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Concluso a Bari il Congresso nazionale Cgil. In bocca al lupo al nuovo segretario generale Maurizio Landini, eletto con oltre il 92% dei voti dall'assemblea generale. L'intervento di Alessandro Genovesi                

Maurizio Landini è stato eletto segretario generale della Cgil dall'assemblea del primo sindacato italiano che si è riunita al termine dei lavori del XVIII congresso nazionale. Landini ha ottenuto 267 voti a favore, pari al 92,7% dei votanti. I no sono stati 18, 4 gli astenuti e una scheda bianca. 

L'articolo di Rassegna Sindacale >

La nuova segreteria Cgil nazionale >

Il discorso programmatico di Maurizio Landini >

Colla: fatta la cosa giusta per l'unità della Cgil >

l'intervento di Alessandro Genovesi >

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Congresso sul sito Cgil >

IL TESTO DELL'INTERVENTO DI GENOVESI

Care compagne e compagni, come sottolineato dalla relazione, oggi più che mai dobbiamo fare i conti con imponenti flussi migratori, cambiamenti tecnologici, nuovi bisogni che accompagnano l’esplodere di pulsioni sempre più egoiste, identitarie e nazionaliste.

Aumentano le disuguaglianze, la paura e la solitudine, vi è un blocco dell’ascensore sociale, cresce il razzismo, si acuiscono fratture territoriali di cui l’autonomia differenziata è solo un aspetto.

E’ in crisi la democrazia come sistema complesso che prova a ridurre le disuguaglianze attraverso la partecipazione collettiva e consapevole alle scelte fondamentali.

Mai come oggi siamo alle prese con una perdita di egemonia del mondo del lavoro organizzato e della sinistra, dei suoi valori, in uno scontro politico dove lo svuotamento della funzione del pubblico è avvenuto contemporaneamente dall’esterno (globalizzazione) e dall’interno (terza via, privatizzazioni, ecc.).

Ciò che è accaduto nei nostri settori, in questi anni di cambiamenti e crisi, è emblematico di questa “polarizzazione” che divide anche all’interno degli stessi lavoratori, in fabbrica o in cantiere, tra centri e periferie.

I risultati del 4 Marzo sono parte di un processo più di fondo e la critica feroce ed indistinta alle c.d. “classi dirigenti”, alle istituzioni, alla separazione dei poteri non può nascondere il fatto che, pur rappresentando un terreno sbagliato e pericoloso quello proposto dal Governo Giallo-Verde, esso intercetta il malessere, le ansie di molti lavoratori, pensionati, disoccupati.

Per questo non possiamo cavarcela teorizzando una sorta di “indipendenza” o neutralità da quanto avvenuto: dobbiamo accettare le sfide del cambiamento, metterci in discussione, essere lievito – sempre nella nostra autonomia – per la ricostruzione di un campo politico progressista. Diversamente rischieremo di chiuderci in “fortini” che, alla lunga, non reggeranno, che già non stanno reggendo.

Le contraddizioni emerse in questi anni nel Paese, infatti, sono anche le nostre contraddizioni. Non basta giustamente elencare ciò che abbiamo fatto di fronte alla memoria corta di un Paese, ma capire perché, a grandi e generosi sforzi politici e di mobilitazione, non sono corrisposti risultati apprezzabili o comunque percepiti come tali.

Questa è la vera domanda per chi come noi deve continuare ad essere un soggetto politico: autonomo per definizione da tutti i partiti - perché partiamo sempre dai bisogni di chi rappresentiamo e ci confrontiamo con tutti senza pregiudizi - ma, al contempo, consapevoli che i rapporti di forza si costruiscono sia dentro che fuori dai posti di lavoro.

E se “frammentazione, chiusura, pauperismo” sono i termini della sfida democratica, una grande forza come la Cgil deve oggi contrapporsi a queste derive, proponendosi come un baluardo. E lo deve fare insieme alla Cisl e alla Uil. Lo deve fare con una strategie di alleanze larga. Alleanze tra produttori, alleanze tra professionalità, alleanze tra centro e periferia.

Pronti a discutere fino in fondo con la nostra gente.

La Manifestazione del 9 febbraio ha anche questo valore: quello di un protagonismo del MONDO DEL LAVORO CHE UNISCE, su rivendicazioni chiare per una ripresa economica equilibrata, quando altri vogliono dividere, quando altri rimuovo il tema dello sviluppo e della crescita dall’agenda.

Dobbiamo esercitare una più ampia e articolata capacità di rappresentanza, riportando milioni di lavoratori dal terreno della paura al terreno della solidarietà, dall’agnosticismo alla partecipazione ai processi di cambiamento.

Questo vuol dire continuare a contrastare ogni forma di lavoro nero, di precarizzazione del lavoro, di dumping contrattuale, questo vuol dire introdurre nel nostro ordinamento l’aggravante del REATO DI OMICIDIO SUL LAVORO, contro le troppe morti che ancora funestano il Paese ma, al contempo, vuol dire porsi il tema di come il nostro apparato produttivo si collochi nella parte alta della nuova divisione internazionale del lavoro, raccogliendo la sfida sia delle grandi opere come della rigenerazione urbana, della mobilità sostenibile delle merci come della produzione energetica, leggendo come un’occasione le nuove tecnologie e le nuove tendenze demografiche e culturali. Questa l’intuizione vera del Piano del Lavoro della Cgil.

