Agenda FilleaFlickr FilleaTube twitter 34x34 facebook 34x34 newsletter mail 34x34 busta paga 40x40Calcola
la tua busta paga

domani ci sara logo 1200

25.02.14 Si è concluso il 25 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Pavia. Di seguito la relazione del segretario uscente Luigi Marozzi, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Gentili ospiti, cari compagne e compagni, oggi ci apprestiamo a svolgere il XVII ° congresso della CGIL e il VI° della FILLEA CGIL di Pavia. In un’organizzazione democratica e di massa, il congresso rappresenta uno dei momenti più alti della vita dell’organizzazione stessa, durante il quale si tirano le somme dei 4 anni passati , si definiscono le future strategie politico-sindacali e quale gruppo dirigente deve avere il compito di portarle avanti. Quindi; momento di “ bilancio “ delle azioni e delle iniziative intraprese nel recente passato …… e di “ rilancio “ dell’ attività sindacale . Se nel 2010 consideravamo straordinaria l’allora fase congressuale, per la crisi che cominciava a far vedere i suoi aspetti negativi; ora ci apprestiamo a svolgere il nostro congresso in un momento di estrema difficoltà nel pieno della crisi più grave e profonda che il paese attraversa dal dopoguerra ad oggi e che rappresenta un processo di carattere strutturale e globale. Una situazione che nasce dal primato del sistema finanziario e monetario e dall’affermarsi di scelte politiche che hanno reso possibile la circolazione dei capitali senza alcun vincolo , controllo o regole. La concentrazione del potere e della ricchezza in mano a pochi e una progressiva subalternità e perdita della sovranità della politica, hanno alimentato la falsa idea che questa crisi ha origine dalla spesa sociale, favorendo, di conseguenza, la centralità degli aspetti finanziari ed economici a danno del lavoro, della giustizia sociale e della democrazia. Gli effetti di tali scelte sono: • il drammatico aumento della disoccupazione ( soprattutto giovanile); • l’estensione della precarietà del mondo del lavoro; • un drastico abbassamento del potere d’acquisto con conseguente crescita della povertà per larghe fasce di popolazione fino al punto, mai riscontrato in una società industriale, che si può essere poveri anche lavorando. La storia della Repubblica Italiana ( “ fondata sul lavoro” come cita l’articolo 1 della costituzione ) basata su una forte capacità produttiva e coesione sociale si è quasi completamente ribaltata, travolta dal sovra-potere della finanza, dalla progressiva scomparsa di una grossa fetta di interi settori industriali e produttivi e da una subalternità e incapacità della politica di affrontare i veri temi che le competono. Il governo centrale, in particolare nelle ultime legislature, ha preferito puntare a leggi; che accentuavano la precarietà della forza lavoro favorendo la deframmentazione delle aziende e l’indebolimento delle tutele dei lavoratori e che nel contempo sanavano evasione fiscale e contributiva promuovendo condoni per chi evadeva le regole. Se dovessimo fare un resoconto dell’attività svolta dagli ultimi governi, troveremmo, a fronte di enunciazioni politiche di riforme istituzionali vitali per la sorte del Paese, sempre le stesse modalità e gli stessi interventi: • ennesimo intervento sulla riforma pensionistica ( 5 negli ultimi 15 anni …..una media impressionante ) • ennesimo intervento sulla deregolamentazione del mercato del lavoro • ennesima dichiarazione mai suffragata dai fatti di abbassamento delle tasse e dei carichi fiscali sulle attività produttive • continua perdita di capacità “ etico-morali “ delle istituzioni e dei Governi per l’aumento di interessi personali a scapito della collettività, nonostante le reiterate affermazioni di abbassamento dei costi della politica. E se dovessimo accendere la televisione in questo momento ci accorgeremmo che non è cambiato nulla; “ stesse dichiarazioni , stesse squallide scene di una politica ormai allo sbando e al degrado completo “. E’ sconvolgente, ma la massima capacità della politica italiana sembra quella di discutere come cambiare il meccanismo elettorale; come se per risolvere i problemi che attanagliano il Paese, basta cambiare il sistema matematico di calcolo delle elezioni. L’ennesimo strattagemma