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06.03.14 Si è concluso il 1 marzo 2014 il Congresso territoriale della Fillea Viterbo. Di seguito la relazione del segretario uscente Massimo Guerrini, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Care delegate, Cari delegati, Gentili ospiti, Oggi celebriamo il nostro XVIII congresso e mai avremmo immaginato quattro anni fa (nel precedente congresso), quando riflettevamo sulle enormi difficoltà che il mondo del lavoro stava attraversando, già allora allarmati dalle condizioni di criticità e impoverimento sociale del nostro paese, che dopo un lungo periodo saremmo stati ancora inchiodati da una morsa ancora più stringente e complicata. Chi avrebbe immaginato che i prossimi quattro anni non sarebbero bastati ad invertire le sorti di un paese che stava arrancando e già scontava i limiti delle nefaste politiche neo liberiste, e gli errori e i personalismi che un berlusconismo ormai al tramonto stava interpretando. Il peggio invece è accaduto e siamo scivolati ancora più indietro, infilandoci in una recessione senza uguali, in una crisi che non ha pari riferimenti dal dopoguerra ad oggi; una crisi chiamata perfetta, accostata dagli osservatori a quella del lontano 1929. In questi anni trascorsi abbiamo cercato di ostacolare il processo di impoverimento che stava coinvolgendo la nostra gente, i nostri iscritti. Sono stati anni di continua mobilitazione, spesso fatta in solitudine, anni in cui la Fillea e la Cgil tutta hanno organizzato decine di manifestazioni, presidi, sit-in, iniziative di ogni genere e chiamando le lavoratrici e i lavoratori più volte all’uso dello sciopero per contrastare più tenacemente i provvedimenti del governo, in particolare quello tecnico, ostico ad un dialogo vero con le parti sociali, che emanava (promulgava) provvedimenti estremamente punitivi e insostenibili. Abbiamo ricercato in questi anni con ossessione forme concertative e di confronto per spiegare le nostre proposte e le ragioni dei lavoratori e degli esclusi dai cicli produttivi e dalle coperture sociali, tentando di impedire o contenere i licenziamenti e testimoniare il malessere di chi non ce la fa e di chi ricorre all’estremo sacrificio, pagando con la vita per disperazione, e raramente abbiamo ricevuto la giusta attenzione. Abbiamo chiesto di partecipare insieme alle altre forze sindacali e datoriali alla elaborazione di provvedimenti che potessero stimolare una ripresa, di interagire con gli esecutivi per condividere una responsabilità che sarebbe stata essenziale in questo momento, ma senza successo. I governi che hanno incrociato le asperità di questa crisi non sono stati quasi mai all’altezza e le manovre economiche redatte in nome dell’Europa hanno prodotto più recessione. La crisi che ci ha investito sta producendo effetti mai riscontrati nella società, generando paura ed incertezza, povertà e malessere. Scorrendo i numeri si registrano tutte le condizioni di criticità di un paese profondamente ferito e in ginocchio: circa 15 mln di italiani sono in disagio economico, mentre 8,6 mln persone si trovano in “grave” disagio economico, pari al 14,3% della popolazione; un dato più che raddoppiato rispetto al 2010 che era del 6%. Il potere di acquisto delle famiglie italiane è diminuito del 4,8%, circa 4 mila euro in meno per nucleo, una caduta di intensità eccezionale che ha provocato una contrazione della spesa e dei beni e servizi acquistati. La disoccupazione è al 12,4%, dato peggiore dagli anni ’70, mentre la disoccupazione giovanile sfiora il 40%, intesa una fascia di età fino ai 40 anni; 2,3 mln di ragazzi fino ai 30 anni non studiano, non lavorano, non imparano un mestiere, sono totalmente inattivi e non per scelta ma per condizione, il dato più alto in Europa. Si è allungata la durata della disoccupazione; le persone che cercano lavoro da almeno 12 mesi sono circa il 53%, contro una media europea del 44,4%. La durata media della ricerca del lavoro è salita a 24 mesi