02.04.13 Di seguito, la relazione introduttiva di Walter Schiavella al Congresso Nazionale della Fillea, in corso di svolgimento a Roma presso il Centro Congresso Frentani. Inseriamo qui un testo in bozza e ridotto, che sostiuiremo presto con la versione definitiva
Care compagne e cari compagni,
Abbiamo attraversato anni densi, difficili. In questa epoca dove va di moda essere sempre sorridenti non voglio nascondervi la mia emozione né la preoccupazione e la fatica.
Fanno parte del nostro essere uomini come gli altri. Il mio ruolo e la mia responsabilità non mi fanno diverso; se trovo ancora energie ed entusiasmo, è solo per voi, per quanto avete saputo condividere con me questi anni affollati, questo viaggio avventuroso. E sono gli uomini e le donne a fare la differenza.
Siamo partiti quattro anni orsono dalla tragedia dell'Aquila, da quel tendone che ci accolse, da quelle macerie che ancora segnano dolori e speranze.
Abbiamo lasciato la rassicurante certezza degli approdi sicuri, quelli di modelli di sviluppo e produttivi consolidati. Quegli approdi non esistono più. Abbiamo dovuto sperimentare e cercare nuove rotte capaci di portarci al sicuro.
Abbiamo affrontato i venti contrari della crisi e quelli freddi del dubbio.
Abbiamo dovuto attraversare le tempeste delle domande senza risposta.
Ma se siamo qui, è il segno che siamo sopravvissuti. Siamo ancora in viaggio e arriveremo. Non è imprudenza la nostra, ma consapevolezza di avere quello che è necessario per giungere alla meta: una barca ancora solida, gli equipaggi migliori e la rotta giusta.
Per quel che riguarda la barca, la nostra CGIL, la tempesta l’ha certamente ammaccata ma resiste ed è solida. Quando arriveremo in porto dovremo fare una bella manutenzione, ma non affonderà.
Gli equipaggi, i nostri delegati, sono straordinari. Hanno affrontato la bufera, non si sono mai tirati indietro. Da loro abbiamo ricevuto forza ed energia anche quando ci urlavano in faccia la loro rabbia e le loro preoccupazioni. Così come un lavoro straordinario ha svolto chi li ha guidati e coordinati nel lavoro quotidiano, i funzionari, i segretari territoriali e regionali.
La rotta che stiamo seguendo è nuova e non priva di pericoli, ma è l'unica che può condurci al sicuro. Quella rotta è segnata dalla necessità di un cambiamento radicale del modello di sviluppo, dalla fiducia che con l'azione collettiva si possa cambiare il corso delle cose, dal valore di una storia centenaria da proiettare nel futuro unendo valori e capacità di innovazione.
Senza rotta e senza equipaggio i capitani sarebbero inutili e oggi la nave sarebbe già affondata. Con equipaggi come voi i capitani debbono essere all'altezza del compito e starà a voi giudicare se lo siano stati.
I congressi servono anche a questo e forse per questo continuiamo ad essere una anomalia nel panorama della vita democratica di questo paese, un’anomalia che si vorrebbe eliminare.
Un congresso fatto di persone che ci hanno consegnato i loro problemi, spesso insieme alla loro incazzatura, ma li hanno consegnati a noi e non ad altri, caricandoci di responsabilità e costringendoci ad interrogarci sull'efficacia della nostra azione.
Tutto ciò non finisce sui giornali, sommerso da una lettura del confronto interno basata su uno scontro FIOM - CGIL.
Quella rappresentazione è funzionale ad un disegno politico esterno, ma anche conseguenza di nostre responsabilità.
Il problema non è la democrazia interna, né il fatto che si sia andati al congresso con due documenti. Semmai quello che è inaccettabile è la negazione dei risultati congressuali e il discredito generalizzato spesso gettato sull'organizzazione.
Il problema vero, il virus che ci attacca, si annida nella deriva identitaria che colpisce il tessuto connettivo della CGIL e cioè la sua natura confederale.
La malattia sta degenerando dopo anni di incubazione. I suoi sintomi evidenti sono il protagonismo e il personalismo di alcuni fra i gruppi dirigenti, che condiziona le scelte interne, utili più al posizionamento politico che al vero dibatto.
I suoi sintomi sono il sostituirsi di una categoria, la FIOM , alla Cgil come interlocutore generale col Governo.
Occorre arrestare questa deriva. Il problema è eminentemente politico e non certo disciplinare.
Arrestare questa deriva intanto è la scelta della FILLEA: una scelta praticata non solo in questo congresso con la decisione di non presentare emendamenti nazionali ma anche in tutti questi anni; rivendichiamo il nostro ruolo nelle elaborazioni della confederazione, rivendichiamo il nostro coraggio nella scelta della sostenibilità, siamo orgogliosi della nostra identità. Siamo però convinti che essa possa vivere solo dentro un quadro di composizione di interessi e identità diverse che solo una rinnovata confederalità può rappresentare … tutti dicono “noi siamo la Cgil...”. Lo diciamo anche noi ma aggiungiamo anche che senza la Cgil ciascuno di noi, categorie e tantomeno singoli dirigenti, è nulla!!!
Per questo la deriva identitaria va fermata subito, ora, in questo congresso, richiamando tutti al proprio ruolo in funzione di chi ( e di quanto) davvero si rappresenta....forse certe ostilità, certe paure delle presunte "dittature" delle maggioranze nascono da li.....dalla differenza fra audience televisiva e rappresentanza reale.
Il congresso reale
A quella rappresentanza reale della nostra gente voglio invece tornare ora.
Il valore vero del congresso e' in fin dei conti proprio questo: uno spazio di partecipazione e democrazia per analizzare ciò che è accaduto e decidere come affrontare il futuro. Il Congresso come progetto sul quale definire un patto sulla base del quale scegliere i gruppi dirigenti. Prima il progetto e poi le persone...per questo leaderismi, primarie e mode varie sarebbero letali.
Le persone da mettere alla base del progetto restano quelle che lavorano e non noi gruppo dirigente che, per rappresentare i loro bisogni, siamo chiamati a lavorare.
La crisi
La crisi ha devastato il nostro mondo. I numeri non raccontano tutto: le storie raccontano di più, raccontano sofferenza ma anche dignità, coraggio e speranza; ma insieme al coraggio abbiamo incontrato anche disperazione, quella che spesso ci coglie di fronte a domande senza risposta..quelle domande alle quali, spesso,lo stesso che ce le pone non trova soluzioni e ricorre a gesti estremi....la tragedia dei tanti suicidi per il lavoro che manca che si aggiunge a quella altrettanto inaccettabile di chi muore sul lavoro… la tragedia e la lezione di Giuseppe Bulgarella …
Mai come allora, quando Giuseppe ci ha lasciato così tragicamente, ho sentito il peso della della mia personale incapacità a rispondere a quanto ci affidano, a capire la soggettività della sofferenza, a costruire solidarietà umana prima che politica.
La lettera che Giuseppe ha scritto al Presidente della Repubblica ci richiama al valore costituzionale del lavoro e, insieme, ci mette di fronte ai limiti della nostra azione.
Da allora nulla è più come prima, da allora il Piano del lavoro è la nostra bussola, da allora il ruolo e il protagonismo dei lavoratori disoccupati è carne viva della nostra azione, da allora i comitati edili per il lavoro non sono solo luoghi di solidarietà, ma soprattutto protagonisti di una potente azione rivendicativa della FILLEA in Sicilia e altrove. Grazie Giuseppe, grazie di ricordarcelo ogni giorno.
L'analisi
Superare le emozioni e ritrovare la lucidità è necessario per rispondere con la ragione ai perché della crisi, degli arretramenti che ha determinato e per decidere i nostri orizzonti rivendicativi.
Occorre evitare due errori altrettanto fatali: caricarci di tutte le colpe del mondo o assolverci.
Il contesto è quello segnato da nuovi equilibri internazionali ancora in evoluzione come dimostrano le tensioni in Ucraina. In proposito, insieme alla BWI, esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Vasyl Andreyev, segr. gen. del sindacato delle costruzioni ucraino, così come a tutti i lavoratori che stanno lottando per la giustizia sociale,un lavoro dignitoso e migliori condizioni di vita.
La crisi e' quella determinata da un radicale mutamento nei processi di accumulazione e distribuzione della ricchezza su scala mondiale, ma ancor più dai limiti strutturali di questo modello di sviluppo.
Di fronte a tutto ciò l'Europa è stata il grande assente dal versante sociale e,dal versante economico, la protagonista di politiche recessive che hanno aggravato diseguaglianze e sofferenze. La prossima scadenza elettorale e' fondamentale per restituire all'Europa la sua dimensione sociale e sconfiggere le forze della destra populista e i nazionalismi.
La dimensione europea e internazionale del sindacato e' stata parte dei nostri limiti che invece vanno superati affermandone una crescita di ruolo e di protagonismo. Il piano del lavoro Ces e la manifestazione del 4 aprile a Bruxelles per una nuova politica di sviluppo della UE sono un primo segnale nella giusta direzione.
Per noi l'Europa e il Mediterraneo sono ancora più importanti. In nessun settore come nel nostro i lavoratori si muovono con tale intensità. Regolare il distacco, garantire sicurezza e diritti nelle grandi infrastrutture in costruzione nel mondo spesso con la partecipazione delle nostre imprese, accogliere i migranti con politiche e strutture adeguate e' il nostro compito come FILLEA e come sindacati italiani, come sindacato europeo e internazionale.
Gli eventi hanno fatto si che oggi sia nella FETBB, sia nella BWI, i sindacati italiani esprimano elevati livelli di presenza nei rispettivi board. Dobbiamo sentire questa responsabilità come uno stimolo ad agire di più e meglio, in Italia per cancellare la vergogna della Bossi-Fini e dei CIE, in Europa e nel mondo per fermare i mercanti di morte. Per questo vogliamo ospitare a Lampedusa la prossima conferenza europea del Mediterraneo BWI e vogliamo lanciare anche in Italia la campagna per fermare la strage di lavoratori in Quatar sulle opere dei mondiali FIFA 2020.
Molti paesi hanno praticato scelte diverse dall'Europa e sono usciti dalla recessione. E' la dimostrazione che si può uscire dalla crisi ma che per farlo occorre imboccare la strada giusta.
In Italia il peso del debito pubblico non può essere eluso ma non può giustificare da solo le scelte recessive finora compiute in assoluta continuità dai governi che si sono succeduti.
Berlusconi, Monti, Letta: stili diversi, diversa credibilità e autorevolezza ma, almeno per quel che riguarda i nostri settori, ricette e risultati analoghi: riduzione degli investimenti pubblici, deregolazione del mercato, della struttura di impresa e del lavoro, attacco allo stato sociale.
Di tutto ciò, complice anche la deriva etica e morale che ha colpito il paese, hanno fatto le spese in primo luogo le donne,espulse dal mercato del lavoro,penalizzate dal versante salariale, colpite più di altri dalla riduzione dello spazio pubblico nei servizi sociali, vittime sempre piu’ spesso di una violenza generalizzata e solo apparentemente cieca.
In questo contesto sarebbe sbagliato precipitare un giudizio sull'azione di questo nuovo Governo. Possiamo rilevare che, nelle modalità con le quali si è costituito, per l'ennesima volta senza passare per il voto dei cittadini, e nella maggioranza che lo sostiene non pare diverso da quelli passati. Diversi sono certamente stile , velocita' e volontà di cambiamento.
Staremo a vedere e sui singoli punti di merito valuteremo ed agiremo.
La crisi chiama in causa non solo i governi, ma anche le imprese, in evidente crisi di rappresentanza e troppo spesso tentate di usare la crisi come pretesto per scaricarne i costi finali sul lavoro. In questo quadro, con i nostri limiti e le nostre contraddizioni, abbiamo agito.
Abbiamo svolto un lavoro oscuro, difficile ma straordinario. Se siamo ancora in piedi lo dobbiamo soprattutto a questo, alle migliaia di accordi difensivi nazionali e territoriali.
Quasi 20.000 accordi di gestione di crisi aziendali in quattro anni!!!! 5000 accordi l'anno, 400 accordi al mese!!! Accordi con i quali si è garantito sostegno al reddito ai lavoratori coinvolti e spesso la salvezza del futuro produttivo di molte imprese e dei relativi posti di lavoro. Abbiamo garantito la tenuta del sistema contrattuale rinnovando i CCNL e moltissimi accordi di secondo livello.
