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11.03.14 Si è concluso il 28 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Alessandria. Di seguito la relazione del segretario uscente Massimo Cogliandro, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Care Compagne , Cari Compagni, Gentili Ospiti, vorrei rivolgere innanzitutto un saluto caloroso e fraterno da parte della segreteria provinciale uscente a tutti i delegati, al nostro segretario nazionale, agli invitati, agli ospiti che rappresentano qui le istituzioni, alle organizzazioni sindacali ed alle associazioni imprenditoriali, la cui presenza contribuirà a rafforzare il carattere “aperto” di questo nostro congresso . Penso sia un opportunità, impegnativa, ma molto importante per la nostra Organizzazione Sindacale, quella che ci sta capitando, ovvero, poter svolgere il Congresso in questo difficilissimo contesto storico/politico. In questa congiuntura, il nostro paese riscontra una forte richiesta di cambiamento, di rinnovamento, che giunge da ogni segmento sociale. A partire dalla politica -che proprio in queste ore si sta confrontando su questi temi, fino alla chiesa cattolica, che con la sua massima autorità - Papa Francesco- dimostra non solo di comprendere, ma di fornire risposte nuove, anche rovesciando convinzioni radicate. Ovvio che il Sindacato non può sottrarsi ad una riflessione seria ed attenta su questi argomenti. Proprio per queste ragioni, penso che bene abbia fatto la nostra organizzazione ad approfittare di questa occasione per andare ancora una volta in mezzo ai lavoratori, confrontandosi e riflettendo sui bisogni di chi sta nei luoghi di lavoro. E’ stato un lavoro intenso e prolungato, che ha visto la FILLEA impegnarsi in ogni ordine e grado per consentire la partecipazione all’appuntamento congressuale al più alto numero di iscritti possibile, disseminati in una vasta area di aziende e cantieri non sempre facili da raggiungere. Le assemblee svolte sono state 104, ed hanno eletto in rappresentanza dei 3402 nostri iscritti, 57 delegati, di cui 10 donne pari a circa il 18% percentuale; che, seppur non altissima -è comunque più del doppio rispetto l’ultimo congresso -, questo piccolo segnale, rispecchia la grande attenzione della nostra categoria alle politiche di genere, nonostante la connotazione del nostro mercato del lavoro sia a predominante composizione maschile. La crisi Già quattro anni fa, il 25 febbraio del 2010, durante il XIII Congresso provinciale della FILLEA (con il settore che si trovava in grave difficoltà) esprimevamo grande preoccupazione rispetto alla crisi nella quale eravamo entrati: si sapeva che sarebbe stata una crisi dura e complicata, tuttavia nessuno avrebbe potuto immaginare il disastro che si apprestava a colpire il paese ed in particolare il nostro settore. Che cosa è successo da allora ad oggi: analizziamo qualche dato Nel 2010 la disoccupazione complessiva era al 8,5%, oggi gli ultimi dati ufficiali ISTAT disponibili ( novembre 2013) ci dicono che è lievitata di oltre 1/3 al 12,7%: dato record dal 1977. Il segmento più colpito è ancora una volta quello dei giovani: sempre l’ISTAT ci dice che a novembre 2009 il tasso di disoccupazione giovanile era al 26,5% (già allora un dato drammatico ), mentre il dato ISTAT aggiornato al novembre 2013 rileva che i disoccupati nella fascia d'età tra 15 e 24 anni sono pari al 41,6% (quasi raddoppiati). Andamenti fortemente negativi registrano – da allora- tutti gli indicatori che attestano lo stato di salute dell’economia nazionale: continuo e progressivo impoverimento delle famiglie, con la ovvia conseguenza del calo dei consumi, produzione industriale rallentata, fino al nostro prodotto interno lordo, che ha registrato un trend tra i peggiori in Europa e nei paesi OCSE. Il comparto delle costruzioni Quello che sta accadendo nel nostro comparto è drammatico: siamo di fronte a una vera e propria deindustrializzazione del settore, con un calo vertiginoso degli investimenti e della produzione, scesa ai livelli più bassi degli ultimi 40 anni. Tutto ciò si è tradotto, purtroppo, in circa 500 mila persone che hanno perso il lavoro da quando è iniziata la crisi, che diventano circa 700 mila se