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19.03.14 Si è concluso il 28 febbraio 2014 il Congresso territoriale della Fillea Verona. Di seguito la relazione del segretario uscente Stefano Facci, riconfermato alla guida della struttura dal nuovo direttivo eletto al termine del congresso.
Care delegate, cari delegati, gentili ospiti, a nome della segreteria uscente, dell’apparato Fillea di Verona, voglio darvi il più sincero benvenuto al nostro quinto congresso provinciale. Oggi, voglio esprimervi la soddisfazione per avere costruito insieme agli altri compagni le condizioni utili a svolgere pienamente il congresso, l’impegno per l’elezione della platea dei delegati è stato arduo ma siamo riusciti a mettere insieme 75 lavoratori che rappresentano i nostri riferimenti sindacali nelle aziende veronesi, lo abbiamo fatto attraverso 132 assemblee nei luoghi di lavoro di cui 11 territoriali. Forse non tutte le aspettative che la CGIL e la FILLEA avevano riposto in questo congresso sono state colte, anche perché durante il percorso, nei pochi mesi di discussione, si sono susseguite tante e tali vicende da rivedere più volte gli obiettivi e gli impegni assunti all’inizio. Abbiamo portato nelle assemblee i due documenti che statutariamente sono stati predisposti dagli organismi nazionali che hanno ricevuto rispettivamente 911 voti il primo, presentato dalla maggioranza del Direttivo Nazionale uscente della CGIL e 28 il secondo, presentato dalla minoranza. Inoltre, dove ci sono state le condizioni, abbiamo anche presentato e fatto votare gli emendamenti predisposti alle 11 azioni del documento di maggioranza e che si possono riassumere così: 670 consensi ai due emendamenti all’azione 3 sulle pensioni; 423 consensi all’emendamento all’azione 8 sull’inclusione sociale; 434 consensi all’emendamento sostitutivo all’azione 10 sulla contrattazione; 312 consensi ai due emendamenti sostitutivi all’azione 11 sulla democrazia. Un risultato questo, che ci indica la particolare sensibilità dei lavoratori sui temi affrontati con gli emendamenti e di cui dovremo tener conto, consapevoli che sia per la modalità di voto che di rilevazione, vanno osservati come dato assoluto sul quale riflettere. Nella fase preparatoria e di avvio di questo congresso, la CGIL è riuscita a costruire un percorso ampiamente condiviso che ha raccolto la maggioranza dei consensi, consentendo, anche attraverso lo strumento degli emendamenti, la possibilità di caratterizzare il dibattito e il confronto con i lavoratori, lasciando solo una piccola minoranza del gruppo dirigente a rappresentare il secondo documento Purtroppo questa condizione non è durata molto, infatti a partire dalla firma dell’accordo sulla rappresentanza, in CGIL si è aperta un’aspra discussione che evidenzia apertamente alcuni problemi di merito e di metodo, immediatamente colti dal gruppo dirigente in una logica di schieramento personalistico che rischia di banalizzare la discussione. Non condivido assolutamente lo schieramento personalistico che si è generato nella pura logica “o con me o contro di me” tra Maurizio Landini della FIOM e la segretaria generale della CGIL Susanna Camusso, schieramento che si continua ad alimentare con iniziative disgiunte e autoreferenziali. In questi frangenti la confederazione dovrebbe favorire un dibattito aperto e franco che non si può esaurire con la sola discussione del Direttivo Nazionale della CGIL, di fronte a divergenze così significative è sempre la Confederazione a guidare la discussione, per evitare una deriva dirigistica a scapito degli affidamenti statutari che ci siamo dati, e forse anche perché questo non venga interpretato come una propria debolezza politica, rinchiusa in una discussione fatta solo con chi si è d’accordo. Ecco perché ritengo sia stato sbagliato aggiungere ad un dibattito congressuale già difficile, la discussione e l’approfondimento sulle nuove regole della rappresentanza. A mio avviso, vanno definiti un luogo e un tempo diversi dalla calca congressuale, penso che dovremo poterne valutare tutti gli aspetti, convinto che siamo di fronte ad un punto di compromesso, ma che un accordo di questa portata non possa esaurirsi prima che tutto il gruppo dirigente ai vari livelli lo abbia discusso, e non prima che i lavoratori lo abbiano potuto valutare. Penso sia ormai chiaro che a partire da questo accordo, inizi una fase nuova per la CGIL e per tutto il sindacato, che parte inevitabilmente da un nuovo modello sindacale, figlio di tempi dove l’aspetto della Partecipazione e della Democrazia assumono un nuovo ruolo, magari copiato dalla politica partitica dove si ricerca l’uomo forte o l’organizzazione monolitica con il rischio che sia meno democratica. Per questo, rimando i commenti e le opinioni sui contenuti dell’accordo a questo auspicato approfondimento e chiedo che sia il percorso democratico previsto dal nostro statuto a chiudere con il voto dei lavoratori l’accordo sulla rappresentanza. LA CRISI LE ISTITUZIONI IL SINDACATO E’ in primo luogo al mondo della politica e delle istituzioni che dobbiamo presentare le nostre istanze, ci dobbiamo presentare a loro con la nostra autonomia, indipendentemente dal Governo in carica, per affrontare i problemi reali del mondo del lavoro. I governi dei tecnici che si sono succeduti, hanno semplicemente provato a metter in ordine i conti con poche preoccupazioni relative alla tenuta sociale del paese, molto spesso relegando la stessa CGIL ad un angolo ideologico dal quale siamo uscito solo con un confronto ed un rapporto stretto coi i lavoratori e gli iscritti. I governi di larghe intese, si sono prodigati in progetti di riforme istituzionali (come la riforma della legge elettorale, l’abolizione del bicameralismo la modifica del titolo quinto) da una parte auspicabili e necessarie, ma dall’altra sempre più lontane dai veri bisogni della gente, tanto che la tensione dell’antipolitica rischia di minare le fondamenta democratiche del paese. Per questo la CGIL ritiene indispensabile una riforma istituzionale finalizzata alla maggiore efficienza del paese a patto che non vengano sacrificati o snaturati i principi fondamentali della Costituzione che va difesa dalla tracotanza dei poteri forti che la vorrebbe piegare ai loro più bassi bisogni. Anche con il nuovo Governo dobbiamo mantenere l’indispensabile autonomia, siamo forti di una meticolosa analisi e di una precisa proposta che viene dal Piano per il Lavoro, una delle più attente analisi fatte nel nostro paese che evidenzia i problemi e indica le cose da fare per risolverli, da li nascono le undici azioni che costituiscono il nostro documento congressuale e che sono la base per poterci confrontare con ogni soggetto politico e istituzionale. EUROPA E GLOBALIZZAZIONE C’è un rapporto sempre più difficile tra il nostro Paese e l’Europa, che resta ed è il riferimento da cui vorremmo partire per rapportarci con il mondo e la sua globalizzazione. Purtroppo è una Europa sbilanciata quella che si