ed arriva a 35 per chi cerca la prima occupazione; un paese che non riesce a dare una prospettiva ai propri figli è destinato a non farcela. E’ aumentata la pressione fiscale a fronte di un impoverimento delle famiglie che sfiora il 45%, tra la più alta nel continente. Gli eventi che stiamo vivendo è evidente che non rappresentano una fase transitoria o implicazioni di un semplice passaggio congiunturale, ma la conseguenza di una crisi di sistema; un sistema socio-economico che sembra aver esaurito la sua spinta propulsiva e che non riesce più a generare quegli stimoli virtuosi essenziali nel misurarsi con una economia globale; il sistema che aveva garantito un benessere accettabile, (un equilibrio sociale) pur con tutti i suoi difetti, le contraddizioni e le pratiche a volte schizzofreniche, sta saltando. Il pesante contraccolpo finanziario del 2008 con il fallimento della Lehman Brothers per la crisi dei subprime che ha condizionato pesantemente il sistema occidentale ormai è storia, e la successiva e conseguente crisi profonda dell’economia reale si è rivelata molto di più di un evento facilmente superabile da interventi di carattere ordinario, mirati e tempestivi; affermare che lo avevamo detto, preannunciato, non ci è di conforto. A rimetterci sono le categorie più deboli e il ceto medio, l’ossatura della nostra società. L’impoverimento produce una pericolosa dinamica che amplia la forbice delle disuguaglianze tra le persone e minaccia la stabilità sociale. La globalizzazione è ormai un processo inarrestabile e le interdipendenze economiche, sociali, culturali, politiche, tecnologiche e gli effetti che genera, positivi e negativi, hanno una rilevanza planetaria con cui siamo obbligati a confrontarci; allo stesso tempo le distanze tra gli stati si sono accorciate agevolando gli scambi e nuovi paesi industrializzati stanno crescendo, paesi come la Cina, l’India, il Brasile ed altri ancora. Paesi il cui prodotto interno lordo cresce insieme ad una crescente esportazione. La competizione con l’Occidente e l’Europa è molto forte, e solamente tenendo alta la qualità dei prodotti e delle merci e lavorando per recuperare le nostre professionalità, le competenze, i capitali che scappano, si avranno quote di mercato che permetteranno standard di crescita. Credo che questo sia un aspetto su cui misurarsi, ma non il solo; occorrerebbe subordinare i rapporti economici e commerciali alla verifica del rispetto dei diritti civili e della tutela del lavoro. Questo sarà possibile se diventerà un obiettivo comune europeo. L’Italia oggi soffre più di altri paesi. Abbiamo un elevato debito pubblico che pesa enormemente, una economia che non cresce, ma soprattutto scontiamo un’altra forte crisi, quella della politica e delle Istituzioni. Il soggetto deputato a produrre interventi legislativi importanti, volti a liberare risorse ed a sollecitare e stimolare una ripresa produttiva, è in evidente affanno. Si riscontra una spirale di sfiducia dei lavoratori, dei cittadini, dei soggetti produttivi; la sfiducia e la depressione sociale stanno generando una frattura, una crisi della rappresentanza che rischia di lacerare i rapporti irrimediabilmente tra i cittadini e le Istituzioni, e ciò provocherebbe conseguenze ancora peggiori, mettendo a dura prova i processi democratici. La politica deve riacquistare la propria funzione attraverso una profonda rivisitazione, un rinnovamento del proprio modus operandi del mandato di rappresentanza ricevuto dai cittadini; ma allo stesso tempo è necessario riformare urgentemente il sistema elettivo che da una parte ridia ai cittadini una concreta possibilità di scelta dei propri rappresentanti, dall’altra riformuli regole chiare che producano governabilità e quindi maggioranze certe e alternative che stabilmente assumano decisioni di governo. E’necessario inoltre semplificare il sistema istituzionale per arrivare a procedure legislative meno macchinose e allo stesso tempo portando quei risparmi economici