si considera tutta la filiera del settore: Numeri impietosi che lasciano senza fiato. Tutto questo avviene nel silenzio generale perché si tratta di posti che sono andati via alla spicciolata, pochi alla volta, senza visibilità e clamore mediatico. Eppure l’emergenza sociale è fortissima, tocca le famiglie degli operai, degli impiegati e di tutti coloro che lavorano regolarmente nel settore. Cercherò di dare qualche altro dato per cercare di far comprendere un po’ meglio le dimensioni della crisi che sta colpendo il settore: La produzione di cemento negli ultimi anni è passata da 47 milioni di tonnellate del 2007 ai 21 milioni del 2013 e le previsioni AITEC dicono che anche il 2014 e 2015 saranno anni ancora negativi. I dati ANCE certificano che nel 2013 sono stati investiti complessivamente nel settore delle costruzioni, il 31,7% in meno rispetto al 2008, con un vero e proprio crollo delle nuove abitazioni, che hanno registrato un – 58,01% (il non residenziale - 41,5%, oltre agli investimenti pubblici – 48%). Che cosa accade nel nostro territorio ? Ovviamente il nostro territorio non ne è immune, ha pagato e sta pagando un prezzo altissimo a questa crisi. I recentissimi dati ufficiali certificati Cassa Edile ci dicono che nell’anno 2013 Hanno chiuso altre 162 Imprese Infatti le imprese attive nel 2013 sono state 1205 contro le 1367 dell’anno precedente Se prendiamo a riferimento il 2008 anno in cui è iniziatala crisi, le imprese regolari che hanno chiuso sono 657. Sempre secondo la Cassa Edile gli operai edili che nel solo anno 2013 anno perso il lavoro sono stati 783. Infatti nell’annualità 2013 gli operai regolarmente iscritti in Cassa Edile sono stati 5387 contro i 6170 dell’anno precedente. Anche in questo caso se il confronto lo facciamo con il 2008 anno in cui ha avuto origine la crisi, solo gli operai che hanno perso il posto di lavoro sono stati 3.447. Naturalmente la Cassa Edile certifica solo i dati degli operai: quindi, se ai 3447 posti di lavoro persi tra questi, sommiamo impiegati, tecnici, professionisti e piccoli artigiani, i numeri del disagio diventano impietosi. Ovviamente, anche in Alessandria la crisi non colpisce solo l’edilizia, ma l’intera filiera: cemento, legno, manufatti e laterizi e lapidei. In tutte le nostre fabbriche (quelle che resistono) stiamo gestendo situazioni di crisi insieme a Confindustria, API (tutte le associazioni Datoriali) ed ormai abbiamo quasi ovunque esaurito gli ammortizzatori straordinari. Il 2014 rischia concretamente di essere un anno terribile per la nostra provincia e noi non sappiamo più cosa mettere in atto per evitare altri licenziamenti. Quali sono le ragioni che determinano le difficoltà del settore ? • Il problema più grande continua ad essere il circuito del credito, che da un lato strozza le imprese ed in particolare i piccoli artigiani, dall’altro rende estremamente difficile alle famiglie accedere ai finanziamenti per la casa. • Le difficoltà degli Enti Locali, che oltre a fare sempre più fatica a pagare i debiti alle aziende, hanno ridotto drasticamente gli investimenti in particolare in quelle piccole opere immediatamente cantierabili, fondamentali per la ripartenza del settore. • mancanza di politiche adeguate ad innescare una rimessa in moto del comparto delle costruzioni. Come se ne esce ? Occorre una politica industriale della filiera in grado di dare un forte segno di discontinuità con il passato. Senza la discontinuità che noi auspichiamo, il settore non solo farà fatica ad uscire dalla crisi, ma continuerà ad essere caratterizzato da processi di arricchimento che saccheggiano il territorio, cementificano i fiumi, le coste e il suolo, arrivando in qualche caso ad utilizzare il caporalato per controllare e sfruttare le maestranze. Da diverso tempo la FILLEA denuncia (spesso inascoltata) i pericoli di una crisi strutturale che partendo dalle costruzioni avrebbe condotto alla situazione attuale. Di certo, dalla crisi se ne uscirà in un modo diverso da come se ne è entrati. Siamo convinti che il nostro settore non solo possa farcela, ma abbia ancora le potenzialità per tornare ad essere un volano importante per l’economia del nostro paese. La ricetta che proponiamo non è