afferma, politiche rigorose sugli aspetti economici e finanziari, a scapito delle politiche sociali che sarebbero indispensabili per affrontare le attuali difficoltà. Ma non è l’idea di Europa ad essere sbagliata, sono le politiche liberiste e di destra che stanno affondando le aspettative che i padri fondatori hanno immaginato per mettere insieme le nazioni Europee. Oggi sono in molti a immaginare che uscire dall’Euro sarebbe per il Paese la scelta migliore, che sarebbe più utile posizionarci in una zona EURO2 da dove ripartire, ritengo questa strada pericolosa e dannosa, abbiamo già vissuto le fasi della svalutazione della lira, dell’inflazione alle stelle, della perdita del potere d’acquisto dei salari, dentro a questa scelta economica alla fine a pagare il conto sarebbero sempre i più deboli. Per questo, se da una parte è sbagliato uscire dall’euro, dall’altra, non possiamo permettere che i parametri europei di rapporto tra Debito Pubblico e PIL oppure del cosiddetto FISCAL COMPACT, uccidano letteralmente lo stato sociale dei paesi più in difficoltà, per questo vanno ricontrattati i vincoli dei parametri economici in sede europea. Non c’è assolutamente bisogno di un’Europa matrigna che costringe a tagliare sui diritti e sulle tutele dei cittadini e che specula sulle differenze esistenti tra i paesi in merito alle politiche retributive, fiscali e occupazionali, non si può immaginare un’Europa dove i lavoratori e i cittadini hanno diversi salari e diritti. Su questo tema deve giocare un ruolo sempre più fondamentale e attivo il sindacato Europeo in concerto con le organizzazioni sindacali nazionali. POLITICHE FISCALI PER L’EQUITA’ E LO SVILUPPO Nonostante la crisi siamo un paese dove concentrazione della ricchezza e l’evasione fiscale toccano livelli molto alti più che in altri paesi a livello internazionale, anche in questo momento di difficoltà è aumentata la forbice tra i ricchi che sono ancora più ricchi di prima e continuano ad arricchirsi, e la grande maggioranza dei cittadini che invece arretra inesorabilmente sul piano del reddito.Dobbiamo rivendicare una politica fiscale più equa, dobbiamo poter determinare lo stato reddituale e patrimoniale di tutti per non restare il paese dove a Roma si possono evadere le tasse relative a 1400 appartamenti, dove a Verona si può essere senza reddito e avere nello stesso tempo alberghi terreni e attività, e magari avere anche l’aiuto dell’assistenza sociale, nascondendo importanti patrimoni al proprio comune. Per questo, serve una imposta patrimoniale sulle grandi ricchezze, oltre gli 800.000 euro che sia progressiva dallo 0,5% all’1,8%; va incrementata la lotta all’evasione fiscale per recuperare risorse indispensabili agli investimenti; va adeguata la tassazione sulle rendite finanziarie oggi troppo favorevole a scapito del fare impresa; va riformata la normativa dell’IRPEF i criteri di progressività e proporzionalità della tassazione devono essere rivisti e vanno introdotti aiuti fiscali per le famiglie. Senza una adeguata, giusta ed equa fiscalità non ci possono essere le risorse per avviare le politiche degli investimenti, il rinnovo delle infrastrutture, le politiche della formazione e nemmeno reggere lo stato sociale, per questo riteniamo indispensabili le azioni elencate, che diventano nello stesso tempo anche una modalità di redistribuzione della ricchezza del paese. LE PENSIONI Dentro a questa situazione di crisi, è stata improvvida la riforma Fornero sulle pensioni, essa ha generato il sistema più rigido ed iniquo di tutta Europa, spostando in avanti l’età pensionabile, bloccando il turn-over con i giovani e rompendo sia il patto di solidarietà generazionale che quello tra stato e cittadini, provocato dall’incertezza sul futuro essendo questa l’ennesima riforma a toccare negli ultimi anni il sistema previdenziale. Dentro alla più grande ristrutturazione industriale e del sistema dei servizi, la riforma è intervenuta senza prevedere gli effetti disastrosi su quanti, sono diventati troppo giovani per la pensione e troppo vecchi per lavorare. Per questo ritengo vada rivista nel suo complesso, salvaguardando e risolvendo il problema dell’accesso alla pensione per tutti gli esodati e ripristinando la flessibilità dell’età pensionabile senza penalizzazioni; la discussione degli emendamenti alla tesi di maggioranza ha evidenziato questo tema come uno dei più salienti, riproponendo il limite dei 60 anni di età e dei 40 anni di contributi per accedere al pensionamento. La riforma, piegata alla sola logica del risparmio, ha di fatto penalizzando i giovani, le donne e quanti costretti da carriere intermittenti e lavori precari, non riusciranno a costruire una adeguata copertura pensionistica per la loro vecchiaia, per questo la riforma va rivista reintroducendo nel sistema gli indispensabili criteri di gradualità, flessibilità,solidarietà e certezza della prestazione. Ferma la necessità di intervenire sul sistema pubblico, va anche rilanciata la Previdenza Complementare, va riproposta ai giovani come strumento che completa la loro tutela, va estesa e favorita anche attraverso una adeguata agevolazione fiscale e contrattuale. Inoltre vanno avviati percorsi di accorpamento tra i fondi che consentano di avere più massa critica e capacità contrattuale, una più efficace gestione funzionale, una più alta sicurezza e garanzia. Inoltre, un capitolo ancora disatteso da affrontare sia sul piano legislativo che contrattuale è quello dei lavori usuranti, una categoria come la nostra che rappresenta lavoratori con diverse attese di vita, deve necessariamente portare come prioritaria la questione che i lavori non sono tutti uguali e per questo meritano anche il giusto riconoscimento da considerare sulla pensione. ISTRIZIONE FORMAZIONE E RICERCA Prima del lavoro, per il cittadino ci deve essere il diritto a realizzare quanto di più intimo c’è nelle proprie peculiarità, caratteristiche personali e attitudini, realizzare se stessi a partire dalla conoscenza; la stessa Costituzione ne sancisce il principio! Investire in istruzione, formazione ricerca è anche la prima necessità per poter immaginare il cambiamento della nostra società, la trasformazione sociale, economica e produttiva si basa sulla capacità di preparare il necessario bagaglio di conoscenze indispensabili per affrontare questa sfida. Purtroppo negli ultimi anni abbiamo assistito al ridimensionamento di tutti gli aspetti legati alla conoscenza, dalla scuola dell’infanzia all’università, tutto è stato rivisto in funzione dei tagli alla spesa. La CGIL propone di invertire questa tendenza, come primo investimento sul futuro stesso del paese, per questo chiede di rafforzare i servizi educativi a partire dalle scuole dell’infanzia, di alzare l’obbligo scolastico ai 18 anni, inoltre, in questo periodo di crisi e di difficoltà delle famiglie, di finanziare politiche di diritto allo studio con forme di sostegno agli studenti medi ed universitari. Vanno poi riviste le politiche di promozione