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Sindacato Nuovo, nnumero 2 Novembre 2019. Una panoramica europea sulla presenza di lavoratori migranti nel settore delle costruzioni. Ne scrive Rossana Cillo, ricercatrice Università Ca' Foscari di Venezia.

Nel 2018 nel continente europeo risiede il 30,2% del totale dei migranti a livello globale, mentre sono 39,9 milioni i cittadini stranieri residenti entro i confini dell’Unione europea a 28 Stati membri, in aumento del 3,5% rispetto al 2017 (dati RapportoCaritas Migrantes). Il Paese dell’Unione europea che nel 2018 ospita il maggior numero di migranti è la Germania (oltre 9 milioni), seguita da Regno Unito, Italia, Francia e Spagna. L’Italia, con 5.255.503 cittadini stranieri regolarmente residenti (8,7% della popolazione totale residente in Italia), si colloca al terzo posto nell’Unione Europea.

Negli ultimi 10 anni il mercato del lavoro europeo ha visto crescere sempre di più il numero di lavoratori immigrati: tra il 2008 e il 2018 sono passati da 23 milioni su un totale di 219 milioni, a 29 milioni su un totale di 224 milioni *. Accanto a questa forza lavoro che nella maggior parte dei casi immigra in maniera definitiva, è aumentata anche la forza lavoro che immigra in maniera temporanea. Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Commissione europea, l'edilizia è il settore che maggiormente ricorre alla migrazione temporanea a livello comunitario. Ben il 45% dei 2,3 milioni di distacchi transnazionali effettuati nel 2016 dagli Stati membri dell’Unione europea e dell’Associazione europea di libero scambio ha, infatti, riguardato lavoratori che sono stati impiegati in ogni branca delle costruzioni, dalle attività di manovalanza a quelle più qualificate, sia in ambito pubblico che in ambito privato. Per quanto riguarda l’Italia gli occupati stranieri sono 2,4 milioni di cui il 10% occupati nelle costruzioni.

Sono soprattutto le grandi società multinazionali a ricorrere all’utilizzo di manodopera straniera attraverso il sistema degli appalti e dei subappalti, anche se, in particolare nel Nord Europa, sono sempre più numerose le piccole e medie imprese che hanno iniziato a sostituire la manodopera locale con lavoratori migranti. La maggior parte dei flussi di manodopera segue una traiettoria precisa, che ricalca la divisione internazionale del lavoro che la globalizzazione neoliberista e la liberalizzazione del mercato del lavoro dell'Ue hanno gradualmente determinato negli ultimi 30 anni: dagli Stati con salari medio-bassi e alti livelli di disoccupazione - come i paesi dell’Europa dell’Est, che sono entrati nell’Unione europea dopo il 2004, o quelli del Sud Europa, che sono stati fortemente colpiti dalla crisi economica del 2008 -  verso gli Stati dell’Europa centro-settentrionale, dove i livelli salariali sono più alti e il settore delle costruzioni è riuscito a resistere meglio all’impatto della crisi.

Il crescente ricorso a lavoratori stranieri, spesso distaccati, è divenuto un fenomeno strutturale del settore delle costruzioni a livello europeo perché consente un notevole abbassamento dei costi del lavoro facendo leva - in maniera del tutto legale - sul differenziale tra i regimi contributivi e fiscali dei paesi di invio e ricezione di lavoratori in istacco, con variazioni che arrivano fino al 25-30% della retribuzione lorda di chi viene assunto con i contratti in vigore nei paesi di ricezione. Benché in misura minore rispetto ad altri paesi, anche l’Italia è stata interessata dall’aumento dei flussi migratori, sia come paese di ricezione, che come paese di invio, in particolare per quanto riguarda il settore delle costruzioni. Secondo quanto è emerso dai progetti europei Poosh e Con3Post, a cui hanno partecipato l’Università Ca’ Foscari di Venezia e la Fillea Cgil, nel corso dell’ultimo decennio si sono registrati numerosi episodi di sfruttamento che hanno coinvolto lavoratori migranti, per lo più provenienti dall’Europa dell’Est.

Più in generale è emersa una notevole vulnerabilità dei lavoratori migranti in termini di salute e sicurezza: la temporaneità del loro impiego, la continua “mobilità” da un paese all’altro e da un cantiere all’altro e l’isolamento sociale in cui vivono questi lavoratori influiscono sulla possibilità di accedere a un’adeguata formazione in materia, aumentando così il rischio di subire infortuni e di contrarre malattie professionali. Non solo: in caso di malattie professionali che insorgono dopo molto tempo dall’esposizione a fattori di rischio, l’alta mobilità rende impossibile ricostruire il quadro in cui queste malattie sono maturate e quindi anche garantire un’adeguata assistenza e tutte le indennità dovute. Insomma, si tratta di un sistema che sta stratificando ulteriormente le condizioni e i diritti dei lavoratori sia sul piano nazionale che su quello internazionale, ponendo un’ipoteca anche sul loro futuro!

 La crescita della forza lavoro immigrata è legata in particolar modo alla crescita della componente proveniente da paesi non appartenenti all'Unione europea, che tra il 2008 e il 2018 è passata da poco meno di 12 milioni a circa 18 milioni e mezzo.

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