la cementificazione selvaggia – in voga in passato - : ormai da tempo il nostro sindacato parla di zero consumo del suolo. In Italia si è cementificato troppo e male e spesso i comuni -vittima dei tagli alle risorse- hanno utilizzato la cementificazione come metodo rapido per fare cassa. Noi immaginiamo un nuovo modo di costruire nel pieno rispetto delle superfici non impermeabilizzate, dei fiumi, delle coste, integrato ed attento al paesaggio e all’ambiente. Il tutto nella piena legalità, con chiarezza e trasparenza. Investimenti in infrastrutture utili all’Italia Le infrastrutture sono tra i fattori più importanti per lo sviluppo socio-economico del territorio in cui si collocano. La loro realizzazione non riguarda solo il mondo dell'industria o del commercio, ma incide soprattutto sulla qualità della vita di ogni singolo individuo che ne fruisce in modo diretto e indiretto. In questi anni, il paese ha accumulato un grave deficit in termini di reti infrastrutturali, che oggi incide significativamente sulla competitività rispetto ai partner internazionali. Questo è uno dei motivi che impedisce all’Italia di attrarre capitali ed investimenti stranieri, che si sommano a una diffusa corruzione, eccesso di burocrazia, esagerato costo dell’energia, la non certezza del diritto e i tempi iper-dilatati del sistema giudiziario. Queste sono le vere ragioni per le quali non si investe nel nostro paese: certo, non perché i lavoratori hanno troppe tutele o perché ci sia l’artico 18 (o quel che ne rimane ) dello Statuto dei Lavoratori. Fra i progetti infrastrutturali più corposi, il nostro territorio è interessato dalla partenza dei lavori del Terzo Valico dei Giovi. Ora, non spetta al sindacato deciderne l’utilità. Mi limito a constatare che il governo italiano lo considera essenziale (non solo il Governo attuale, ma tutti quelli che si sono succeduti in questi anni) e addirittura l’Unione Europea riconosce nel Terzo Valico una tra le opere prioritarie del vecchio continente. A prescindere da come la si pensi, il Terzo Valico rappresenta una importante opportunità in questa difficile fase: oltre 3.000 posti di lavoro e diversi miliardi di investimenti tra le province di Genova e Alessandria. E’ compito delle istituzioni locali e della politica dare l’adeguato sostegno all’opera e ai benefici che la stessa potrà generare, ma soprattutto è compito delle istituzioni locali far sì che questi ultimi non restino soltanto temporanei, ma perdurino nel tempo (su questo tema l’impressione che stiamo avendo è che le istituzioni siano parecchio tiepide). A questo proposito, noi pensiamo per esempio che la Legge Regionale 4 (se bene utilizzata) potrebbe essere utile affinché l’opera porti al nostro territorio non solo disagi ma soprattutto benefici; e vorrei qui ricordare che grazie al Terzo Valico ed alla Legge 4 siamo riusciti ad evitare la chiusura dello stabilimento Cementir di Arquata Scrivia. Per dirla con le parole più chiare possibili, il nostro territorio (soprattutto in una fase come questa), non può permettersi la sconsideratezza di non valorizzare adeguatamente un’opportunità così importante. Alcune ipotesi oltranziste, come ‘bloccare tutto’, avrebbero ricadute pesantissime: le risorse non potrebbero destinarsi ad altri interventi locali, per giunta bisognerebbe pagare la penale al COCIV e restituire all’Europa quanto fin qui stanziato. In pratica l’opera verrebbe pagata senza essere compiuta … un paradosso in cui l’Italia si è già infilata più volte. Vorrei approfittare dell’occasione per precisare ancora una volta la nostra posizione, che è sempre la solita, non è mai cambiata: fare, ma fare bene. E per fare bene, non ci si può sottrarre alle istanze poste da chi abita questi territori. Rischio amianto e acqua Se si segnale la presenza di amianto, la committenza ci deve dire quali saranno le tecnologie che metterà in atto per garantire la sicurezza a cittadini e lavoratori, così come se i sindaci sono preoccupati dal trasporto dello smarino, bisogna fornire adeguate risposte. Quanto al tema dell’acqua, è ovvio che quando si scava, l’acqua si sposta, ma occorre pensare preventivamente a come non lasciare interi comuni esclusi dalla rete idrica. Sarebbe