della ricerca, non possiamo immaginare gli investimenti se non ci sono le adeguate risorse che promuovino l’innovazione di processo e di prodotto, per questo deve tornare forte la relazione che lega l’università, la ricerca e il lavoro. POLITICHE INDUSTRIALI E SVILUPPO Infatti, se la debolezza del paese si può intuire quando se ne bloccano le basi fondamentali della conoscenza e della ricerca, la vera tragedia emerge per l’assenza di una politica industriale adeguata alla crisi, tutti i paesi industrializzati hanno previsto misure anticicliche per affrontare questa particolare fase economica, l’Italia è il paese che più di altri attende gli eventi senza una precisa ed efficacie politica industriale. Per questo, vanno rivisti i piani per le grandi infrastrutture di sistema a partire dai grandi temi sulla mobilità, sulla casa, sulle aree industriali; temi che non possono prescindere dalle nuove necessità in merito all’impatto ambientale, energetico e dello stesso ciclo dei rifiuti. Nel nostro settore per anni si sono fatte opere fuori controllo, senza una attenta pianificazione, con il risultato che abbiamo abusato del territorio e defraudato le risorse ambientali, e in certi casi favorito la speculazione e l’illegalità, per questo va posta l’attenzione ai temi della sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale ed occupazionale. Una nuova politica industriale deve avere nell’innovazione tecnologica e nella Green Economy un preciso riferimento, deve essere questo l’asse di un nuovo modello di sviluppo sostenibile ed integrato dal quale ripartire per programmare anche il rilancio di nuove politiche abitative, produttive e di servizio, sia pubbliche che private. Interventi, a partire dai quali si potrà sostenere una fase anticongiunturale anche dell'industria delle costruzioni nella quale l'innovazione sostenibile diventa il riferimento del nuovo modello di sviluppo, dove la costruzione e la ristrutturazione con l’obiettivo della autosufficienza energetica degli edifici e dei contesti urbani diventa miglioramento degli standard abitativi, dove sia vincolante l’obiettivo dell’utilizzo ZERO del territorio, favorendo la riqualificazione delle aree dismesse. Per fare questo servono anche nuove regole e nuove disponibilità del sistema del credito, dopo gli aiuti ricevuti dalla BCE, le Banche dovrebbero oggi favorire l’impresa e nello stesso tempo chi è in cerca di una abitazione, favorendo la definizione dei mutui, che per certe fasce di reddito e di età devono essere anche agevolati da interventi legislativi di sostegno, questo potrebbe risolvere parte del problema legato all’invenduto, anche per uscire dalla sola logica che vede, nel caso di Verona, ATER, AGEC, doversi comprare l’invenduto magari anche con scambi impari di immobili di pregio e di beni pubblici. Su questo aspetto, a livello territoriale, va valorizzato il patto sottoscritto tra le organizzazioni sindacali CGIL CISL e UIL con Confindustria, un patto per il lavoro locale che impegna le parti a promuovere in concerto tra di loro, le iniziative di competenza più idonee ad affrontare le difficoltà dei settori. Un patto per coinvolgere anche la politica e le istituzioni ad un preciso impegno a sostegno di tutta l’economia veronese. POLITICHE ATTIVE DEL LAVORO AMMORTIZZATORI SOCIALI SERVIZI PUBBLICI PER IL LAVORO In questi anni abbiamo subito una delle più gravi fasi di ridimensionamento industriale, registriamo ancora oggi e resterà anche per i prossimi anni una grave crisi occupazionale con tutti i suoi drammatici effetti, i dati OCSE ci dicono che se una ripresa ci sarà, sarà una ripresa senza nuova occupazione. Inoltre, ho riletto con preoccupazione la relazione che avevo scritto quattro anni fa, allora i dati del CRESME dicevano che non ci sarebbe stata ripresa prima del 2012, questo fa capire come la gravità della situazione non sia stata colta allora neanche da autorevolissimi soggetti economici ai quali affidiamo le nostre valutazioni, purtroppo le cose non sono certo migliorate e tocca ancora a noi proporre quei provvedimenti necessari a reggere la difficile fase di crisi. Se non si interverrà rapidamente, gli effetti della riforma Fornero si faranno sicuramente sentire, una riforma nata per risparmiare non ha certo colto la necessità sempre più pregnante di estendere la tutela a chi perde il lavoro. Per questo vanno estesi gli ammortizzatori sociali ne vanno rivisti i requisiti e la durata, vanno previsti strumenti adeguati a mantenere l’occupazione e che possano intervenire anche in costanza di rapporto di lavoro superando le logiche delle leggi in deroga spesso inadeguate e insufficienti ai reali bisogni dei lavoratori. Serve inoltre rafforzare e mettere in relazione tra di loro tutti gli strumenti delle politiche attive e passive per il lavoro, la catena che lega gli ammortizzatori sociali con il sistema della formazione continua e i servizi per l’impiego va ripensato e reso disponibile ad ogni lavoratore, in particolare, per il nostro settore è auspicabile sostenere le esperienze contrattuali che già oggi ne prevedono precise sperimentazioni, come la borsa lavoro dell’edilizia in concerto con il sistema formativo bilaterale e la Provincia. Solo così e di concerto, si possono cogliere più obiettivi, a partire da quello occupazionale, il più importante, ma anche quelli sempre più pressanti di aggiornamento e di adeguamento delle competenze dei lavoratori, che vanno preparate alle trasformazioni dei vari settori produttivi, per essere appetibili al sistema delle imprese, favorendo così una ripresa della competitività fatta sulla qualità del lavoro. INCLUSIONE SOCIALE Negli ultimi mesi sono rimasto molto sconcertato dal numero di lavoratori che si rivolgono ai nostri uffici e che ci dicono di essere scoperti dagli ammortizzatori sociali, sia ordinari che in deroga, lavoratori, famiglie che non possono più contare su di un reddito che consenta loro una vita dignitosa, che si trovano nella impossibilità di pagare un affitto, la luce, il gas, fare la spesa, mandare i figli a scuola. Le istituzioni, gli stessi comuni per bocca dei sindaci e dei loro assessori, si dicono impreparati ad affrontare queste situazioni, impossibilitati per ragioni di cassa ad intervenire sui sempre più numerosi casi di richiesta di assistenza, la stessa Curia per il tramite della CARITS evidenzia come questo sia un fenomeno non più trascurabile. Tutto questo non è legato al tradizionale disagio sociale così come comunemente viene definito, ovvero il disagio di quei soggetti che per motivi molteplici e diversi dal lavoro, non si sono mai o poco inseriti nella società, siamo di fronte invece a persone, cittadini che perdendo il lavoro e quindi il reddito, che si sono trovati immediatamente marginalizzati e impossibilitati ad assolvere agli impegni minimi personali o di una famiglia. Questa situazione non si può affrontare solo sul piano assistenziale e il fenomeno non può solo essere di tipo caritatevole. Purtroppo, alla