politico italiano di caricare di importanza le cose inutili per non affrontare i veri problemi. Le responsabilità della politica sono quelle che abbiamo di fronte agli occhi, quelle di non aver saputo o voluto capire che le criticità create dalla drammatica situazione finanziaria e produttiva hanno impoverito il tessuto portante del paese rompendo i legami di coesione sociale e hanno favorito le divisioni, determinando una forte disuguaglianza nella distribuzione del reddito , creando una vera frattura nel corpo sociale e acuendo i divari fra le generazioni. I governi che si sono succeduti hanno scelto di reagire alla crisi non contrastandola con politiche per la crescita e l’occupazione, ma riducendo complessivamente i diritti del lavoro, i sistemi di protezione sociale; dagli ammortizzatori, alle pensioni, alla sanità. Ma non solo, non sono nemmeno stati in grado di supportare, ai vari livelli, il mondo imprenditoriale e i lavoratori Italiani attraverso un ampio piano di reindustrializzazione. Anzi negli ultimi anni si è accentuata una crescente deindustrializzazione. Interi territori da nord a sud sono investiti da una desertificazione industriale; aziende e settori hanno chiuso o ridotto drasticamente la loro base produttiva, mentre le grandi multinazionali stanno mettendo in atto processi di delocalizzazione verso paesi a basso costo del lavoro. Sono venuti meno investimenti in infrastrutture, leggi che permettessero un potenziamento del mercato interno, agevolazione su ricerca e sviluppo tecnologico. Tutto ciò ha impoverito ulteriormente il nostro patrimonio produttivo; di conoscenza, di cultura del lavoro e di professionalità, creando le condizioni per un aspetto ancora più drammatico soprattutto se pensiamo alle nuove generazioni: “ tutto il nostro sapere, tutte le nostre conoscenze, tutto il nostro futuro“ rischia di delocalizzarsi all’estero, relegando in questo modo il paese ai margini dello scenario competitivo internazionale. Rifacciamo l’analisi del bilancio degli ultimi anni, proviamo a mettere in fila cos’è successo: Il sistema bancario: dopo aver drogato, il mercato finanziario con un’infinità di “ titoli spazzatura “ gettando enormi capitali sulla rendita, tanto da spingere il sistema imprenditoriale su interessi diversi rispetto alla sua naturale “mission”; e il mercato immobiliare attraverso un accesso al credito molto elastico; ha reagito alla crisi ribaltando completamente la sua azione; stringendo le maglie dell’accesso al credito e mandando in tilt un intero sistema. Anzi ancor di più ha agito e sta agendo solo come mero contenitore di denaro in un vero monopolio di cartello, non sviluppando il ruolo primario che gli compete, cioè quello di sostenere finanziariamente gli investimenti. Il sistema d’impresa : che ha seguito l’onda della finanza, rinunciando al ruolo innovativo e propositivo che gli compete, ha puntato negli ultimi anni al perseguimento di obiettivi che producevano solo un tipo di risparmio, “ il contenimento dei costi della manodopera” e lo sfaldamento del sistema di tutele e di garanzie nel mondo del lavoro. Nei piani di rilancio e nelle strategie di CONFINDUSTRIA, sono quasi inesistenti temi come innovazione tecnologica, contenimento energetico, formazione delle maestranze, riconversione produttiva e investimenti in tecnologia e ricerca . L’impresa italiana ha sviluppato il suo esistere solo sulla leva del salario dei lavoratori e sull’abbassamento delle tutele delle proprie maestranze, in virtù della temuta competizione con i paesi emergenti ; creando le condizioni per un mercato privo di regole che è poi ricaduto su se stesso, portando un indebitamento maggiore per i redditi da lavoro dipendente e dei pensionati, dovuto alla perdita del potere d’acquisto. Risultato : l’impoverimento delle maestranze e la mancanza assoluta di competitività. Tutto ciò che é avvenuto non é solo a causa del puro capitale, ma di certo le responsabilità sono da spalmarsi su più soggetti: perché oltre l’incapacità del tessuto imprenditoriale di determinare la propria crescita e la equa distribuzione della ricchezza, e l’indifferenza del sistema bancario c’è anche la responsabilità oggettiva dei vari governi che non hanno compreso le complicazioni e i rischi che il