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Referendum

Sindacato Nuovo, marzo 2020. La lunga lotta della Cgil contro il caporalato. A cura di Elisa Castellano, coordinatrice nazionale archivi, biblioteche e centri di documentazione Cgil.

Il senatore Carlo Levi durante la seduta del Senato della Repubblica  del 15 giugno 1965 si esprimeva così “…appare come un semplice atto di protesta sindacale che diventa un atto di coscienza politica, sociale e umana…” riferendosi alla mobilitazione contro il licenziamento di 181 operai che portò all’occupazione del cantiere per la costruzione della diga del Jato a Partinico, in provincia di Palermo. 

Non si può non riconoscere, perciò,  nelle parole di Carlo Levi il tratto distintivo delle lotte sindacali: ricongiungere i nessi tra le lotte  contro l’illegalità, contro il caporalato, contro “il mercato di piazza”, con quelli che riguardano gli obiettivi  di  piena occupazione e per la democratizzazione delle relazioni sociali ed economiche a partire proprio dal collocamento.

Lotte sindacali che così caratterizzate  si sono strettamente legate  con quelle per la democrazia che hanno attraversato il ventesimo secolo sin dalla sua prima parte.

 Scriveva Alessandro Leogrande su  Rassegna Sindacale  del  21/12/2012 che non si può non ricordare l’impegno di Giuseppe Di Vittorio contro il caporalato nelle campagne pugliesi, quando auspicava un’alleanza plurale tra diversi lavoratori.  Ce lo ricorda Michele Colucci nel libro da lui curato sugli scritti di Di Vittorio Le strade del  lavoro, Donzelli, 2012. Nella prima parte si può leggere una lettera scritta da Di Vittorio, indirizzata al  “Corriere delle Puglie” nel 1914 sui fatti di  Colapatella. Cosa era accaduto? Nella masseria di Colapatella, a pochi chilometri da Cerignola, in provincia di Foggia, c’era stato un sanguinoso scontro tra lavoratori locali e lavoratori “forestieri” provenienti dalla  provincia di Bari, che aveva lasciato in mezzo ai campi un morto e diversi feriti. Da dove nasceva il contrasto? Mentre i braccianti di Cerignola  erano da tempo organizzati in una lega combattiva, che aveva ottenuto (almeno in parte) il rispetto dei propri diritti e un sostanziale aumento delle retribuzioni, i “forestieri” provenienti dalla provincia di Bari - scarsamente organizzati - accettavano di lavorare anche per 40-50 centesimi in meno al giorno, cifra che all’epoca era enorme. Ovviamente i proprietari terrieri, e i loro “suprastanti”, avevano tutto l’interesse a ingaggiare questi ultimi per indebolire la lega. 

Di Vittorio individuò le responsabilità dei proprietari terrieri, denunciò la pratica del caporalato e sollecitò interventi anche repressivi, ma nel contempo si impegnò in prima persona per la costruzione di quell’alleanza plurale tra lavoratori “ locali” e “ forestieri”.

Un impegno costante fino ad arrivare agli anni della costituente e a quelli dell’Italia repubblicana quando era sempre più forte  il legame tra lotta al “ mercato di piazza”, gli obiettivi per “ la piena occupazione” e la funzione pubblica del collocamento all’interno di un quadro di democratizzazione delle relazioni economiche e sociali.

Sin dalla fase costituente, Di Vittorio, si adoperò perché la Costituzione  Italiana e tutto il quadro legislativo fossero ispirati ai nessi che legano: legalità, collocamento pubblico, responsabilità del sindacato e democrazia.

Nei suoi interventi all’interno della  3^ sottocommissione della Commissione per la Costituzione si legge:

Gli interessi che rappresentano e difendono i sindacati dei lavoratori, sono interessi di carattere collettivo e non particolaristico od egoistico; interessi che in linea di massima coincidono con quelli generali della Nazione.

Il benessere generalizzato dei lavoratori, infatti, non può derivare che da un maggiore sviluppo dell'economia nazionale, da un aumento incessante della produzione, da un maggiore arricchimento del Paese, oltre che da una più giusta ripartizione dei beni prodotti. Il riconoscimento della funzione d'interesse nazionale che esercitano i sindacati dei lavoratori, comporta ugualmente la conseguenza che tutti gli istituti interessanti esclusivamente o prevalentemente i lavoratori, come gli istituti previdenziali ed assicurativi, quelli aventi per oggetto il collocamento dei lavoratori, l'assistenza, la formazione professionale, la ricreazione, ecc., debbono essere retti fondamentalmente dai lavoratori stessi, sia per elezione diretta, sia attraverso i loro sindacati. Il debito controllo dello Stato e la rappresentanza di altri interessi, negli organi dirigenti degli istituti del genere accennato, non dovrebbero mai vulnerare il principio dell'autogoverno da parte dei lavoratori interessati, od almeno della loro preminenza nella direzione .

Egli avanzò proposte dettagliate di norme  relative alla rappresentanza sindacale, al diritto di sciopero e di associazione e  in quell’ambito si legge:

Art. 4 La funzione del collocamento, all'interno ed all'estero, e quella dell'assistenza agli emigranti, sono attribuite ai sindacati riconosciuti dei lavoratori, secondo le norme che saranno fissate dalla legge.