E’ fondamentale praticare fino in fondo quanto elaborato dalla Conferenza di Programma della Cgil. La Cgil deve impegnarsi al massimo per la creazione di un ambiente favorevole all’innovazione, aperto, inclusivo, con particolare attenzione alla Questione Meridionale come Questione Nazionale.

Dentro questa battaglia va letta la grande mobilitazione unitaria dei lavoratori delle costruzioni per una più generale strategia di rilancio del settore.

BATTAGLIA CHE CI PORTERA’, COMPAGNE E COMPAGNI, IL PROSSIMO 15 MARZO A ROMA, ALLO SCIOPERO GENERALE UNITARIO DI TUTTI I SETTORI DELLA NOSTRA FEDERAZIONE: EDILIZIA, LEGNO, CEMENTO, LATERIZI, LAPIDI, CAVE.

Noi vogliamo tanto un Piano straordinario contro il dissesto idro geologico come le grandi infrastrutture (dalla Torino Lione al Terzo Valico, dalla Napoli Bari alla 106, dalla Siracusa Gela alla Sassari Olbia) non per gli edili, non solo per salvare aziende strategiche (Astadi, Condotte, CMC, GLF, Tecnis, e altre) ma per il Paese, perché siamo convinti che la competitività del sistema non si aumenta riducendo diritti e salario ma aggredendo quei costi logistici ed energetici che, insieme alla criminalità, sono i veri ostacoli alla creazione di lavoro, buono e di qualità. Difendere il programma Pluriennale Connettere l’Italia vuol dire questo!

Sul terreno vertenziale e contrattuale, dobbiamo dare vita ad una strategia rivendicativa a livello diffuso: riconoscere e contrattare la crescita qualitativa dei processi e prodotti, nuovi orari, uno sviluppo professionale delle mansioni più orizzontale. Noi continuiamo a rivendicare un CCNL strumento di politica industriale.

Crediamo alla funzione di Autorità Salariale del CCNL, dei “soldi freschi” come “frusta” per citare Sylos Labini.

Crediamo nella certezza dei perimetri contrattuali contro ogni forma di concorrenza sleale, in un mercato dove domina la frammentazione.

Ribadiamo che la parte del documento “Il Lavoro è” che assume la nostra proposta sui perimetri contrattuali e sul principio della “condizione di migliore favore per i lavoratori”, di “Stesso Lavoro, Stesso Contratto deve diventare pratica coerente per tutti, sia tra noi che a partire dall’attuazione dell’Accordo Interconfederale del 2018.

E quindi rafforzare la capacità di contrattare l’innovazione sui posti di lavoro. SI BADI BENE: non la quantità di innovazione o di potenza di calcolo, ma la sua democraticità.

Il punto strategico è la declinazione di un modello democratico e partecipativo per governare la tecnologia, dando una nuova missione al bilateralismo e alla contrattazione.

DOBBIAMO INFINE INVESTIRE DI PIU’ sul metodo di lavoro collegiale tanto nella vita interna che nella contrattazione, facendo della diversità, della ricerca costante di soluzioni il modo più sano per vivere e far progredire la Cgil.

Dico ciò anche rispetto al prossimo gruppo dirigente della Cgil, dove ogni compagno e compagno è una risorsa perché portatori di idee che arricchiscono la sintesi.

Il punto non è chi sarà il Segretario Generale ma se sappiamo oggi e domani vivere le differenze di opinioni come normale dialettica e non come sclerotizzazione burocratica organizzativa o come mera risposta leaderistica anche alla nostra crisi di consensi.

Su questo non ho cambiato idea e mi batterò sempre per evitare che la CGIL diventi una caserma o peggio un puzzle di corporazioni, di correnti o o di “nuovi gigli magici” al plurale. Perché tra noi, care compagne e cari compagni, non vi possono essere nemici o avversari. Ma compagne e compagni portatori di culture e pratiche sindacali diverse, che ci arricchiscono e ci permettono, attraverso la democrazia delegata e la sintesi tra gruppi dirigenti, di essere una grande organizzazione di massa e non una piattaforma su internet. La confederalità è proprio questo: una cultura politica e non un luogo fisico.

Anche per questo il pluralismo è qualcosa che va oltre la distinzione tra “riformisti e radicali”, se hanno ancora un senso queste etichette, guardando anche ai recenti contratti o alle pratiche sindacali sui territori.

E’ pluralismo tenere conto che fare i sindacalisti al Nord non è come farlo al Sud. E’ pluralismo la differenza tra lavoro pubblico e privato, tra generi, tra generazioni diverse. E’ pluralismo quello dei migranti, è pluralismo avere a che fare con le grandi fabbriche o con il lavoro diffuso. E’ pluralismo aver diretto una camera del lavoro o avere solo esperienze verticali di categoria.

Dobbiamo evitare facili scorciatoie e dobbiamo tutti investire su un una dimensione più collettiva non tanto per l’oggi, per gli equilibri tra dirigenti, ma per il domani. Perché la complessità della fase, di questo ha bisogno.

E mai come oggi il Paese ha bisogno di una Cgil unita per difendere la democrazia ed i lavoratori.

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