sui costi della(macchina) politica. Così si potrà invertire il sentimento di sfiducia che colpisce oggi il nostro sistema. Ho la sensazione che una parte della classe dirigente del paese ha ben chiari questi aspetti e si sta sforzando di affrontarli e risolverli; c’è invece chi ne parla ma nei fatti coltiva ed antepone l’interesse particolare a quello collettivo. Così come c’è chi propone un movimentismo caotico, infruttuoso; la bandiera della diversità, della novità, non può essere sventolata prediligendo un ostruzionismo ad oltranza o un attacco sistematico al cuore delle istituzioni, che vanno riformate ma non abbattute. La pratica del “tanto peggio tanto meglio” non si adatta alle esigenze del paese e dei cittadini, quello di cui abbiamo bisogno sono interventi concreti che ci conducano fuori dalla palude. Tre governi in due anni sono tanti per un paese che ha bisogno di stabilità e di scelte coerenti e impegnative; è per questo che guardiamo con interesse al governo appena nato, ma come è nostra abitudine ci misureremo nel merito dei provvedimenti che proporrà, con l’auspicio di trovarci dei benefici per chi è maggiormente in difficoltà, per la nostra gente. Le scelte vanno fatte prima che gli effetti diventino strutturali, prima che la cassa integrazione diventi disoccupazione, prima che la fermata delle fabbriche e la chiusura dei cantieri diventi irreversibile, e in parte è già avvenuto. Mi auguro che quella stagione di riforme, partendo da quella del lavoro, abbiano inizio e fine rapidamente e soprattutto che percorrano la strada dell’equità e della giustizia sociale, salvaguardando i diritti acquisiti. La Cgil come è suo costume accompagna la sua azione con la proposta; il documento congressuale “IL LAVORO DECIDE IL FUTURO” rappresenta una traccia concreta, una scelta per indicare cosa saremo e cosa faremo nei prossimi anni attraverso azioni precise; è il documento sostenuto dagli iscritti nelle assemblee svolte dalla Fillea di Viterbo, che ha come prima firmataria la nostra Segretaria Generale della Cgil Susanna Camusso ed a cui ha aderito il Segretario Generale della Fillea Walter Schiavella. L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro, hanno scritto i padri costituenti oltre mezzo secolo fa nel primo articolo della costituzione. Vogliamo ribadire con forza che il lavoro decide il futuro delle persone e di un intero paese, e sottolineando ancora che sta alla base della vita dell’individuo, che ne permette la possibilità di vivere, di avere una dignità, un diritto di cittadinanza, costruisce l’insieme delle esigenze di donne e uomini di una comunità. Per questo è stato elaborato il “PIANO PER IL LAVORO” che vuole contribuire ad arrivare ad una piena occupazione. Undici punti che, sinteticamente, partono da una azione da sviluppare in Europa dove innanzitutto necessita una politica volta a mutualizzare il debito e soprattutto rinegozi il patto di stabilità e liberi risorse già disponibili nelle casse degli enti locali e delle regioni; una politica che armonizzi i sistemi fiscali, gli standard di lavoro e i diritti sociali. L’Europa ha bisogno di politiche industriali e infrastrutturali comuni. Occorre rivedere le politiche fiscali fin qui praticate, perché non c’è equità; necessita l’introduzione di una tassa sulle grandi ricchezze e patrimoni superiori agli 800 mila euro, perchè chi ha molto è giusto che contribuisca di più. Accentuare fermamente la lotta all’evasione e all’elusione fiscale, perché non pagare le tasse è illegale oltre che profondamente ingiusto, è sciacallaggio civico e sociale. Alzare la tassazione sulle rendite finanziarie ai livelli degli altri paesi europei. Riformare l’Irpef prevedendo l’aumento delle detrazioni fiscali e degli assegni familiari per i dipendenti e i pensionati. Investire di più nella formazione e la ricerca, e praticare politiche per l’istruzione che privilegino la scuola pubblica rispetto a quella privata e rendere il diritto allo studio nel suo percorso