domanda su come si possa andare avanti senza nessun reddito quasi sempre la risposta è: “faccio qualche lavoretto in nero!” Ed è evidente che sul piano sindacale si apre una questione enorme! E’ indispensabile sottrarre questi lavoratori al ricatto quotidiano dove, per poter campare, devono lavorare a qualsiasi condizione per chi senza scrupoli ne sfrutta le difficoltà, facendoli diventare essi stessi oggetto di competizione sleale nei confronti di chi lavora in regola, diventando un nuovo elemento di deregolamentazione al ribasso nel mercato del lavoro. Ecco perché, oltre a quanto già proposto dal documento della CGIL, consapevole che per un sindacato è prioritario il posto di lavoro come espressione principale di autorealizzazione e di dignità, mi convinco sempre di più che per il nostro paese serve una proposta di reddito minimo, integrata con il sistema degli ammortizzatori sociali e delle politiche attive del lavoro, che consenta una vera e attiva inclusione sociale di tutti. LA CONTRATTAZIONE La contrattazione è l’elemento che ci distingue come sindacato, è la nostra attività prioritaria, oggi è l’attività che più ci viene messa in discussione. Anche qui la crisi ha portato i suoi effetti e rende evidente e strategico per il sindacato l’obiettivo e la necessità di estendere la contrattazione a tutti i soggetti del mondo del lavoro, la loro riunificazione, anche attraverso la riduzione delle forme di assunzione che tanta precarietà hanno prodotto, a tale scopo, oltre alla nostra azione sindacale, vanno promosse iniziative con il NIDIL l’organizzazione della CGIL che rappresenta questi lavoratori. Per riaffermare il valore e la funzione del CCNL il sindacato deve avere l’obiettivo di riunificare e di ricomporre il mondo del lavoro, anche attraverso il graduale accorpamento e la semplificazione i CCNL esistenti, per arrivare ad una loro riduzione. Su questo tema, va ricordato che la nostra categoria ha rinnovato tutti i CCNL tranne quello Edile dell’industria e della cooperazione, anche questo è un segnale di difficoltà del sistema contrattuale che va rimodulato e reso esigibile per non produrre sperequazioni tra i vari comparti. Se la mancata firma segna drammaticamente la difficoltà del settore, allo stesso tempo denuncia l’irresponsabilità degli imprenditori edili che nel sottrarsi a quanto altri hanno già assolto, impediscono la realizzazione dello strumento principale per la difesa del potere d’acquisto dei salari, il CCNL, che in questo momento di crisi meriterebbe ben altra attenzione anche solo per sostenere i consumi. La mancata firma rischia inoltre di pregiudicare il funzionamento della stessa bilateralità, il rischio di default del fondo APE nelle provincie e a livello nazionale, indica la necessità di una definizione rapida del rinnovo del CCNL edile, cosa che se non risolta rischia di affondare tutto il sistema. Oggi nel momento di più alta difficoltà economica, viene affidato alla contrattazione di secondo livello un ruolo sempre più attivo e importante, ed è un grosso problema da affrontare, anche a fronte di risultati modesti o in tanti casi assenti, come sul rinnovo del contratto provinciale Edile e del Marmo e tenendo conto che sono stati pochi gli accordi aziendali sottoscritti. La contrattazione di secondo livello è fortemente condizionata da fattori sia interni che esterni, infatti, in molte attività produttive e/o di servizio convivono le forme più disparate di lavoro, con diritti e salari differenziati a volte anche per mansioni analoghe, questo non solo destruttura il mercato del lavoro, ma genera conflitti e tensioni tra gli stessi lavoratori, inibendo la naturale contrattazione e trascinando al ribasso le stesse condizioni esistenti. E’ emblematico quanto succede per i lavoratori dipendenti di aziende estere che lavorano nel nostro paese, ai quali si applicano diritti e salari dei loro paesi di origine, talmente diversi da rendere impossibile ogni raffronto con le nostre condizioni e che diventano inevitabilmente una forma di concorrenza sleale per le stesse imprese operanti nel settore. Vanno perciò trovate tutte le strade che ci possono portare fuori dallo stallo, vanno promulgate precise disposizioni legislative, unificate le iniziative contrattuali di sito, di filiera, vanno ricercate tutte le possibilità per recuperare nelle stesse aziende quelle forme contrattuali senza le quali rischieremo di fare una contrattazione monca rappresentando solo una parte del mondo del lavoro. Dobbiamo poi mettere un freno a tutte le situazioni nelle quali ci si chiede di tagliare gli stipendi, le trasferte, dove ci viene chiesto di licenziare prima che siano usati tutti gli ammortizzatori sociali e magari dove ci viene negato anche un minimo di incentivo economico, consentendo così alle imprese di risparmiare anche sulle procedure di licenziamento. Lo dobbiamo fare insieme con FILCA e FENEAL, insieme dobbiamo definire una soglia minima, condividere un comportamento uniforme, nella gestione delle crisi e delle ristrutturazioni aziendali, solo così non presteremo il fianco a scorciatoie per le quali le aziende e i loro consulenti, approfittando della nostra divisione, usano ricorrere all’organizzazione sindacale di volta in volta più compiacente o disponibile. VERONA E I SUI SETTORI Dopo queste considerazioni di carattere generale, voglio affrontare solo alcuni punti salienti relativamente ai settori produttivi, ne voglio fare una rapida panoramica in quanto, saranno sicuramente più esaustivi i compagni e le compagne che interverranno successivamente, anche per il fatto che ne ricoprono l’incarico e la responsabilità. Marmo Lapideo La situazione del settore marmo lapideo è da considerare sotto due punti di osservazione, le aziende con un significativo mercato estero, che pure nelle difficoltà proseguono e ampliano la loro presenza in nuovi mercati e le piccole aziende che non hanno capacità di affrontare commercialmente l’estero e che sono confinate nel mercato italiano-locale e che purtroppo rischiano inesorabilmente di ridimensionarsi o di chiudere. Per queste, incapaci di innovare sotto il profilo del processo e del prodotto rimane incerta la capacità di compere con le altre e con il mercato estero. E’ una lettura stringata e spietata, ma purtroppo continuiamo a osservare quello che sosteniamo da tempo, ovvero che il mercato locale e nazionale non danno nessun segno di ripresa economicamente riscontrabile. Il richiamo fatto più volte alle aziende, di ricercare la modalità di associarsi, di mettersi in rete, in consorziare le attività, per affrontare le sfide della globalizzazione, purtroppo è stato solo parzialmente ascoltato ed oggi solo alcune sono in grado guardare oltre la crisi. In molti casi questo ha sviluppato capacità commerciali insperate, tali da cambiare significativamente l’equilibrio tra quanto si fattura per produzione propria e quanto si fattura per la commercializzazione di prodotti lapidei lavorati da altri. Tra queste aziende