solamente di essere impiegate per esercitare la propria professionalità ed i Restauratori formati nel nostro paese, che ci sono invidiati da tutto il mondo, ancora lottano per una norma di riassetto del settore che riconosca loro una professionalità acquisita sul campo e con lo studio. Noi vogliamo che siano rese spendibili tutte le risorse rese disponibili dalla rimodulazione dei fondi europei ( 310 mln) e chiediamo un impegno della Regione siciliana per modulare una formazione di qualità finalizzata all’occupazione ed all’impiego di questi lavoratori. Vanno ricostruiti gli albi professionali bloccati da anni nelle Sovrintendenze e dare risposte, in questo modo, ad un lavoro a forte connotazione di genere. Trovando le ragioni per difendere queste professionalità, siamo incentivati a sostenere e difendere il diritto delle lavoratrici a maggiori tutele, ad adeguata formazione, che in atto non sono suffragate da una cosciente responsabilità istituzionale. Ci siamo occupati, fino ad ora di come rispondiamo ai grandi interrogativi sul lavoro, di come intercettiamo la domanda e di quello che potrebbe essere movimentato per un rilancio dell’occupazione nell’edilizia e, quindi, nel paese. Siamo convinti che tra risorse disponibili, tra allentamento del patto di stabilità per messa in sicurezza e per investimenti rivolti alla sostenibilità, sia possibile una immediata spesa di circa 7 miliardi e creare occupazione per circa 70.000 nuovi addetti. Se solo si spendesse la metà di queste risorse in un anno il PIL Sicilia crescerebbe del 6% ( Fonte Cerdfos). Spesa possibile, quindi e vigilanza sulla spesa stessa. Noi sappiamo che sul versante dei grandi appalti in Sicilia è alto il rischio di infiltrazione mafiosa e spesso, dietro un consistente ribasso d’asta, si nasconde la certezza dell’impunità nell’utilizzo spropositato di lavoro nero, di partite Iva camuffate, di noleggi e materiale imposti non dal mercato ma dal monopolio mafioso. Abbiamo il dovere di ripensare alle norme sul massimo ribasso e puntare all’offerta economicamente più conveniente non appena si sia superata una soglia di intollerabile riduzione del costo dell’appalto, puntare al superamento dei protocolli di prima generazione ed imporre quelli più articolati che puntano alla prevenzione, cercare di vincere la sfida dello Stato contro la mafia svolgendo al meglio il ruolo di controllo. Dobbiamo anche sostenere l’azione dello Stato sul versante della più forte applicazione della legge sui beni ed imprese sequestrate e confiscate, sia per il possibile utilizzo dei beni ai fini sociali che per dare continuità alle imprese che, subendo il sequestro prima e la confisca dopo, rischiano la chiusura proprio quando al mafioso subentra lo Stato. Su 100 imprese sequestrate 90 non arrivano alla confisca. Su 100 imprese confiscate 90 chiudono o falliscono. Sono i numeri del fallimento dello Stato di fronte alla battaglia nei confronti della mafia. Noi siamo perché si sequestrino il maggior numero possibile di beni e di imprese ai mafiosi e non finiremo mai di ringraziare sia la magistratura che le forze dell’ordine per il lodevole contributo fornito per ripulire la nostra regione dall’invadenza mafiosa. Tuttavia se vogliamo cogliere appieno lo spirito della Legge Rognoni-La Torre e vincere quella che io considero una guerra, deve manifestarsi il concreto impegno a re immettere le imprese nel circuito produttivo consapevoli che il ruolo esercitato dall’ANBSC fino ad ora ha mostrato lacune e limiti, che occorre potenziarne organici e competenze e dare un ruolo più incisivo nella gestione economica delle imprese alla cui costante chiusura non intendiamo abituarci. La stessa gestione del patrimonio abitativo confiscato deve uscire fuori dalla logica della semplice e burocratica assegnazione, peraltro affidata a Comuni che non posseggono alcuna risorsa per la sua valorizzazione, mentre sarebbe pertinente utilizzare al meglio i beni attraverso interventi di recupero finanziati in house con i fondi del FUG ed impiegando