Abbiamo costruito mobilitazioni e vertenze nazionali e locali per il lavoro e lo sviluppo. Dagli stati generali, alle vertenze unitarie (nazionali 3 marzo, luglio 2012, maggio 2013, dicembre 2013) le decine di iniziative territoriali. Un lavoro importante anche se spesso con risultati parziali . Un lavoro che merita comunque un bilancio per una valutazione più compiuta che affidiamo al bilancio sociale di mandato che consegnamo alla valutazione e alla approvazione di questo Congresso.
Questo lavoro, ovviamente, non può assolverci. Dobbiamo comunque chiederci cosa potevamo fare di più e meglio.
Non abbiamo saputo tenere unito il lavoro. Questo è il nostro limite di oggi. La politica ha avuto responsabilità nelle nostre divisioni; ma la divisione più dannosa è quella prodotta dalla frammentazione del lavoro che non abbiamo saputo pienamente rappresentare a cominciare da quanto di più e meglio dobbiamo fare per rappresentare pienamente i giovani e dare loro futuro.
Il progetto
Abbiamo bisogno di un progetto politico capace di rispondere alle priorità che ci consegna il dibattito congressuale, quello vero e non quello raccontato e quindi un progetto basato su tre priorità: lavoro, pensioni, reddito.
Il lavoro
In questi anni la crisi ha bruciato oltre 700.000 posti di lavoro nel settore costruzioni e ha alimentato tale fuoco col soffio potente dell'irregolarità.
La difesa del lavoro che c'è: ammortizzatori sociali
Il lavoro decide il futuro e dal lavoro il nostro progetto deve ripartire.
In primo luogo dalla difesa del lavoro che c'è.
Le migliaia di accordi sottoscritti hanno bisogno di un sistema di ammortizzatori sociali degno di questo nome, universale ed efficace, a partire dal rifinanziamento della cassa in deroga. La proposta della Cgil sulla riforma degli ammortizzatori sociali è la nostra proposta; ad essa aggiungiamo la necessità di rispondere allo specifico dell'edilizia: difendere CIG per pioggia,tener conto della particolarità della tutela dei licenziamenti per fine cantiere ; quindi allineare la contribuzione agli altri settori industriali destinando il risparmio solo in minima parte ad una riduzione complessiva del costo per le imprese e per la maggior parte ad integrazioni del reddito legate a percorsi formativi a cura del nostro sistema bilaterale e a un fondo di solidarietà che integri lo 0,10 previsto dal CCNL per agevolare il pensionamento anticipato.
In questo ordine e non viceversa...
La creazione del lavoro che manca: il piano del lavoro
Mentre difendiamo il lavoro che c'è occorre creare il lavoro che manca. Sul lavoro e' stata fondata la nostra Costituzione e ora va difesa creando nuovo lavoro di qualità. Senza lavoro e senza sviluppo non c'è ricchezza materiale e sociale.
Per noi il Piano del Lavoro varato a gennaio 2013 è la piattaforma sulla quale rivendicare una nuova stagione di contrattazione territoriale dello sviluppo delle nostre città e dei territori .La FILLEA deve esserne protagonista insieme alla CGIL ma senza deleghe.
Qualsiasi obiettivo di crescita che riguarda il territorio deve partire però dalla consapevolezza che non è riproducibile il precedente modello di sviluppo.
In questi anni abbiamo traversato il deserto compiendo un lungo e faticoso cammino, flagellati dalle tempeste di sabbia della crisi ma non abbiamo mai smarrito la pista che decidemmo all'Aquila, quella della sostenibilità, della riconversione e del recupero urbano , del consumo zero di suolo, quella della difesa del territorio, del paesaggio e dei nostri inestimabili BB.CC. In proposito Pompei e Sibari per noi saranno vertenze pilota di un’azione che vuole ripartire dal Mezzogiorno e dalla sua storia per costruire al Mezzogiorno e all'Italia intera un futuro.
E' stato uno sforzo culturale e politico enorme. Abbiamo scelto di uscire dalla crisi non costruendo più case!!!! E' come se i metalmeccanici avessero scelto di non costruire più automobili perché inquinano e i chimici avessero deciso che curarsi con le erbe e' più sicuro che farlo con i farmaci tradizionali....ovvio che è un paradosso...non abbiamo mai avuto ambizione di dare lezioni a nessuno, ma è altrettanto vero che non accettiamo lezioni da nessuno.
Chi pensa di risolvere il tema delle grandi opere dividendo il campo in due fra ambientalisti (tutti coloro che si oppongono alle grandi opere) e cementificatori (chi, come la FILLEA, ritiene,ad esempio,che la TAV sia un’opera necessaria al Paese e quindi da completare) rispondiamo con la forza delle nostre scelte in materia ambientale; per questo chiediamo alla CGIL che confermi quanto in proposito di TAV già definito nel precedente Congresso.
Il paese ha bisogno di migliorare la sua efficienza di sistema con una moderna rete infrastrutturale programmata nazionalmente su priorità chiare e decise con adeguati percorsi di partecipazione delle istituzioni e delle comunità locali; priorità che vanno individuate per rispondere agli obiettivi di connessione con i corridoi europei della mobilità e per interconnettere sistemi locali e urbani a loro volta efficienti.
Per questo il nostro piano per il lavoro non contrappone grandi e piccole opere ne la AV/AC al potenziamento delle reti ferroviare regionali e metropolitane. La vera contrapposizione deve restare quella fra opere utili e necessarie al paese e opere inutili per la collettività e invece utili per la rendita, la speculazione, il malaffare e le mafie.
Per realizzare questi obiettivi è decisivo superare i ritardi nell’utilizzo dei fondi Europei concentrando la spesa e soprattutto integrandola con la programmazione nazionale delle priorità e delle risorse. In questo contesto il Mezzogiorno deve essere esso stesso una priorità perché la coesione è fattore di sviluppo per l’intero paese.
Le città sono insieme il nostro più grande patrimonio nel quale si concentra il 70% della popolazione e il nostro più grande problema.
E' nelle città che il modello di sviluppo sin qui realizzato ha prodotto i danni maggiori. E' nelle città che la rendita immobiliare e fondiaria ha orientato la crescita alimentando insieme devastazione del tessuto urbanistico, ambientale e sociale e pericolose aree di contiguità fra politica ed affari che sono state spesso il varco aperto agli interessi delle mafie.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: case prodotte per le banche e non per il mercato,oggi invendute, a fronte di milioni di cittadini che la Casa non possono acquistare, né affittare; città estese e inefficienti, periferie brutte e degradate, centri storici svuotati delle loro funzioni residenziali e consegnati o alla speculazione o al degrado .
Le nostre città future dovranno essere lontane da tutto questo riconsegnandole in primo luogo ai loro cittadini. Una nuova legge sui suoli si impone, una legge che non regali plusvalenze immeritate alla rendita fondiaria e che metta la ricchezza determinata dagli strumenti di programmazione pubblici al servizio di interessi pubblici. Ci sono strumenti idonei a farlo, da quelli fiscali a quelli urbanistici legandoli alla scelta di non consumare più suolo e di privilegiare recupero e riuso delle aree impermeabilizzate. Consumo di suolo zero nel 2050 è il nostro obiettivo .
Ma soprattutto occorre un nuovo protagonismo delle forze sociali e dei cittadini per ricucire le periferie, ridisegnare le città rispondendo ai bisogni sociali, primo fra tutti quello ad avere una casa; serve rilanciare programmi di Erp e vero hausing sociale che partano dalla valorizzazione del patrimonio pubblico esistente e dall'utilizzo dell'invenduto rivitalizzando anche così i centri storici oltre che con il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonico, monumentale e culturale.
Tutto ciò presuppone analoga attenzione al paesaggio, alla qualità e sicurezza del territorio ormai devastato dal dissesto idrogeologico e alla qualità delle patrimonio edilizio, pubblico e privato; va avviato un gigantesco programma di messa in sicurezza e adeguamento energetico e antisismico del patrimonio pubblico e delle abitazioni private.
Questo programma non riguarda solo l'edilizia. Noi riteniamo invece che debba essere l'occasione per sostenere con apposite politiche industriali tutto il settore dei materiali da costruzione in direzione della ricerca e della innovazione di prodotto e di processo.
Questi settori rappresentano eccellenze nazionali, spesso legate alle nostre tradizioni storiche dalle fornaci, ai laterizi e alle cave, oppure importanti esperienze industriali di dimensioni internazionali come i nostri gruppi cementieri o ancora fondamentali pezzi del nostro Made in Italy come tutta l'industria del legno e arredo.
Questi settori hanno sofferto la crisi in maniera devastante come tutto il settore dei laterizi e manufatti in cemento dove stanno sparendo nel silenzio imprese come RDB, Vela, etc., mentre negli altri settori dal cemento al legno arredo, alla nautica, altre imprese soffrono situazioni ormai difficili da Italcementi a Cementir, a Natuzzi, a Ferretti.
In ognuna di queste situazioni, grazie ai nostri delegati e ai lavoratori abbiamo sempre fatto la nostra parte per dare un futuro a quelle imprese, a chi ci lavora ma ancor più al paese. E' giunto il momento che tutti gli altri attori a partire dal Governo, garantiscano gli impegni assunti e facciano fino in fondo la parte che gli spetta. I lavoratori hanno già pagato e non consentiremo che paghino ancora inadempienze altrui.
Gli incentivi fin qui realizzati per l’adeguamento energetico e sismico sono stati importanti ma insufficienti.
Il nuovo governo ha lanciato una sfida, quella del fare. Se vuole fare davvero non troverà certo ostacolo. Anzi la FILLEA, unitariamente a FILCA e FENEAL, vuole rilanciare la sua sfida... Signor Presidente del Consiglio, voglio darle ragione... non voglio chiedere tavoli (anche se nel nostro caso produrli darebbe lavoro a operai di un settore vitale del Made in Italy come il legno arredo, un settore dove, a proposito di innovazione e coraggio, abbiamo firmato con Federlegno, nella crisi, un buon CCNL e intese congiunte sulle politiche industriali per rilanciare il settore... quindi qualche tavolo in più, caro presidente del consiglio, male non farebbe...).
Comunque, dicevo, voglio accettare la sfida...non Le chiederemo tavoli; Le chiediamo risposte concrete..., in 60 giorni, 30 in più di quelli che Lei ha concesso a CGIL CISL UIL di Siracusa...
Fanno parte del nostro essere uomini come gli altri. Il mio ruolo e la mia responsabilità non mi fanno diverso; se trovo ancora energie ed entusiasmo, è solo per voi, per quanto avete saputo condividere con me questi anni affollati, questo viaggio avventuroso. E sono gli uomini e le donne a fare la differenza.
Siamo partiti quattro anni orsono dalla tragedia dell'Aquila, da quel tendone che ci accolse, da quelle macerie che ancora segnano dolori e speranze.
Abbiamo lasciato la rassicurante certezza degli approdi sicuri, quelli di modelli di sviluppo e produttivi consolidati. Quegli approdi non esistono più. Abbiamo dovuto sperimentare e cercare nuove rotte capaci di portarci al sicuro.
Abbiamo affrontato i venti contrari della crisi e quelli freddi del dubbio.
Abbiamo dovuto attraversare le tempeste delle domande senza risposta.
Ma se siamo qui, è il segno che siamo sopravvissuti. Siamo ancora in viaggio e arriveremo. Non è imprudenza la nostra, ma consapevolezza di avere quello che è necessario per giungere alla meta: una barca ancora solida, gli equipaggi migliori e la rotta giusta.
Per quel che riguarda la barca, la nostra CGIL, la tempesta l’ha certamente ammaccata ma resiste ed è solida. Quando arriveremo in porto dovremo fare una bella manutenzione, ma non affonderà.
Gli equipaggi, i nostri delegati, sono straordinari. Hanno affrontato la bufera, non si sono mai tirati indietro. Da loro abbiamo ricevuto forza ed energia anche quando ci urlavano in faccia la loro rabbia e le loro preoccupazioni. Così come un lavoro straordinario ha svolto chi li ha guidati e coordinati nel lavoro quotidiano, i funzionari, i segretari territoriali e regionali.
La rotta che stiamo seguendo è nuova e non priva di pericoli, ma è l'unica che può condurci al sicuro. Quella rotta è segnata dalla necessità di un cambiamento radicale del modello di sviluppo, dalla fiducia che con l'azione collettiva si possa cambiare il corso delle cose, dal valore di una storia centenaria da proiettare nel futuro unendo valori e capacità di innovazione.
Senza rotta e senza equipaggio i capitani sarebbero inutili e oggi la nave sarebbe già affondata. Con equipaggi come voi i capitani debbono essere all'altezza del compito e starà a voi giudicare se lo siano stati.
