L'Arabia Saudita è per il momento l'unico candidato ad ospitare i mondiali di calcio del 2034. Sulla newsletter del Diario dei Nuovi Appalti l'allarme di Genovesi: evitare un'altra strage di lavoratori come in Qatar.
Di seguito il testo dell'intervento di Alessandro Genovesi, pubblicato il 19 luglio su www.diariodiac.it. la Newsletter Diario Infrastrutture e Ambiente Costruito realizzata da Giorgio Santilli ed il Cresme.
MONDIALI DI CALCIO: NON RIPETIAMO GLI ERRORI (E I MORTI) DEL QATAR.
Di Alessandro Genovesi, Segretario generale Fillea Cgil
Il Qatar insegna: più di 15 mila morti secondo Amnesty International (Report Agosto 2021), 6500 morti secondo il Guardian (febbraio 2021), prima alcune decine, poi almeno 500, infine non meno di mille secondo il Governo qatariota. Con il legittimo dubbio, vista la cortina informativa calata dal governo locale sui dati ufficiali – oltre all’impedire a sindacalisti e rappresentanti dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro di visitare tutti i cantieri e soprattutto gli alloggiamenti degli operai – che forse la stima reale non sia tanto distante da quella del giornale inglese, che ricordiamo limitava il conteggio solamente ai lavoratori edili provenienti da India, Bangladesh, Sri Lanka, Pakistan e Nepal, o della stessa Amnesty che prendeva a riferimento un periodo più lungo.
Morti per il caldo estremo (morti letteralmente di fatica) più della metà, morti per infortuni in cantiere per circa il 40%, mentre di diverse centinaia di persone si è “solo” perso traccia, in quello sterminato deserto che collega le varie città.
In una condizione di ricatto permanente alimentato dalla pratica (solo ora, finalmente denunciata e in parte in via di superamento in alcuni paesi, ma non in Arabia Saudita) nota come Kafala. Cioè una norma che prevede che il migrante, per trovare lavoro nel paese ospitante, si serva di un’agenzia preposta che lo metta in contatto con il futuro datore di lavoro, detto sponsor. Il contratto tra le due controparti –redatto in arabo, quindi non per chiunque comprensibile- viene siglato in presenza di un notaio ma costituisce, di fatto, un ricatto che va a privare il lavoratore dei suoi diritti fondamentali.
Perché si tratta di un ricatto? Perché la residenza del migrante all’interno del Paese è interamente legata al contratto di lavoro e al datore, che detiene la “proprietà” su di lui, trattenendo anche fisicamente i suoi documenti. Non solo: quand'anche il lavoratore tornasse in possesso dei suoi documenti, non potrebbe lasciare il lavoro perché questo lo renderebbe un clandestino, e dunque passibile di arresto. Se invece volesse cambiare lavoro, questo non sarebbe permesso senza il consenso del datore attuale.
All’epoca del Qatar, la Fifa si voltò dall’altra parte nonostante le denunce di sindacati, associazioni, singoli giornalisti di tutte le tendenze politiche, ma non per fortuna una parte consistente dell’opinione pubblica. Scandalizzata prima della condizione di sfruttamento di migliaia di lavoratori, arrabbiata poi per la fine che la gran parte degli stadi e degli interventi infrastrutturali qatarioti, costati migliaia di vite, hanno fatto. Abbandonati o ridimensionati (il Khalifa Stadium, l’Al- Janoub e l’Al-Thumana), smontati (Ras Abu Aboud Stadium), trasformati in alberghi di lusso (l’Al- Bayt). Cattedrali nel deserto (fisico e simbolico) dell’ipocrisia.
Ed è per questo che, ora, non possiamo ripetere il medesimo errore con l’Arabia Saudita, unico paese che dovrebbe candidarsi ad ospitare i mondiali di calcio del 2034.
Il 5 giugno scorso il Sindacato Internazionale dei lavoratori dell’edilizia e del legno (BWI) di cui facciamo parte come sindacato italiano (Fillea Cgil, ma anche Filca Cisl e FenealUil), ha per questo – con una modalità del tutto inedita – presentato due denunce formali all’Organizzazione Internazionale del Lavoro contro l’Arabia Saudita, per gravi violazioni dei diritti umani e per il furto di salari che ha coinvolto almeno 21 mila lavoratori edili, da parte di varie imprese, diverse delle quali proprio saudite.
In particolare, vengono contestate dal sindacato mondiale le violazioni di alcuni delle convenzioni fondamentali dei diritti umani: la convezione numero 29 (contro il lavoro forzato), 81 (sulla possibilità di ispezionare i luoghi di lavoro; in Arabia non vi sono servizi di controllo alcuno), 95 (giusto salario), 111 (contro le discriminazioni raziali, di genere, ecc.), oltre ad una seri di protocolli sulle libertà sindacali.