gli stessi lavoratori che operano nelle imprese sottoposte a confisca, sotto la regia del Ministero dello Sviluppo Economico a cui suggeriamo di operare in sintonia con le rappresentanze sindacali dei lavoratori; la nostra esclusione dai tavoli di concertazione, malgrado siano stati stipulati protocolli sia con l’ANBSC che con l’Ufficio di misure di prevenzione per la reciproca ed utile informativa tesa alla Prevenzione e sicurezza del lavoro e dei lavoratori, della produttività e della redditività d’impresa, non aiuta il processo di re inserimento delle imprese nel circuito produttivo bonificato dalla illegalità. Ritengo anche sterile la polemica sulle capacità degli Amministratori Giudiziari che possiederebbero tutte le buone qualità se nominati dall’Agenzia mentre non ne avrebbero se nominati dall’Ufficio per le Misure di Prevenzione. Noi dobbiamo stare al merito e valorizzare quegli Amministratori che hanno a cuore l’impresa e i lavoratori che sono chiamati ad amministrare come non esitiamo a censurarli nel caso si dimostrino incapaci. Lo sciopero dei lavoratori edili delle imprese confiscate del 5 novembre scorso ha messo in evidenza lo iato esistente tra impegni assunti a garanzia del lavoro e della produzione delle imprese, e la fragilità dello Stato che, abdicando al suo ruolo di valorizzazione del lavoro, non riesce ad essere più forte della Mafia. Quindi è priorità irrinunciabile spingere per l’approvazione della legge di iniziativa popolare denominata “io riattivo il lavoro” dove insistono norme che rafforzano il ruolo delle istituzioni e consentono di rispondere alle esigenze dei lavoratori. Avvertiamo la necessità di praticare un diverso approccio ai protocolli di legalità che, nel recente passato, hanno mostrato troppe falle nel rapporto impegni- obiettivi raggiunti. Nel documento elaborato assieme a Filca e Feneal ci siamo ripromessi di valorizzare l’azione preventiva di controllo dai possibili rischi di infiltrazione mafiosa nel tessuto delle imprese che spesso rimangono soggiogate più per l’assenza dello Stato e delle sue Istituzioni che per malevola accondiscendenza. Recuperarne la presenza, impegnarsi sull’applicazione delle Linee Guida Antimafia, adottare in modo più diffuso i protocolli di legalità sono gli strumenti che vogliamo adoperare per partecipare all’affermazione della legalità nell’impresa e dell’impresa, affermando, altresì, condizioni di sicurezza per i lavoratori che negli ultimi anni di crisi, hanno subito maggiori rischi per la loro incolumità. Dobbiamo spingere, perciò, per norme sul DURC per congruità e sulle black list regolatori dell’ammissione delle imprese al sistema degli appalti pubblici. La strada per la legalità e la sicurezza è lunga e difficile, tuttavia dalla Sicilia devono potersi accelerare alcuni atti sia legislativi che regolamentari a partire dalla riforma del sistema ispettivo la cui situazione attuale non è più sostenibile. Sancire, attraverso i tagli lineari di bilancio, l’inefficacia dell’azione degli organi ispettivi a cui vengono negate le risorse utili ad effettuare i controlli, mantenere gli organici in così tale bassa consistenza a fronte di una evasione contributiva che si riflette in mancato gettito per almeno un miliardo di euro (stime Cerdfos). Essere spettatori della più grossa evasione fiscale d’Italia data dalla differenza di quanto dichiarato ( 60 mld ) con quanto consumato (80 mld ) è la raffigurazione della miopia politica del Governo Regionale esattamente come quell’umorista che godeva nel darsi bottigliate sugli attributi. Temiamo che ignorare il potenziamento dei controlli, contrariamente a come abbiamo più volte richiesto, corrisponda ad una scelta ben precisa di tipo politico iniziata ai tempi di Cuffaro, poi continuata da Lombardo e tenuta sottotraccia dal rivoluzionario Crocetta a cui vorremmo chiedere il perché di tale disattenzione. Dobbiamo sospettare che sia vittima di un endorsement a cui non può sottrarsi per impegni assunti in campagna elettorale? Poiché se così fosse la