I congressi servono anche a questo e forse per questo continuiamo ad essere una anomalia nel panorama della vita democratica di questo paese, un’anomalia che si vorrebbe eliminare.
Un congresso fatto di persone che ci hanno consegnato i loro problemi, spesso insieme alla loro incazzatura, ma li hanno consegnati a noi e non ad altri, caricandoci di responsabilità e costringendoci ad interrogarci sull'efficacia della nostra azione.
Tutto ciò non finisce sui giornali, sommerso da una lettura del confronto interno basata su uno scontro FIOM - CGIL.
Quella rappresentazione è funzionale ad un disegno politico esterno, ma anche conseguenza di nostre responsabilità.
Il problema non è la democrazia interna, né il fatto che si sia andati al congresso con due documenti. Semmai quello che è inaccettabile è la negazione dei risultati congressuali e il discredito generalizzato spesso gettato sull'organizzazione.
Il problema vero, il virus che ci attacca, si annida nella deriva identitaria che colpisce il tessuto connettivo della CGIL e cioè la sua natura confederale.
La malattia sta degenerando dopo anni di incubazione. I suoi sintomi evidenti sono il protagonismo e il personalismo di alcuni fra i gruppi dirigenti, che condiziona le scelte interne, utili più al posizionamento politico che al vero dibatto.
I suoi sintomi sono il sostituirsi di una categoria, la FIOM , alla Cgil come interlocutore generale col Governo.
Occorre arrestare questa deriva. Il problema è eminentemente politico e non certo disciplinare.
Arrestare questa deriva intanto è la scelta della FILLEA: una scelta praticata non solo in questo congresso con la decisione di non presentare emendamenti nazionali ma anche in tutti questi anni; rivendichiamo il nostro ruolo nelle elaborazioni della confederazione, rivendichiamo il nostro coraggio nella scelta della sostenibilità, siamo orgogliosi della nostra identità. Siamo però convinti che essa possa vivere solo dentro un quadro di composizione di interessi e identità diverse che solo una rinnovata confederalità può rappresentare … tutti dicono “noi siamo la Cgil...”. Lo diciamo anche noi ma aggiungiamo anche che senza la Cgil ciascuno di noi, categorie e tantomeno singoli dirigenti, è nulla!!!
Per questo la deriva identitaria va fermata subito, ora, in questo congresso, richiamando tutti al proprio ruolo in funzione di chi ( e di quanto) davvero si rappresenta....forse certe ostilità, certe paure delle presunte "dittature" delle maggioranze nascono da li.....dalla differenza fra audience televisiva e rappresentanza reale.
Il congresso reale
A quella rappresentanza reale della nostra gente voglio invece tornare ora.
Il valore vero del congresso e' in fin dei conti proprio questo: uno spazio di partecipazione e democrazia per analizzare ciò che è accaduto e decidere come affrontare il futuro. Il Congresso come progetto sul quale definire un patto sulla base del quale scegliere i gruppi dirigenti. Prima il progetto e poi le persone...per questo leaderismi, primarie e mode varie sarebbero letali.
Le persone da mettere alla base del progetto restano quelle che lavorano e non noi gruppo dirigente che, per rappresentare i loro bisogni, siamo chiamati a lavorare.
La crisi
La crisi ha devastato il nostro mondo. I numeri non raccontano tutto: le storie raccontano di più, raccontano sofferenza ma anche dignità, coraggio e speranza; ma insieme al coraggio abbiamo incontrato anche disperazione, quella che spesso ci coglie di fronte a domande senza risposta..quelle domande alle quali, spesso,lo stesso che ce le pone non trova soluzioni e ricorre a gesti estremi....la tragedia dei tanti suicidi per il lavoro che manca che si aggiunge a quella altrettanto inaccettabile di chi muore sul lavoro… la tragedia e la lezione di Giuseppe Bulgarella …
Mai come allora, quando Giuseppe ci ha lasciato così tragicamente, ho sentito il peso della della mia personale incapacità a rispondere a quanto ci affidano, a capire la soggettività della sofferenza, a costruire solidarietà umana prima che politica.
La lettera che Giuseppe ha scritto al Presidente della Repubblica ci richiama al valore costituzionale del lavoro e, insieme, ci mette di fronte ai limiti della nostra azione.
Da allora nulla è più come prima, da allora il Piano del lavoro è la nostra bussola, da allora il ruolo e il protagonismo dei lavoratori disoccupati è carne viva della nostra azione, da allora i comitati edili per il lavoro non sono solo luoghi di solidarietà, ma soprattutto protagonisti di una potente azione rivendicativa della FILLEA in Sicilia e altrove. Grazie Giuseppe, grazie di ricordarcelo ogni giorno.
L'analisi
Superare le emozioni e ritrovare la lucidità è necessario per rispondere con la ragione ai perché della crisi, degli arretramenti che ha determinato e per decidere i nostri orizzonti rivendicativi.
Occorre evitare due errori altrettanto fatali: caricarci di tutte le colpe del mondo o assolverci.
Il contesto è quello segnato da nuovi equilibri internazionali ancora in evoluzione come dimostrano le tensioni in Ucraina. In proposito, insieme alla BWI, esprimiamo tutta la nostra solidarietà a Vasyl Andreyev, segr. gen. del sindacato delle costruzioni ucraino, così come a tutti i lavoratori che stanno lottando per la giustizia sociale,un lavoro dignitoso e migliori condizioni di vita.
La crisi e' quella determinata da un radicale mutamento nei processi di accumulazione e distribuzione della ricchezza su scala mondiale, ma ancor più dai limiti strutturali di questo modello di sviluppo.
Di fronte a tutto ciò l'Europa è stata il grande assente dal versante sociale e,dal versante economico, la protagonista di politiche recessive che hanno aggravato diseguaglianze e sofferenze. La prossima scadenza elettorale e' fondamentale per restituire all'Europa la sua dimensione sociale e sconfiggere le forze della destra populista e i nazionalismi.
La dimensione europea e internazionale del sindacato e' stata parte dei nostri limiti che invece vanno superati affermandone una crescita di ruolo e di protagonismo. Il piano del lavoro Ces e la manifestazione del 4 aprile a Bruxelles per una nuova politica di sviluppo della UE sono un primo segnale nella giusta direzione.
Per noi l'Europa e il Mediterraneo sono ancora più importanti. In nessun settore come nel nostro i lavoratori si muovono con tale intensità. Regolare il distacco, garantire sicurezza e diritti nelle grandi infrastrutture in costruzione nel mondo spesso con la partecipazione delle nostre imprese, accogliere i migranti con politiche e strutture adeguate e' il nostro compito come FILLEA e come sindacati italiani, come sindacato europeo e internazionale.
Gli eventi hanno fatto si che oggi sia nella FETBB, sia nella BWI, i sindacati italiani esprimano elevati livelli di presenza nei rispettivi board. Dobbiamo sentire questa responsabilità come uno stimolo ad agire di più e meglio, in Italia per cancellare la vergogna della Bossi-Fini e dei CIE, in Europa e nel mondo per fermare i mercanti di morte. Per questo vogliamo ospitare a Lampedusa la prossima conferenza europea del Mediterraneo BWI e vogliamo lanciare anche in Italia la campagna per fermare la strage di lavoratori in Quatar sulle opere dei mondiali FIFA 2020.
Molti paesi hanno praticato scelte diverse dall'Europa e sono usciti dalla recessione. E' la dimostrazione che si può uscire dalla crisi ma che per farlo occorre imboccare la strada giusta.
In Italia il peso del debito pubblico non può essere eluso ma non può giustificare da solo le scelte recessive finora compiute in assoluta continuità dai governi che si sono succeduti.
Berlusconi, Monti, Letta: stili diversi, diversa credibilità e autorevolezza ma, almeno per quel che riguarda i nostri settori, ricette e risultati analoghi: riduzione degli investimenti pubblici, deregolazione del mercato, della struttura di impresa e del lavoro, attacco allo stato sociale.
Di tutto ciò, complice anche la deriva etica e morale che ha colpito il paese, hanno fatto le spese in primo luogo le donne,espulse dal mercato del lavoro,penalizzate dal versante salariale, colpite più di altri dalla riduzione dello spazio pubblico nei servizi sociali, vittime sempre piu’ spesso di una violenza generalizzata e solo apparentemente cieca.
In questo contesto sarebbe sbagliato precipitare un giudizio sull'azione di questo nuovo Governo. Possiamo rilevare che, nelle modalità con le quali si è costituito, per l'ennesima volta senza passare per il voto dei cittadini, e nella maggioranza che lo sostiene non pare diverso da quelli passati. Diversi sono certamente stile , velocita' e volontà di cambiamento.
Staremo a vedere e sui singoli punti di merito valuteremo ed agiremo.
La crisi chiama in causa non solo i governi, ma anche le imprese, in evidente crisi di rappresentanza e troppo spesso tentate di usare la crisi come pretesto per scaricarne i costi finali sul lavoro. In questo quadro, con i nostri limiti e le nostre contraddizioni, abbiamo agito.
Abbiamo svolto un lavoro oscuro, difficile ma straordinario. Se siamo ancora in piedi lo dobbiamo soprattutto a questo, alle migliaia di accordi difensivi nazionali e territoriali.
Quasi 20.000 accordi di gestione di crisi aziendali in quattro anni!!!! 5000 accordi l'anno, 400 accordi al mese!!! Accordi con i quali si è garantito sostegno al reddito ai lavoratori coinvolti e spesso la salvezza del futuro produttivo di molte imprese e dei relativi posti di lavoro. Abbiamo garantito la tenuta del sistema contrattuale rinnovando i CCNL e moltissimi accordi di secondo livello.
Abbiamo costruito mobilitazioni e vertenze nazionali e locali per il lavoro e lo sviluppo. Dagli stati generali, alle vertenze unitarie (nazionali 3 marzo, luglio 2012, maggio 2013, dicembre 2013) le decine di iniziative territoriali. Un lavoro importante anche se spesso con risultati parziali . Un lavoro che merita comunque un bilancio per una valutazione più compiuta che affidiamo al bilancio sociale di mandato che consegnamo alla valutazione e alla approvazione di questo Congresso.
Questo lavoro, ovviamente, non può assolverci. Dobbiamo comunque chiederci cosa potevamo fare di più e meglio.
Non abbiamo saputo tenere unito il lavoro. Questo è il nostro limite di oggi. La politica ha avuto responsabilità nelle nostre divisioni; ma la divisione più dannosa è quella prodotta dalla frammentazione del lavoro che non abbiamo saputo pienamente rappresentare a cominciare da quanto di più e meglio dobbiamo fare per rappresentare pienamente i giovani e dare loro futuro.
Il progetto
Abbiamo bisogno di un progetto politico capace di rispondere alle priorità che ci consegna il dibattito congressuale, quello vero e non quello raccontato e quindi un progetto basato su tre priorità: lavoro, pensioni, reddito.
Il lavoro
In questi anni la crisi ha bruciato oltre 700.000 posti di lavoro nel settore costruzioni e ha alimentato tale fuoco col soffio potente dell'irregolarità.
La difesa del lavoro che c'è: ammortizzatori sociali
Il lavoro decide il futuro e dal lavoro il nostro progetto deve ripartire.
In primo luogo dalla difesa del lavoro che c'è.
Le migliaia di accordi sottoscritti hanno bisogno di un sistema di ammortizzatori sociali degno di questo nome, universale ed efficace, a partire dal rifinanziamento della cassa in deroga. La proposta della Cgil sulla riforma degli ammortizzatori sociali è la nostra proposta; ad essa aggiungiamo la necessità di rispondere allo specifico dell'edilizia: difendere CIG per pioggia,tener conto della particolarità della tutela dei licenziamenti per fine cantiere ; quindi allineare la contribuzione agli altri settori industriali destinando il risparmio solo in minima parte ad una riduzione complessiva del costo per le imprese e per la maggior parte ad integrazioni del reddito legate a percorsi formativi a cura del nostro sistema bilaterale e a un fondo di solidarietà che integri lo 0,10 previsto dal CCNL per agevolare il pensionamento anticipato.
In questo ordine e non viceversa...
La creazione del lavoro che manca: il piano del lavoro
Mentre difendiamo il lavoro che c'è occorre creare il lavoro che manca. Sul lavoro e' stata fondata la nostra Costituzione e ora va difesa creando nuovo lavoro di qualità. Senza lavoro e senza sviluppo non c'è ricchezza materiale e sociale.