che denotano una certa vivacità, c’è la Quarella. Dopo essersi ristrutturata in maniera molto pesante passando da 500 a 200 dipendenti, a fronte di commesse provenienti dalla Cina (prima era un paese competitore), oggi utilizza un picco di oltre 100 lavoratori tra contratti a termine, somministrati e apprendisti, in questa azienda abbiamo fatto un accordo sul ciclo continuo e ci stiamo confrontando sul tema della flessibilità e dell’orario multiperiodale. Oltre alla Quarella, sono in recupero anche altre realtà come la Antolini e la Santa Margherita, invece desta segnali di preoccupazione la Marmi Lanza che dopo una procedura di mobilità oggi è impegnata in una ristrutturazione del debito che forse è il preludio ad un nuovo assetto societario. In questo settore anche il rapporto con le associazioni datoriali ha dato segnali destabilizzanti, per prime le aziende associate a Confindustria che dopo la firma del CCNL, hanno espresso pesantemente la loro contrarietà all’intesa con delle discutibili prese di posizione e minacciando la non applicazione contrattuale, fortunatamente tutto sembra essere rientrato. Per quanto riguarda la piccola industria, dopo la disdetta del contratto provinciale di cinque anni fa, e la mancata firma del precedente contratto nazionale CONFAPI, Apindustria di Verona, oggi associata CONFIMI, non condivide neanche l’ultimo rinnovo del CCNL, dichiarandone l’applicazione, ma affermando l’insostenibilità dei costi del nuovo accordo e facendosi avanti nel chiedere adeguate soluzioni tali da renderli compatibili a livello locale. Legno Il settore del legno è da alcuni anni nota dolente dell’economia della bassa, dopo gli anni d’oro dell’espansione economica è iniziato un lento e inesorabile declino, che purtroppo ha trovato nella crisi solo il momento peggiore. Si sono ricercati, nelle opportunità delle politiche distrettuali, gli strumenti per invertire la tendenza, ma non sono state sufficienti, oggi abbiamo bisogno di andare oltre le stesse politiche di distretto, immaginare altri fattori di competitività che vadano oltre alle giuste scelte dell’aggregazione delle produzioni. La ricerca della certificazione delle produzioni fatte con materie prime naturali e riciclabili, provenienti da foreste rinnovabili, sono ad esperienza di molte aziende nazionali, gli elementi che caratterizzano la competizione sui nuovi mercati internazionali. Abbiamo visto negli ultimi mesi concludersi alcune ristrutturazioni che hanno riguardato importanti marchi storici veronesi da sempre impegnati nella produzione di mobili, soggiorni, camere e cucine, mi riferisco alla Maistri, che sembra avere recuperato una nuova presenza sul mercato, ma anche i marchi Le Fablier, MK Cucine e altri ancora. Invece ci stanno dando serie preoccupazioni la Minotti nuovamente fallita e la Selva per la quale si dovrà aprire una trattativa per la proroga del contratto di solidarietà. Purtroppo rimangono invariati tutti i segnali di contrazione che negli ultimi anni hanno contrassegnato il settore del legno nella bassa veronese. Cemento, Calce La stagnazione del mercato tiene dimezzata la produzione alla Cementi Rossi, da tempo ormai funziona uno solo dei due forni, nell’ultimo incontro informativo fatto a Bologna la direzione aziendale non ha fatto riserve per dire che fino a giugno si prosegue in maniera ridotta, ma se non cambiano le cose per la seconda metà dell’anno bisognerà decidere qual’cosa alludendo agli ammortizzatori sociali. Ovviamente non si parla più del nuovo investimento del forno a cicloni e anche la vicenda della concessione della nuova cava di Marezzane, che tanto ci ha tenuto in ballo con le associazioni ambientaliste, sembra congelata. Per la Villga Calce invece è intervenuto un affitto d’azienda con un nuovo soggetto industriale, Unicalce, che di fatto ha preso il 51% dell’impianto veronese, mettendo fine ad una difficoltà che oltre al settore, vedeva anche la famiglia Piovan nell’impossibilità di fare fronte ai debiti con la banche. Oggi, compatibilmente con il mercato, Unicalce dichiara di iniziare un progetto di investimenti importante che però non prevede effetti occupazionali di rilievo. La stessa Villaga Calce aveva già esternalizzato il settore dei pre miscelati al gruppo Locatelli di Bergamo attraverso la costituita società Qmix, anche questa alla ricerca di nuovi mercati. Manufatti cementizi Vista dal livello nazionale, è proprio la zona del nord-est a pagare maggiormente la crisi dei manufatti, perché in queste zone si è costruito molto più che in altre, le varie “Tremonti”, che hanno favorito la realizzazione di molti capannoni attraverso la detassazione degli utili reinvestiti, lasciano oggi le imprese senza prospettive. Per alcuni grandi gruppi il calo è considerevole, non c’è azienda che non si in CIGO e qualcuna addirittura ha terminato i 36 mesi di ammortizzatori sociali del quinquennio, per la RDB azienda con più sedi a livello nazionale, da un anno in amministrazione controllata, non si sono presentate nuove manifestazioni di interesse e il rischio è quello del fallimento entro l’anno. Anche per le altre realtà locali, Mozzo, Point e GCN il rallentamento è forte, anche se in questi casi si spera molto sulla loro capacità di essere un pò più “vicini” al mercato rispetto ai grandi gruppi, condizione che consente loro di recuperare anche tutti i piccoli lavori sul territorio. L’Edilizia L’edilizia è il settore più grande, la base della nostra azione e purtroppo è quello dove si registra la più difficile contrazione di attività. La crisi ha toccato anche le più grandi aziende veronesi, ne sono di esempio realtà strutturate che purtroppo hanno chiuso o hanno avviato procedure concorsuali come la Mazzi, la Bosco, la Prati, e la VIPP, solo quest’ultime prevede un progetto di parziale rioccupazione delle maestranze. Dopo la Soveco, già tanto chiacchierata per altre questioni, in questi giorni anche Serenissima, la Valdadige e la Viviani aprono procedure di CIGS o di Mobilità e purtroppo potrei continuare ancora. Il numero degli addetti del settore iscritti alla Cassa Edile, negli ultimi anni è passato dai 13.356 del 2008 ai 8.814 del 2013, nello stesso periodo le imprese che erano 2831 sono 1949, la massa salari è passata dai 118 milioni a 88 milioni del 2013 con un preventivo di 80 milioni per il 2014, le ore lavorate da 12,7 milioni calano a 8 milioni. La domanda sorge spontanea se questi sono i numeri, quale futuro si riserva per l’edilizia? La risposta realisticamente parlando non è entusiasmante, di sicuro non avremo più la mole di attività che abbiamo conosciuto gli anni scorsi, i dati demografici ci indicano che non c’è bisogno di costruire in maniera massiva come nel passato, sono migliaia le abitazioni invendute alle quali si aggiunge l’invenduto ad uso servizi e i capannoni industriali. Uno spiraglio è indicato nel recupero edilizio nella ristrutturazione e nel restauro, occasioni, che per le caratteristiche del nostro paese e della nostra città, possono