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Ponte Morandi, come la contrattazione collettiva ha potuto neutralizzare il decreto Genova. Ne scrivono Fabio marante e Federico Pezzoli, rispettivamente segretario Cgil Liguria e segretario generale Fillea Genova e Liguria.

Nel cuore di una torrida estate, il 14 agosto, si ferma Genova, la Liguria, l’intero Paese. Il crollo del ponte Morandi, viadotto nevralgico per le infrastrutture e collegamenti liguri e non solo. Quarantatré morti, una città spezzata in tre, una regione tagliata in due. Ancora più isolata. Il mondo del lavoro si rimbocca le maniche in mezzo alle macerie: si cercano uomini, donne e bambini, si scava con mezzi e non, senza alcuna sosta.

Nella città ferita anche gli edili lavorano da subito per costruire una viabilità possibile stretta tra il mare e l’alveo del torrente Polcevera. In poche settimane nascerà la cosiddetta Via Superba, unica strada di collegamento verso il ponente.

Ricostruzioni a tempo di record, polemiche sulla rimozione della concessione del tratto più falcidiato di viadotti e gallerie d’Italia, slogan che fanno il paio con continue passerelle e sfilate di politicanti di mestiere. In questo tempo vede la luce il cosiddetto Decreto Genova: vero e proprio laboratorio anticipatore, sebbene in un tempo di emergenza, degli effetti dei contenuti dello Sblocca cantieri.

Niente gara, quindi. È perciò tutto al massimo ribasso. Nessuna condizione economica vantaggiosa, nessun elemento di qualità della forza lavoro,

della sua formazione. Qui possiamo affermare senza indugio che si sono potuti neutralizzare gli effetti negativi sul mondo del lavoro attraverso il combinato disposto di buone pratiche nazionali e regionali. Proviamo ad esaminarli.

La contrattazione collettiva nazionale edile prevede la contrattazione di anticipo, l’obbligo della bilateralità edile, della Cassa edile all’Ente unico formazione e sicurezza. Il contesto della contrattazione regionale sugli appalti pubblici su dissesto idrogeologico e risparmio energetico nonché l’importante intesa tra gli stati generali delle costruzioni in materia di contrasto al dumping contrattuale hanno sicuramente agito come deterrente alla disapplicazione della contrattazione collettiva edile. A ciò bisogna aggiungere il presidio costante del territorio, ingrediente necessario per avere in tempo reale il presidio delle lavorazioni.

Da ciò si intende la motivazione per cui il Decreto Genova, nonostante rappresenti elementi di criticità, sia stato neutralizzato dalle buone pratiche della contrattazione, promuovendo inclusività, tema fondamentale anche nel documento della Cgil “Il lavoro si fa strada”.

La crisi del settore delle costruzioni continua a mordere anche in Liguria. I dati delle quattro Casse edili liguri indicano sostanzialmente un dimezzamento degli addetti iscritti, delle imprese e della massa salari. Tuttavia ci sarebbero le potenzialità per un forte rilancio del settore e costruire le infrastrutture quanto mai necessarie per tutto il nostro territorio e la nostra economia.

Le opere che stanno procedendo, pensiamo ai cantieri del Terzo Valico e quelle per la tutela idrogeologica del territorio, opere bloccate come ad esempio il nodo di San Benigno e del nodo ferroviario genovese, la famosa gronda autostradale che attendiamo da almeno 30 anni, la nuova diga foranea, il ribaltamento a mare della Fincantieri e il progetto WaterFront di Renzo Piano solo per quanto riguarda Genova. Il traforo Armo Cantarana nell’Imperiese, il porto di Sanremo, l’Aurelia bis di Albissola, la tratta ferroviaria Andora- Finale, la variante Aurelia e l’ospedale Felettino a Spezia.

Tutto questo, associato agli investimenti pubblici per la cosiddetta rigenerazione urbana, rilancerebbe non soltanto il nostro settore, ma l’intera economia ligure.

Queste saranno le sfide del futuro prossimo che come Fillea e come Cgil siamo pronti ad assumerci.

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