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Sindacato Nuovo, numero 1, Agosto 2019. La nostra rubrica "la storia siamo noi" ricorda Tammaro Cirillo, edile ammazzato dalla camorra 39 anni fa. Il racconto di Giovanni Sannnino, ex segretario generale Fillea Campania e Laura Cirillo, figlia di Tammaro.

“Coniugare la difesa dei diritti dei lavoratori edili, la loro tutela, con l’affrancamento di un settore tanto esposto e vulnerabile, quanto strategico per l’assetto economico del Paese.  Una sfida raccolta e rilanciata dalla Fillea e dalla Cgil. Una categoria, suo malgrado, ancora oggi molto vicina a malversazione istituzionale, a politiche affaristiche, al cappio insopportabile del pizzo e del racket, a fenomeni di corruzione che si scaricano sulle distorsioni proprie del settore edile: subappalto smodato, cottimo illegale, massimo ribasso, fino al dumping contrattuale.
 Distorsioni che mortificano le tante potenzialità produttive e sociali del settore in grado di ricucire materialmente e democraticamente il Paese.

La Fillea muove da qui la sua azione a difesa e valore di un settore e di chi vi lavora. Missione non facile e non priva di difficoltà e impedimenti. Non per ultimo il decreto sblocca cantieri o più esattamente sblocca porcate, con la messa in discussione dei presìdi della sicurezza, l’estensione del subappalto, la “legalizzazione” del dumping contrattuale.

Il contrario di quello di cui si ha bisogno.
Un vero e proprio “regalo” a caporali e imprenditori senza scrupoli pronti a tutto pur di difendere il loro maledetto profitto, le loro connivenze, concessive e corruttrici, con la criminalità organizzata. Gli stessi che quella sera, quel dannato 2 luglio di 39 anni fa, entrarono nella cucina della casa dei Cirillo e fecero fuoco, ferendo gravemente Tammaro che dopo ventuno giorni di agonia, a soli 38 anni, si spense in un letto di ospedale.

Tammaro aveva un profondo senso di libertà e di giustizia, che rifuggiva dall’indifferenza di fronte agli abusi e ai soprusi, che non girava la testa dall’altra parte, amante della legalità. E cosi fece quando su quel cantiere a Villa Literno, dove operava la ditta Sled, si volle imporre il subappalto illegale, la fornitura di “stramacchio”, il cottimo a mo’ di sfruttamento, senza diritti e senza contratto, l’assenza delle più elementari norme di sicurezza e di salubrità ambientale. Segnali di un’occupazione criminogena di un luogo di lavoro proprio del territorio. Tammaro, forse, si accorse troppo tardi di chi aveva di fronte e non ebbe il tempo di pensare alla sua famiglia, né a se stesso. 

Milita nel Pci, conosce il sindacato, la Fillea, ne diventa, fieramente, delegato e, come in una trama di un film, soccombe alla barbarie camorristica proprio il giorno della sua nomina, dopo quell’assemblea durante la quale diffida l’Azienda a non ricorrere a quei subappalti e ne chiede l’espulsione dal cantiere. 

La “cupola” sceglie proprio quel giorno per dargli “una lezione”: potenza dei simboli che la criminalità utilizza per affermare il suo dominio. 

La stampa non trascura l’avvenimento. L’Unità in quei giorni ne riepiloga i fatti parlando di mafia e camorra.
La Fillea di Caserta e della Campania ne ricordano la figura. Sono impegnate a sostenere la richiesta di riconoscimento di vittima di camorra e di mafia avanzata dalla famiglia. La Fillea nazionale gli intesta una sala riunioni nella sede nazionale. 

Bei gesti, non formali, sintomi di una vera solidarietà e condivisione di un’Organizzazione che si vuol sentire comunità. Gesti che acquistano maggior valore e significato nell’inverarsi in una meritoria battaglia contro il tentativo di far arretrare le conquiste dei lavoratori e del sindacato, proprie di quelle per cui lottava e moriva Tammaro. 

INTERVISTA A LAURA, FIGLIA DI TAMMARO CIRILLO

 Allora Laura, che ricordi hai di tuo padre? 

Belli, come era bello lui. Sempre a posto con la cura della sua persona. E come contrasta questa sua “mania” con la brutalità del suo assassinio.

Vi parlava del suo lavoro e di quello che succedeva sul cantiere? 

Sì, amava coinvolgere la famiglia nelle cose che faceva sul lavoro. Forse proprio per questo pensava che non si sarebbe arrivato a tanto, a quanto poi successe quella maledetta sera. 

Ma sapeva che poteva mettere in pericolo se stesso e anche la famiglia? Voi lo avvertivate questo pericolo? 

Guarda, noi sapevamo che lui era “capa tosta” e non gli piacevano le altrui angherie. D’altronde era fiero della sua fede politica, era comunista, e lo entusiasmava la militanza sindacale, ma non avrebbe mai rischiato di perdere la sua famiglia, a cui non faceva mancare nulla nonostante le ristrettezze economiche. Non pensava di morire per quel suo impegno. Sentiva di essere carismatico ed era convinto di far bene. 

Come passava le giornate, stava più in famiglia o fuori con gli amici e compagni? 

Dopo il lavoro, veniva a casa, si preparava per bene e poi andava in piazza e si tratteneva con amici e conoscenti. Quella sera, alle 21.30 fu l’ultima volta che rientrava a casa come faceva di solito. Gli spararono mentre mia sorella Maria guardava la tv. 

In ospedale, di quei 21 giorni, che ricordi hai? 

Sfocati. Lui non parlava, non ci volle dire nulla. Rassicurava la mamma che tutto si sarebbe risolto e invece la cancrena lo divorò. E continuava a dire, come per giustificarsi, che non aveva avuto nessun avvertimento da quei “traditori”. Però io sono sicura che, anche se avesse avuto qualche avvisaglia, non avrebbe mollato la sua battaglia. 

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