obbligatorio, gratuito. Rilanciare gli investimenti pubblici e privati che produrrebbero un beneficio immediato per tutto il settore delle costruzioni, e quindi investire sul territorio attraverso il riassetto idrogeologico, la bonifica delle aree industriali dismesse, mettere in sicurezza il patrimonio paesaggistico e archeologico, come la messa in sicurezza dal rischio sismico del patrimonio edilizio. E ancora, attuare un piano infrastrutturale mirato a beneficio di aree urbane e dei territori impoveriti, riqualificare e recuperare, attraverso una politica urbanistica specifica, periferie e centri storici. Le banche tornino ad essere strumenti di supporto all’economia reale, ricominciando a erogare credito alle imprese e ai cittadini a tassi di interesse in linea con i paesi europei. Necessaria è anche una riforma del sistema degli ammortizzatori sociali, rendendolo universale, uguale per tutti, un welfare inclusivo e fare politiche mirate per gestire le crisi aziendali in maniera diversa, prevedendo piani di ricollocazione e riqualificazione. Cancellare la riforma Fornero, profondamente ingiusta, iniqua, che ha bloccato il turn over a favore dell’occupazione giovanile e obbligando le lavoratrici e i lavoratori ad una eccessiva permanenza nei cicli produttivi e nei cantieri fino ad una età eccessivamente avanzata e senza distinguere le tipologie di lavoro. Infine la contrattazione quale strumento da riaffermare e utilizzare meglio; i due livelli rimangono a mio avviso essenziali ed insostituibili se si vuole fermamente rappresentare le variegate istanze e tipologie produttive. Opportuno sarebbe razionalizzare la miriade di contratti esistenti ragionando sulle filiere dei vari settori, i tempi sono maturi. L’accordo sulla rappresentanza siglato da Cgil, Cisl, Uil aiuta a sviluppare i temi della contrattazione con maggiore serenità perché il coinvolgimento dei lavoratori diventa un momento fondamentale, un passaggio obbligato; l’accordo attuativo ci consegna delle regole precise e indispensabili per governare i passaggi della contrattazione e arginare forme di litigiosità e di atteggiamenti arbitrari. Il settore delle costruzioni resta uno dei settori più colpiti dalla crisi, se non il maggiore. Facendo un excursus dei dati su scala nazionale i numeri sono impressionanti. Prendendo a riferimento il quinquennio 2008- 2013, diversi studi lo confermano, abbiamo riscontrato una riduzione della produzione di un quarto rispetto a quella di partenza che tradotto, hanno significato circa 600.000 posti di lavoro persi, oltre undicimila le aziende fallite, mentre il saldo totale delle attive è di circa meno sessantamila (- 60 mila), e le prospettive per l’anno in corso non sembrano cambiare. Aumentano invece le partite IVA di circa il 25%, lavoratori costretti ad iscriversi come artigiani se vogliono continuare a lavorare con la propria impresa, quasi 400 mila addetti stimati che lavorano in nero o grigio, a fronte di un aumento considerevole della evasione ed elusione in edilizia. Per invertire questi numeri in un settore considerato centrale e strategico occorre una specifica attenzione del governo del paese, delle regioni e degli enti locali più significativi affinchè, come già detto, si intervenga celermente liberando risorse e spendendo subito quelle già disponibili, programmando interventi per il recupero, la messa in sicurezza, la valorizzazione del patrimonio edilizio pubblico, ma anche abitativo privato. Puntare sulle rinnovabili, sull’edilizia sostenibile, sulla bioedilizia che possano rappresentare, come la Fillea sta dicendo da anni, uno sviluppo innovativo più compatibile ed ecosostenibile con il territorio; sarebbe un’occasione da sfruttare, da non perdere; anche qui il sistema dovrà dimostrare tutta la sua capacità ad intercettare le risorse della programmazione dei fondi europei 2014-2020. Ma aiutare concretamente il settore significa allo stesso tempo mettere delle regole certe ed efficaci; regole che selezionino