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03.07.13 Produrre a basso costo ma senza trucchi? Non so se sia possibile ma so per certo non è questa la scommessa di Pasquale Natuzzi, come invece Dario Di Vico oggi  tenta di spiegarci dalle pagine del Corriere della Sera, scomodando addirittura Adriano Olivetti per un paragone a mio parere incauto ed improponibile.
Prima questione. Confermo il nostro giudizio sulla decisione dell’azienda di mettere in mobilità 1726 lavoratori: è vergognoso ed inaccettabile. La Cig Straordinaria viene autorizzata dal Ministero sulla base di un piano di ristrutturazione. Natuzzi due anni fa ha presentato il suo piano, che prevedeva una nuova linea di prodotto, da prodursi a Ginosa e Santeramo. La Cigs fu autorizzata ma quel piano di ristrutturazione che fine ha fatto? La nuova linea è prodotta in Romania, e Ginosa va alla chiusura! 
Quindi, in questa situazione anziché avventurarsi in paragoni sempre difficili quanto spesso impropri perché invece non analizzare la profonda diversità del contesto socio economico di oggi rispetto a quello nel quale crebbe l’impresa di Olivetti?
Allora, c’era un paese che cresceva, spinto non solo dalla fase economica favorevole e da un mercato più domestico che globale, ma anche da robuste politiche industriali e dalla strutturazione di un quadro normativo di diritti e tutele che dava qualità al lavoro e alle produzioni.
Ecco, oggi è proprio questo che manca, sostituito invece da una costante spinta alla de regolazione del lavoro e dei mercati, nonché da una altrettanto pericolosa rincorsa alla riduzione dei costi.
Cosi, in questi anni si è fortemente indebolito il quadro delle regole a presidio della qualità del lavoro e della trasparenza dei mercati, fattori questi che, insieme all’indebolimento dei controlli, hanno prodotto la crescita esponenziale del lavoro nero ed irregolare.
Mentre le imprese ed il Soloni teorizzatori della “efficacia della mano invisibile dei mercati” sostenevano queste tendenze, la Cgil e La Fillea non hanno mai perso occasione per denunciare, a Roma come a Bari, il lavoro nero e la penetrazione criminale nel’economia e, soprattutto, hanno agito di conseguenza, con denunce ed iniziative legislative per contrastare questi fenomeni, per citarne una fra tutte la campagna e la legge contro le nuove forme di caporalato.
Allora, di quale complicità del sindacato parla Di Vico? Ognuno di noi è giusto si interroghi su ciò che di più e meglio si sarebbe potuto fare ma prima di guardare la pagliuzza negli occhi altrui sarebbe meglio per tutti controllare la trave nei propri. Purtroppo, la cosa preoccupante in tutta questa vicenda è data dal fatto che essa non si discosta da questa impostazione prevalente in questi anni. Infatti, come è pensabile affrontare quello che pomposamente viene definito un piano industriale ed invece è un brutale piano di dismissione, con la pretesa di intervenire sul costo – minuto del lavoro portandolo da 90 a 50 centesimi?
In proposito, si pongono almeno due questioni che vanno analizzate. La prima: chi ha contabilizzato quei costi e come lo ha fatto? Quando alcuni mesi fa Pasquale Natuzzi ipotizzo di riportare in Italia alcune produzioni, a condizioni che si abbassasse il costo del lavoro (anche se allora, solo pochi mesi fa, a detta dell’azienda il costo – minuto era di 86 centesimi…mistero dei numeri!) non ha ricevuto una chiusura secca da parte del sindacato ma una semplice condizione preventiva all’apertura di ogni confronto: si chiarisse come si erano fatti quei conti e quali fattori erano stati computati..una risposta che non abbiamo mai avuto e che ancora attendiamo.
La seconda: qual è la dimensione esatta della sua filiera di fornitori, quali contratti li legano all’impresa committente, quale certificazione della regolarità del lavoro che lì viene impiegata? Un’altra risposta che ancora non è mai arrivata.
Oggi, quindi, ci consentirete almeno qualche dubbio circa la praticabilità della creazione di cooperative per la sub fornitura? E’ ovvio, infatti, che con quegli obiettivi di costo il sospetto che con questa operazione la Natuzzi voglia costruirsi la sua rete di “cinesi” con i suoi ex lavoratori e per di più attingendo ai denari pubblici dell’accordo di programma, è quanto mai fondata.
Se così fosse,questa ipotesi non potrà che vederci contrari. In ogni caso, sia chiara una questione: non si discute con una pistola fumante sul tavolo. Si ritirino le procedure di mobilità avviate e si avvii un confronto vero su un piano industriale degno di questo nome.
Non siamo certo un sindacato radicale, siamo gli stessi che non hanno avuto paura in un momento di grandi divisioni di mantenere saldi i rapporti unitari e di costruire per contrastare la crisi una alleanza con il sistema delle imprese che ha portato agli stati generali delle costruzioni e a manifestare in piazza con loro. Noi siamo sempre gli stessi. Siamo un sindacato che discute e che ricerca le soluzioni ed in rapporto ad esse gradua gli strumenti di lotta. Nessuna sconfitta di una ala dura che non esiste, ma un movimento di lavoratori  unito che sa scegliere cosa fare con un unico esclusivo interesse, difendere il lavoro e i lavoratori.
 
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