Fino all’accordo/ compromesso politico che i deputati di provenienza Cgil il 9 aprile 1949 raggiunsero con il Governo, accordo  il cui epilogo fu proprio la legge Fanfani 29 aprile 1949 n. 264.

Fu proprio la legge 264 del 1949 a sancire la funzione pubblica del collocamento e non un servizio, ma tale compito non veniva affidato ad un organo tecnico e neutrale, ma furono previste commissioni comunali e  provinciali – sia pure facoltative e non obbligatorie. Il prefetto poteva costituirle su autorizzazione del Ministro del lavoro. (Diverso il discorso per il collocamento speciale agricolo con la legge 83/1970).

Alle regole sull’avviamento al lavoro, (prima tra tutte la chiamata numerica da graduatorie formate intrecciando diversi requisiti, tutti però fondati sulla valutazione delle condizioni sociali di anzianità di disoccupazione,  di carichi familiari e di situazioni di reddito e patrimoniali del nucleo familiare) si aggiunsero – nel periodo che arrivò al 1970 -  quelle sul divieto di intermediazione di mano d’opera (1960), sul lavoro a termine ( 1962), sul lavoro a domicilio ( 1958 – 1973), sui licenziamenti individuali ( 1966), sul trattamento di integrazione salariale ( 1968 – 1972) fino allo Statuto dei lavoratori ( 1970) 

Un insieme che mette in evidenza da un lato lo sviluppo della legislazione antifraudolenta e basata sulla consapevolezza della necessità di considerare e tutelare  quella che Di Vittorio chiamò la preminenza dell’interesse dei lavoratori considerato lo squilibrio e le diseguaglianze nella composizione e distribuzione della ricchezza e dei beni prodotti e dall’altro promuovere l’interesse alla stabilità anche da parte dei lavoratori.

Anche i Contratti Collettivi nazionali di lavoro intervenivano muovendosi lungo  le stesse linee  ( alcuni esempi importanti vengono proprio dalle vertenze e  dai contratti dei lavoratori edili. Si pensi alle rivendicazioni negli anni ‘60 di un salario minimo annuo garantito a carico delle imprese, una nuova regolamentazione del cottimo accanto alla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. 

Tutte rivendicazioni per ostacolare l’illegalità dei rapporti di lavoro e la concorrenza tra squadre di lavoratori che alimentava il caporalato. 

Con la legge 300/1970 – Statuto dei lavoratori – si rafforza la sindacalizzazione del collocamento. La commissione di collocamento zonale, comunale o frazionale, infatti, deve essere costituita obbligatoriamente  se richiesta dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori più rappresentative. Diventano, anche, più stringenti gli obblighi per i datori di lavoro in materia di collocamento numerico fatte salve alcune possibili deroghe. A proposito del processo di sindacalizzazione del collocamento, sono le commissioni ad autorizzare e rilasciare il nulla osta per l’avviamento al lavoro nel caso di chiamata nominativa.

Nei decenni successivi la legislazione sugli avviamenti al lavoro prende un segno completamente diverso il cui tratto principale è proprio la trasformazione del collocamento che passa ad essere servizio abbandonando via via proprio quella funzione pubblica delle origini nell’Italia dopo il secondo conflitto.

Negli anni ‘80 con la legge 56/87 le commissioni vengono trasformate in commissioni per l’impiego, scompaiono gli uffici comunali che diventano circoscrizionali fino agli anni più recenti di radicale superamento del collocamento pubblico.

Va detto che nonostante l’intelaiatura di norme  di legge e contrattuali il fenomeno del caporalato ha continuato ad avere un peso molto grande e ha condizionato negativamente le relazioni di lavoro e quelle economiche più generali.

Il caporalato continua ad essere, soprattutto in agricoltura,un elemento strutturale del lavoro, ma, sia pure  in misura meno appariscente, anche in edilizia.

Sempre Alessandro Leogrande scriveva :un’organizzazione gerarchica composta da una fitta rete di capi, caporali e sottocaporali che operano in ambiti di sfruttamento, minaccia e ricatto che si sono ampliati e che sono sempre più capillari.

Il caporalato trae vantaggio proprio dallo stato di bisogno di occupazione di larghe masse di lavoratori specialmente immigrati come ieri traeva vantaggio dalle masse di disoccupati. 

Sono ancora molte le analogie con il passato: dalla giornata – tipo di lavoro all’intreccio con le migrazioni che ieri erano interregionali o infraregionali oggi sono fatte di flussi globali.

Con la legge 199/2016 per la prima volta in Italia viene formulato giuridicamente il concetto di grave sfruttamento lavorativo: qualcosa cioè che, anche qualora non giunga alle forme estreme di riduzione in schiavitù, è comunque molto più grave del semplice “lavoro nero” o della sola evasione contributiva.

 Ciò è molto importante, ma restano tutte le ragioni di un impegno  continuativo.

Possiamo dire che ritrovano attualità gli auspici e le parole di Di Vittorio sulla necessità di un’alleanza plurale tra lavoratori migranti e non migranti per rinnovare gli obiettivi di democratizzazione delle relazioni sociali ed economiche con strumenti e azioni pubblici e con quelli di origine contrattuale aggiornati e pertinenti ai processi produttivi contemporanei.

Tornano anche di attualità le parole di Carlo Levi sull’importanza di atti ( dei lavoratori e del sindacato) che diventano atti di coscienza politica, sociale e umana.

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