Sindacato Nuovo, Aprile 2021. L'editoriale di Alessandro Genovesi, segretario generale Fillea Cgil: uscire dalla pandemia il prima possibile, gettando le basi per un nuovo modello di sviluppo più giusto in termini sociali e ambientali, con al centro più occupazione, più di qualità, più sicura.
Nell’ultimo editoriale di SN indicammo come, di fronte alle grandi sfide della pandemia e del cambio di politica economica a livello europeo (Recovery Plan), il sindacato avrebbe dovuto giocare la partita delle “grandi riforme di struttura” e il Governo avrebbe dovuto cogliere tale protagonismo come occasione per ampliare la partecipazione intorno alle proprie scelte e per “alzare l’asticella”.
Obiettivo: uscire dalla pandemia il prima possibile, gettando le basi per un nuovo modello di sviluppo più giusto in termini sociali e ambientali, con al centro “più occupazione, più di qualità, più sicura”. La Fillea Cgil, nel suo piccolo, stava lavorando con questa prospettiva politica.
Alla fine il Governo Conte è caduto proprio per non aver fatto ciò, permettendo ad un piccolo partito (e al suo spregiudicato leader) di far esplodere le contraddizioni di un esperimento politico che, soprattutto nella prima fase di gestione dell’emergenza, ha non solo fatto meglio di altri, ma anche provato a stabilizzare uno schieramento politico alternativo alla destra sovranista e razzista.
Alla fine è nato (difficile non dirsi d’accordo con il Presidente Mattarella) il governo dei “migliori”. Un governo presieduto dalla più autorevole figura che in campo internazionale si poteva esprimere ma al contempo composto da rappresentanti politici di forze assai eterogenee che rischiano di consegnarci un governo a strati (la metafora di un Governo come una torta è del compagno Bersani), con un nucleo duro (gli uomini e le donne di Draghi) e con una contrattazione (interna e sotto traccia) tra partiti politici, oggi, ancor più in crisi di legittimità.
Un Governo con cui, piaccia o meno, dovremmo fare i conti, con intelligenza e competenza.
Da dove ripartire allora? Innanzitutto dalla conferma di fondo di quelli che ritenevamo gli assi strategici elaborati in questo ultimo anno: una ricostruzione del Paese, già in crisi prima della Pandemia -che ha solo accelerato processi e disvelato ingiustizie - può avvenire solo se si assume il lavoro, la sua libertà, la sua dignità, la sua qualità come bussola.
Provando ad essere in sintonia con i grandi cambiamenti geo politici intervenuti (si veda l’articolo di Felice), con il cambio di passo dell’Europa (che va consolidato e ampliato, superando definitivamente dopo il 2022 il Fiscal Compact) e degli altri partener continentali (vedi articolo di Rocchi), ma soprattutto con il Paese.
Consapevoli che siamo alla vigilia di una grande ristrutturazione dei nostri sistemi produttivi (e quindi sociali) e che la sfida tecnologica, ambientale, demografica la potremmo “piegare” a nostro vantaggio solo se il Piano Nazionale per la Ripresa e Resilienza - accanto alle necessarie riforme abilitanti (a partire da quella della Pubblica Amministrazione) - coinciderà con una nuova stagione di democrazia economica e di partecipazione dei lavoratori e dei cittadini.
Insomma il punto non è solo creare più occupazione (a partire da quella giovanile e femminile, si veda l’articolo di Camusso), ma se essa sarà il prodotto anche di un cambio di paradigma che dall’idea di quale città, quale produzione, quale consumo, quale rapporto uomo-natura generi “dosi di libertà”. Libertà dai bisogni, libertà dai condizionamenti e quindi anche più democrazia economica (da qui l’importanza di rilanciare una legge sulla rappresentanza e una legge sulla partecipazione dei lavoratori in azienda e di farne una questione strategica, tanto quanto la riduzione dell’orario di lavoro).