sistema produceva. Mi ripeto, ma le responsabilità della politica sono quelle di non aver colto le criticità subentrate, sottovalutato la portata della crisi e non aver supportato ai vari livelli il mondo imprenditoriale e i lavoratori Italiani attraverso un ampio piano di reindustrializzazione, rimanendo quasi “ fuori dal gioco “, evitando di fare scelte Invece servirebbero davvero, scelte e azioni decise e importanti E fa bene la CGIL a concentrare nel proprio dibattito congressuale una serie di “ azioni“ che devono orientare l’attività sindacale nei prossimi anni , ma che sappiano anche dar respiro ad una rinnovata capacità di sviluppo economico e produttivo nel nostro Paese. Non voglio sviscerare tutte le “ azioni “ che la CGIL ha elaborato nella stesura del documento congressuale; ma mi sembra importante evidenziarne qualcuna: La prima riguarda certamente l’EUROPA Le politiche neo-liberiste fondate sul rigore di bilancio e di austerità, se da un lato hanno creato i pareggi di bilancio degli stati membri, dall’altro hanno ampliato il divario tra nord e sud e incrementato le diseguaglianze. L’unione Europea deve invece diventare un centro fondamentale di integrazione tra i popoli e di universalità dei diritti. Vanno eliminate le normative che creano contrasto tra le nazioni e favorite quelle di coesione e solidarietà sociale ed economica. Se la libera circolazione interna delle merci è un valore aggiunto dell’integrazione Europea, va armonizzata con le normative che sanciscono l’universalità delle condizioni retributive, fiscali , del lavoro e dei lavoratori. Bisogna eliminare quelle forme di “damping sociale” , economico e produttivo creato da legislazioni governative tendenti a favorire processi di sviluppo “ campanilistico “ a scapito dell’integrazione Europea; così come bisogna potenziare la cultura delle specificità delle capacità produttive di un territorio e della loro peculiarità. Una battuta per spiegarmi….. il “ Made in Italy “ va prodotto in Italia…..non all’estero con imprese Italiane. Un'altra “azione “ degna di nota per un paese industrializzato come il nostro e sulla quale bisogna ci sia una forte coesione di interessi generali è la “ politica Fiscale” Creare le condizioni per una vera riforma fiscale e lotta all’evasione è un principio fondamentale di una vera democrazia. • Introdurre un’imposta sulle grandi ricchezze, che agisca sui patrimoni finanziari e immobiliari • Adeguare la tassazione delle rendite finanziarie al livello degli altri paesi europei • Riformare veramente la normativa IRPEF con un intervento strutturale che riduca le aliquote sui livelli medio-bassi e le alzi per quelli alti in modo da elevare la progressività sono punti fondamentali di una vera scelta di politica fiscale che abbia la funzione di far pagare chi più ha. Ci sono poi un insieme di “azioni” come : l’ istruzione, il lavoro, gli ammortizzatori sociali, le pensioni……. che attengono all’attività prettamente lavorativa e che ritengo vadano discusse in modo intrecciato perché costituiscono la vita sociale e produttiva di un intero Paese. Valorizzare l’istruzione , la formazione, la ricerca , significa dare futuro alle nuove generazioni, ma anche all’economia di un Paese. Abbiamo bisogno di aumentare il rapporto tra ricerca e PIL, che è molto inferiore a quello degli altri paesi Europei, per fermare la fuoriuscita di cervelli ed evitare ai nostri giovani di dover espatriare per trovare lavoro. Occorre quindi una vera riforma del sistema scolastico che elimini la fase di disinvestimento e destrutturazione alimentata dai precedenti governi, che hanno teso a favorire lo sviluppo di un’idea di commercializzazione dell’istruzione, relegando la ricerca a momento marginale e hanno incrementato la cultura del “ Grande Fratello“ come fonte di conoscenza e sviluppo economico. Il bene della conoscenza deve essere un diritto fondamentale aperto a tutti, perché è il valore aggiunto di una vera democrazia. Nel campo del “lavoro” abbiamo la necessità di ridefinire una politica di sviluppo industriale che inverta la tendenza in atto; siamo un paese di trasformazione, non abbiamo interscambio di materie prime, quindi ricerca e innovazione devono costituire il motore di questo processo di cambiamento. Sono venuti meno