auspicabile che i sindaci e la provincia si coordinassero in modo da avere la forza necessaria per costringere RFI a non sottrarsi alle proprie responsabilità nei confronti delle comunità coinvolte nel progetto. Ecco perché fare, ma fare bene non equivale a non fare o a fare con tempi biblici: semplicemente fare, ma fare nel rispetto del territorio e della sua gente. Le parti sociali, tutte, stiamo lavorando intensamente: si sono già siglati importanti accordi, sulla contrattazione d’anticipo, di cantiere, insieme alla Prefettura, le Forze dell’Ordine, l’azienda abbiamo sottoscritto un protocollo legalità. Stiamo anche lavorando alla costruzione di un protocollo sanitario aggiuntivo, secondo noi indispensabile per ridurre al minimo il rischio di infortuni. La preoccupazione è tuttavia molto alta, nelle nostre valli il clima è rovente: i proiettili con minacce indirizzati pochi mesi fa ai tre segretari regionali di Fillea Filca e Feneal ne sono una chiara testimonianza. Oggi a parlare sul territorio ci sono soltanto i comitati che continuano a spiegare le ragioni del NO all’opera, mentre manca un rispettivo contraltare. Noi crediamo che le istituzioni -se realmente credono in quest’opera- dovrebbero impegnarsi in una grande campagna informativa rivolta alla popolazione, con l’obiettivo di dare una giusta risposta alle preoccupazioni e promuovere i benefici, per il nostro territorio e per tutto il paese. La situazione Politica La crisi che stiamo affrontando è una crisi di dimensioni mondiali, sarebbe miope immaginare che le singole nazioni possano risolversi ognuna i problemi in casa propria. Per riuscire veramente a fare un salto di qualità servirebbe una risposta forte e complessiva, a livello europeo. Quando si scelse di creare l'UE c'era l'idea di puntare su un modello sociale dove i paesi –insieme- potevano ridurre le diseguaglianze. per un nuovo comune avanzamento. Oggi, invece, l'Europa parla lo stesso linguaggio del liberismo: si vuole ridurre il pubblico e pensare solo al rigore. La moneta unica è diventata un elemento di accentuazione delle disuguaglianze, anziché di contenimento o eliminazione delle stesse. Il caso Electrolux è esemplare, “perché risponde a questa idea sbagliata dell'Europa. L'azienda dice: dove costa meno io vado, se non volete che me ne vada in Polonia si accettino retribuzioni più basse. Ci sono due idee di fondo, quella di abbassare i salari italiani ma anche quella che la Polonia non avrà mai i salari italiani. Così, il principio di uguaglianza viene tradito, come il l’intero ‘sogno europeo’. Oggi l’UE rappresenta un progetto incompiuto: realizzata l’unione monetaria tra molti dei suoi stati, manca però tutto il resto: non abbiamo una politica economica unitaria, e neppure fiscale, energetica, estera o del welfare … E’ sintomatica la mancanza di una politica unitaria sul finanziamento del debito dei paesi membri (i famosi Euro Bond mai varati) che espone i più deboli alle speculazioni finanziarie, creando concorrenza sleale all’interno della stessa Europa, l’attuale meccanismo perverso permette infatti alle aziende tedesche e del Nord Europa di avere un accesso al credito a condizioni nettamente più favorevoli rispetto alle aziende Italiane, spagnole ed in generale di tutto il sud Europa (l’Italia tutto questo l’ha sperimentato dolorosamente); con il risultato che le conseguenze ricadono sulle spalle dei cittadini, a pagarne le conseguenze più pesanti. Ovvio che se l’Unione Europea non ritorna rapidamente al progetto iniziale, rappresenterà sempre di più un vantaggio per Germania e pochi stati del Nord e un handicap per tutti gli altri, oggi già in forte sofferenza. Venendo alla situazione del nostro paese Secondo l’ultimo Rapporto Eurispes: «Il paese è completamente ripiegato sul suo presente. Si è operato affidandosi al giorno per giorno, con risposte parziali, spesso improvvisate, con misure utili al massimo a tamponare qualche falla. Il nostro ormai è un paese prigioniero del suo presente e il “presentismo” è diventato la nostra filosofia di vita. L’Italia è al centro di una crisi insieme politica, economica e sociale, ed è costretta a fare i conti con le proprie contraddizioni, con i propri ritardi, il