nostra rivendicazione dovrebbe avere caratteristiche di maggiore asprezza e non dare tregua a chi ne riassume la responsabilità istituzionale. Infine, per chiudere il capitolo legalità, vorrei evidenziare l’impegno che in Sicilia, assieme alla Flai, abbiamo profuso per iniziative contro il Caporalato e della norma legislativa che abbiamo conquistato nell’individuarlo come reato penale. Tuttavia comprendiamo bene quanto sia difficile distinguere il reato di caporalato da altre forme di lavoro illegale non assoggettabile al codice penale. Questa difficoltà deve sempre più impegnarci anche sul fronte dell’efficacia del contrasto politico-sindacale provando a richiedere norme regionali che premino i soggetti che denunciano la propria condizione ed aiutano l’azione di contrasto delle forze dell’ordine. Per l’insieme di questo impianto strategico voglio menzionare il prezioso lavoro del nostro osservatorio per la legalità, senza il quale la nostra elaborazione e proposta non avrebbe avuto i contenuti odierni. Parallelamente si rende necessario introdurre strumenti di protezione più adeguate per la tipologia del lavoratore edile, sottoposto a lavoro precario, a forte mobilità prevalentemente regionale, a tipologie contrattuali che non prevedono forme di protezione sociale, a scansione lavorativa usurante nemmeno riconosciuta come tale. Le stesse norme pensionistiche introdotte dalla legge Fornero, nell’indistinto riconoscimento di pari condizioni per lavori diametralmente diversi, mette in oggettiva difficoltà il lavoratore edile vittima più di altri di una norma nata esclusivamente per risanare le casse dello Stato. La riduzione della durata della copertura degli ammortizzatori sociali assieme all’aumento dell’età pensionabile, costituiscono il vulnus che rende scandalosa una norma che favorirà l’ingresso nella fascia della povertà di questi lavoratori precari, stagionali, a tempo determinato, e che ne appesantirà la condizione sociale. Noi immaginiamo una norma pensionistica che elevi il trattamento minimo pensionistico, che riduca il calcolo sull’aspettativa di vita di almeno 4 anni per i lavoratori edili, che si possa favorire il pensionamento volontario a 62 anni d’età senza penalizzazioni nella convinzione che è impensabile immaginare un lavoratore sui ponteggi a 67 anni come vuole la norma. Ma anche una estensione degli ammortizzatori sociali – ricordo che questi valgono per lavoratori di imprese con almeno 15 dipendenti- mantenendone la attuale struttura (deroga finanziata e durata temporale) fino a quando non saremo usciti dalla crisi e provare a ragionare su redditi di cittadinanza legati a lavori di pubblica utilità che ridarebbero fiato alle migliaia di disoccupati che intendono affrontare con dignità la vita. Perché il lavoro è dignità e tutta la nostra azione vuole dare dignità al lavoro. Questi processi possono essere sostenuti da un welfare contrattuale in cui parte qualificante assume il sistema della bilateralità, il cui costo è continuamente messo in discussione sia dall’Ance che dal sistema delle Cooperative. Noi condividiamo le perplessità manifestate anche al tavolo di trattative per il rinnovo del contratto su una contribuzione mediamente più elevata di quella di altri settori ma quest’aspetto si risolve con una norma appropriata che anche noi sollecitiamo per ridurre di almeno il 2% l’attuale contribuzione obbligatoria. Tuttavia non possiamo accettare l’idea che a fronte di maggiori costi determinati da norme inique sia ricercata la soluzione nella erosione delle risorse a tutela del welfare che noi vogliamo riqualificare e che noi vogliamo si estenda nella copertura delle prestazioni integrative, a fronte della perdita del lavoro, anche per i soggetti che non hanno diritto agli ammortizzatori sociali. I contratti di lavoro hanno, nella salvaguardia dei due livelli di contrattazione, insito il principio di solidarietà. Proprio perché la Bilateralità ha garantito questo principio rimandiamo al mittente i tentativi di intaccarlo. Voglio anche