Per noi il Piano del Lavoro varato a gennaio 2013 è la piattaforma sulla quale rivendicare una nuova stagione di contrattazione territoriale dello sviluppo delle nostre città e dei territori .La FILLEA deve esserne protagonista insieme alla CGIL ma senza deleghe.
Qualsiasi obiettivo di crescita che riguarda il territorio deve partire però dalla consapevolezza che non è riproducibile il precedente modello di sviluppo.
In questi anni abbiamo traversato il deserto compiendo un lungo e faticoso cammino, flagellati dalle tempeste di sabbia della crisi ma non abbiamo mai smarrito la pista che decidemmo all'Aquila, quella della sostenibilità, della riconversione e del recupero urbano , del consumo zero di suolo, quella della difesa del territorio, del paesaggio e dei nostri inestimabili BB.CC. In proposito Pompei e Sibari per noi saranno vertenze pilota di un’azione che vuole ripartire dal Mezzogiorno e dalla sua storia per costruire al Mezzogiorno e all'Italia intera un futuro.
E' stato uno sforzo culturale e politico enorme. Abbiamo scelto di uscire dalla crisi non costruendo più case!!!! E' come se i metalmeccanici avessero scelto di non costruire più automobili perché inquinano e i chimici avessero deciso che curarsi con le erbe e' più sicuro che farlo con i farmaci tradizionali....ovvio che è un paradosso...non abbiamo mai avuto ambizione di dare lezioni a nessuno, ma è altrettanto vero che non accettiamo lezioni da nessuno.
Chi pensa di risolvere il tema delle grandi opere dividendo il campo in due fra ambientalisti (tutti coloro che si oppongono alle grandi opere) e cementificatori (chi, come la FILLEA, ritiene,ad esempio,che la TAV sia un’opera necessaria al Paese e quindi da completare) rispondiamo con la forza delle nostre scelte in materia ambientale; per questo chiediamo alla CGIL che confermi quanto in proposito di TAV già definito nel precedente Congresso.
Il paese ha bisogno di migliorare la sua efficienza di sistema con una moderna rete infrastrutturale programmata nazionalmente su priorità chiare e decise con adeguati percorsi di partecipazione delle istituzioni e delle comunità locali; priorità che vanno individuate per rispondere agli obiettivi di connessione con i corridoi europei della mobilità e per interconnettere sistemi locali e urbani a loro volta efficienti.
Per questo il nostro piano per il lavoro non contrappone grandi e piccole opere ne la AV/AC al potenziamento delle reti ferroviare regionali e metropolitane. La vera contrapposizione deve restare quella fra opere utili e necessarie al paese e opere inutili per la collettività e invece utili per la rendita, la speculazione, il malaffare e le mafie.
Per realizzare questi obiettivi è decisivo superare i ritardi nell’utilizzo dei fondi Europei concentrando la spesa e soprattutto integrandola con la programmazione nazionale delle priorità e delle risorse. In questo contesto il Mezzogiorno deve essere esso stesso una priorità perché la coesione è fattore di sviluppo per l’intero paese.
Le città sono insieme il nostro più grande patrimonio nel quale si concentra il 70% della popolazione e il nostro più grande problema.
E' nelle città che il modello di sviluppo sin qui realizzato ha prodotto i danni maggiori. E' nelle città che la rendita immobiliare e fondiaria ha orientato la crescita alimentando insieme devastazione del tessuto urbanistico, ambientale e sociale e pericolose aree di contiguità fra politica ed affari che sono state spesso il varco aperto agli interessi delle mafie.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: case prodotte per le banche e non per il mercato,oggi invendute, a fronte di milioni di cittadini che la Casa non possono acquistare, né affittare; città estese e inefficienti, periferie brutte e degradate, centri storici svuotati delle loro funzioni residenziali e consegnati o alla speculazione o al degrado .
Le nostre città future dovranno essere lontane da tutto questo riconsegnandole in primo luogo ai loro cittadini. Una nuova legge sui suoli si impone, una legge che non regali plusvalenze immeritate alla rendita fondiaria e che metta la ricchezza determinata dagli strumenti di programmazione pubblici al servizio di interessi pubblici. Ci sono strumenti idonei a farlo, da quelli fiscali a quelli urbanistici legandoli alla scelta di non consumare più suolo e di privilegiare recupero e riuso delle aree impermeabilizzate. Consumo di suolo zero nel 2050 è il nostro obiettivo .
Ma soprattutto occorre un nuovo protagonismo delle forze sociali e dei cittadini per ricucire le periferie, ridisegnare le città rispondendo ai bisogni sociali, primo fra tutti quello ad avere una casa; serve rilanciare programmi di Erp e vero hausing sociale che partano dalla valorizzazione del patrimonio pubblico esistente e dall'utilizzo dell'invenduto rivitalizzando anche così i centri storici oltre che con il recupero e la valorizzazione del patrimonio architettonico, monumentale e culturale.
Tutto ciò presuppone analoga attenzione al paesaggio, alla qualità e sicurezza del territorio ormai devastato dal dissesto idrogeologico e alla qualità delle patrimonio edilizio, pubblico e privato; va avviato un gigantesco programma di messa in sicurezza e adeguamento energetico e antisismico del patrimonio pubblico e delle abitazioni private.
Questo programma non riguarda solo l'edilizia. Noi riteniamo invece che debba essere l'occasione per sostenere con apposite politiche industriali tutto il settore dei materiali da costruzione in direzione della ricerca e della innovazione di prodotto e di processo.
Questi settori rappresentano eccellenze nazionali, spesso legate alle nostre tradizioni storiche dalle fornaci, ai laterizi e alle cave, oppure importanti esperienze industriali di dimensioni internazionali come i nostri gruppi cementieri o ancora fondamentali pezzi del nostro Made in Italy come tutta l'industria del legno e arredo.
Questi settori hanno sofferto la crisi in maniera devastante come tutto il settore dei laterizi e manufatti in cemento dove stanno sparendo nel silenzio imprese come RDB, Vela, etc., mentre negli altri settori dal cemento al legno arredo, alla nautica, altre imprese soffrono situazioni ormai difficili da Italcementi a Cementir, a Natuzzi, a Ferretti.
In ognuna di queste situazioni, grazie ai nostri delegati e ai lavoratori abbiamo sempre fatto la nostra parte per dare un futuro a quelle imprese, a chi ci lavora ma ancor più al paese. E' giunto il momento che tutti gli altri attori a partire dal Governo, garantiscano gli impegni assunti e facciano fino in fondo la parte che gli spetta. I lavoratori hanno già pagato e non consentiremo che paghino ancora inadempienze altrui.
Gli incentivi fin qui realizzati per l’adeguamento energetico e sismico sono stati importanti ma insufficienti.
Il nuovo governo ha lanciato una sfida, quella del fare. Se vuole fare davvero non troverà certo ostacolo. Anzi la FILLEA, unitariamente a FILCA e FENEAL, vuole rilanciare la sua sfida... Signor Presidente del Consiglio, voglio darle ragione... non voglio chiedere tavoli (anche se nel nostro caso produrli darebbe lavoro a operai di un settore vitale del Made in Italy come il legno arredo, un settore dove, a proposito di innovazione e coraggio, abbiamo firmato con Federlegno, nella crisi, un buon CCNL e intese congiunte sulle politiche industriali per rilanciare il settore... quindi qualche tavolo in più, caro presidente del consiglio, male non farebbe...).
Comunque, dicevo, voglio accettare la sfida...non Le chiederemo tavoli; Le chiediamo risposte concrete..., in 60 giorni, 30 in più di quelli che Lei ha concesso a CGIL CISL UIL di Siracusa...

Non Le invio una mail ma una bella slide in power point rispetto alla concreta realizzazione degli impegni del suo governo:
• Sblocco selettivo del patto di stabilità per i comuni virtuosi.
• Apertura dei cantieri entro giugno almeno per un terzo degli stanziamenti previsti per l’edilizia scolastica.
• Pagamento debiti alle imprese a partire da luglio.
• Strutturalità degli incentivi per ristrutturazioni antisismiche e di adeguamento energetico e per i connessi acquisti di arredo almeno fino al 2020.
• Richiesta Durc per congruità a tutte le imprese che fruiscono di incentivi e adozione di protocolli di contrattazione di anticipo con le unità di missione per edilizia scolastica e assetto idrogeologico.
Le diamo tempo fino al 30 giugno e poi vedremo a che punto siamo. Non sarà un’attesa passiva... se vorrà, le nostre idee e le nostre proposte sono a sua disposizione,insieme a quelle degli architetti con cui il 26 marzo abbiamo siglato una importante intesa. Scelga Lei il metodo e lo strumento più adatto e moderno. Per noi quello che fa la differenza resta la sostanza e il merito senza alcun pregiudizio ma, ne stia sicuro, anche senza sconti.
(se volete la slide fatemelo sapere! Io comunque la twitto non appena appare sullo schermo)
Legalità
La sfida che abbiamo davanti, implica il realizzarsi di una precondizione: la piena affermazione del principio di legalità oggi fortemente aggredito.
I rifiuti tossici nella massicciata di BREBEMI, le recenti vicende di Infrastrutture Lombarde ne sono esempi eclatanti scelti non a caso per dimostrare che sono fenomeni di tutto il paese e non solo del Mezzogiorno.
Insieme al plauso e al sostegno all'azione di contrasto di forze dell'ordine e magistratura, occorre riflettere sulla efficacia della strumentazione legislativa al riguardo.
La proposta di legge della CGIL “Io riattivo il lavoro”, per restituire alla collettività le aziende sequestrate e confiscate, costruita col nostro importante contributo, deve essere una delle priorità di questo governo.
In questi anni abbiamo svolto un lavoro gigantesco presidiando il territorio con decine di protocolli di legalità sottoscritti con le grandi stazioni appaltanti a partire da EXPO 2015. Fondamentale in tutto questo e' stato il contributo di elaborazione del nostro Osservatorio sulla Legalità e l'entusiasmo e la competenza di chi, alla sua costituzione nel 2010, lo ha presieduto: Pierluigi VIGNA.
Conoscere Piero, il suo entusiasmo e la sua vivace intelligenza, la sua innata simpatia è stata una delle esperienze più belle di questi anni. Piero e' diventato subito uno dei nostri, ha scoperto che cosa e' la FILLEA, ha voluto la nostra tessera e, soprattutto ci ha dato un contributo fondamentale di competenza senza il quale la campagna contro il caporalato non sarebbe stata il successo che è stato.
Nel ricordare Piero voglio ringraziare chi, con analoga generosità e competenza, ne ha raccolto il testimone alla guida dell'Osservatorio: Giuseppe Ayala.
Regolarità e forme del lavoro
Legalità e regolarità sono due facce della stessa medaglia. Su questo terreno ci piacerebbe davvero che il governo cambiasse verso al Paese.
In questi anni la situazione è peggiorata: produzione e fatturati hanno continuato a calare mentre l'irregolarità aumentava; come allora non vedere l'inefficacia di politiche che hanno indebolito il quadro normativo, dalla responsabilità solidale al Durc, dalle norme sulla sicurezza a quelle sul mercato del lavoro?
Ma se una politica palesemente non funziona, allora perché insistere?
Ci accusano spesso di essere ideologici...ma spesso tale accusa la lancia chi è più ideologico di noi, convinto delle sue teorie sopra ogni evidenza.
Ragionamenti come quelli ascoltati in questi giorni sui tavoli contrattuali mi atterriscono: come si fa a dire che, poiché tutti aggirano le regole, la soluzione è renderle più aggirabili per tutti? Tutto ciò non crea ne' ricchezza, ne' posti di lavoro.
Eppure con le associazioni delle imprese abbiamo costruito convergenze su questi temi.
Voglio rilanciare loro la sfida di costruire insieme proposte operative e agire in maniera che il governo ne tenga conto:
• Sul mercato: riforma e semplificazione del codice degli appalti, stop ai massimi ribassi, riforma dell'istituto del contraente generale.
• Sulle imprese: riforma del sistema di qualificazione SOA e soprattutto e finalmente una legge che regoli l'accesso delle imprese al mercato privato in virtù della loro qualità e struttura.
• Sul lavoro: No alle modifiche introdotte dal decreto Poletti al DURC e SI al sostegno legislativo al Durc per congruità nei lavori privati.
Su questi provvedimenti misureremo la volontà di cambiamento di governo ed imprese.
Sul lavoro quella volontà abbiamo già avuto modo di misurarla e, al momento, non ci sembra adeguata.
Il decreto legge del Ministro Poletti non introduce alcun cambiamento di direzione, anzi aumenta la precarietà.
