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SIndacato Nuovo, numero 2, novembre 2019. L'editoriale di Alessandro Genovesi, segretario generale Fillea Cgil                                                                                                                        

Il Paese ha una nuova maggioranza di governo dopo una crisi parlamentare positivamente risolta secondo le regole della stessa Carta costituzionale. Ora, però, la sfida del nuovo “Conte Bis” e dei partiti che lo sostengono è dimostrare, concretamente, una discontinuità rispetto alle scelte passate, basate fondamentalmente sul continuo cavalcare le paure senza però ridurre di un minimo le grandi disuguaglianze sociali. Quelle disuguaglianze che sono alla base del tanto malessere che, non da oggi, ha indebolito la nostra democrazia.

Per la Fillea e per tutto il movimento sindacale – Cgil, Cisl e Uil in testa – discontinuità vuol dire rimettere il lavoro al centro, creare occupazione stabile e dignitosa, garantire concretamente il diritto all’istruzione, alla cura, alla cultura. Certo, non si possono fare miracoli, le disponibilità della finanza pubblica sono quelle che sono e, dopo tanta semplificazione, tornare a trattare problemi complessi con serietà e con la consapevolezza che servono risposte altrettanto complesse è già un buon inizio.

Come un buon inizio è la ripresa, di fatto, di un confronto tra governo e forze sociali dopo tanti anni di reciproche, delegittimazioni (i partiti a pensarsi autosufficienti, in una continua disintermediazione; i sindacati a far intendere di essere “altra cosa” rispetto alle classi dirigenti del Paese...).

Per la Fillea Cgil, insieme a Filca Cisl e Feneal Uil, questo vuol dire ripartire dal rilancio del settore delle costruzioni, all’interno di un modello di sviluppo più avanzato e sostenibile, che magari trasferisca, in un’Europa da cambiare, la battaglia per scomputare gli investimenti dal patto di stabilità. Con questo obiettivo, i Direttivi unitari hanno proclamato per lo scorso 15 novembre una Giornata di mobilitazione nazionale in 100 piazze.

Dopo il decreto sblocca cantieri, del resto, nulla si è sbloccato e gli ottocentomila lavoratori della filiera delle costruzioni, che hanno perso il posto in questi anni, sono ancora disoccupati. Per far ripartire gli investimenti e i cantieri non serve allora ridurre tutele, diritti e trasparenza, servono una programmazione seria di medio periodo, l’individuazione di strumenti per l’accelerazione della spesa, un ruolo più deciso di Cassa depositi e prestiti e delle banche (come abbiamo provato a dire anche nella recente iniziativa di giugno), la riforma degli incentivi per ristrutturazioni, bonus energetico, antisismico con un’attenzione particolare alle piccole e medie imprese, le tutele per i dirigenti pubblici che mettono a gara nuovi lavori contro i rischi di danno erariale e di contenzioso amministrativo, la valorizzazione dei lavoratori e dei contratti collettivi, con particolare attenzione alla salute e sicurezza.
Insomma serve un vero e proprio Percorso di Legislatura tra forze sociali e governo per intervenire sui nodi veri che hanno reso asfittico il settore delle costruzioni, così strategico per la ripresa economica e per la sostenibilità ambientale delle nostre città. Bene quindi concentrarsi sulla prossima legge Finanziaria come primo segnale di un’inversione di tendenza, ma altrettanto importante sarà una visione di medio periodo, una programmazione condivisa, che indichi in maniera chiara che, se il Paese vuole competere nel mondo, deve recuperare un di più di qualità e di innovazione, a partire da un moderno sistema infrastrutturale che abbatta i costi logistici e rimetta il Mezzogiorno al centro.
Contemporaneamente serve declinare il cosiddetto “green new deal” con proposte concrete a partire da un recupero massivo del costruito, rigenerando città e quartieri e mettendo in sicurezza il nostro fragile Paese. La principale alternativa a una competizione che negli anni si è scaricata solo sui lavoratori, riducendo i salari, aumentando precarietà, infortuni e lavoro nero, è infatti una politica che aggredisca il nodo di una produttività di sistema tra le più basse di Europa e, per farlo, servono politiche industriali all’altezza della sfida che abbiamo di fronte.
Come sindacato siamo pronti a fare la nostra parte, assumerci le nostre responsabilità, avanzare proposte e vigilare perché poi gli impegni diventino fatti. Su questo ci giocheremo nei prossimi mesi il futuro del Paese, la qualità della convivenza civile, un “pezzetto” di democrazia.

 

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