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Sindacato Nuovo, numero 2 novembre 2019. Nell'aprile 2019 approvato definitamente il Regolamento che istituisce l'Autorità europea del lavoro. Ne scrive Silvia Borrelli, dell'Università degli Studi di Ferrara.

L’iter legislativo del Regolamento è stato sorprendentemente breve: il 13 settembre 2017, nel suo discorso annuale sullo Stato dell’Unione, Junker annunciava la creazione di un’Autorità europea del lavoro; nel marzo 2018 veniva presentata la proposta della Commissione; il trilogo per l’approvazione finale durava solo due mesi, da febbraio ad aprile 2019. La rapidità nell’approvazione del Regolamento dimostra la convergenza di opinioni circa l’esigenza di promuovere “l’effettiva applicazione ed esecuzione del diritto dell’Unione in materia di mobilità dei lavoratori sul territorio dell’Unione e di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale all’interno dell’Unione” (art. 1 § 2).

Questo obiettivo può però essere declinato in diversi modi. E difatti i compiti che spettano all’Autorità sono vari. Da un lato, essa dovrebbe facilitare l’accesso alle informazioni sui diritti e gli obblighi riguardanti la mobilità dei lavoratori, anche gestendo l’ufficio di coordinamento di Eures, il portale europeo di mediazione tra domande e offerte di lavoro (https://ec.europa.eu/eures/p ublic/it/homepage). Dall’altro, l’Autorità dovrebbe facilitare la cooperazione e lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e coordinare e sostenere ispezioni concertate e congiunte, al fine di contrastare le frodi transnazionali. L’Autorità sarà inoltre supportata dalla Piattaforma europea sul lavoro non dichiarato che dovrà rafforzare lacooperazione tra le autorità nazionali al fine di contrastare in modo più efficiente ed efficace il lavoro non dichiarato, anche nei suoi aspetti transfrontalieri. 

Un primo problema riguarda la mole dei compiti affidati all’Autorità, in relazione al personale e al budget di cui questa sarà dotata. Nel 2024, quando l’Autorità funzionerà a pieno regime, disporrà di 144 funzionari, di cui 60 saranno esperti distaccati dagli Stati membri. Considerando che, nel 2017, i lavoratori migranti all’interno dell’Unione europea erano 9,5 milioni e che sono stati rilasciati 2,8 milioni di certificati A1, è evidente che i compiti dell’Autorità non saranno facili.

L’efficacia dell’azione dell’Autorità dipenderà poi dal grado di cooperazione degli Stati membri. Come detto, l’Autorità dovrà agevolare gli scambi di informazioni tra le autorità nazionali, anche promuovendo l’impiego di strumenti di data exchange (come l’Internal Market Information System o l’Electronic Exchange of Social Security Information) e la possibilità di utilizzare meccanismi di data sharing. Tuttavia, di fronte a uno Stato che ritarda nell’invio di informazioni, invia informazioni lacunose, o rifiuta di cooperare, l’Autorità potrà solamente segnalare tale condotta alla Commissione che, finora, non si è dimostrata affatto solerte nei confronti dei paesi inadempienti dell’obbligo di leale cooperazione.

I limiti dell’Autorità per il lavoro sono ancora più evidenti in relazione alle ispezioni concertate (i.e. ispezioni effettuate simultaneamente in due o più Stati riguardanti casi correlati) e congiunte (i.e. ispezioni effettuate in uno Stato con la partecipazione delle autorità nazionali di uno o più Stati). In tal caso, infatti, qualsiasi Stato può rifiutarsi di partecipare a un’ispezione, con il solo obbligo di comunicare all’Autorità e agli altri Stati coinvolti le ragioni di tale scelta. Ci si auspica che, nella sua futura giurisprudenza in materia di distacco, la Corte di giustizia prenda in considerazione il rifiuto di uno Stato di partecipare alle ispezioni congiunte e concordate, e in generale il mancato rispetto del dovere di leale cooperazione (art. 4 Tue). Condotte di questo tipo potrebbero infatti mascherare frodi o abusi. È quanto accaduto, ad esempio, nel caso Altun, in cui la Corte di giustizia ha autorizzato il giudice belga a ignorare i certificati A1 ottenuti dall’ente di sicurezza sociale bulgaro “in modo fraudolento”, in quanto le autorità bulgare competenti non avevano proceduto, entro un termine ragionevole, al riesame della fattispecie. Nel caso di specie, i certificati A1 erano stati rilasciati a società registrate in Bulgaria, ma che nel paese in questione non svolgevano alcuna reale attività. In virtù dei certificati A1, i contributi sociali per i lavoratori assunti dalle società “bulgare” che venivano distaccati in Belgio continuavano a essere versati in Bulgaria (secondo la legislazione sociale bulgara).

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia, il certificato A1 può essere revocato solo dall’autorità del paese che lo ha rilasciato. Tuttavia, è questa la novità del caso Altun, qualora le autorità del paese di distacco riescano a fornire prove da cui risulta che i certificati sono stati ottenuti in modo fraudolento (i.e. fornendo informazioni false sulla situazione del lavoratore distaccato o dell’impresa che distacca tale lavoratore od omettendo informazioni), e qualora l’autorità dello Stato d’origine rifiuti di cooperare, il certificato A1 può essere ignorato, e l’autorità del paese di distacco può richiedere il pagamento dei contributi sociali.

I sindacati e le organizzazioni datoriali nazionali potranno sottoporre casi all'attenzione dell'Autorità, la quale potrà suggerire alle autorità degli Stati membri interessati di effettuare un'ispezione concertata o congiunta. Dieci rappresentanti delle parti sociali, incluse le parti sociali europee a livello settoriale, parteciperanno poi al gruppo dei portatori di interesse, mentre quattro rappresentanti delle parti sociali europee a livello intersettoriale saranno membri del consiglio d’amministrazione dell’Autorità che avrà, appunto, composizione tripartita. Si tratta dunque di un work in progress, da seguire da vicino. 

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