Si continua a pensare che aumentando le flessibilità si aumenta il lavoro. Se così fosse l'edilizia, dove il 95% delle imprese è sotto i 15 dip., dove si può licenziare per fine cantiere e fase lavorativa, non sarebbe in crisi.
Quella che viene chiamata riforma del contratto a tempo determinato non è altro che un lavoro a chiamata mascherato o, nella migliore delle ipotesi, un allungamento a tre anni del periodo di prova. I suoi effetti sul settore saranno devastanti in termini di strutturazione dell’impresa, di regolarità del lavoro e soprattutto di sicurezza. Si ricordi che in edilizia, al di la delle statistiche, si continua a morire nei cantieri. Inoltre pagare il 35% la formazione teorica degli apprendisti non è certo il modo migliore per formarli!!!
A noi della FILLEA la flessibilità non spaventa. Siamo una punta avanzata nella sperimentazione contrattuale. Non c'è niente di preconcetto nel nostro no al suo decreto ... È semplicemente che e' sbagliato perché aggiunge casino al casino.
Volete semplificare? Bene allora contratto unico a tutele crescenti abolendo ogni altra forma contrattuale, a partire dalle partite iva.
Ma gli effetti più devastanti il suo decreto li produce con le ennesime modifiche al Durc.
Non è una smaterializzazione del Durc la sua ...è la vaporizzazione del Durc.
Di fatto, con quelle modifiche, un Durc vale 6 mesi quando nel ciclo dei subappalti le lavorazioni si contano a settimane e le imprese spariscono nel giro di un mese fra fallimenti, concordati in bianco e tutte le altre diavolerie che si consentono loro.
Manca solo un ulteriore allentamento della responsabilità solidale e siamo al Far West... so che ci state pensando ... ma su questo non si passa!!! Su questo sì che dovrete cambiare verso!!!!!!
Welfare e pensioni
Le pensioni sono state il tema principale di quasi tutte le assemblee con un unico filo conduttore: la rabbia per una riforma che ha cambiato radicalmente le aspettative di vita di migliaia di lavoratori prossimi alla pensione e la sfiducia dei più giovani che, con questa riforma, una pensione rischiano di non vederla mai.
Ma insieme a tutto ciò non possiamo non vedere anche la profonda insoddisfazione della nostra gente per come la Cgil e il sindacato in generale non abbiano saputo efficacemente contrastare quel disegno.
Noi ora dobbiamo saper ascoltare entrambi questi sentimenti con la capacità di trasformarli in un realistico progetto di cambiamento di quanto la Legge Fornero ha prodotto di negativo.
Per farlo dobbiamo partire dall'analisi delle ragioni che hanno reso vana ed insufficiente la nostra azione di contrasto. Esse risiedono certamente in quella divisione del lavoro di cui parlavamo e che non abbiamo saputo cogliere, oltre che negli effetti postumi di una profonda fase di divisione del movimento sindacale. E' giusto chiederci perché abbiamo fatto solo 3 ore di sciopero, ma dobbiamo chiederci anche perché non ci sia stata quella spinta forte e travolgente dal basso che, in altre occasioni, invece c'è stata.
Da questa riflessione dobbiamo partire per costruire un’ efficace proposta rivendicativa per cambiare radicalmente quella riforma, dannosa per tutti i lavoratori, ma ancor più inaccettabile per quelli della filiera delle costruzioni.
Un cantiere non ha l'aria condizionata ne' i vetri schermati!!! Il sole che brucia le spalle o il gelo che ti rattrappisce le mani sui ferri non sono come l'aria rarefatta di una sala riunioni.
Una cava, una fornace o un cementificio, una sala verniciatura o una segheria non sono come un aula universitaria. Tutti i lavori hanno la stessa importanza e dignità, ma non tutti i lavori comportano la stessa fatica.
Così come non tutti i lavori hanno una precarietà strutturale come quello edile e se, nei periodi di non lavoro non c'è copertura previdenziale, quei lavoratori, quando a settanta anni scenderanno dalle impalcature riceveranno in premio pensioni da fame.
Per questo cambiare radicalmente quella legge è un obiettivo fondamentale da realizzare con una proposta credibile e con una mobilitazione adeguata.
Per formularla abbiamo voluto ascoltare, fare una prima sintesi con l'o.d.g. discusso e approvato in molti congressi regionali e oggi tirare le fila su una proposta utile a rappresentare le ragioni e la specificità della categoria nel congresso nazionale della Cgil.
I cardini di quella nostra proposta sono semplici e compatibili con un sistema contributivo in equilibrio: un sistema di ammortizzatori sociali e di tutele previdenziali che copra ai fini previdenziali i periodi di non lavoro; un rapporto stringente fra gravosità del lavoro,aspettativa di vita e conseguente variabilità dell'accesso alla pensione.
Il reddito
E' questo il momento anche per affrontare l'altra grande questione che ci consegna la discussione fra i lavoratori: il reddito e quindi fisco e contrattazione .
E' infatti chiaro a tutti che in questi anni la distribuzione della ricchezza non è' stata mai così diseguale. In Italia più ancora che altrove non hanno funzionato i meccanismi redistributivi, ne' quelli diretti, fisco e contratti, ne' quelli indiretti con un impoverimento continuo degli strumenti dello stato sociale, con un attacco ai servizi pubblici e al lavoro pubblico non più tollerabile. Un attacco che hanno pagato in primo luogo le donne, già costrette dalla crisi a lasciare il lavoro, facendosi per di più carico del lavoro di cura a causa degli effetti dei tagli al welfare.
Il fisco
Ora il problema è redistribuire. Lo impongono ragioni economiche, ma ancor più ragioni semplicissime e chiare a tutti come quelle di chi fa i conti ogni giorno col problema di riempire il carrello della spesa, o di pagare gli studi ai propri figli, esigenze a volte soddisfatte ricorrendo all'aiuto di un welfare familiare spesso rappresentato da nonni generosi.
Anche per questo è inaccettabile considerare ricco un pensionato con 1.500 euro netti di pensione ed escluderlo dai benefici di una necessaria riduzione fiscale.
Una riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni e' quindi necessaria e urgente.
In questa direzione il Governo ha compiuto una scelta importante e condivisa, seppur parziale. E' un primo passo che ora va realizzato concretamente.
Bene ridurre IRPEF al lavoro dipendente e IRAP alle imprese spostando il carico sulle rendite finanziarie, ma serve aggredire con decisione anche quella fetta di economia illegale e sommersa che sottrae ogni anno al fisco oltre 60 miliardi di introiti. La lotta all’evasione è la vera assente dagli annunci del Governo.
Per noi,invece è una priorità, perchè aggredire questo cancro ha anche un valore aggiunto in quanto quella battaglia è la stessa di quella contro lo sfruttamento del lavoro e la concorrenza sleale.
Contrattazione
Come ovvio, però, non intendiamo affidare solo alla politica e ai governi un compito che è anche nostro. Ci teniamo al nostro ruolo e alla nostra autonomia contrattuale e vogliamo esercitarla.
L'attacco al reddito e ai diritti dei lavoratori è passato in questi anni anche per l'attacco alla struttura e alla esigibilità della contrattazione oltre che alle stesse funzioni di rappresentanza del sindacato.
Le scelte delle imprese e il sostegno ad esse fornito da politiche sbagliate come quelle rappresentate dall'art.8, hanno teso a minare ruolo e funzione della contrattazione nei processi redistributivi e nella difesa dei diritti. Le vicende della FIAT ne sono chiara testimonianza. Questo attacco ci è parso sempre chiaro e mai è mancato il nostro sostegno a quelle lotte , a quei lavoratori e alla FIOM colpita nel diritto elementare e costituzionale di rappresentarli in fabbrica.
Ma insieme a questo dobbiamo interrogarci sul perché è accaduto e, quindi anche sulla efficacia delle nostre strategie contrattuali e delle norme che le regolano.
Come sempre, in questa riflessione voglio partire da noi, dalla FILLEA.
A differenza del precedente congresso, oggi porto per intero la responsabilità di queste due stagioni contrattuali. Ciò mi consente di parlarne in piena libertà.
Nel 2010, nonostante le piattaforme separate frutto obbligato di un accordo interconfederale non sottoscritto giustamente dalla Cgil, siamo riusciti a rinnovare per tempo tutti i ccnl, senza un’ora di sciopero e, soprattutto, senza deroghe sulla struttura contrattuale e senza cedimenti sulle flessibilità nel governo del Mdl.
La stagione di contrattazione di secondo livello che ne è seguita è stata segnata da un carattere prettamente difensivo imposto da una crisi che si faceva sempre più devastante.
Ciononostante sia negli impianti fissi che in edilizia non sono mancate esperienze avanzate anche se, resta il vulnus di circa 70 integrativi territoriali non rinnovati su 170 piattaforme presentate. Un risultati parziale quindi, ma comunque importante.
Questa stagione è cominciata con premesse migliori dal versante unitario,ma ha riscontrato più difficoltà con le controparti.
Nonostante ciò, anche passando per momenti di mobilitazione (come lo sciopero del settore del legno arredo), in tutti i settori abbiamo comunque concluso tutti i CCNL in tempi accettabili e con risultati coerenti alle piattaforme garantendo tenuta del modello e delle regole... da ultimo quello artigiani Legno-Lapidei che, a differenza di quanto affermato da alcuni commentatori, non aumenta ma riduce l’utilizzo dei tempi determinati rispetto alla precedente regolazione contrattuale; …o meglio quasi tutti.... Manca all'appello il ccnl edilizia ANCE/COOP... una inedita collaborazione ... alla quale auguriamo successo...ma non a nostre spese!!!!!
Al netto di questo ultimo contratto, possiamo affermare che anche questa stagione contrattuale si sta concludendo con una importante tenuta del sistema contrattuale. Ma appunto di tenuta si parla.
Ci siamo difesi bene ma non abbiamo guadagnato posizioni e ciò è vero ovviamente soprattutto per la parte salariale.
Le nostre posizioni vanno ora rafforzate e difese ma non fortificate. Nella storia alzare torri teoricamente inespugnabili e, ancor meno, sventolare le proprie bandiere, non è mai bastato per vincere ne' una battaglia, ne' tantomeno la guerra senza avere anche una adeguata strategia di attacco.
In questa guerra noi siamo al fronte...anzi...siamo già dietro le linee nemiche. Dobbiamo esplorare nuove strade. Spetta a noi perché nella storia della contrattazione sempre a noi è spettato essere diversi perché diverso è il mondo che rappresentiamo.
Dobbiamo rivendicare questo ruolo, dobbiamo essere orgogliosi della nostra storia contrattuale, ma ancor più dobbiamo tramutare storia, competenze, orgoglio in capacità di innovare.
Se le difficoltà che abbiamo incontrato in questi anni tormentati sono frutto della divisione e frammentazione del lavoro, allora l'obiettivo di tale azione innovatrice non può che essere quello di riunificare il lavoro e la sua rappresentanza trasformando il cambiamento del modello di sviluppo e i suoi riflessi sul lavoro in opportunità. Il CCNL resta per noi lo strumento primario per la difesa delle retribuzioni e dei diritti fondamentali.
L'obiettivo che ci poniamo è la riduzione del numero dei contratti. Non sarà semplice poiché anche le associazioni datoriali attraversano una grave crisi di rappresentanza che le induce sempre più a frammentarsi.
Per quel che ci riguarda l'obiettivo della Fillea è giungere a due CCNL: uno unico per l’edilizia e un altro per gli impianti fissi che raggruppi legno, cemento, lapidei e laterizi.
In edilizia, la presenze in cantiere di contratti diversi, metalmeccanici, di global service etc., impone una riflessione sul perimetro di quel contratto.
Si potrebbe sostenere l'applicazione del CCNL edile a tutte le funzioni/lavorazioni effettuate in cantiere, ma ciò non sarebbe realistico così come non lo sarebbe un unico CCNL dell'industria. La soluzione allora è dare centralità al cantiere quale ambiente di lavoro complesso, a partire da tutte le problematiche legate alla formazione e alla salute e sicurezza.
Le donne, così come i migranti, debbono essere sempre più al centro della nostra azione contrattuale proprio perché la crisi ha scaricato le sue contraddizione su loro più che sugli altri. Così come rappresentare i giovani, più soggetti di altri a subire la precarietà, deve essere la prima forma di inclusione che realizziamo. A questo fine, lo sviluppo e l'efficacia della contrattazione di secondo livello sono decisivi per raggiungere l'obiettivo di recuperare leve efficaci per il governo degli orari, della organizzazione del lavoro, delle sue condizioni effettive e della sua stessa retribuzione.