le imprese sane e favoriscano la leale concorrenza; norme che aumentino la trasparenza e la regolarità del mercato per contrastare efficacemente le infiltrazioni criminali nel settore e di cui anche il nostro territorio non è immune. In questo momento le difficili condizioni socio-economiche rendono più vulnerabili tutti i soggetti della filiera di un comparto già strutturalmente ad alto rischio. E’ quanto mai necessario arrivare all’obbligo di adozione del DURC per congruità anche ai lavori privati, dando attuazione agli accordi e alle intese già da tempo sottoscritti dalle parti sociali. Mi sento di sottolineare, in proposito, due aspetti che vanno riconosciuti al governo Letta e vanno nella giusta direzione: uno riguarda l’introduzione di alcune modifiche interessanti in tema di semplificazioni che prevedono iter procedurali che vanno incontro al cittadino, alle imprese, alla pubblica amministrazione che interessano anche l’edilizia; l’altro segnale importante, sempre nel decreto del fare, è dato da quanto introdotto dall’art. 32 comma 7 bis, norma già operativa, dell’obbligo di (sottrazione) scorporo del costo del lavoro in caso di appalti con aggiudicazione al massimo ribasso, così come era previsto per i costi della sicurezza (D. lgs 81/08). Con questa nuova norma si impedisce che il ribasso incida quasi esclusivamente sul costo del lavoro; se correttamente applicata dalla miriade delle stazioni appaltanti può oggettivamente contribuire a migliorare le condizioni del lavoro. La nuova disciplina prevede che il costo del lavoro sia valutato come puro e incomprimibile, non soggetto al mercato e dunque analogo ai costi della sicurezza dedotti in fase progettuale; le spese per il personale sono quindi da intendersi non negoziabili e sono tutelate. E’ senz’altro una novità importante che tende ad evitare una concorrenza sleale tra le imprese ed impedisce di scaricarne in parte i costi sui lavoratori. Il momento molto particolare non ha impedito di siglare gli accordi nazionali in scadenza che riguardano Edilizia artigiani e media impresa, Lapidei, Legno, Manufatti e Cemento; un segno di reale maturità. Il contratto è l’anima delle relazioni, e senza anima è complicato avere relazioni. La contrattazione deve rappresentare la parte più alta e nobile del confronto, dove si utilizzano gli strumenti assegnati alle parti sociali per trovare soluzioni che aiutino anche ad affrontare le difficoltà comuni. E’ stato questo lo spirito che ha guidato la chiusura dei contratti nazionali che ho citato, pur nella criticità del momento; l’adeguamento delle retribuzioni per coprire la perdita del potere di acquisto dei salari causato dall’inflazione reale degli ultimi tre anni e quella prevista per i prossimi due è senz’altro un punto qualificante, ma non il solo. Per l’edilizia, in quelli siglati, le parti si impegnano ad una rivisitazione dell’ E.V.R. (Elemento Variabile della Retribuzione), elemento agganciato alla produttività, alla qualità, alla competitività del settore, ad una attenta e ricognitiva incidenza del premio A.P.E. (Anzianità Professionale Edile) da valutare nei prossimi mesi, salvaguardandone il riconoscimento e si riconferma l’impianto della bilateralità e il suo insostituibile ruolo. Sinceramente ci riesce difficile oggi comprendere l’atteggiamento di alcune associazioni datoriali, mi riferisco ad Ance e Coop, rispetto il mancato accordo che ancora persiste sul rinnovo del contratto nazionale scaduto, dell’edilizia industria. Abolire di fatto il premio A.P.E., volontà emersa nel confronto alzando i parametri che ne regolano il diritto, vuol dire risparmiare sui costi del sistema paritetico unilateralmente, cancellando oltre venti anni di contrattazione e di emancipazione del settore, tanto per fare un esempio. La bilateralità è (rappresenta) uno strumento eccezionale, una felice intuizione che ha permesso al settore di elevarsi; oggi possiamo pensare a nuove forme di rinnovamento per affrontare i problemi, ma