investimenti in infrastrutture, leggi che permettessero un potenziamento del mercato interno, agevolazione su ricerca e sviluppo tecnologico, sinergie comuni, capacità di recuperare attraverso un sistema ecosostenibile di fonti energetiche i costi della produzione. Si è inoltre verificata una assenza quasi totale di sviluppo di piani del territorio in modo armonioso e collettivo. Il territorio potrebbe invece rappresentare una vera risorsa nello sviluppo economico, la sua messa in sicurezza non è un costo aggiuntivo, ma un abbattimento dei costi delle emergenze. Un indagine accurata fatta qualche settimana fa ci ha spiegato che si spende molto di più a risanare i guasti dell’incuria del territorio , che impostando una seria e programmata manutenzione . Inoltre vanno programmati e attuati investimenti infrastrutturali attraverso un piano strategico che sappia collocare al centro la capacità di dare servizi a investimenti industriali anche stranieri, con le banche che devono agire a supporto dell’economia reale tornando ad erogare credito alle imprese e alle famiglie. La fase attuale va affrontata aprendo un grande ciclo di investimenti in tecnologia e innovazione sia di prodotto che di processo, dando sostegno ai settori manifatturieri ad alta intensità occupazionale e alto valore aggiunto, per migliorare le capacità di export e frenare i processi di delocalizzazione. Mentre nello specifico del politiche attive del lavoro va affrontato il tema degli ammortizzatori sociali, e va affrontato, innanzitutto : • superando la condizione largamente diffusa della precarietà del lavoro, contrastando le forme di “damping” sociale e contrattuale create da tutte quelle assunzione che aiutate dalla legislatura rasentano l’illegalità e il caporalato • attivando un forte investimento sulla formazione e riqualificazione continua della forza lavoro, potenziando i servizi al lavoro e finalizzarli a veri percorsi di inserimento • promuovendo una vera riforma degli ammortizzatori sociali, che preveda l’allargamento a tutte le tipologie di impiego, estendendo la contribuzione a tutte le imprese e a tutti i lavoratori in un sistema universalmente solidale In quest’ottica va anche rivista la divisione di competenze tra il Ministero del Lavoro e le Regioni, attribuendo alle ultime non solo la gestione delle politiche attive, ma anche quella di erogatore/controllore, nell’ambito delle proprie competenze e confini, degli ammortizzatori sociali. Va inoltre stabilito una serie di criteri fondamentali per l’accesso agli ammortizzatori sociali e definito in modo inequivocabile la titolarità dell’onere burocratico che deve comunque essere a carico dell’impresa , prevedendo un forte sistema di compensazioni con le amministrazioni dello stato, evitando così di scaricare sul lavoratore, oltre la perdita di salario, anche le lungaggini burocratiche create da imprese e istituti. Diverse e più complicate sono le “azioni” relative al capitolo delle “pensioni” , perché gli ultimi governi e le ultime manovre hanno prodotto un sistema previdenziale tra i più rigidi ed iniqui d’Europa. Hanno creato un approccio assicurativo senza tener conto della eventuale necessaria gradualità che deve essere considerata tra un sistema e l’altro. Hanno annullato ogni forma di solidarietà interna e hanno cancellato ogni legame tra dinamiche previdenziali e realtà del mercato del lavoro. Nel presente c’è il blocco di ogni possibilità di turn-over, mentre per il futuro la previsione di pensioni che saranno inadeguate, soprattutto per chi entrerà tardi nel mondo del lavoro e avrà carriere fragili , discontinue e precarietà. Bisogna superare la riforma Fornero, anzi, ritengo vada proprio cancellata per presentare un concetto di flessibilità in uscita che preveda, raggiunti i limiti minimi di anzianità contributiva o di vecchiaia la possibilità di decisione da parte del lavoratore senza penalizzazioni di sorta. L’ultima “azione” sulla quale vorrei soffermarmi fa parte dell’essenza della nostra identità sindacale: “ la contrattazione” Riaffermare il valore della funzione universale dei CCNL e rafforzare e riqualificare la contrattazione di 2° livello significa entrare nel cuore della vita e dell’azione sindacale. La discussione su queste tematiche è molto