ricordare che una riflessione di solidarietà regionale, di un funzionamento omogeneo in termini di prestazioni nell’intero territorio fu oggetto di intesa con Ance nell’interesse comune a rendere praticabile l’esercizio dell’aiuto ai più deboli. Si tratta di rinforzare queste indicazioni e lavorare per la loro esigibilità. Lo dico fuori di polemica. Con Ance Sicilia ci sono stati momenti di forte condivisione di un percorso di rivendicazione che ci ha visti dalla stessa parte nella richiesta di maggiore attenzione da parte delle istituzioni sia Regionali che Nazionali. Abbiamo condiviso battaglie ed indicato insieme le richieste per dare fiato ad un settore in difficoltà. Ma troviamo inaccettabile l’atteggiamento di ostilità alla chiusura di un contratto di lavoro che deve salvaguardare il potere d’acquisto dei lavoratori ed ai cui bisogni non si può rispondere, come fa Ance e sistema cooperative, con atteggiamento dilatorio. E’ evidente che al permanere di questa condizione trovo difficile aprire porte di dialogo per le questioni di carattere regionale e provinciale. Per cui sollecito ad adoperarsi perché il tavolo nazionale ponga fine al lungo braccio di ferro sul rinnovo contrattuale visto che sono stati già tutti rinnovati i contratti afferenti al settore delle costruzioni. Ma lancio un appello anche alle associazioni artigiane a chiudere il contratto regionale per costruire insieme un welfare condiviso ed unificante in linea col Contratto già stipulato nazionalmente. Ho parlato di lavoro possibile, di tutele da allargare, di welfare, tutti obiettivi da realizzare da qui ai prossimi 4 anni. Un lavoro immane aspetta noi e tutte le strutture provinciali per dare concretezza ai nostri auspici. Ma che lo sforzo da profondere debba essere titanico ce lo disegnano i numeri della crisi. 70.000 disoccupati in 6 anni; monte ore in discesa del 43% rispetto al 2008 ( da 73 milioni di ore a 45 milioni nel 2013); n. gare espletate nel 2008 832 per un importo pari a 650 milioni contro le 281 gare nel 2013 per l’importo pari a 369 milioni. Curioso il dato fra gare bandite e quelle espletate. Delle 833 bandite nel 2008 solo 419 risultano espletate con una incidenza fra l’impegnato ed il realizzato pari al 50%, con un rapporto simile nel 2012 in cui delle 334 bandite solo 155 sono espletate; 600 imprese fallite nel quinquennio mentre ne chiudono 2500 ( da 19544 a 17026). Nel 2008 si iscrivono ai registri 1907 imprese edili contro le 1227 del 2012. Le imprese chiudono e si inabissano. Nella ricerca fatta dalla cassa edile di Siracusa, l’unica che ha uno storico del fenomeno, nel 2008 ogni 100 DIA ( Dichiarazione di Inizio Attività) 50 erano riscontrate in Cassa edile. Nel 2012 per ogni 100 DIA solo 15 ne risultano notificate. Il lavoro nero è aumentato, in quella provincia, di almeno il 35% in cinque anni. Estendendo il ragionamento all’intera regione possiamo affermare che il 30% di lavoro nero del 2008 è schizzato al 50% nel 2013 ovvero un lavoratore su due è in nero. Ho voluto dare la dimensione dello stato del settore perché è giusto un impegno della categoria profondo e particolare. Ma sarebbe sciocco se non guardassimo al nostro interno, al nostro modello organizzativo, e quando dico nostro parlo della CGIL nel suo complesso, confederazione e servizi, alla necessaria riforma organizzativa per meglio rappresentare le necessità di un settore frammentato, parcellizzato, fatto di precari e di lavoro debole, emblema di un modello che va estendendosi dall’edilizia a tutti i settori merceologici. Di come proteggiamo i lavoratori sia nell’ambito delle tutele individuali che in quelle collettive e di come, infine, li rappresentiamo, in un contesto in cui le risorse saranno sempre più limitate, in cui quelle poche disponibili sarà necessario dislocarle sempre più verso i territori, i cantieri, i siti lavorativi, le filiere, i distretti. La storia del sindacato edile è quella del lavoro umile ma prezioso accanto ai lavoratori, ai loro problemi, dalle sei di mattina e fino a quando