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Numero Zero Sindacato Nuovo, aprile 2019. XVIII Congresso Fillea. il lavoro torni protagonista, serve un nuovo patto per il Paese. Di Alessandro Genovesi.

"Il XVIII Congresso Cgil
 ci consegna una sintesi positiva e unitaria che tiene conto delle diverse storie e pratiche sindacali. Soprattutto ci consegna una sfida enorme rispetto al domani per un nuovo protagonismo del
sindacato e del lavoro.

Una sfida di “reconquista popular” per dirla con Allende, di un protagonismo dei lavoratori, prima di tutto, in una stagione economica difficile, in cui la rappresentanza politica è in riorganizzazione ed il Governo, al di là di singoli provvedimenti, assume una visione “povera” della democrazia, autoritaria nei rapporti sociali e culturali, liberista in economia e più propensa alla comunicazione che non a risolvere problemi.

La Cgil ha tutte le condizioni per essere incisiva, per colmare anche il gap che in questi anni abbiamo registrato tra sforzi generosi di contrasto alle scelte non condivise e risultati (pochi) concreti.
Con quali coordinate? Prima di tutto culturali e pedagogiche.

Siamo, nella nostra autonomia programmatica, parte di un campo valoriale e politico che deve essere protagonista della ricostruzione di un pensiero di sinistra che affermi il tema della giustizia sociale come collante del Paese. Non dobbiamo farci partito ma alimentare alleanze: sociali (unità con Cisl e Uil), politico-istituzionali (con le diverse forze disposte a rimettersi a disposizione di un disegno di emancipazione dei lavoratori, con il civismo, ecc.) che ci facciano portare a casa, pur con gradualità, Piano del Lavoro e Carta dei Diritti.

Su questo dobbiamo saper mostrare ad iscritti e simpatizzanti gli errori del Governo, le cose non fatte, le grandi ingiustizie che si celano dietro l’incentivazione alle Partite Iva, Flat Tax, l’assenza di politiche industriali e gli attacchi al welfare universalistico. La manifestazione del 9 febbraio è stata importante anche per questo. Occorre darle continuità.

Come Fillea lo abbiamo fatto con lo sciopero unitario del 15 marzo, con una piattaforma coerente e la richiesta di “più lavoro, sostenibile e di qualità”.


Le seconde coordinate devono essere sindacali e contrattuali. Dobbiamo assumere noi il tema di quale competitività per quale ripresa, per quale redistribuzione (di risorse, salario, diritti). Quindi potere. Per aggredire il nodo di fondo dell’attuale crisi economica che è anche crisi democratica: l’eccesso di disuguaglianze è diventata paura, rabbia, razzismo, sfiducia nell’impegno collettivo. Dobbiamo contrattare “ricomposizione ed innovazione”.

Non tanto la quantità, ma la democraticità delle trasformazioni (e quindi redistribuzione di produttività, ma anche formazione, diritto all’accesso, orari e professionalità), di “chi contratta cosa nell’algoritmo” come grande questione democratica e di partecipazione.
Da qui una nuova stagione di contrattazione collettiva, una nuova stagione per strumenti bilaterali che ricompongano la discontinuità, una nuova dimensione del territorio e della stessa azione confederale, come abbiamo provato a dire al nostro Congresso di Napoli.

Per questo ritengo che occorra passare dal “patto per la fabbrica” (dove produttività e competitività sono meramente confinate dentro i muri, fisici o digitali, di singola filiera) al “patto per il Paese” e respingere ogni tentativo di introdurre un salario minimo legale che depotenzierebbe la funzione dei Ccnl, in un paese che soffre di bassa produttività e investimenti e che, per diffusione delle piccole imprese, garantisce la contrattazione di II livello solo al 18% dei lavoratori. La competitività è data dagli investimenti pubblici e privati, di medio termine e programmati.

È data dalle infrastrutture materiali (opere pubbliche, manutenzione, lotta al dissesto, rigenerazione urbana) e da quelle di approvvigionamento energetico, da  quelle immateriali (scuola, università, ricerca) e da quelle a forte valenza anti ciclica (dalle costruzioni alla sanità) per evitare di continuare a competere esclusivamente riducendo i salari, alimentando eserciti di lavoratori precari o in nero. Questa è la vera scommessa quando parliamo di economia circolare e sostenibilità. 

Qui rivedo i termini, certo nuovi, per quel Patto tra Produttori che liberi la “Città dei lavori” e che non riproponga in termini neo corporativi alleanze strumentali con Confindustria o con l’attuale sistema bancario (le cui responsabilità sono enormi), ma sia invece terreno di scontro anche per “nuove radicalità”, per rompere il patto “gramscianamente rovesciato” che l’attuale Governo propone al Paese. E che potremmo semplificare in “evasori del Nord uniti ai beneficiari di assistenza del Sud, tutti contro l’Europa ed un destino cinico e baro”. 

Occorre sfidare quella parte di capitalismo innovativo per una battaglia da fare con le giovani generazioni, oggi disoccupati “giramondo” per necessità, assumendo la voglia di riscatto dei lavoratori del Sud, delle forze vive del sapere, di chi vuole ridare protagonismo ad uno Stato Innovatore.


Vedo allora un filo rosso tra le nostre battaglie e il rilancio del Sud come porta naturale del Mediterraneo, tra la questione da noi posta della “riconnessione” fisica e simbolica del Paese con l’Europa e la sfida democratica, tra la nostra idea di rigenerazione e riconversione ambientale delle città e la passione che ha portato migliaia di studenti in piazza, nel mondo, sull’ambiente. Alternativa vera a quella secessione dei ricchi e del Nord (dove già oggi si concentrano il 70% degli investimenti pubblici e privati) o della salvezza individuale contro un destino che potrà essere, invece, solo comune.

Dando al nostro Paese un ruolo nuovo per contrattare un’Europa diversa: mille Piani Juncker che investono sul lavoro per riprenderci non solo una funzione politica - come Europa in un mondo che alza muri - ma per riprenderci la nostra anima.

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