ampia , la scelta strategica sembra il graduale accorpamento e semplificazione dei CCNL, per giungere, in prospettiva ad una significativa riduzione. Il tema è sicuramente interessante, penso di prospettiva e va affrontato con una seria discussione senza pregiudizi, evitando di attribuirgli il carattere di emergenza o straordinarietà che contraddistinguono per alcuni versi l’operatività giornaliera delle forze in campo. Quindi io penso che dovrà esserci una seria fase di discussione a tutti i livelli, perché l’argomento è complicato e delicato e deve tener conto, non solo della tipologia di attività produttiva svolta in un determinato settore, ma anche delle peculiarità che la contrattazione gli ha assegnato, perché parlare di contratto nazionale e contrattazione di 2° livello significa definirne i ruoli, le competenze le possibilità di intervento in un clima di coesione e di sinergie. Se il contratto Nazionale è un punto di riferimento di universalità dei contenuti della contrattazione, il cosiddetto 2° livello deve diventare, nella specificità delle proprie funzioni, legate alla condizione effettiva di controllo del lavoro all’interno dei siti produttivi, “ integrazione verticale “ e non sostitutiva o abrogativa delle norme definite dal livello superiore. Non agire in termini di sinergia , di intreccio delle normative , di azione a cascata delle regole della contrattazione , potrebbe significare l’inutilità di più livelli e ricondurre la discussione a momenti di gabbie salariali o contratti di sito. Quando si parla di contrattazione ( a qualsiasi livello ) ci si inserisce in un argomento che negli ultimi anni è stato “ croce e delizia “ dell’attività sindacale. • C’è un problema che riguarda la titolarità della contrattazione, • c’è sicuramente un problema che riguarda la validazione degli accordi sindacali a tutti i livelli, • così come esiste il problema del riconoscimento di rappresentanza di un’organizzazione sindacale sia a livello nazionale che territoriale e aziendale Penso sia sbagliato relegare ( come sembra stia avvenendo leggendo qua e la qualche articolo di giornale ) questa importante tematica ad un dualismo personalizzato tra il Segretario Generale della confederazione e il Segretario Generale di una categoria, perché cosi facendo si limita la libera capacità di ogni iscritto della CGIL di esprimere senza condizionamenti la propria opinione. Il rischio è la deriva democratica e gli ultimi avvenimenti ( mi riferisco a quelli Milanesi ) purtroppo ci portano in quella direzione. Personalmente ritengo abbiamo assistito a uno dei momenti più brutti della vita di un’organizzazione come la nostra, che ci avvicina pericolosamente agli ultimi teatrini della politica….. e al rischio di fare la stessa fine……! Analisi del Territorio Visto che il Congresso come dicevo prima è occasione di bilancio e deve essere anche occasione di rilancio, permettetemi qualche minuto per agganciarmi al nostro territorio , fare un quadro della situazione produttiva a noi vicina per poi tentare qualche ragionamento sulle scelte che come organizzazione sindacale dovremo fare per i prossimi anni. Se volessimo fare un paragone industriale, il settore delle costruzioni sviluppa la propria attenzione su un concetto di filiera verticale molto rigida. L’Edilizia come vertice della piramide e i settori affini più o meno direttamente dipendenti e collegati. Un treno insomma con una locomotiva pressoché unica , l’Edilizia, che in questo momento sta sicuramente viaggiando a scartamento ridotto. Se dovessimo infatti fare un bilancio dell’attività produttiva nel nostro territorio, dovremmo purtroppo finire la conta con una serie di segni negativi. Il settore trainante ha visto negli ultimi anni una serie di indicatori negativi a due cifre e a velocità esponenziale. Dal 2010 ad oggi c’è stato un abbattimento del 40 % dei maggiori indicatori di settore: • Meno il 40 % delle ore lavorate in edilizia • Meno 2.000/2.500 (su 7.000) addetti registrati in Cassa Edile • Meno il 40 % in tre anni della Massa Salari denunciata senza contare le ore di Cassa Integrazione dichiarate che rappresentano a loro volta il 10/15 % circa delle ore effettivamente lavorate. Nell’ultimo biennio abbiamo dovuto affrontare la chiusura per procedure