Sindacato Nuovo, numero 2 novembre 2019. Distacco trasnazionale: la spina nel fianco dell'Europa sociale. Ne scrive Mercedes Landolfi, responsabile dipartimento politiche internazionali e cooperazione Fillea Cgil.

La regolamentazione connessa al principio della libera circolazione dei servizi nell’Unione europea, in ambito di concorrenza transnazionale nel mercato comune, ha trovato nel distacco transnazionale la sua espressione più debole e critica. Sempre più questo fenomeno presenta problemi per i paesi distaccatari, per quelli ospitanti e per la stessa Unione europea che, periodicamente, viene chiamata a chiarirne le corrette procedure o a legiferare per risolvere casi sempre più numerosi di falsi distacchi e di conseguente dumping tra gli Stati europei. Il lavoratore distaccato si distingue, in termini di diritti, dal lavoratore migrante che va a cercare lavoro e a lavorare in un altro Paese. A differenza dei lavoratori migranti mobili, i lavoratori distaccati rimangono alle dipendenze dell’impresa che li invia e il loro soggiorno è temporaneo. Esistono tre tipologie di distacco: all’interno della stessa impresa, tra filiali con sede in Stati membri diversi; nell’ambito di appalti transnazionali; nell’ambito della somministrazione transnazionale di lavoro. È importante definire bene le specifiche caratteristiche del distacco transnazionale affinché tutti gli attori, soprattutto i rappresentanti dei lavoratori, possano riconoscerne la correttezza e agire tempestivamente per sollecitare e attivare i dovuti controlli da parte dell’Ispettorato del lavoro.

Il tentativo di abbassare il costo del lavoro attraverso il ricorso al distacco ha portato a una vera e propria esplosione del fenomeno in Europa, in particolare nel settore delle costruzioni (45% dei distacchi). Nel corso degli ultimi vent’anni le condizioni economiche e sociali in Europa sono profondamente mutate e anche il mercato del lavoro ha subìto numerose trasformazioni, tanto a livello comunitario che nazionale. Le differenze profonde in termini di costo del lavoro e di sicurezza sociale tra diversi Paesi fanno sì che il lavoro distaccato si presti ad essere utilizzato quale strumento ideale per riprodurle e tradurle in gravi disuguaglianze economiche e sociali tra i lavoratori. A fronte di un aumento dei casi di distacchi non genuini riscontriamo l’assenza di un modus operandi comune ai vari Stati europei per affrontare i problemi di abusi. Esiste un diffuso “shopping” al ribasso, imprese grandi e meno grandi cercano affari all’estero dove è possibile aggiudicarsi le gare promettendo tempi di consegna minori e accelerati, rispetto ad imprese autoctone. Questa situazione è generata dalla difficoltà di realizzare controlli in alcuni paesi, ma anche dalla facilità di aggirare le norme, si gioca sulla reale impossibilità di verificare la regolarità degli aspetti previdenziali nei paesi distaccanti, il reale ammontare delle retribuzioni, si specula sulla mancata applicazione delle normative sulla sicurezza, sulla mancata formazione professionale, sulle scadenti condizioni di vitto e alloggio. Le varie denunce, anche se ancora molto poche rispetto al numero dei distacchi fraudolenti, che riscontriamo in Italia come in Francia, in Belgio, in Danimarca, in Svizzera, dimostrano quanto si stia intensificando il traffico di braccia distaccate da un paese all’altro e non solo tra e da paesi europei. È aumentato negli ultimi anni l’utilizzo di lavoratori non europei, provenienti soprattutto dai paesi dell’Est Europa, che, assoldati da imprese europee, a volte senza neanche transitare nei paesi di provenienza delle imprese, arrivano in squadre organizzate nel Centro e Nord Europa. Sempre più siamo in presenza di distacchi multipli, che non avvengono da un paese all’altro, ma prevedono numerosi passaggi in altri paesi che è difficile seguire. Spesso è difficile risalire all’impresa da cui dipendono, soprattutto se si tratta di subappalti o consorzi, così come è quasi impossibile verificare quale sia il Paese di provenienza per attivare controlli sulla contribuzione. È chiaro che governare la complessità di questo fenomeno richiede non solo leggi comunitarie e nazionali chiare e stringenti, ma soprattutto la comunicazione e cooperazione tra le federazioni sindacali nazionali, tra i diversi servizi ispettivi, tra i diversi enti previdenziali, tutto nell’ambito di un più vasto quadro ed approccio europeo.

COSA DICE LA LEGGE: La normativa vigente prevede che la retribuzione del lavoratore distaccato debba essere quella del Paese di destinazione, così come tutte le norme contenute nel contratto collet- tivo di riferimento, ma il più delle volte la re- tribuzione arriva ad essere fino al 50% inferiore a quella prevista e anche le altre norme non vengono rispettate. Ricordiamo che per il settore dell’edilizia le imprese Ue che distaccano lavoratori in Italia devono iscriversi alla Cassa edile, se nel paese di origine non ci sono enti equivalenti, esistenti solo in Francia, Germania e Austria. Un distacco non è corretto se: il lavoratore non ha il certificato A1 valido; se il datore di lavoro lo ha assunto in Italia, dove già lavorava; l’impresa che lo ha assunto non è attiva nel suo paese di origine; lavora da più di 12 mesi in Italia; il suo datore di lavoro non gli paga i contributi nel suo paese.