giocare un ruolo importante. Un nuovo scenario può aprirsi sul versante delle costruzioni “Green”, ovvero la possibilità di costruire e ristrutturare con l’obiettivo del risparmio energetico, scelta che va sostenuta anche con adeguati interventi legislativi. Promuovere l’attività del settore in una nuova logica più rispettosa del territorio e dell’ambiente, sembra l’uovo di colombo, tutti gli scenari internazionali ci indicano questo nuovo approccio come una grande opportunità. In questo senso, anche a Verona, vanno chiesti interventi mirati alla riqualificazione dell’edilizia abitativa, sia pubblica sia privata, la stessa edilizia scolastica meriterebbe di essere rivalutata non fosse altro per le condizioni in cui versano molte scuole, da qui possono venire provvedimenti di vera e propria politica di sostegno al settore edile, non abbiamo bisogno solo di grandi opere ma di riqualificare quanto c’è di inadeguato. Verona e la sua provincia, meriterebbero di essere ripensate sul versante delle scelte urbanistiche e abitative, oggi la Giunta e il sindaco sono al centro di una forte polemica che coinvolge drammaticamente tutta la politica comunale, che al di là delle responsabilità personali per le quali la magistratura deve fare il proprio corso, mette in discussione le modalità con le quali negli ultimi anni si agito. Verona e provincia detengono il primato nazionale, qualcuno dice europeo, di concentrazione di aree commerciali, si è costruito e si continua a farlo senza una pianificazione che consenta un uso responsabile del territorio, una viabilità sostenibile, in sintesi senza una valutazione complessiva dell’impatto che le nuove opere hanno sulla vivibilità degli stessi quartieri. Le ultime scelte fatte sul parcheggio a raso della Fiera, dove si prevede un nuovo centro commerciale, andranno a congestionare ulteriormente un’area che di per se è già al limite nei giorni di esposizione. Le stesse riqualificazioni delle aree industriali dismesse diventano spesso occasione di moltiplicazione esponenziale dei metri cubi da costruire, come nel caso di Adige City, un grande progetto alle porte di Verona che sommato agli altri interventi che si dovrebbero realizzare sulla direttrice che va dal casello di Verona sud a Porta Nuova rischiano di fare implodere il sistema viabilistico. Per farci un idea, in quell’area sono previsti, il nuovo insediamento IKEA, il nuovo casello autostradale, Adige City, La Fiera con annesso il Nuovo centro commerciale, il vecchio Mercato Ortofrutticolo, gli interventi nell’area ex Manifattura Tabacchi, l’area degli ex Magazzini Generali, L’area ex Cartiere con Porta Sud e per finire (forse!), tutta l’area del deposito Ferroviario. Immaginate l’enormità delle operazioni immobiliari che premono sulla nostra città percorrendo una sola direttrice di non più di 4 km. Ho fatto solo un esempio che riguarda una parte della città, ma che potremmo fare su molte altre aree e quartieri, a partire dai quelli coinvolti nel progetto previsto del traforo delle Torricelle, altra opera discutibile prevista a Verona. Nella situazione economica descritta mi chiedo: possiamo continuare a costruire nella nostra città senza pianificazione? Possiamo immaginare una azione indiscriminata guidata solo dagli interessi di pochi? E chi sono questi pochi disponibili a investire in questo momento di difficoltà su tali opere? Le domande potrebbero continuare e sicuramente avrebbero bisogno di una risposta che purtroppo anche la politica e le istituzioni sembrano non voler dare. Verona è una città storica, che merita la giusta attenzione sul tema della tutela del suo patrimonio. Verona patrimonio dell’Unesco, un riconoscimento che significa una precisa responsabilità, ovvero, saper trasformare questo in opportunità, a partire dalla specializzazione del settore edile sul versante del restauro, dobbiamo saper coniugare l’antico con le nuove tecnologie. Anche la provincia è interessata da iniziative discutibili, di una se ne parla molto meno di qualche tempo fa, forse a causa delle difficoltà economiche o dei ricorsi che stanno interessando le autorizzazioni per la realizzazione del progetto. E’ il Motorcity, che si dovrebbe inserire tra i comuni di Vigasio, Nogarole Rocca e Trevenzuolo, rimane un’opera faraonica ad altissimo impatto ambientale, anche qui ci chiediamo se sono stati valutati tutti i pro e contro se la politica vuole giocare un ruolo responsabile, oppure se si è rassegnata alle mere logiche speculative. Se si realizzerà questo progetto, verrà dilapida una sterminata quantità di territorio tradizionalmente vocato all’agricoltura, si aprirà una grande problematica sulla viabilità con conseguenze oggi non prevedibili anche sulla qualità del vivere in quella zona. E’ vero, da una parte abbiamo bisogno di reggere il settore e di lavorare, dall’altra non possiamo pensare di farlo a qualsiasi costo e per fare qualsiasi cosa, di prestarci a giochi speculativi e di parte, anche la politica deve riprendere il ruolo di programmare e indicare le priorità. LA BILATERALITA’ VERONESE La crisi si abbatte anche sul sistema bilaterale, la riduzione delle risorse in Cassa Edile condiziona la stessa attività di tutti gli enti per questo, a livello Veneto è iniziata la discussione sulla possibilità di costituire una Cassa Edile Regionale dell’industria e si sono già presi gli impegni che nel tempo indicano le modalità per partire. Ovviamente la scelta deriva dalla situazione di crisi del sistema, dopo un doveroso approfondimento fatto con esperti del settore che da anni si occupano della revisione dei nostri bilanci, emerge la situazione di difficoltà di alcune strutture che si trovano con una limitata disponibilità di liquidità che potrebbe impedire la stessa erogazione delle prestazioni assistenziali. Su questo versante la Cassa Edile di Verona mantiene una salda situazione patrimoniale una buona liquidità e una gestione caratteristica che può essere rimessa in equilibrio con alcuni piccoli aggiustamenti. Il vero problema e legato alla prestazione APE che per effetto della scelta di ridurne le riserve se ne sono abbassate le aliquote e oggi senza un loro adeguamento potremmo in due anni andare in sofferenza. Senza trascurare la questione più in generale delle Casse Edili, ritengo che sia la partita dell’APE il problema più serio che oggi è oggetto di contrattazione nella discussione del Contratto Nazionale. Una delle ultime proposte dell’ANCE ne indica una profonda modifica, ovvero di passare da 2100 a 2600 ore per averne diritto, oltre che a prevedere un sistema solidaristico nazionale per pagarne le prestazioni e per rimettere in equilibrio le aliquote. Se da una parte le motivazioni per la costituzione di una Cassa Edile regionale sono più che comprensibili, dall’altra mancano ancora i riferimenti per capire con quale ruolo si potrà operare a livello provinciale, quale autonomia contrattuale rimane in capo alle provincie e quali compiti vengono assunti dal regionale. Da una