concorsuali , delle più importanti aziende dell’ ”edilizia civile “ e quasi tutte le maggiori del “ settore stradale “. Non voglio tediarvi con l’interminabile elenco dei nomi, ma se solo si nominano le principali come Abitat, Artedil, Bocca, Ivces, Edilstrade, Pacchiarotti e Pecora per chi conosce il settore e la sua capacità produttiva sa che significa quasi la paralisi. Alla base c’è sicuramente la fragilità del sistema impresa, basato su una logica molto usata nel passato, legata alla commistione con la pubblica amministrazione e la compiacenza del settore bancario, che in una fase di sviluppo sopperiva col continuo ricorso al credito, la mancanza di capitalizzazione delle aziende. Ma c’è anche l’incapacità del sistema politico di mantenere un controllo appropriato del territorio e di definire regole con criteri di qualità. Regole che dovrebbero vedere per l’assegnazione di un appalto , non il meccanismo del “ massimo ribasso “, che favorisce il proliferare di aziende edili prive di capacità strutturale che svolgono il compito di mera prestazione di manodopera e all’interno delle quali si nasconde la maggior parte del lavoro irregolare; ma una concezione oserei dire “illuministica“ per i tempi che corrono di prezzo/qualità . Regole che dovrebbero stabilire che il DURC non è un esercizio informatico di regolarizzazione; che le certificazioni ( SOA o ISO ) devono essere adottate da tutti i fornitori di prestazioni e non solo dalla stazione appaltante, cosi come il testo unico sulla sicurezza; che viene visto ( purtroppo anche dalle sezioni appaltanti della pubblica amministrazione ) come un onere burocratico. Regole che dovrebbero affermare che non può bastare un’autodichiarazione e 50 €uro per essere catalogati come impresa edile, ma devono esserci riferimenti professionali riconosciuti, dimostrazione di conoscenza delle tecniche delle costruzioni e delle norme di sicurezza. Probabilmente , non avremmo assistito alla soluzione di tutti i problemi, ma sicuramente si sarebbe ovviato a un forte concetto di damping sociale provocato dal proliferare di lavoro irregolare, false partite IVA, avvento di aziende straniere che utilizzano “regole“ si fa per dire del loro paese d’origine, infiltrazione e riciclaggio. E’ chiaro però che per riattivare un settore fermo da anni occorrono azioni importanti che solo il settore pubblico in questo momento può favorire. Del resto dovrebbe essere compito dell’amministrazione statale a tutti i livelli programmare quegli interventi necessari per rilanciare l’economia di una provincia, una regione, un intero Paese. In provincia di Pavia per esempio sono evidenti alcune carenze strutturali che se giustamente indirizzate potrebbero favorire la ricrescita produttiva e occupazionale. Parlo di almeno tre filoni di intervento pubblico che dovrebbero essere alla base dell’attività di una seria amministrazione statale. Il primo riguarda la riqualificazione del patrimonio immobiliare della pubblica amministrazione: • dagli edifici scolastici, fatiscenti perché vecchi di almeno un cinquantennio • ai palazzi pubblici dei centri storici, più o meno nelle stesse condizioni delle scuole Il secondo riguarda la viabilità generale dell’intera provincia e la cura del territorio. Va fatta manutenzione continua delle strade e vanno analizzate le necessarie varianti del traffico funzionali ad una viabilità molto più accentuata degli anni passati, inoltre, va attuato un piano di messa in sicurezza del territorio, specialmente quello collinare. Questo favorirebbe la possibilità di ampliare un settore poco sviluppato nella nostra provincia, ma che potrebbe essere un punto di forza per nuove attività, vista la composizione del territorio, quello del turismo e dell’agriturismo Sono interventi che dovrebbero essere catalogati come ordinaria amministrazione , da fare in continuazione e non definirli come emergenze particolari e poi mai affrontate. L’altro nodo importante è legato alla collocazione geografica della nostra provincia. Siamo una provincia di confine tra il centro della Lombardia e il nord-owest da una parte e il centro-Italia dall’altra; dovremmo quindi essere nelle condizioni ottimali per attrarre investimenti industriali ed altro, ma abbiamo un problema. La bellezza di un