interagendo costruttivamente per aggiornare i servizi mutualistici e contrattuali che gli enti paritetici possono offrire, magari con scelte coraggiose che operino ad una razionalizzazione dei costi considerati poco idonei, ma senza tagli incomprensibili unilaterali. La richiesta che abbiamo fatto insieme alle associazioni datoriali del taglio al cuneo fiscale, facilitazioni sull’accesso al credito, una ulteriore semplificazione delle norme che governano il settore, come già detto, rappresentano un’aspettativa comune e di convergenza intelligente simile allo spirito che ha alimentato gli stati generali delle costruzioni; ci auguriamo che la ripresa del confronto prevista per i prossimi giorni tra Ance, Coop e Fillea, Filca e Feneal sia fruttuosa. Anche a Viterbo, la nostra realtà, non è diverso. Abbiamo bisogno di fatti affinchè i numeri possano cambiare. Tutti gli indicatori in Edilizia sono estremamente negativi a partire dagli addetti che dal 2008 sono calati di 2.600 unità e le imprese attive registrano meno 500, dati cassa edile – edilcassa, mentre la massa salari è quasi dimezzata e si rilevano sofferenze per il versamento. Stesse difficoltà nei settori manifatturieri, estrattivi e del legno; realtà produttive importanti chiudono, penso al Cementificio di Montalto di Castro (impianto Italcementi), penso alla Fornace di Orte (C.L.N.) ed altre sono a rischio. Quasi 500 posti di lavoro già persi anche in questi settori. Nella quasi totalità delle aziende che seguiamo è aperta la cassa integrazione ordinaria e straordinaria o si è in contratto di solidarietà. Nei prossimi mesi si rischiano nuove dismissioni di mano d’opera se non interverranno strumenti in deroga urgenti, che stiamo insistentemente sollecitando insieme alla Cgil, e tamponino una situazione delicatissima. Quindi gli effetti della crisi dell’intero sistema produttivo italiano, ma anche laziale, si sommano alle diffuse criticità che il nostro territorio vive da sempre, nonostante le potenzialità oggettive che potrebbe sviluppare; paghiamo un prezzo per non aver avuto la capacità di elaborare una proposta, un progetto di sviluppo dell’area viterbese che tra la politica, le istituzioni, la classe imprenditoriale, facendo squadra, corpo unico, condividesse un’idea comune di sviluppo e la perseguisse anche con il supporto delle parti sociali. Questo limite non ha permesso uno sviluppo qualitativo e quantitativo che avrebbe aiutato, a misurarsi in modo diverso con questa crisi. Le difficoltà di oggi magari serviranno a dare quello stimolo, quella sintesi di squadra che rinsaldi le energie del territorio e produca quei risultati finora attesi, noi daremo il nostro contributo. Penso che uno degli aspetti su cui fare fronte comune sia quello delle infrastrutture. Il nostro piano del lavoro, come già detto, passa attraverso la realizzazione di quelle opere che servono al territorio ad uscire dal proprio isolamento infrastrutturale. Occorre continuare ad impegnarsi seriamente per la realizzazione e il miglioramento delle infrastrutture necessarie a rendere i collegamenti adeguati e funzionali per avvicinare il territorio alle province ed alle regioni limitrofe, perché le infrastrutture stesse rappresentano da sempre un importante canale attraverso il quale si generano virtuosi movimenti turistici e di interesse economico, necessari al benessere della provincia e al settore delle costruzioni. Ciò può avvenire almeno con il completamento della trasversale Orte - Civitavecchia, con la realizzazione della litoranea tirrenica, ma anche con il potenziamento della cassia; necessità non secondaria riguarda un miglioramento e la riattivazione della linea ferroviaria Civitavecchia – Viterbo - Orte. La regione, la nuova giunta ha preso degli impegni; il Presidente è venuto più volte sul territorio ed ha tranquillizzato i cittadini sulla realizzazione in tempi rapidi dei “Progetti Plus” l’insieme dei quali ammontano a circa 10 mln e 800 mila euro e previsti per il capoluogo. Diciamo