Per il settore del cemento è tempo di cambiare, ne sono convinti i sindacati delle costruzioni di Cgil Cisl Uil, che oggi a Roma hanno illustrato le loro proposte in un Convegno a Frentani

 “4.0 Time for Change: innovazione, sostenibilità, economia circolare, Un nuovo ciclo del cemento è possibile?”: questo il titolo del Convegno che si è svolto al Centro Congressi Frentani di Roma, dove i sindacati delle costruzioni hanno incassato  dal ministro Poletti - intervenuto nel dibattito - la disponibilità ad aprire un dialogo ed un tavolo sulle proposte unitarie.

“Cambiare è una necessità improrogabile, dopo la lunga crisi che il settore ha subito con il crollo dell’edilizia e che purtroppo non ha ancora dispiegato tutti i suoi effetti negativi” ha spiegato introducendo i lavori del Convegno il segretario nazionale della Fillea Gianni Fiorucci a nome delle tre sigle sindacali.

“Il settore è in piena tempesta da otto anni, ora occorre tracciare una nuova rotta, dove tutti gli attori - istituzioni e parti sociali - condividano proposte concrete per portare il settore fuori dalla crisi dando vita ad nuovo ciclo del cemento” all’insegna “dell’innovazione e della sostenibilità, attraverso un modello di economia circolare, non solo come soluzione al problema, ma anche come opportunità di sviluppo generale.”

Lo scenario del settore è desolante: continua a calare la produzione nel mondo, anche se in Europa nel 2015 per la prima volta si è tornati al segno positivo, con un debole +0,9, mentre in Italia si conferma un calo superiore alla media mondiale. Impietoso il dato: dai 47 milioni di tonnellate prodotte nel 2008 siamo passati a 19 del 2015.

Una capacità produttiva quindi “doppia rispetto alla richiesta del mercato - prosegue Fiorucci - e quindi gli stabilimenti marciano nella media del 60% nonostante siano già molte le unità produttive che hanno fermato definitivamente la produzione a ciclo completo” con effetti drammatici sull’assetto dei siti produttivi “alcune cementerie sono diventate centri di macinazione, altre sono state chiuse, mentre il 18% dei lavoratori è uscito dal settore con pensionamenti, incentivi, ricollocazioni, licenziamenti e molti altri lavoratori sono in cassa integrazione e rischiano il posto di lavoro.”

La crisi ha favorito poi un profondo cambiamento della geografia mondiale del settore “al netto dell’acquisizione di Italcementi da parte di Heidelberg, il resto dei produttori sono tutti italiani e finora stanno tenendo, nonostante le difficoltà, proprio grazie alle operazioni di  internazionalizzazione costruite prima della crisi (Buzzi Unicem, Colacem e Cementir/Sacci)  ed ai buoni risultati esteri, che hanno coperto le perdite nel mercato interno.” 

Ma quanto ancora potrà durare questa situazione? Molto poco, pensano i sindacati “sentiamo parlare di ulteriori scelte di razionalizzazione, con ripercussioni negative sui livelli occupazionali. Per questo occorre fare presto ed intervenire per orientare i processi in atto” avverte Fiorucci ricordando che fin qui  “la maggior parte delle ristrutturazioni sono avvenute, a parte un solo caso, con percorsi condivisi e con minime ripercussioni sociali  - pensiamo al piano sociale di Italcementi - ora il nostro timore è che senza un sostegno delle Istituzioni a tutti i livelli, la situazione potrebbe diventare insostenibile.”

Per questo occorre programmare il futuro del cemento, che per i sindacati viaggia lungo tre linee di intervento “il rilancio delle costruzioni come leva di sviluppo del settore e dell’economia in generale; una politica industriale a difesa del sistema produttivo cementiero italiano che spinga le imprese ad investire in ricerca e innovazione;  la definizione per il settore dello stato di “crisi complessa”, con l’attivazione di politiche del lavoro attive e passive che accompagnino meglio i processi di rilancio, riconversione,  riorganizzazione e gestione degli esuberi.” 

Creare nuova domanda ed un nuovo mercato è possibile “dopo l’acqua, il cemento è il secondo materiale più usato al mondo, è una componente fondamentale delle opere pubbliche, un anello importante della filiera delle costruzioni e settore strategico per il paese. Nei prossimi anni avremo ancora bisogno di questo materiale e avremo sicuramente bisogno di costruire” ma non di “divorare suolo e alimentare speculazione fine a se stessa.”
Questo significa declinare una nuova visione industriale mirata alla sostenibilità “nel rispetto dell’ambiente e valorizzando il territorio, il paesaggio, i beni artistici e culturali. Tutto ciò si può realizzare attraverso interventi finalizzati ad “un sistema di trasporti (preferibilmente su ferro) e piattaforme logistiche efficienti, il recupero, le ristrutturazioni, la riqualificazione urbana, l’efficientamento energetico del patrimonio, la messa in sicurezza dai rischi sismici ed idrogeologi” obiettivi che per i sindacati necessitano di “investimenti veri e  tempi certi di realizzazione. Un grande piano di ammodernamento e messa in sicurezza del paese che non può prescindere dalla qualità della materia prima - il cemento -  e dalla qualità dell’impresa e del lavoro.”