territorio spalmato tra il Po e il Ticino diventa un gap industriale impressionante….. non ci sono ponti. La dico così lasciando ad altri qualsiasi commento….. ma come può essere competitiva un’azienda se per attraversare un fiume deve percorrere 100 chilometri….?? L’altra faccia del settore delle costruzioni è rappresentata da quelli che noi chiamiamo per semplicità gli impianti fissi e come accennavo prima, se la filiera del settore delle costruzioni è generalmente verticalizzata, nel nostro territorio il collegamento è accentuato al massimo. A parte alcune aziende nel comparto del legno, rappresentato dalla produzione di semilavorati ( pannelli e compensati ) per la fabbricazione di mobili e una piccola concentrazione ( almeno dal punto di vista occupazionale) di aziende di escavazione l’80 % è caratterizzato dalla produzione di materiali per edilizia, cioè • produzione di prefabbricati in cemento • produzione di laterizio La prefabbricazione ha sicuramente scontato l’enorme richiesta di capannoni industriali sviluppatasi negli anni passati con le famose Tremonti e Tremonti Bis che se da un lato, con incentivi e defiscalizzazione delle produzioni hanno favorito la crescita di vaste aree di zone industriali e artigianali, dall’altro hanno inflazionato il mercato rendendolo non rispondente alle effettive necessità. Il risultato vero è stata l’implosione del settore. Ogni comune, senza una logica veramente industriale o di gestione del territorio ha favorito insediamenti produttivi che alla fine sono risultati non rispondenti alle richieste ( basta vedere la quantità di capannoni completamente deserti che ci sono nella nostra provincia ). Le grandi società ( R.D.B per esempio ) invece di investire in tecnologia per innovare i prodotti, produrre meglio e a costi competitivi, hanno acquistato ( a fior di soldi ) tutte le aziende presenti sul mercato per eliminare la concorrenza. Risultato…….. Tutte fallite, o quasi, perchè non più competitive e non in grado di rispondere alle diverse richieste di quel poco di mercato che è rimasto. L’unica azienda rimasta del settore è l’ Edilfibro, che produce coperture industriali e che, se pur con molte difficoltà, ha allargato la sua capacità e competitività diversificando la gamma di prodotti. Se approfondiamo invece l’analisi nel settore dei laterizi potremmo vedere uno scenario con diverse sfaccettature. Da un lato alcuni gruppi hanno usato la stessa filosofia del settore della prefabbricazione, nessun investimento ne di prodotto ne di processo, ma semplice accaparramento di aziende disponibili sul mercato per evitare la concorrenza. Il risultato è lo stesso dell’altro settore…… queste aziende sono sull’orlo del fallimento perché non più competitive. Dall’altro lato troviamo alcune aziende che hanno effettivamente investito su tecnologia e prodotto. Forse sono state poco lungimiranti, perché non hanno affrontato il tema dell’innovazione del processo produttivo, e adesso stanno scontando la fase di effettivo calo generalizzato del mercato, ma hanno sicuramente una capacità produttiva e una competitività di tutto rispetto, che ci impongono una seria riflessione e magari qualche tentativo di decisione. Il vero problema è come “sfruttare “ tutta quella capacità produttiva e con quali costi. Se continua prevalere la teoria che tutto si risolve abbassando il costo del lavoro, avere libertà di licenziare, incrementare il lavoro precario e sottopagato , non arriveremo da nessuna parte, troveremo sempre la concorrenza di qualcuno che su questa strada arriverà prima di noi e depaupereremo il patrimonio acquisito, mentre io penso che in questo settore si possa invece sviluppare un’idea di capacità industriale e imprenditoriale ragguardevole. Gli investimenti fatti sono di natura intensiva, permettono la produzione di grandi quantità di prodotto, ma hanno bisogno di essere incrementati a ciclo continuo e questo comporta una quantità di produzione di gran lunga superiore alle richieste di mercato, tanto che le aziende sono state costrette a ridurre i momenti produttivi utilizzando massicci interventi di cassa integrazione. “ Mettere il lavoro ed i lavoratori “ al centro della nostra azione sindacale, frase che noi usiamo spesso, significa, se parliamo di struttura