L'assemblea di organizzazione della FIllea. Genovesi a Collettiva: per rispondere alla crisi della rappresentanza serve una riorganizzazione che punti a una riconquista dei luoghi di lavoro.                

Intervista di Carlo Ruggiero

Genovesi AssembleaOrganiz22L'assemblea di organizzazione della Fillea è un appuntamento importante per il sindacato degli edili della Cgil, per fare il punto su temi che riguardano un settore in forte trasformazione, ma anche per porsi degli obiettivi concreti per il futuro prossimo. Ne abbiamo parlato con il segretario generale Alessandro Genovesi.

Quali saranno i temi affrontati dall'assemblea?

Al centro della discussione nelle assemblee territoriali hanno pesato alcuni temi fortemente sentiti dalla nostra categoria. Innanzitutto, su come aumentare la rappresentanza e la forza sui posti di lavoro e sul territorio. La contrattazione collettiva rimane lo strumento principale per migliorare le condizioni di vita dei lavoratori, ma ovviamente si deve innovare. Sappiamo che gli strumenti possono essere diversi: dall’attuazione delle norme costituzionali, al rafforzamento del principio “stesso lavoro, stesso contratto”, all’esportazione di modelli positivi come quello della bilateralità edile. Dobbiamo insomma dare una dimensione collettiva a quello che altrimenti sarebbe lasciato solo al paternalismo aziendale o, più frequentemente, allo sfruttamento.

La crisi della rappresentanza riguarda però anche il sindacato...

Certo, interroga la nostra capacità di rappresentare tutti, professionalità alte e medie e lavoratori più precari, italiani e migranti, giovani e anziani. Vale nei cantieri ma vale anche nei cosiddetti “impianti fissi”. Noi riteniamo che serva una riorganizzazione partendo da una “riconquista” dei luoghi di lavoro. E dotarci di modelli organizzativi che rispondano alla crisi di rappresentanza.

Quali saranno i nodi da sciogliere in questo 2022?

Il primo è un nuovo equilibrio tra le tre forme di democrazia che permettono a un’organizzazione di massa di “tenere unito” ciò che crisi, trasformazioni tecnologiche, ma anche di “cultura di massa” hanno diviso: la democrazia dei lavoratori, la democrazia dei delegati, e la democrazia di organizzazione. Anche per evitare forme non volute di aziendalismo, corporativismo e chiusure dei forti contro i più deboli. C'è poi il tema di rilanciare la rappresentanza dei lavoratori oltre le Rsu: come costruiamo rappresentanti dei lavoratori espressione del diffuso? Con quali risorse? Come il sistema Cgil si pone questo tema?

In che modo la pandemia sta complicando il lavoro sindacale?

Il nostro è “un campo da gioco” che si basa sulla capacità di organizzare relazioni collettive e la presenza fisica, lo stare sempre di più sui luoghi di lavoro e meno “in ufficio”, la capacità di essere empatici, ma anche di orientare, dare “la linea”, continuare a svolgere una funzione formativa e pedagogica non è virtualizzabile. Sicuramente dovremmo meglio organizzare e presidiare “spazi virtuali” e comunicazioni più “smart”, ma il punto rimane come far tornare il sindacato, le sue strutture, le camere del lavoro, i delegati e i funzionari, quella soggettività che è percepita “sempre accanto ai lavoratori”, anche fisicamente. Il tema è urgente perché sempre di più si nota, è un’impressione soggettiva sia chiaro, che pezzi di gruppo dirigente fanno quasi “fatica” a fare assemblee, a parlare con la gente “normale”, a gestire discussioni di merito, anche difficili, con lavoratrici e lavoratori. E questo ovviamente rimanda alla formazione, a come ci rafforziamo, ma anche a come costruiamo una politica dei quadri che “ci misura tutti” su quanti e quali accordi e vertenza facciamo, come esercitiamo la nostra (grande o piccola) responsabilità, in termini politici ma anche economici e organizzativi.

Come si fa? 

Su questo, vale per la Fillea sia chiaro, il principio da seguire è che prima di chiedere ad altri di cambiare, bisogna cominciare a cambiare noi, o almeno a provarci. Fare scelte e verificarle per confermare quello che va bene e cambiare quello che non va. Non per dare e darci voti, ma perché è forse l’unico modo per affrontare sfide talmente inedite per cui, se vogliamo essere onesti tra noi, nessuno ha già la ricetta pronta in tasca.

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