proprio endemico conservatorismo. Ma la nostra è una emergenza innanzi tutto etica. Ci eravamo illusi che la crisi altro non fosse che una condizione passeggera invece siamo di fronte ad un doloroso e veloce declino che non è più una tesi, ma un dato di fatto. Una pressione fiscale insopportabile solo per chi è onesto e le tasse le paga tutte, la disoccupazione alle stelle, la perdita del potere d’acquisto, i ceti medi sulla via dell’impoverimento, l’aumento della povertà e del disagio, la precarietà globale di un’intera generazione rappresentano solo alcune delle emergenze». Condivido in pieno l’analisi del Presidente dell’Eurispes Prof. Gian Maria Fara: “Credo che questa analisi esprima la realtà delle cose è rappresenti il fallimento della politica degli ultimi 20 anni. Ovviamente quando si parla di fallimento della politica non bisogna fare l’errore di generalizzare, non bisogna dimenticare che il paese negli ultimi 20 anni è quasi sempre stato governato dal Centro-Destra: ovvio che le responsabilità maggiori vanno a chi ha maggiormente governato. Tuttavia oggi il Paese è allo stremo delle forze e dopo il fallimento del berlusconismo, i governi tecnici o di grande coalizione non hanno risolto i problemi, hanno solo messo al sicuro i conti e, con il sostegno dei partiti, hanno fatto una ferrea politica di austerità sulla pelle delle fasce più deboli. Non abbiamo ancora molto tempo, il paese non ce la fa più, non ce la fanno più le imprese, le famiglie ed ai giovani è stato cancellato il futuro. Solo la buona politica, la Politica con la P Maiuscola potrà invertire questa tendenza che sta trascinando il paese verso il baratro, spingendolo tra le braccia di demagoghi, pagliacci e populisti. Sinceramente, ho qualche dubbio sul fatto che il governo “Renzi” appena nato possa avere la forza necessaria per tirare il paese fuori dai guai -ovviamente mi auguro di sbagliare- : qui nessuno è per il tanto peggio tanto meglio. Devo anche ammettere che il discorso programmatico fatto alle Camere non mi è dispiaciuto, ci sono stati alcuni passaggi importanti (penso al taglio del cuneo fiscale o allo sblocco totale dei pagamenti alle pubbliche amministrazioni). Ma mi sorgono anche dubbi, dato che il governo Renzi, come quello Letta, è sostenuto da forze che la pensano in modo diametralmente opposto su quasi tutti i temi fondamentali da affrontare; ribadisco che lo dico sperando di essere smentito dai fatti, ma immaginate una riforma del lavoro che debba mettere d’accordo Cesare Damiano ed il senatore Borioli con Sacconi e Ichino: direi veramente molto difficile... Fermo restando che non possiamo permetterci per “ovvi motivi” instabilità o crisi al buio, io mi auguro che se questo Governo alla prova dei fatti non sarà in grado di ben governare, Per lo meno si faccia velocemente una buona legge elettorale, che permetta a qualcuno di vincere con certezza le elezioni e si torni al voto, In modo che possa essere un governo coeso e con le idee chiare ad affrontare le difficili sfide che il nostro amato paese ha davanti. Rapporti Unitari Dopo le troppe divisioni e accordi separati degli ultimi anni, probabilmente la crisi ha favorito il riavvicinamento delle tre confederazioni sindacali, un fatto assolutamente positivo. La fase che stiamo attraversando, il bene dei lavoratori ed il buon senso ci impongono l’obiettivo di recuperare sempre più una forte unitarietà sindacale, che non venga poi rimessa in discussione alle prime tensioni. Penso convintamente che il nostro segretario Susanna Camusso bene abbia fatto a siglare unitariamente l’accordo del 10 gennaio scorso sulla rappresentanza, perché fissare chiare le regole del gioco è una garanzia per i lavoratori, per il rafforzamento dei rapporti unitari ed è fondamentale per il futuro del sindacato stesso. A livello territoriale, anche nei momenti più difficili, i rapporti fra le tre federazioni si sono sempre mantenuti buoni e questo ci ha permesso -da un lato- di siglare accordi importanti: penso all’ultimo integrativo provinciale degli edili tra i primi in Italia, così come all’accordo per il pagamento dei primi tre giorni di malattia. Dall’altro- di risultare una controparte forte e coesa all’interno del