produttiva, intrecciare alcuni elementi portanti dell’attività industriale di un impresa; come: • La capacità di produrre reddito ( naturalmente a costi competitivi ) • Il mantenimento degli organici • L’organizzazione del lavoro e dell’attività produttiva • La capacità di innovazione tecnologica Siccome non si può tornare a lavorare come negli anni passati, intrecciare questi elementi, senza svilirne nessuno rispetto gli altri, significa ipotizzare la costruzione di un “ patto industriale” basato su un rinnovato contesto sociale dell’impresa che permetta a tutti i soggetti in campo di recuperare o almeno bloccare i danni creati dalla crisi, che per le aziende significa perdita di profitto e per i lavoratori perdita di salario. Penso quindi che vadano trovate le soluzioni per rallentare il ciclo produttivo e sfruttare gli impianti in modo alternativo: ad esempio , senza dilungarmi troppo, ma ritengo che questo sia un argomento da approfondire, penso : • alla possibilità di tecnologie magari accompagnate da nuovi prodotti, che permettano il rallentamento del flusso produttivo • penso allo sfruttamento del calore utilizzato nelle fornaci come produzione di energia elettrica o alternative come il teleriscaldamento • penso cioè ad un insieme di interventi che possano essere propedeutici per mantenere attivi gli impianti producendo non solo mattoni Abbiamo la fortuna di avere un polo Universitario di primo livello, perché non costituire un vero “ patto operativo “ tra il sapere e il produrre, sfruttando magari anche gli interventi economici della Comunità Europea sempre attenta ad innovazioni specialmente nel campo energetico alternativo . Forse è utopia, ma perché non pensare che soluzioni innovative di questo tipo potrebbero essere propedeutiche, ad esempio, per riqualificare intere aree dismesse ( magari di proprietà delle stesse fornaci ) con zone residenziali a bassi costi e basso impatto energetico. Magari attraverso un vero patto di collaborazione tra le fornaci, le imprese edili della zona e le amministrazioni comunali, che potrebbe portare alla capacità di immettere sul mercato soluzioni abitative ( in proprietà o affitto ) a costi accessibili anche dalle fasce meno abbienti. Dobbiamo quindi pensare che, in questa fase, gli investimenti non possono essere solo di carattere tecnologico, ma in uno stato che si considera socialmente avanzato, devono essere socialmente compatibili e socialmente utili. E noi possiamo e dobbiamo fare la nostra parte, come la devono fare tutte le associazioni di categoria e le istituzioni. Per esempio, la cosiddetta contrattazione sociale con i comuni non deve più essere punto di discussione per i soli pensionati, ma può diventare un momento di confronto vero su capitoli importanti come regolarità, formazione, indirizzo degli investimenti e delle risorse. L’altro pezzo di contrattazione deve essere concordemente rivolta al cosiddetto “ terzo pilastro” dell’economia, cioè il sistema bancario, che non potrà sottrarsi a tempo indeterminato, ma dovrà essere promotore di una nuova politica del credito, basata sulla assistenza al sistema imprenditoriale, al corretto indirizzo delle risorse, alla capacita di mettere in circolo liquidità sufficiente a rilanciare il mercato, agendo da supporto per agevolare l’ imprenditoria sana e le famiglie italiane. Guardate, io penso si debba cominciare a ragionare su un concetto diverso da quello sempre affrontato anche nei nostri dibattiti. La crisi è finita……. questo è quello che è rimasto…… quindi con questa struttura produttiva e con queste capacità di mercato dovremo convivere per molto tempo. Abbiamo perciò la necessità di intraprendere azioni che possono favorire sviluppo e occupazione con quanto è a nostra disposizione, senza aspettare l’arrivo di una ripresa che anche i più ottimisti vedono molto lontana e sicuramente non con grandi connotati. “ tutti quelli che pensano di ritornare al mondo di prima coltivano un’illusione che non ha fondamento o, se lo avesse , porterebbe a nuove crisi e nuove contraddizioni. “

NEWSLETTER

Vuoi essere sempre informato sulle attività Fillea? Compila il modulo sottostante e riceverai periodicamente la nostra newsletter.

captcha 

facebook youtube twitter flickr
agenda busta paga mail newsletter