Per farlo abbiamo una sola strada. Riportare la contrattazione in cantiere nel contesto di una riforma della contrattazione territoriale che resta perno irrinunciabile del nostro sistema in edilizia,mentre negli altri settori il problema è come coprire con una più estesa contrattazione territoriale ciò che non copriamo con quella aziendale.
In edilizia abbiamo la necessità di un processo di ridefinizione degli ambiti territoriali di riferimento della contrattazione territoriale per adeguarli alle mutate condizioni del mercato e del settore. Tali processi richiedono infatti da subito percorsi di progressiva armonizzazione delle prestazioni e delle strumentazioni contrattuali in ambito regionale che accompagnino e anticipino il necessario progetto di riorganizzazione del sistema bilaterale guardando, pur con le necessarie flessibilità, al livello regionale come a quello che oggi maggiormente si presta ad un governo effettivo del lavoro e del mercato.
Proprio per queste ragioni la riforma del sistema bilaterale è parte così importante sia del confronto in atto con ANCE/COOP, sia di qualsiasi strategia di riforma contrattuale.
Qualsiasi riforma deve partire da questi principi: tenere legati la contrattazione e la bilateralità definendo i livelli ottimali di attestazione territoriale degli enti in ambiti più ampi degli attuali, almeno interprovinciali, e guardando, da subito nelle situazioni meno complesse, all'ambito regionale; riunificare gli enti nazionali, fare altrettanto in ogni territorio almeno fra scuole e CTP; puntare ad un unico sistema bilaterale nazionale con tutte le controparti; garantire standard qualitativi e procedure omogenee; garantire eticità e trasparenza nella gestione con una rigorosa applicazione del protocollo unitario sottoscritto nel marzo 2012.
Se si affronta così la riforma ha un senso.
Se, invece, si pensa che la riforma debba avere come obiettivo principale, o peggio unico, quello di ridurre i costi per le imprese magari per tirare fuori da lì le risorse per rinnovare il contratto, si faranno solo danni e non si produrranno risparmi effettivi.
Il nodo per il quale non si è ancora rinnovato il contratto ANCE/COOP è proprio questo; sulla bilateralità come sugli altri argomenti, hanno accarezzato l'idea che il CCNL fosse utile a realizzare una restituzione di salario diretto ed indiretto dai lavoratori alle imprese inseguendo sul loro terreno le imprese irregolari.
Come abbiamo dimostrato con lo sciopero del 13 dicembre non abbiamo intenzione di accettare questa logica ne' ora, ne' domani!!!
Siamo consapevoli delle difficoltà vere delle imprese serie e strutturate; siamo convinti che quelle imprese vadano sostenute nel loro processo di crescita e posizionamento nei mercati nazionali e internazionali come abbiamo fatto con tutte le aggregazioni realizzate, da Salini Impregilo, al gruppo Itinera, a Coopsette-Unieco.
Non è aggiungendo altre forme di precarietà del lavoro che le imprese potranno crescere ma potranno farlo solo puntando su lavoro stabile e di qualità.
Le richieste della nostra piattaforma sono in linea con la fase al punto che ci hanno consentito di chiudere positivamente il CCNL edilizia artigiani e tutti gli altri CCNL dei materiali.
Il punto è proprio questo, se si rinuncia o no a quell'idea sbagliata di avere indietro qualcosa che è dei lavoratori e non delle imprese come lo e' da sempre il diritto all'APE!!!
Ape non si tocca abbiamo detto e abbiamo una sola parola. Se si tratta di costruire soluzioni che, salvaguardando il diritto, siano capaci di dare stabilità ed equilibrio futuro al sistema siamo disponibili al confronto.
E' ora però che quel confronto si chiuda rapidamente concentrandosi sui punti chiave (riforma enti, ape, salario). Lo diciamo con chiarezza: vogliamo fare la nostra parte, vogliamo trovare soluzioni adeguate e innovative ma non è più possibile attendere e le prossime settimane dovranno portarci una risposta chiara e definitiva.
La rappresentanza
La crisi ci ha “segnati” ma non “segati”. La FILLEA resta il primo sindacato del settore in termini di rappresentanza. Non c'è contrattazione senza rappresentanza.
Il regolamento attuativo siglato con Confindustria il 10 gennaio 2014 ha finalmente posto fine ad una situazione che consentiva alle imprese di scegliersi alla carta l'interlocutore.
Su quegli accordi si è fin qui discusso molto, fino a mettere a rischio la stessa funzione di questo Congresso.
Ora quella discussione, per quanto ci riguarda è chiusa: abbiamo accettato la decisione del C.D. di avviare sul complesso di quegli accordi la consultazione certificata dei nostri iscritti, abbiamo contribuito a realizzarla con modalità democratiche e trasparenti.
Quegli accordi sono un risultato importantissimo e coerente con gli obiettivi storicamente al centro delle nostre politiche rivendicative: i contratti nazionali li fanno i sindacati che rappresentano almeno i 51% dei lavoratori; i lavoratori votano per validare quei contratti con voto a maggioranza; la certificazione della rappresentanza avviene da soggetti terzi e non solo sul dato associativo ma anche su quello elettorale; le Rsu sono generalizzate ed elette senza più quote di riserva per nessuno; le sanzioni anche per le imprese le fissano i CCNL.
Questi sono i fatti. Ipotizzare vizi di costituzionalità non solo è sbagliato, ma è folle.
Ipotizzare il rischio di una dittatura della maggioranza è negare le ragioni stesse della democrazia, così come dire che i nostri delegati Rsu hanno ragione solo quando fanno ciò che diciamo è avere una concezione a dir poco datata del rapporto fra base e vertice delle organizzazioni politiche e sociali.
Quella concezione non appartiene alla FILLEA, non appartiene alla Cgil!!!
Se un limite quegli accordi hanno è che in essi permane la centralità industrialista di un mondo che non ha invece più una sua centralità oggettiva.
Si pone il tema di come applicare quegli accordi al mondo del lavoro frammentato e diffuso, di come usarlo come strumento di riunificazione del lavoro, di come e di quali forme di democrazia esercitare nelle realtà produttive disperse e frammentate. Questa sarebbe la vera discussione da fare. Questa è intanto la discussione che vogliamo fare unitariamente e con ANCE per adattare all’edilizia quell’accordo.
La confederalità e l'organizzazione
Richiamare il merito della discussione non vuole negare la legittimità di una discussione sui temi del metodo con cui si è giunti all'accordo. In proposito appare evidente il corto circuito determinato da uno scarso coinvolgimento delle categorie nelle fasi di stretta del negoziato.
Non è in discussione ne' la legittimità, ne' ancor meno l'autorevolezza della Segreteria confederale a stipulare accordi interconfederali. Si tratta invece di prendere semplicemente atto che la complessità di questa fase esige invece in termini strutturali una maggiore capacità di direzione collegiale che coinvolga efficacemente la pluralità delle esperienze nella definizione di sintesi più avanzate.
Quelle diversità esistono e hanno tutte la stessa importanza e dignità. La capacità di fare sintesi di quelle differenze ha fatto sì che la natura confederale della Cgil sopravvivesse per oltre 100 anni.
Dovremmo davvero fermarci un attimo e riflettere non solo sul contenzioso di oggi ma anche e soprattutto su tutto ciò che in questi anni lo ha reso possibile.
Quanto accade oggi è infatti solo il frutto di una deriva che ha progressivamente spostato il pluralismo interno dall'appartenenza politica, alle aree programmatiche e oggi alle strutture; un pluralismo delle strutture, però, non è compatibile con una organizzazione confederale.
E' questo il nodo che va sciolto. La sfida che dobbiamo affrontare per uscire in avanti da questa evidente crisi della nostra dialettica interna resta quindi quella di ridefinire i tratti costitutivi di una rinnovata confederalità che sappia interpretare le trasformazioni intervenute sul lavoro, sulla struttura produttiva, sulle stesse forme della rappresentanza sociale e, conseguentemente a tutto ciò, sappia anche adeguare le regole del nostro stare insieme. A proposito della nostra democrazia interna vorrei nuovamente citare Norberto Bobbio quando diceva che :
l'unico modo d'intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure. (da Il futuro della democrazia).
Non possiamo che ripartire da li'.
Non possiamo aspettare oltre nel rinnovare la confederalità e con essa la nostra organizzazione rinunciando ciascuno alla difesa della propria posizione e mettendo al centro di quel progetto i luoghi di lavoro. Abbiamo una struttura basata su un modello produttivo che non risponde più alla realtà e ancora troppe federazioni di categoria, così come abbiamo una struttura delle Cdlt che non risponde più ne' agli assetti istituzionali, ne' a quelli sociali con un numero eccessivo di strutture. Abbiamo soprattutto un governo duale (CGIL Reg./ Categorie nazionali) dell'organizzazione che è inefficiente sul piano organizzativo e difficile da portare a sintesi sul piano politico. Siamo lenti quando il mondo va veloce.
Ma abbiamo ancora una straordinaria vitalità, quella data dal nostro radicamento nei territori e nei luoghi di lavoro. Dobbiamo necessariamente ripartire da li ma dobbiamo farlo in fretta.
La FILLEA non vuole fare da sola, ma non possiamo aspettare ancora. Da noi il lavoro si sposta e cambia e, ogni giorno ci pone di fronte problemi diversi che meritano risposta. Per questo abbiamo voluto avviare un nostro progetto che, ad invarianza di assetti statutari delle strutture provinciali, definisca nuove modalità di collaborazione ed integrazione fra loro. E' per questo, per guidare meglio questi processi organizzativi e di riassetto contrattuale con il conseguente riflesso sul sistema dei nostri enti bilaterali con un governo di prossimità e senza centralismi che con questo congresso ricostituiamo i nostri livelli congressuali regionali ad invarianza di costi nella distribuzione interna di risorse e di personale. A quei livelli regionali devolveremo importanti competenze del centro regolatore nazionale nella convinzione che da Roma non tutto può essere governato al meglio.
Queste sono le nostre sfide organizzative per l'immediato futuro.
• Sblocco selettivo del patto di stabilità per i comuni virtuosi.
• Apertura dei cantieri entro giugno almeno per un terzo degli stanziamenti previsti per l’edilizia scolastica.
• Pagamento debiti alle imprese a partire da luglio.
• Strutturalità degli incentivi per ristrutturazioni antisismiche e di adeguamento energetico e per i connessi acquisti di arredo almeno fino al 2020.
• Richiesta Durc per congruità a tutte le imprese che fruiscono di incentivi e adozione di protocolli di contrattazione di anticipo con le unità di missione per edilizia scolastica e assetto idrogeologico.
Le diamo tempo fino al 30 giugno e poi vedremo a che punto siamo. Non sarà un’attesa passiva... se vorrà, le nostre idee e le nostre proposte sono a sua disposizione,insieme a quelle degli architetti con cui il 26 marzo abbiamo siglato una importante intesa. Scelga Lei il metodo e lo strumento più adatto e moderno. Per noi quello che fa la differenza resta la sostanza e il merito senza alcun pregiudizio ma, ne stia sicuro, anche senza sconti.
(se volete la slide fatemelo sapere! Io comunque la twitto non appena appare sullo schermo)
Legalità
La sfida che abbiamo davanti, implica il realizzarsi di una precondizione: la piena affermazione del principio di legalità oggi fortemente aggredito.
I rifiuti tossici nella massicciata di BREBEMI, le recenti vicende di Infrastrutture Lombarde ne sono esempi eclatanti scelti non a caso per dimostrare che sono fenomeni di tutto il paese e non solo del Mezzogiorno.
Insieme al plauso e al sostegno all'azione di contrasto di forze dell'ordine e magistratura, occorre riflettere sulla efficacia della strumentazione legislativa al riguardo.
La proposta di legge della CGIL “Io riattivo il lavoro”, per restituire alla collettività le aziende sequestrate e confiscate, costruita col nostro importante contributo, deve essere una delle priorità di questo governo.
In questi anni abbiamo svolto un lavoro gigantesco presidiando il territorio con decine di protocolli di legalità sottoscritti con le grandi stazioni appaltanti a partire da EXPO 2015. Fondamentale in tutto questo e' stato il contributo di elaborazione del nostro Osservatorio sulla Legalità e l'entusiasmo e la competenza di chi, alla sua costituzione nel 2010, lo ha presieduto: Pierluigi VIGNA.
Conoscere Piero, il suo entusiasmo e la sua vivace intelligenza, la sua innata simpatia è stata una delle esperienze più belle di questi anni. Piero e' diventato subito uno dei nostri, ha scoperto che cosa e' la FILLEA, ha voluto la nostra tessera e, soprattutto ci ha dato un contributo fondamentale di competenza senza il quale la campagna contro il caporalato non sarebbe stata il successo che è stato.