unica gestione delle risorse si può generare una economia di scala, ma restano da definire gli assetti relativi al personale, questione che non è sicuramente trascurabile. Inoltre non è chiaro il destino delle riserve e dei patrimoni di ogni provincia, sui quali ritengo debbano rimanere delle agibilità a livello provinciale, condizione senza la quale si renderebbe difficile anche un confronto con la nostra naturale controparte che è l’ANCE. Anche noi a Verona non siamo stati ad osservare la situazione e per questo per reggere la pressione della crisi abbiamo ipotizzato delle soluzioni a partire dal fatto che il sistema bilaterale veronese si deve mettere in rete, una rete tra gli enti stessi, Cassa Edile, ESEV, CPT e Fondazione, per una più efficace economia di scala. Abbiamo avviato unitariamente una discussione con l’ANCE che ha questo obiettivo, quello di riportare alla sostenibilità e al miglioramento il sistema bilaterale, siamo a buon punto e nei prossimi mesi ci saranno le prime scelte operative. Quindi in rete tra di noi, ma anche in rete con le altre esperienze formative e istituzionali della provincia, dove si possa collaborare attivamente, ognuno con le proprie prerogative, ma nello scambio delle eccellenze che ogni esperienza porta in se. Anche il personale degli enti è stato coinvolto in questa necessaria elaborazione e ad oggi possiamo dire che pure nella preoccupazione di quello che potrà riservarci il futuro, abbiamo riscontrato il giusto entusiasmo per poter cambiare e mettersi a disposizione da parte di tutti. L’attività dell’ESEV, del CPT di Verona sono punti di riferimento e di eccellenza a livello Nazionale, e possono vantare anche a livello veneto la positività delle loro esperienze, infatti attraverso le attività di coordinamento emergono positivamente i risultato raggiunti, per questo, penso che questi enti, anche per ragioni economiche, vadano responsabilmente aperti al mercato, ne hanno le caratteristiche e possono sicuramente giocare un ruolo importante. Tra le prossime attività penso sia indispensabile proprio in questo frangente, fare partire la Borsa Lavoro e trovare le risorse per i corsi di riqualificazione dei lavoratori espulsi dal settore. Inoltre, ritengo che il progetto relativo alla realizzazione dell’Osservatorio sulle Costruzioni, finanziato dalla Cassa Edile e al quale collabora anche il CPT, sia da rilanciare, magari con una rimodulazione del compito tenendo conto che è sempre più pressante l’aspetto della regolarità delle imprese e dell’iscrizione dei lavoratori alla Cassa Edile, i dati ci dicono che tra tutte le deleghe dell’edilizia che presentiamo solo il 50% si attivano ed è evidente che si tratta di risorse economiche che vengono meno a tutto il sistema. Abbiamo discusso anche sul ruolo della Fondazione Edilscuola, una prerogativa tutta veronese che ci affida anche una maggiore responsabilità nella gestione di un importante patrimonio immobiliare. Nella revisione dello statuto la vorremmo orientata a nuove esperienze, attenta alla trasformazione e alla innovazione del settore, alla necessaria collaborazione con settori analoghi o della filiera delle costruzione ci piacerebbe farla diventare un luogo di promozione dove magari vengono finanziate anche ricerche e borse di studio inerenti alle costruzioni, all’edilizia. Mi permetto di guardare avanti e di lanciare anche una provocazione, ritengo che per i nostri enti bilaterali, una partita molto importante si dovrebbe giocare sulla unificazione del sistema, e mi riferisco alla possibilità di mettere insieme il mondo Industriale con quello dell’Artigianato. Se a livello Nazionale il FORMEDIL funge da catalizzatore di esperienze, non capisco perché a livello locale non possano essere trovati gli equilibri per poter offrire insieme un intervento comune sulla sicurezza e sulla formazione a tutto vantaggio del settore edile, una collaborazione funzionale alla copertura dei costi della nostra scuola e al risparmio per le stesse aziende artigiane, è ovvio che per fare questo serve una precisa volontà politica, e se questo adesso viene considerato impossibile o troppo azzardato, spero lo si possa comunque nel bene del settore, averlo come obiettivo dei prossimi anni. Tutto questo non è frutto solo del caso ma della volontà di uomini che sono orientati a questo compito, per questo mi sento di ringraziare i direttori, i presidenti, i vice presidenti e tutti i componenti dei consigli di amministrazione dei nostri enti che stanno collaborando attivamente a questo comune obiettivo. Permettetemi inoltre di ricordare uno di questi uomini, che purtroppo l’anno scorso ci ha lasciato a causa di in un drammatico incidente stradale, Ruggero Tosi, con lui avevamo avviato parte di questa discussione e lui stesso si era messo a disposizione per rivedere l’assetto direzionale degli enti, a lui va il nostro ricordo di amico, spesso ruvido nelle relazioni, pur sempre uno che si è speso per il nostro settore. LA FILLEA DI VERONA Nei quattro anni che ci separano dal precedente congresso ci siamo impegnati a migliorare la nostra organizzazione su alcuni aspetti con soddisfazione ci siamo riusciti, su altri molto c’è ancora da fare. Provo a sintetizzare la nostra attività con alcun numeri che danno il peso del lavoro svolto. Attraverso la contrattazione ai vari livelli prendendo di riferimento il 2013, abbiamo fatto 597 accordi sindacali, 28 aziendali riguardanti varie tematiche dal Premio di Risultato, all’orario di lavoro, alle stabilizzazioni, 347 accordi CIGO, 27 di CIGS, 20 di Mobilità, 3 contratti di solidarietà e 148 di CIG in deroga, sono stati 68 gli accordi individuali (ex art. 411 c.p.c.). Sempre nel 2013, a causa dei processi di ristrutturazione e dei licenziamenti abbiamo iscritto in collaborazione con il patronato INCA, 635 lavoratori, di cui 487 per ASPI, 164 per Mobilità. Nello stesso periodo abbiamo raccolto 238 vertenze, erano 85 nel 2012, 68 nel 2011, 122 nel 2010. Abbiamo rafforzato la nostra presenza nei recapiti di zona settimanali, sollecitati anche dai funzionari che ci segnalano una crescente domanda di tutela individuale e di vertenzialità. Sul versanti degli iscritti nel 2013 abbiamo raccolto ben 1783 nuove adesioni, così distribuite: Edilizia n° 1026 se ne sono attivate 522 + n° 26 brevi manu Legno n° 70 Manufatti n° 18 Lapidei n° 25 Cemento n° 0 Disoccupazione n° 502 Mobilità n° 166 Chiudiamo il 2013, con n° 4678 iscritti di cui n°1074 migranti e n°68 donne. Il dato di ripartenza del 2014 sconta un turnover significativo., ripartiamo con ….. Nonostante questi numeri e questa attività, la FILLEA di Verona segna una difficoltà economica, evidenziata nei preconsuntivi del 2013 e nel preventivo 2014, numeri e dati già inviati alle nostre strutture di riferimento con le quali dobbiamo avviare un confronto propedeutico alla ricerca della soluzione più opportuna per riportare in equilibrio la nostra struttura. E’ quindi necessario che la nuova segreteria, eletta dopo il congresso, presenti