che è un buon inizio. Avverto una discontinuità ed un impegno maggiore della nuova maggioranza rispetto alla disastrosa esperienza della giunta Polverini. Ma ci aspettiamo sicuramente di più; il completamento della Orte – Civitavecchia rappresenta l’obbiettivo più ambito, dopo l’assegnazione dei lavori per il tratto che arriverà a Monteromano. Un progetto da 110 milioni di euro, complessivi di progettazione, che la Polverini aveva tentato di stralciare e spendere in altro modo, e che abbiamo difeso con i denti insieme alle altre organizzazioni. Oggi ci aspettiamo che la regione trovi rapidamente le risorse per completare l’opera (arrivare a Civitavecchia), e apprezziamo vivamente l’impegno preso dal governo Letta e dai parlamentari della Tuscia a lavorare anch’essi per questo obbiettivo, impegno che ci auguriamo riproponga il nuovo governo. Per la litoranea i lavori sono iniziati, procedono lentamente ma procedono; in queste settimane abbiamo incontrato più volte la società incaricata del progetto SAT Lavori, per chiedere il rispetto del protocollo firmato in Provincia con le parti sociali e gli enti locali, in particolare sull’impiego, nelle lavorazioni, di manodopera del luogo fino a questo momento scarsamente utilizzata. Contemporaneamente occorre subito, come detto, un piano per il territorio o un piano città che riguardi almeno il capoluogo, che preveda sostanzialmente poche cose ma imprescindibili: manutenzione straordinaria della viabilità insieme al recupero ed alla riqualificazione dell’edilizia esistente sia dei centri storici, sia delle zone residenziali, che curi gli aspetti della messa in sicurezza, energetici e architettonici degli edifici, penso all’edilizia scolastica o delle aree di proprietà pubblica ma anche privati. Nel contesto il filone di riferimento su cui scommettere è quello della green economy e quindi della bioedilizia. L’altro aspetto su cui concentrarsi è senz’altro quello dell’housing sociale; percorrendo le diverse opzioni praticabili si affronterebbe il disagio abitativo da una parte e anch’esso contribuirebbe a rivitalizzare la sofferenza del settore. Voglio poter credere che il proficuo rapporto instaurato tra comune di Viterbo e regione Lazio dia dei risultati a breve. Il rischio che la crisi trascini il settore in forme di illegalità più o meno accentuate esiste, ed ancora una volta la bilateralità assume un ruolo centrale di contrasto e di controllo; ma allo stesso tempo la drastica riduzione degli addetti, delle ore lavorate e del crollo di fatturato che ha interessato molte aziende stanno mettendo a dura prova il sistema. Anche a Viterbo abbiamo messo in atto una spending review, un risparmio, mirato ad alleggerire i costi di gestione della bilateralità e portato a compimento quanto previsto nell’integrativo provinciale e cioè, l’unificazione degli enti di prevenzione e formazione Esev e CTP che già operano in simbiosi, e che verrà formalizzata nel secondo semestre dell’anno in corso. La formazione rimane sempre uno dei pilastri, un aspetto chiave alla quale occorre riservare sempre particolare attenzione e rinnovata energia. Ulteriori accorgimenti saranno probabilmente necessari per salvaguardare il sistema che dovrà ragionare sviluppando una sinergia tra Province per erogare i servizi, ma ciò che va mantenuta inalterata è la sua “filosofia”. In questo periodo, tra le altre cose, la cassa edile sta perseguendo anche un percorso relazionale per migliorare i rapporti con le pubbliche amministrazioni, si è iniziato con il comune di Viterbo, per fare in modo che la richiesta del documento di regolarità contributiva venga effettuata in tempi celeri e nei modi opportuni per non creare danni alle imprese regolari e per meglio controllare quelle insolventi. Abbiamo portato a compimento, anch’essa prevista nell’ultimo integrativo, la costituzione degli RLST (Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza Territoriali) che sono operativi dal primo Gennaio 2012. Stanno dando