Nel ricordare Piero voglio ringraziare chi, con analoga generosità e competenza, ne ha raccolto il testimone alla guida dell'Osservatorio: Giuseppe Ayala.
Regolarità e forme del lavoro
Legalità e regolarità sono due facce della stessa medaglia. Su questo terreno ci piacerebbe davvero che il governo cambiasse verso al Paese.
In questi anni la situazione è peggiorata: produzione e fatturati hanno continuato a calare mentre l'irregolarità aumentava; come allora non vedere l'inefficacia di politiche che hanno indebolito il quadro normativo, dalla responsabilità solidale al Durc, dalle norme sulla sicurezza a quelle sul mercato del lavoro?
Ma se una politica palesemente non funziona, allora perché insistere?
Ci accusano spesso di essere ideologici...ma spesso tale accusa la lancia chi è più ideologico di noi, convinto delle sue teorie sopra ogni evidenza.
Ragionamenti come quelli ascoltati in questi giorni sui tavoli contrattuali mi atterriscono: come si fa a dire che, poiché tutti aggirano le regole, la soluzione è renderle più aggirabili per tutti? Tutto ciò non crea ne' ricchezza, ne' posti di lavoro.
Eppure con le associazioni delle imprese abbiamo costruito convergenze su questi temi.
Voglio rilanciare loro la sfida di costruire insieme proposte operative e agire in maniera che il governo ne tenga conto:
• Sul mercato: riforma e semplificazione del codice degli appalti, stop ai massimi ribassi, riforma dell'istituto del contraente generale.
• Sulle imprese: riforma del sistema di qualificazione SOA e soprattutto e finalmente una legge che regoli l'accesso delle imprese al mercato privato in virtù della loro qualità e struttura.
• Sul lavoro: No alle modifiche introdotte dal decreto Poletti al DURC e SI al sostegno legislativo al Durc per congruità nei lavori privati.
Su questi provvedimenti misureremo la volontà di cambiamento di governo ed imprese.
Sul lavoro quella volontà abbiamo già avuto modo di misurarla e, al momento, non ci sembra adeguata.
Il decreto legge del Ministro Poletti non introduce alcun cambiamento di direzione, anzi aumenta la precarietà.
Si continua a pensare che aumentando le flessibilità si aumenta il lavoro. Se così fosse l'edilizia, dove il 95% delle imprese è sotto i 15 dip., dove si può licenziare per fine cantiere e fase lavorativa, non sarebbe in crisi.
Quella che viene chiamata riforma del contratto a tempo determinato non è altro che un lavoro a chiamata mascherato o, nella migliore delle ipotesi, un allungamento a tre anni del periodo di prova. I suoi effetti sul settore saranno devastanti in termini di strutturazione dell’impresa, di regolarità del lavoro e soprattutto di sicurezza. Si ricordi che in edilizia, al di la delle statistiche, si continua a morire nei cantieri. Inoltre pagare il 35% la formazione teorica degli apprendisti non è certo il modo migliore per formarli!!!
A noi della FILLEA la flessibilità non spaventa. Siamo una punta avanzata nella sperimentazione contrattuale. Non c'è niente di preconcetto nel nostro no al suo decreto ... È semplicemente che e' sbagliato perché aggiunge casino al casino.
Volete semplificare? Bene allora contratto unico a tutele crescenti abolendo ogni altra forma contrattuale, a partire dalle partite iva.
Ma gli effetti più devastanti il suo decreto li produce con le ennesime modifiche al Durc.
Non è una smaterializzazione del Durc la sua ...è la vaporizzazione del Durc.
Di fatto, con quelle modifiche, un Durc vale 6 mesi quando nel ciclo dei subappalti le lavorazioni si contano a settimane e le imprese spariscono nel giro di un mese fra fallimenti, concordati in bianco e tutte le altre diavolerie che si consentono loro.
Manca solo un ulteriore allentamento della responsabilità solidale e siamo al Far West... so che ci state pensando ... ma su questo non si passa!!! Su questo sì che dovrete cambiare verso!!!!!!
Welfare e pensioni
Le pensioni sono state il tema principale di quasi tutte le assemblee con un unico filo conduttore: la rabbia per una riforma che ha cambiato radicalmente le aspettative di vita di migliaia di lavoratori prossimi alla pensione e la sfiducia dei più giovani che, con questa riforma, una pensione rischiano di non vederla mai.
Ma insieme a tutto ciò non possiamo non vedere anche la profonda insoddisfazione della nostra gente per come la Cgil e il sindacato in generale non abbiano saputo efficacemente contrastare quel disegno.
Noi ora dobbiamo saper ascoltare entrambi questi sentimenti con la capacità di trasformarli in un realistico progetto di cambiamento di quanto la Legge Fornero ha prodotto di negativo.
Per farlo dobbiamo partire dall'analisi delle ragioni che hanno reso vana ed insufficiente la nostra azione di contrasto. Esse risiedono certamente in quella divisione del lavoro di cui parlavamo e che non abbiamo saputo cogliere, oltre che negli effetti postumi di una profonda fase di divisione del movimento sindacale. E' giusto chiederci perché abbiamo fatto solo 3 ore di sciopero, ma dobbiamo chiederci anche perché non ci sia stata quella spinta forte e travolgente dal basso che, in altre occasioni, invece c'è stata.
Da questa riflessione dobbiamo partire per costruire un’ efficace proposta rivendicativa per cambiare radicalmente quella riforma, dannosa per tutti i lavoratori, ma ancor più inaccettabile per quelli della filiera delle costruzioni.
Un cantiere non ha l'aria condizionata ne' i vetri schermati!!! Il sole che brucia le spalle o il gelo che ti rattrappisce le mani sui ferri non sono come l'aria rarefatta di una sala riunioni.
Una cava, una fornace o un cementificio, una sala verniciatura o una segheria non sono come un aula universitaria. Tutti i lavori hanno la stessa importanza e dignità, ma non tutti i lavori comportano la stessa fatica.
Così come non tutti i lavori hanno una precarietà strutturale come quello edile e se, nei periodi di non lavoro non c'è copertura previdenziale, quei lavoratori, quando a settanta anni scenderanno dalle impalcature riceveranno in premio pensioni da fame.
Per questo cambiare radicalmente quella legge è un obiettivo fondamentale da realizzare con una proposta credibile e con una mobilitazione adeguata.
Per formularla abbiamo voluto ascoltare, fare una prima sintesi con l'o.d.g. discusso e approvato in molti congressi regionali e oggi tirare le fila su una proposta utile a rappresentare le ragioni e la specificità della categoria nel congresso nazionale della Cgil.
I cardini di quella nostra proposta sono semplici e compatibili con un sistema contributivo in equilibrio: un sistema di ammortizzatori sociali e di tutele previdenziali che copra ai fini previdenziali i periodi di non lavoro; un rapporto stringente fra gravosità del lavoro,aspettativa di vita e conseguente variabilità dell'accesso alla pensione.
Il reddito
E' questo il momento anche per affrontare l'altra grande questione che ci consegna la discussione fra i lavoratori: il reddito e quindi fisco e contrattazione .
E' infatti chiaro a tutti che in questi anni la distribuzione della ricchezza non è' stata mai così diseguale. In Italia più ancora che altrove non hanno funzionato i meccanismi redistributivi, ne' quelli diretti, fisco e contratti, ne' quelli indiretti con un impoverimento continuo degli strumenti dello stato sociale, con un attacco ai servizi pubblici e al lavoro pubblico non più tollerabile. Un attacco che hanno pagato in primo luogo le donne, già costrette dalla crisi a lasciare il lavoro, facendosi per di più carico del lavoro di cura a causa degli effetti dei tagli al welfare.
Il fisco
Ora il problema è redistribuire. Lo impongono ragioni economiche, ma ancor più ragioni semplicissime e chiare a tutti come quelle di chi fa i conti ogni giorno col problema di riempire il carrello della spesa, o di pagare gli studi ai propri figli, esigenze a volte soddisfatte ricorrendo all'aiuto di un welfare familiare spesso rappresentato da nonni generosi.
Anche per questo è inaccettabile considerare ricco un pensionato con 1.500 euro netti di pensione ed escluderlo dai benefici di una necessaria riduzione fiscale.
Una riduzione del carico fiscale sul lavoro dipendente e sulle pensioni e' quindi necessaria e urgente.
In questa direzione il Governo ha compiuto una scelta importante e condivisa, seppur parziale. E' un primo passo che ora va realizzato concretamente.
Bene ridurre IRPEF al lavoro dipendente e IRAP alle imprese spostando il carico sulle rendite finanziarie, ma serve aggredire con decisione anche quella fetta di economia illegale e sommersa che sottrae ogni anno al fisco oltre 60 miliardi di introiti. La lotta all’evasione è la vera assente dagli annunci del Governo.
Per noi,invece è una priorità, perchè aggredire questo cancro ha anche un valore aggiunto in quanto quella battaglia è la stessa di quella contro lo sfruttamento del lavoro e la concorrenza sleale.
Contrattazione
Come ovvio, però, non intendiamo affidare solo alla politica e ai governi un compito che è anche nostro. Ci teniamo al nostro ruolo e alla nostra autonomia contrattuale e vogliamo esercitarla.
L'attacco al reddito e ai diritti dei lavoratori è passato in questi anni anche per l'attacco alla struttura e alla esigibilità della contrattazione oltre che alle stesse funzioni di rappresentanza del sindacato.
Le scelte delle imprese e il sostegno ad esse fornito da politiche sbagliate come quelle rappresentate dall'art.8, hanno teso a minare ruolo e funzione della contrattazione nei processi redistributivi e nella difesa dei diritti. Le vicende della FIAT ne sono chiara testimonianza. Questo attacco ci è parso sempre chiaro e mai è mancato il nostro sostegno a quelle lotte , a quei lavoratori e alla FIOM colpita nel diritto elementare e costituzionale di rappresentarli in fabbrica.
Ma insieme a questo dobbiamo interrogarci sul perché è accaduto e, quindi anche sulla efficacia delle nostre strategie contrattuali e delle norme che le regolano.
Come sempre, in questa riflessione voglio partire da noi, dalla FILLEA.
A differenza del precedente congresso, oggi porto per intero la responsabilità di queste due stagioni contrattuali. Ciò mi consente di parlarne in piena libertà.
Nel 2010, nonostante le piattaforme separate frutto obbligato di un accordo interconfederale non sottoscritto giustamente dalla Cgil, siamo riusciti a rinnovare per tempo tutti i ccnl, senza un’ora di sciopero e, soprattutto, senza deroghe sulla struttura contrattuale e senza cedimenti sulle flessibilità nel governo del Mdl.
La stagione di contrattazione di secondo livello che ne è seguita è stata segnata da un carattere prettamente difensivo imposto da una crisi che si faceva sempre più devastante.
Ciononostante sia negli impianti fissi che in edilizia non sono mancate esperienze avanzate anche se, resta il vulnus di circa 70 integrativi territoriali non rinnovati su 170 piattaforme presentate. Un risultati parziale quindi, ma comunque importante.
Questa stagione è cominciata con premesse migliori dal versante unitario,ma ha riscontrato più difficoltà con le controparti.
Nonostante ciò, anche passando per momenti di mobilitazione (come lo sciopero del settore del legno arredo), in tutti i settori abbiamo comunque concluso tutti i CCNL in tempi accettabili e con risultati coerenti alle piattaforme garantendo tenuta del modello e delle regole... da ultimo quello artigiani Legno-Lapidei che, a differenza di quanto affermato da alcuni commentatori, non aumenta ma riduce l’utilizzo dei tempi determinati rispetto alla precedente regolazione contrattuale; …o meglio quasi tutti.... Manca all'appello il ccnl edilizia ANCE/COOP... una inedita collaborazione ... alla quale auguriamo successo...ma non a nostre spese!!!!!
Al netto di questo ultimo contratto, possiamo affermare che anche questa stagione contrattuale si sta concludendo con una importante tenuta del sistema contrattuale. Ma appunto di tenuta si parla.
Ci siamo difesi bene ma non abbiamo guadagnato posizioni e ciò è vero ovviamente soprattutto per la parte salariale.
Le nostre posizioni vanno ora rafforzate e difese ma non fortificate. Nella storia alzare torri teoricamente inespugnabili e, ancor meno, sventolare le proprie bandiere, non è mai bastato per vincere ne' una battaglia, ne' tantomeno la guerra senza avere anche una adeguata strategia di attacco.