E allora, per Fiorucci, è necessario rilanciare una politica industriale a difesa del sistema produttivo cementiero italiano, perché “se la sfida è ricostruire il paese, possiamo permetterci di indebolire la l’industria  italiana del cemento?  Possiamo correre il rischio che il cemento, cioè il materiale principale che ci servirà per questo grande investimento nel futuro, possa non essere più prodotto e controllato in Italia o da aziende italiane?”

Non è “questione di campanile e di delimitazione dei mercati in un’ottica protezionista,

ma di come garantiamo che il cemento continui ad essere prodotto e verificato in Italia, per difendere qualità e convenienza, frutto del nostro patrimonio industriale, che non va assolutamente disperso, una storia industriale nazionale fatta di tante professionalità di altissimo livello, dagli operai, agli impiegati, agli ingegneri, ai ricercatori, che hanno ideato e reso possibile un processo produttivo, che in termini di efficienza, è tra i migliori al mondo” come il “cemento biodinamico, in grado di interagire con i fattori inquinanti in atmosfera, o il prodotto composto con materiali riciclati provenienti dagli sfridi delle lavorazioni del marmo di Carrara, tecnica resa famosa dal Palazzo Italia di EXPO 2015.”

Per difendere e rilanciare l’industria del cemento italiana la sua possibile vocazione alla sostenibilità, occorre “l’impegno di tutti, in primo luogo delle aziende, che devono fare la loro parte, continuando ad investire in ricerca e innovazione agganciando le opportunità offerte da Industria 4.0 dei super ammortamenti.”
Ripensare quindi le cave e le miniere dunque “promuovendo progetti di escavazione e coltivazione a minor impatto ambientale possibile, ad esempio con l’utilizzo del trasporto su nastri in sostituzione del trasporto su gomma, oltre a  garantire un ri-ambientamento  che ripristini e tuteli il paesaggio ed il territorio”.

Utilizzare combustibili alternativi “guardando anche al ciclo dei rifiuti, che per il settore potrebbe rappresentare una prima risposta in un’ottica di economia circolare, ed inoltre potrebbe ridurre l’impatto ambientale del ciclo del cemento, e al tempo stesso intaccare il potere delle economie criminali nella gestione delle discariche e dell’intero ciclo dei rifiuti. Abbiamo già molte cementerie che sostituiscono  parte del combustibile con CSS, ma occorre su questo avviare un’azione di informazione trasparente, perché gli enti locali si scontrano con le paure delle popolazioni residenti nei pressi delle fabbriche, che non sempre conoscono le opportunità e le garanzie sull’utilizzo dei CSS.”
Per Feneal Filca Fillea, infine, occorre che il Governo riconosca che il settore del cemento è strategico, la crisi è complessa e quindi necessitano strumenti straordinari. A partire dal rafforzamento  dei “luoghi di confronto istituzionale  sui piani industriali  delle aziende, affinché  essi siano coerenti con gli interessi del paese e  rispettosi dei principi di Responsabilità Sociale d’Impresa. Tali percorsi sono da attivare in particolare per quei siti chiusi o  in via di dismissione, promuovendo tutte le iniziative in rapporto con il territorio, necessarie alla riconversione produttiva e alla rioccupazione dei lavoratori” perché non accada più che un gruppo “rifiuti qualunque spiraglio di confronto con le rappresentanze dei lavoratori, buttando per strada i lavoratori senza un briciolo di umanità, violando anche gli accordi sottoscritti con i prefetti. Occorre impedire che ciò avvenga di nuovo ”mentre al contrario occorre dare respiro “alle aziende che  stanno cercando in tutti i modi di difendere i livelli occupazionali  e non disperdere le professionalità. Dunque occorre mettere in campo politiche del lavoro che prevedano, d esempio, una fase di ultrattività della cassa integrazione straordinaria legata alla riorganizzazione, investimenti, innovazione delle imprese e ricollocazione di personale in esubero e  riconversione dei siti produttivi chiusi.” 

 

Ecco perché “chiediamo che venga messa in campo dal Governo un’azione coordinata a livello nazionale per le politiche attive di ricollocamento, attraverso una formazione mirata ed efficace ed un supporto della task force di nuova costituzione dell’ANPAL sulle ristrutturazioni, riorganizzazioni  aziendali e gestione di personale in eccedenza” conclude Gianni Fiorucci, ricordando che unitariamente come Feneal Filca Fillea “chiediamo un tavolo permanente di confronto interministeriale tra Ministero dello sviluppo economici, del lavoro, dell’ambiente, che tenga dentro tutte le questioni che oggi abbiamo offerto al dibattito, in termini di difesa del lavoro e di rilancio dell’occupazione.”

 

La relazione integrale di Gianni Fiorucci >>

I dati del settore >>

Le grafiche Legambiente >>

VIDEO:

Introduzione di Fabrizio Pascucci, FenealUil

Relazione di Roberto Carrara, collaboratore Legambiente 

Relazione di Gianni Fiorucci, Fillea Cgil

saluto del dott. Ricci Curbastro, Federmaco

La tavola rotonda: Giorgio Pogliotti coordina, intervengono Giuliano Poletti, Ministro del lavoro,  e Franco Turri, Filca Cisl