un grosso contributo per affermare condizioni di prevenzione e controllo nel rispetto delle norme sulla sicurezza nei cantieri di tutto il territorio provinciale. E’ stato un obbiettivo fortemente voluto dal sindacato che va a coadiuvare il lavoro degli enti ispettivi preposti, spesso operativamente e strutturalmente insufficiente. Segno evidente che l’unità sindacale resta uno strumento efficace nonostante le variegate sensibilità manifeste; un valore che rafforza i lavoratori e facilita gli obbiettivi da perseguire. La complessità del settore e la sue dinamiche passano anche attraverso una crescente multi etnicità dei suoi addetti; oggi in edilizia circa il 40 % dei lavoratori sono stranieri; è un fenomeno in evoluzione nei confronti del quale dobbiamo essere preparati per intercettare e comprendere le esigenze ed i bisogni più diversi che questi lavoratori hanno nella quotidianità. Persone che hanno una propria storia e una propria cultura e sono portatori di un benessere che non sempre viene compreso e spesso pagano un maggiore sfruttamento. La Cgil, la Fillea saranno sempre più un sindacato multietnico e sempre in prima linea per arginare forme di intolleranza e arbitraria emarginazione. Mi avvio a concludere. Oggi le sfide che ha di fronte il sindacato sono estremamente impegnative; oltre la crisi eccezionale occorre affrontare un mondo che è in radicale trasformazione. Il mondo del lavoro sta cambiando rapidamente, in parte lo è già. Un sindacato che vuole restare all’altezza delle sfide e degli impegni che si presentano davanti deve necessariamente cambiare anch’esso il modo di stare sulla frontiera dei luoghi di lavoro, potenziando le sue articolazioni territoriali, investendo maggiori risorse da finalizzare alla sindacalizzazione e per sviluppare le professionalità che devono gestire i rapporti quotidiani con i lavoratori, penso ai Delegati, alle R.S.U., agli R.S.L., costruire maggiori momenti di scambio e di ascolto per le variegate tipologie di lavoratrici e lavoratori. E’ necessario reimpostare i servizi di cui oggi i cittadini necessitano, e oltre al proficuo lavoro che il Patronato Inca offre insieme al Caaf, a Viterbo lo abbiamo iniziato a fare, comprendono altre forme di sostegno e di assistenza gratuita, penso alla Federconsumatori, alle consulenze per le problematiche condominiali e relative alla casa, allo sportello per i migranti, alle consulenze legali. Particolare attenzione occorre destinarla ai giovani; l’obbiettivo deve essere senz’altro quello di allargare la base di rappresentanza investendo sui giovani e per i giovani, nei confronti dei quali il sindacato con fatica riesce ad essere punto di riferimento credibile, specialmente quando vi è una diffusa precarietà, contratti senza regole e fatica ad entrare nei cicli produttivi. Dobbiamo essere bravi a dimostrare che l’azione del sindacato è insostituibile e riesce ad incidere nella complessità del mondo del lavoro. Il rapporto di rinnovata dialettica, di rispetto dei ruoli e il continuo confronto con la Cgil di Viterbo e con la Fillea regionale e nazionale ci fa guardare con ottimismo al futuro e ci permette di rispondere meglio ai problemi della categoria. Chiudo con un ringraziamento particolare e convinto al gruppo dirigente della Fillea Cgil di Viterbo, al Comitato Direttivo che mi ha accompagnato nei momenti più critici e mi ha sempre fatto sentire il suo sostegno dando prova di grande maturità, responsabilità e partecipazione alle innumerevoli iniziative e manifestazioni che la Cgil e la Fillea hanno organizzato. Grazie anche ai delegati, agli iscritti che in questi anni difficili sono stati vicini alla Fillea con passione e riconoscenza a questa grande Federazione. Il sindacato, ancora oggi, deve essere pronto a far fronte, al di la delle nuove problematiche in tema di lavoro, agli obbiettivi di sempre che sono, la difesa dei diritti, la solidarietà sociale, la pace e la democrazia.

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