Dentro questa strategia si colloca, in continuità, l’azione della Fillea Cgil e della Federazione dei Lavoratori delle Costruzioni. Penso agli accordi dell’11 Dicembre e del 22 Gennaio con il Governo, che riteniamo strategici perché finalizzati ad una riduzione degli orari di fatto, alla creazione di occupazione stabile e di qualità, al servizio di un’accelerazione delle opere (grandi e piccole) che servono al Paese e che riguardano tanto le infrastrutture commissariate ai sensi della legge 120/2020 che gli interventi finanziati dal PNRR (missione 3 e chiediamo unitariamente di estendere le intese a tutte le missioni).
Penso all’accordo tra CNCE e Ispettorato Nazionale (di fronte ad ingenti risorse va alzata l’asticella della legalità, vedi anche l’intervista a Busia), alle Nuove Linee Guida per i protocolli di legalità (vedi articolo di Gorla) o al nuovo protocollo per l’Area del Cratere, la battaglia per estendere il super bonus 110% alle barriere architettoniche (vinta) e renderlo fruibile alle fasce più deboli. O ancora a tutta la vertenza su “qualità dell’abitare” e sulla rigenerazione (con il lavoro che Nuove Ri-Generazioni sta facendo con Fillea, Spi, Camere del Lavoro, Auser, ecc.; vedi Sateriale) con particolare attenzione al tema del Mezzogiorno e delle aree più degradate (si vedano i contributi di TES e di Zanchini).
Il tutto continuando le nostre battaglie contro il lavoro nero e gli infortuni sul lavoro (appena il settore da segni di ripresa, aumentano lavoro nero e morti in cantiere e nelle fabbriche, si vedano gli appelli al Presidente Draghi e al Ministro Orlando su congruità, patente a punti, omicidio sul lavoro).
La piattaforma presentata unitariamente il 9 Marzo scorso per il rinnovo dei CCNL dell’edilizia (un milione di addetti) è un po’ la sintesi della nostra visione, di come qualificando il lavoro si qualifica l’impresa (si veda l’articolo di Di Franco). E rappresenta una sfida vera alle stesse Associazioni datoriali, alla loro idea di quale modello di impresa. Con una centralità nuova da riconoscere alla salute e alla formazione (Scuole Edili ma anche formazione professionale e ITS; vedi articoli di Moretti e di Soverini), al green building, al corretto inquadramento professionale, in “sintonia” con il cambio di ciclo produttivo che è cambio di modello (dal costruire al rigenerare e che riguarda l’intera filiera delle costruzioni, dai materiali al cantiere).
La stessa battaglia per difendere il Codice degli Appalti, per migliorarlo a partire da qualificazione delle stazioni appaltanti, assunzione di tecnici, semplificazione degli iter autorizzativi, rafforzando e non riducendo le tutele e la qualità (si veda il documento della CGIL del 17 Gennaio scorso) non è tema diverso da una nuova politica industriale per un nuovo modello sociale. Politica industriale basata su più sostenibilità ed innovazione (si vedano gli articoli di Schiavella e Fazi), ma politica industriale intesa anche come uso mirato e premiante della domanda pubblica e quindi degli stessi appalti.
Il sentiero si fa quindi più stretto, ma la sfida è di quelle che segneranno il nostro Paese per molti anni a venire. La sfida che si presenta è la nostra sfida: essere protagonisti o rischiare la marginalità. Mai come oggi è valida l’antica raccomandazione cara ai militanti di sinistra (e di quel glorioso partito che nel 2021 avrebbe compiuto 100 anni, il PCI): essere fino in fondo agenti “di lotta e di governo”, pronti ad innovare e cambiare, ma senza smarrire (noi che come CGIL i 100 anni li abbiamo festeggiati) le nostre ragioni di fondo. Essere un sindacato confederale, sempre teso all’unità dei lavoratori, assumendo gli interessi generali del Paese come i nostri. Ce lo hanno ricordato anche di recente i nostri padri nobili. Da ultimo il compagno Macaluso a cui dedichiamo, alla fine di questo numero, un piccolo, affettuoso ricordo.