l’ultimo degli edili non ha abbandonato le camere del lavoro locali per trovare risposte ai propri problemi. Questa è la nostra irrinunciabile identità. Occorre, perciò, che sia ripensata la ripartizione delle risorse anche attraverso una diversa rimodulazione organizzativa di uomini e mezzi a garanzia del sindacato di “prossimità”, del sindacato di strada, del sindacato degli ultimi. Nel sindacato tarato sulla grande fabbrica piuttosto che sul lavoro protetto, il nostro modello appare marziano; subiamo critiche per la nostra pervicace ricerca della delega che è anche un proselitismo competitivo ma, nel contempo, un obbligo a mantenere il contatto col singolo lavoratore, accompagnandolo lungo l’intero percorso lavorativo in cantiere e fuori di esso, sostenendolo per i bisogni individuali ma imbastendo vertenze collettive quando la problematica riguarda il suo luogo di lavoro ed i suoi compagni. Siamo presenti sia quando ci sono da denunciare soprusi e violazioni contrattuali che quando il bisogno viene espresso per il riconoscimento della borsa di studio per il proprio figlio. Siamo obbligati a rafforzare i rapporti unitari anche quando la competizione si fa aspra facendo prevalere il buon senso poiché a noi , come a Filca e Feneal sta a cuore il destino dei lavoratori. Nutriamo, per i rapporti unitari, la stessa cura che merita l’importante e costante azione di tutela dei lavoratori non mancando mai di rimarcare le differenze ideali di metodo e di merito nell’approccio all’azione sindacale e, laddove occorresse, prendendo iniziative isolate con l’unico obiettivo di difendere il lavoro. Siamo per una autonomia dalla politica che può misurarsi concretamente coi fatti, non avendo mai fatto sconti ai governi “nemici” e “ amici”. Abbiamo tentato di regalare prospettive e, spesso, ci siamo imbattuti in un muro di indifferenza, ma abbiamo continuato le nostre battaglie nella comune convinzione che la strada tracciata è quella giusta, quella condivisa. Abbiamo svolto oltre 180 assemblee congressuali di base coinvolgendo n. 13.581 iscritti e disoccupati alla riflessione delle tesi congressuali dimostrando che la democrazia non si esercita con i tweet o le mail o le telefonate ma con il confronto duro, a viso aperto, senza sconti , con l’ascolto e i contraddittori e , infine, con mediazioni e condivisione. All’esercizio della democrazia hanno contribuito i dieci segretari generali che voglio nominare uno per uno. Mario Ridulfo, Enzo Palmeri, Vito Baglio, Franco Cosca e Alfredo Schilirò, Biagio Oriti, Claudio Longo, Nunzio Martorana, Mimmo Bellinvia e Paolo Aquila. Non sono stati meno importanti Enzo Arena, Carmelo Cipolla, Franco Colomba, Turi Siracusa, Ignazio Giudice e Sara Fagone che hanno abbracciato altri percorsi. Infine l’impagabile Franco Macaluso. Li ringrazio tutti insieme. Ciascuno con differenti caratteristiche e sensibilità ma insieme a formare una grande squadra. Care delegate e cari delegati. Gentili ospiti che ci avete voluto onorare della vostra presenza, nella pur lunga relazione ho voluto sottolineare il contributo che la Fillea vuole offrire alla crescita della nostra isola, in un contesto in cui i localismi prevalgono sulle indispensabili azioni di struttura. E’ un programma di lavoro che ci impegnerà per il futuro forse ancora di più di quanto non abbiamo fatto fino ad ora. La nostra platea mai come oggi è così piena di disoccupati, di cassintegrati, pervasi di pessimismo ma animati da grande dignità nell’affrontare la difficile situazione odierna. Ciascuno ambirebbe la costruzione di un progetto su misura che risponda alla sua particolare condizione ma avverto la comune convinzione che solo navigando insieme riusciremo a traghettare nel mare tempestoso il vascello del lavoro verso un approdo certo e pieno di speranze per il futuro. Assieme e solo assieme ci riusciremo. La forza e la determinazione non ci mancano. Quindi sbracciamoci e un buon congresso a tutti. Viva la FILLEA, viva la CGIL.

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