Insomma un “bel biglietto da visita” per chi si candida (si veda il “piano infrastrutture e sport 2034” presentato dal governo arabo) a costruire o riammodernare tra l’altro 14 stadi (il doppio del Qatar) da almeno 40.000 posti o più (Stadio King Fahd di Riyadh da 58.398 posti a 92.000 posti; Prince Faisal bin Fahd di Riyadh da 22.500 posti a 45.000; Prince Mohammed bin Fahd di Dammam, da 26.000 posti a 30.000 posti; aumento a 45.000 posti dello stadio Prince Saud bin Jalawi di Al- Khair) più 10 stadi ex novo.
La denuncia sottolinea lo sfruttamento delle condizioni di vita e di lavoro della vasta forza lavoro migrante del Paese: condizioni che, secondo BWI, sono simili al lavoro forzato.
Per questo anche noi ci associamo alla richiesta di avviare un’indagine approfondita da parte dell’OIL su queste violazioni, sottolineando l’urgente necessità di obbligare l’Arabia Saudita ad aderire e soprattutto applicare le norme internazionali del lavoro, come precondizione per richiedere di ospitare ogni evento internazionale (magari partendo proprio dalla Super Coppa Italiana!).
Una richiesta che, ormai, non è più solo del sindacato mondiale visto che, proprio in queste settimane diversi grandi sindacati dell’Asia meridionale e sudorientale, dell’Europa, dell’America Latina e dell’Africa e alcune tra le principali organizzazioni per i diritti umani (Amnesty International, Equidem, FairSquare, Human Rights Watch e Solidarity Centre) stanno documentando ulteriori violazioni, con grande clamore sui principali media nazionali (New York Times, The Times of India, Jornal do Brasil, Al-Ahram, Lakbima, Tamil Net, ecc. a differenza di quanto sta avvenendo da noi, dove non ve ne è traccia).
In particolare, i dati di una recente ricerca che ha coinvolto centinaia di lavoratori edili presenti nel paese (una sintesi in PDF del Report Workers in KSA è disponibile qui, per chi volesse approfondire, in esclusiva per DIAC), parlano da soli: l’85% degli intervistati sta lavorando o lavora senza salario per debiti passati (la c.d. schiavitù da debito), il 65% degli intervistati è sottoposto alla Kafala, il 46% ha una trattenuta sul salario significativa per pagarsi il “diritto a lavorare”.
E se come sindacato abbiamo chiesto e chiediamo all’ILO e alle Nazioni Unite di battere un colpo, la prima voce che si deve alzare deve essere proprio quella della Fifa, la “proprietaria formale dell’evento Mondiali”.
Del resto, la Fifa nel 2017 ha adottato una specifica “politica sui diritti umani” che non può essere solo una graziosa quanto inutile “carta regalo” per tacitare le nostre coscienze.
L’articolo 7 della Politica sui diritti umani della FIFA afferma che “la FIFA si impegnerà in modo costruttivo con le autorità competenti e le altre parti interessate e farà ogni sforzo per sostenere le proprie responsabilità internazionali in materia di diritti umani.”
Ecco: se le parole hanno un senso allora la FIFA deve garantire che l’Arabia Saudita superi le gravi violazioni dei diritti del lavoro e allinei le proprie leggi e pratiche in materia di lavoro agli standard internazionali prima di prendere ulteriormente in considerazione la candidatura alla Coppa del Mondo. Anche con un’apposita commissione di controllo di cui facciano parte i rappresenti della BWI, la Federazione Internazionale dei lavoratori edili.
Anche alla FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio), che abbiamo incontrato il 10 luglio scorso, abbiamo chiesto un impegno in tal senso, facendo pressioni sulla FIFA fino ad esprimere un formale parere negativo in caso l’Arabia Saudita non si allinei già nei prossimi mesi agli standard minimi previsti dall’ILO. E siamo certi che su questo il Governo italiano “darà” copertura politica agli organismi della nostra Federazione!
Come ha ricordato a Ginevra, lo stesso Ambet Yuson, Segretario Generale BWI: “L’Arabia Saudita, dove i sindacati sono vietati, ignora palesemente gli standard internazionali del lavoro e non riesce a risarcire i lavoratori migranti che hanno subito abusi per oltre un decennio. Con l’incombere della decisione della FIFA sulla candidatura ai Mondiali di calcio del 2034 e la richiesta di costruzione di almeno dieci nuovi stadi e infrastrutture, è imperativo che la FIFA e l’Arabia Saudita risolvano il problema dei salari arretrati di oltre 20.000 lavoratori, per i quali abbiamo fornito prove, e stabiliscano meccanismi che impediscano ulteriori abusi prima ancora di prendere in considerazione la candidatura. La FIFA deve smettere di porsi al di sopra delle norme internazionali sul lavoro e dei suoi stessi obblighi statutari in materia di diritti umani”.
Da cittadini, da lavoratori, da amanti dello sport per quello che dovrebbe essere (un grande evento di socialità, di divertimento, di condivisione e finanche di fratellanza) come non essere d’accordo? Una volta per le Olimpiadi gli antichi fermavano guerre e scorrerie, siglavano accordi di pace e nuove alleanze. E’ mai possibile che i contemporanei siano invece ben più “primitivi e barbari” e sacrifichino allo “show business”, al clamore mediatico e alle ingenti risorse che vi girano intorno, la vita di migliaia di essere umani? Noi non lo crediamo possibile.
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