Sistema Edile alessandrino. Il Sistema Edile L’idea di costituire un Sistema Edile alessandrino parte da lontano, molto prima dell’insediamento di questo gruppo dirigente; il percorso si inizia a concretizzare con la firma dell’integrativo del 31 maggio 2006, poi la nascita avviene formalmente nel novembre del 2008, attraverso l’accordo tra tutte le parti sociali territoriali. Obiettivi di S.E.AL • costruzione del Palazzo del Edilizia (adesso bloccato per il contenzioso legale con chi avrebbe dovuto costruirlo: ma per tutte le parti sociali rimane ferma la volontà di non abbandonare il progetto ) • razionalizzare e armonizzare le risorse, senza interferire in alcun modo con l’autonomia dei singoli enti e nel totale rispetto del CCNL. • e, soprattutto, essendo SE.AL. composta da tutte le parti sociali del settore edile, l’idea e quella di svolgere un’azione coordinata ed efficace, valorizzando la sana bilateralità e lottando contro ogni forma di illegalità e irregolarità. L’aver fatto sistema, ci ha permesso fin qui di ottenere risultati importanti: penso all’ultimo accordo promosso dalle parti sociali e siglato dalla Cassa Edile con il comune di Alessandria sulla regolarità e la trasparenza: infatti dall’ ottobre 2013, il comune di Alessandria comunica alla Cassa Edile i lavori di edilizia privata, evidenziando la catena dal committente fino all’ultimo dei subappaltatori: effettuate immediatamente le verifiche di regolarità, la Cassa Edile segnala al comune tutte le situazioni anomale. Dalla firma dell’accordo, la Cassa Edile ha fatto emergere non poche irregolarità, con una conseguente corsa alla regolarizzazione, pena la perdita dei lavori. Verrei cogliere l’occasione della presenza di tutti i presidenti delle associazioni datoriali di categoria e del presidente Nino Boido, per dire che per il Sistema Edile di Alessandria è arrivato il momento di fare il salto di qualità, in questa fase difficile per tutti noi - aziende e lavoratori-: c’è bisogno, ancora più di ieri di valorizzare i nostri enti. In una congiuntura difficile, la sana bilateralità può dare un importante contributo, perché solo puntando fortemente su regolarità, formazione e sicurezza si può aiutare la parte sana del nostro settore a venir fuori da questa terribile crisi. Se l’obiettivo comune e quello di lasciarsi alle spalle il più velocemente possibile questa fase, oggi più che mai abbiamo bisogno di muoverci sinergicamente. E proprio per questa ragione - mi rivolgo in modo particolare al presidente dell’ANCE di Alessandria Roberto Mutti - non possiamo impantanarci sul mancato rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro “Edilizia Industria”. Sappiamo bene che il settore è in forte difficoltà (in questa mia relazione credo di averlo spiegato dettagliatamente); tuttavia, non si può chiedere ai soli lavoratori edili di pagare il prezzo più alto della crisi, ed inoltre, nonostante la difficile congiuntura, abbiamo praticamente già rinnovato tutti i contratti che fanno parte della filiera delle costruzioni (cemento, legno, lapidei, laterizi e manufatti), abbiamo rinnovato persino il contratto degli Edili per la Piccola Industria e quello degli Artigiani (che rappresentano il grosso del nostro settore) Arrivati a questo punto, diventa veramente incomprensibile la posizione di ANCE nazionale, che avrebbe dovuto guidare la delegazione datoriale nella trattativa come è sempre stato ed invece, oltre a non averlo fatto, oggi rischia di ritrovarsi sola in un angolo. E’ importante arrivare al più presto alla firma di un contratto in linea con gli altri firmati nel settore, perché se così non fosse, la mancanza del CCNL produrrebbe sempre più nei territori, nervosismi e rigidità di cui certamente tutti ne faremmo volentieri a meno. ANCE Alessandria ha sempre svolto un ruolo primario nel panorama nazionale e in un recente passato ha anche espresso il presidente di CNCE. Proprio perché riconosciamo il prestigio e le sensibilità di chi la guida, chiedo e mi auguro che eserciti tutto il suo peso, affinché si possa giungere - quanto prima - alla firma del contratto in linea con quello siglato con le associazioni artigiane.

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