In questa guerra noi siamo al fronte...anzi...siamo già dietro le linee nemiche. Dobbiamo esplorare nuove strade. Spetta a noi perché nella storia della contrattazione sempre a noi è spettato essere diversi perché diverso è il mondo che rappresentiamo.
Dobbiamo rivendicare questo ruolo, dobbiamo essere orgogliosi della nostra storia contrattuale, ma ancor più dobbiamo tramutare storia, competenze, orgoglio in capacità di innovare.
Se le difficoltà che abbiamo incontrato in questi anni tormentati sono frutto della divisione e frammentazione del lavoro, allora l'obiettivo di tale azione innovatrice non può che essere quello di riunificare il lavoro e la sua rappresentanza trasformando il cambiamento del modello di sviluppo e i suoi riflessi sul lavoro in opportunità. Il CCNL resta per noi lo strumento primario per la difesa delle retribuzioni e dei diritti fondamentali.
L'obiettivo che ci poniamo è la riduzione del numero dei contratti. Non sarà semplice poiché anche le associazioni datoriali attraversano una grave crisi di rappresentanza che le induce sempre più a frammentarsi.
Per quel che ci riguarda l'obiettivo della Fillea è giungere a due CCNL: uno unico per l’edilizia e un altro per gli impianti fissi che raggruppi legno, cemento, lapidei e laterizi.
In edilizia, la presenze in cantiere di contratti diversi, metalmeccanici, di global service etc., impone una riflessione sul perimetro di quel contratto.
Si potrebbe sostenere l'applicazione del CCNL edile a tutte le funzioni/lavorazioni effettuate in cantiere, ma ciò non sarebbe realistico così come non lo sarebbe un unico CCNL dell'industria. La soluzione allora è dare centralità al cantiere quale ambiente di lavoro complesso, a partire da tutte le problematiche legate alla formazione e alla salute e sicurezza.
Le donne, così come i migranti, debbono essere sempre più al centro della nostra azione contrattuale proprio perché la crisi ha scaricato le sue contraddizione su loro più che sugli altri. Così come rappresentare i giovani, più soggetti di altri a subire la precarietà, deve essere la prima forma di inclusione che realizziamo. A questo fine, lo sviluppo e l'efficacia della contrattazione di secondo livello sono decisivi per raggiungere l'obiettivo di recuperare leve efficaci per il governo degli orari, della organizzazione del lavoro, delle sue condizioni effettive e della sua stessa retribuzione.
Per farlo abbiamo una sola strada. Riportare la contrattazione in cantiere nel contesto di una riforma della contrattazione territoriale che resta perno irrinunciabile del nostro sistema in edilizia,mentre negli altri settori il problema è come coprire con una più estesa contrattazione territoriale ciò che non copriamo con quella aziendale.
In edilizia abbiamo la necessità di un processo di ridefinizione degli ambiti territoriali di riferimento della contrattazione territoriale per adeguarli alle mutate condizioni del mercato e del settore. Tali processi richiedono infatti da subito percorsi di progressiva armonizzazione delle prestazioni e delle strumentazioni contrattuali in ambito regionale che accompagnino e anticipino il necessario progetto di riorganizzazione del sistema bilaterale guardando, pur con le necessarie flessibilità, al livello regionale come a quello che oggi maggiormente si presta ad un governo effettivo del lavoro e del mercato.
Proprio per queste ragioni la riforma del sistema bilaterale è parte così importante sia del confronto in atto con ANCE/COOP, sia di qualsiasi strategia di riforma contrattuale.
Qualsiasi riforma deve partire da questi principi: tenere legati la contrattazione e la bilateralità definendo i livelli ottimali di attestazione territoriale degli enti in ambiti più ampi degli attuali, almeno interprovinciali, e guardando, da subito nelle situazioni meno complesse, all'ambito regionale; riunificare gli enti nazionali, fare altrettanto in ogni territorio almeno fra scuole e CTP; puntare ad un unico sistema bilaterale nazionale con tutte le controparti; garantire standard qualitativi e procedure omogenee; garantire eticità e trasparenza nella gestione con una rigorosa applicazione del protocollo unitario sottoscritto nel marzo 2012.
Se si affronta così la riforma ha un senso.
Se, invece, si pensa che la riforma debba avere come obiettivo principale, o peggio unico, quello di ridurre i costi per le imprese magari per tirare fuori da lì le risorse per rinnovare il contratto, si faranno solo danni e non si produrranno risparmi effettivi.
Il nodo per il quale non si è ancora rinnovato il contratto ANCE/COOP è proprio questo; sulla bilateralità come sugli altri argomenti, hanno accarezzato l'idea che il CCNL fosse utile a realizzare una restituzione di salario diretto ed indiretto dai lavoratori alle imprese inseguendo sul loro terreno le imprese irregolari.
Come abbiamo dimostrato con lo sciopero del 13 dicembre non abbiamo intenzione di accettare questa logica ne' ora, ne' domani!!!
Siamo consapevoli delle difficoltà vere delle imprese serie e strutturate; siamo convinti che quelle imprese vadano sostenute nel loro processo di crescita e posizionamento nei mercati nazionali e internazionali come abbiamo fatto con tutte le aggregazioni realizzate, da Salini Impregilo, al gruppo Itinera, a Coopsette-Unieco.
Non è aggiungendo altre forme di precarietà del lavoro che le imprese potranno crescere ma potranno farlo solo puntando su lavoro stabile e di qualità.
Le richieste della nostra piattaforma sono in linea con la fase al punto che ci hanno consentito di chiudere positivamente il CCNL edilizia artigiani e tutti gli altri CCNL dei materiali.
Il punto è proprio questo, se si rinuncia o no a quell'idea sbagliata di avere indietro qualcosa che è dei lavoratori e non delle imprese come lo e' da sempre il diritto all'APE!!!
Ape non si tocca abbiamo detto e abbiamo una sola parola. Se si tratta di costruire soluzioni che, salvaguardando il diritto, siano capaci di dare stabilità ed equilibrio futuro al sistema siamo disponibili al confronto.
E' ora però che quel confronto si chiuda rapidamente concentrandosi sui punti chiave (riforma enti, ape, salario). Lo diciamo con chiarezza: vogliamo fare la nostra parte, vogliamo trovare soluzioni adeguate e innovative ma non è più possibile attendere e le prossime settimane dovranno portarci una risposta chiara e definitiva.
La rappresentanza
La crisi ci ha “segnati” ma non “segati”. La FILLEA resta il primo sindacato del settore in termini di rappresentanza. Non c'è contrattazione senza rappresentanza.
Il regolamento attuativo siglato con Confindustria il 10 gennaio 2014 ha finalmente posto fine ad una situazione che consentiva alle imprese di scegliersi alla carta l'interlocutore.
Su quegli accordi si è fin qui discusso molto, fino a mettere a rischio la stessa funzione di questo Congresso.
Ora quella discussione, per quanto ci riguarda è chiusa: abbiamo accettato la decisione del C.D. di avviare sul complesso di quegli accordi la consultazione certificata dei nostri iscritti, abbiamo contribuito a realizzarla con modalità democratiche e trasparenti.
Quegli accordi sono un risultato importantissimo e coerente con gli obiettivi storicamente al centro delle nostre politiche rivendicative: i contratti nazionali li fanno i sindacati che rappresentano almeno i 51% dei lavoratori; i lavoratori votano per validare quei contratti con voto a maggioranza; la certificazione della rappresentanza avviene da soggetti terzi e non solo sul dato associativo ma anche su quello elettorale; le Rsu sono generalizzate ed elette senza più quote di riserva per nessuno; le sanzioni anche per le imprese le fissano i CCNL.
Questi sono i fatti. Ipotizzare vizi di costituzionalità non solo è sbagliato, ma è folle.
Ipotizzare il rischio di una dittatura della maggioranza è negare le ragioni stesse della democrazia, così come dire che i nostri delegati Rsu hanno ragione solo quando fanno ciò che diciamo è avere una concezione a dir poco datata del rapporto fra base e vertice delle organizzazioni politiche e sociali.
Quella concezione non appartiene alla FILLEA, non appartiene alla Cgil!!!
Se un limite quegli accordi hanno è che in essi permane la centralità industrialista di un mondo che non ha invece più una sua centralità oggettiva.
Si pone il tema di come applicare quegli accordi al mondo del lavoro frammentato e diffuso, di come usarlo come strumento di riunificazione del lavoro, di come e di quali forme di democrazia esercitare nelle realtà produttive disperse e frammentate. Questa sarebbe la vera discussione da fare. Questa è intanto la discussione che vogliamo fare unitariamente e con ANCE per adattare all’edilizia quell’accordo.
La confederalità e l'organizzazione
Richiamare il merito della discussione non vuole negare la legittimità di una discussione sui temi del metodo con cui si è giunti all'accordo. In proposito appare evidente il corto circuito determinato da uno scarso coinvolgimento delle categorie nelle fasi di stretta del negoziato.
Non è in discussione ne' la legittimità, ne' ancor meno l'autorevolezza della Segreteria confederale a stipulare accordi interconfederali. Si tratta invece di prendere semplicemente atto che la complessità di questa fase esige invece in termini strutturali una maggiore capacità di direzione collegiale che coinvolga efficacemente la pluralità delle esperienze nella definizione di sintesi più avanzate.
Quelle diversità esistono e hanno tutte la stessa importanza e dignità. La capacità di fare sintesi di quelle differenze ha fatto sì che la natura confederale della Cgil sopravvivesse per oltre 100 anni.
Dovremmo davvero fermarci un attimo e riflettere non solo sul contenzioso di oggi ma anche e soprattutto su tutto ciò che in questi anni lo ha reso possibile.
Quanto accade oggi è infatti solo il frutto di una deriva che ha progressivamente spostato il pluralismo interno dall'appartenenza politica, alle aree programmatiche e oggi alle strutture; un pluralismo delle strutture, però, non è compatibile con una organizzazione confederale.
E' questo il nodo che va sciolto. La sfida che dobbiamo affrontare per uscire in avanti da questa evidente crisi della nostra dialettica interna resta quindi quella di ridefinire i tratti costitutivi di una rinnovata confederalità che sappia interpretare le trasformazioni intervenute sul lavoro, sulla struttura produttiva, sulle stesse forme della rappresentanza sociale e, conseguentemente a tutto ciò, sappia anche adeguare le regole del nostro stare insieme. A proposito della nostra democrazia interna vorrei nuovamente citare Norberto Bobbio quando diceva che :
l'unico modo d'intendersi quando si parla di democrazia, in quanto contrapposta a tutte le forme di governo autocratico, è di considerarla caratterizzata da un insieme di regole che stabiliscono chi è autorizzato a prendere le decisioni collettive e con quali procedure. (da Il futuro della democrazia).
Non possiamo che ripartire da li'.
Non possiamo aspettare oltre nel rinnovare la confederalità e con essa la nostra organizzazione rinunciando ciascuno alla difesa della propria posizione e mettendo al centro di quel progetto i luoghi di lavoro. Abbiamo una struttura basata su un modello produttivo che non risponde più alla realtà e ancora troppe federazioni di categoria, così come abbiamo una struttura delle Cdlt che non risponde più ne' agli assetti istituzionali, ne' a quelli sociali con un numero eccessivo di strutture. Abbiamo soprattutto un governo duale (CGIL Reg./ Categorie nazionali) dell'organizzazione che è inefficiente sul piano organizzativo e difficile da portare a sintesi sul piano politico. Siamo lenti quando il mondo va veloce.
Ma abbiamo ancora una straordinaria vitalità, quella data dal nostro radicamento nei territori e nei luoghi di lavoro. Dobbiamo necessariamente ripartire da li ma dobbiamo farlo in fretta.
La FILLEA non vuole fare da sola, ma non possiamo aspettare ancora. Da noi il lavoro si sposta e cambia e, ogni giorno ci pone di fronte problemi diversi che meritano risposta. Per questo abbiamo voluto avviare un nostro progetto che, ad invarianza di assetti statutari delle strutture provinciali, definisca nuove modalità di collaborazione ed integrazione fra loro. E' per questo, per guidare meglio questi processi organizzativi e di riassetto contrattuale con il conseguente riflesso sul sistema dei nostri enti bilaterali con un governo di prossimità e senza centralismi che con questo congresso ricostituiamo i nostri livelli congressuali regionali ad invarianza di costi nella distribuzione interna di risorse e di personale. A quei livelli regionali devolveremo importanti competenze del centro regolatore nazionale nella convinzione che da Roma non tutto può essere governato al meglio.
Queste sono le nostre sfide organizzative per l'immediato futuro.