un nuovo piano di lavoro capace di affrontare tutte queste trasformazioni, per questo chiediamo ai centri regolatori la massima collaborazione, per avviare nuovi progetti e sostenere quelli in essere che stanno portando risultati importanti, dovremo pianificare un nuovo assetto delle responsabilità di settore e dei compiti di tutti, è venuto il momento di un’efficace riorganizzazione e l’azione deve partire prima di tutto da noi stessi. IL GRUPPO DIRIGENTE FILLEA Non possiamo esimerci da una preoccupante constatazione, in questi quattro anni abbiamo a fatica conservato il nostro gruppo dirigente. A causa della chiusura di importanti aziende o nel loro ridimensionamento abbiamo perso numerosi delegati, pure non mancando le occasioni di nuove nomine e nuove RSU, facciamo fatica a coinvolgere le poche donne presenti in categoria, alle quali tra l’altro, la CGIL dedica una delle 11 azioni del documento programmatico, la stessa difficoltà la troviamo nel coinvolgimento dei giovani e dei migranti. Per la tenuta complessiva dell’organizzazione, la costruzione del gruppo dirigente, deve essere un degli obiettivi sui quali ci dobbiamo concentrare, avere un gruppo consolidato e affiatato che coglie le opportunità del rinnovamento, ci consente di tenere alto il presidio in tutta la provincia. Per questo non vanno mancate le occasioni di nuova sindacalizzazione, dobbiamo accompagnare tutte le procedure di ristrutturazione e in questi casi vanno sempre elette le RSU, anche solo per un rapporto trasparente e democratico con i lavoratori. Purtroppo, presi dalla gestione ordinaria, non siamo stati in grado di offrire una adeguata formazione/informazione a tutto il gruppo dirigente FILLEA, per questo dobbiamo assegnare, nel nuovo assetto degli incarichi, la responsabilità di questo prezioso lavoro che va svolto per dare ai nostri delegati gli strumenti sindacali minimi. LA FILLEA E I SERVIZI CGIL Nella nostra organizzazione è sempre più importante il ruolo del sistema dei servizi, con loro abbiamo consolidato una attività che ci porterà sicuramente a dover prevedere una revisione degli organici, in una logica di crescita e di integrazione con le categorie. Riscontro positivamente che, al di la di alcuni episodi di incomprensione, la loro preziosa collaborazione ci ha portato a grandi risultati, a partire dall’ INCA, il nostro patronato, con il quale abbiamo raggiunto un numero di pratiche e di iscritti che ho già illustrato in precedenza, ritengo di dover sottolineare la loro competente consulenza su cui sappiamo di poter contare. Il CAAF, al quale chiediamo una presenza più costante, ma con il quale, per nostre difficoltà, non riusciamo a costruire quella rete i delegati sempre più necessaria a consolidare nei luoghi di lavoro e nei recapiti un più puntuale servizio ai nostri iscritti e ai lavoratori in generale. L’ufficio VERTENZE che, oltre al consolidato rapporto con lo studio dell’Avv. Amedeo Bufi, è un nostro punto di riferimento per l’attività, il confronto e la collaborazione con loro ci consente di essere pronti ad affrontare le sempre più incalzanti novità sul fronte legale. Su questo tema, con la CGIL, abbiamo anche iniziato un confronto per verificare la fattibilità di unire le due esperienze, con il graduale passaggio dell’attività vertenziale della FILLEA all’ufficio vertenze della CGIL, in modo da consentire lo sgravio dell’ attività vertenziale in carico ai funzionari di categoria. Lo sportello SALUTE, che ci consente la consulenza e l’aggiornamento in merito alle questioni della sicurezza, sia ai funzionari che agli RLS aziendali, anche in questo caso la competenza e la puntualità caratterizzano il rapporto e la collaborazione con la nostra categoria. Il servizio ai MIGRANTI resta per noi molto importante, la FILLEA è una categoria che ha un quarto degli iscritti che non sono italiani, i quali, a causa di una legge rigida e vessatoria, sono obbligati a rapportarsi frequentemente con la Questura e le nostre istituzioni per molte vicende individuali o familiari. Con lo sportello EBAV e il settore dell’ARTIGIANATO è iniziata una collaborazione attiva, pure rimanendo perplesso su alcune scelte di carattere confederale che riguardano il settore, ritengo che ci sia tutta la convenienza di sviluppare questo lavoro comune, magari anche rafforzato dalla presenza delle categorie interessate, una condizione che potrebbe diventare una valida sperimentazione per il settore. I RAPORTI UNITARI La condizione dei rapporti unitari nella nostra categoria è evidenziata da una naturale competitività, questo consente di mantenere una positiva attenzione alle problematiche dei vari settori che ci vedono validi protagonisti a partire dalla gestione delle crisi aziendali più importanti. Le frequenti discussioni in merito alla questione delle disdette ci devono aiutare a competere con rispetto, ed è questo un invito che faccio in primo luogo ai miei funzionari, restare attenti alle dinamiche relative alle iscrizioni significa riflettere più complessivamente sul lavoro fatto e quello da fare, anche per migliorare su piano della trasparenza. Per questo abbiamo trovato insieme a FILCA, FENEAL e alla Cassa Edile, una nuova modalità per mantenere il migliore rapporto di chiarezza possibile tra le organizzazioni sindacali e gli iscritti, inviando ad ogni lavoratore, contestualmente all’attivazione della delega sindacale, la comunicazione di avvenuta iscrizione al sindacato con la copia della delega che lui ha firmato. Più volte ho avuto modo di affermare una cosa scontata, ovvero, che se un lavoratore iscritto ad un altro sindacato mi chiede di iscriversi alla Fillea avrà da me tutta la stima e la condivisione, ma che ritengo uno spreco di energie e un pregiudizio all’attività unitaria, la ricerca sistematica delle disdette nei cantieri. Unitariamente abbiamo fatto molte iniziative e molte altre sono in progetto, per sua natura una categoria impegnata storicamete nella bilateralità deve fare quotidianamente i conti con le necessarie mediazioni, deve recuperare relazioni, farsi carico, dopo le fasi di confronto aspro e serrato, della ricerca dei giusti equilibri tra le diverse impostazioni sindacali, per me e per tutta la Fillea di Verona questo deve essere un preciso e costante impegno. PER CONCLUDERE Spero che queste mie righe siano state interessanti, utili almeno ad evidenziare le trasformazioni avvenute e le proposte per cambiare in meglio la nostra società e il mondo del lavoro, per alzare ed estendere il livello dei diritti e delle tutele per tutte le lavoratrici e i lavoratori. Nel precedente congresso abbiamo detto a più voci che “la crisi ci cambierà, e non saremo più quelli di prima” devo constatare che siamo già molto diversi! (e non sono solo per i capelli più bianchi!). In ogni caso la sfida è aperta. A partire da questo congresso noi vogliamo continuare a fare la nostra parte. Grazie dell’attenzione e buon lavoro a tutti.

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