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Sindacato Nuovo, luglio 2020. di Carlo Magnani, Università Iuav Venezia. 

I fenomeni che siamo in grado di descrivere chiedono riforma, dalla sanità all’istruzione interrogando non solo parametri quantitativi in termini di risorse dedicate, ma soprattutto parametri qualitativi in termini di dislocazione territoriale e di spazialità come premesse propedeutiche di rinnovate forme di socialità e resilienza. 

La retorica del ritorno alla normalità confonde il piano della emergenza con quello degli investimenti. La normalità pre-covid era il problema con l’aumento delle diseguaglianze, le alte percentuali di disoccupazione, la generale precarizzazione del lavoro, gli alti tassi di inquinamento, la continua emergenza dovuti ai vari fattori di rischio non controllato dalla sicurezza sul lavoro a quelli idrogeologici, al ricatto della finanziarizzazione dell’economia.

Certo non ci sono confini di fronte ai grandi fenomeni che siano le pandemie, l’inquinamento o i mutamenti climatici, cioè tutto ciò che riguarda la salute del pianeta, ma a una scala più ridotta ciò che conta è la distanza tra le cose e le persone, cioè una misura dello spazio. Ciò riguarda le forme insediative e la loro capacità di essere accoglienti e resilienti, in particolar modo di offrire alle comunità un adeguato livello di infrastrutturazione. Non solo infrastrutture, ma infrastrutturazione intendendo con ciò un processo-progetto temporalmente disposto che tenga insieme i tasselli di differenti azioni riconducendole a principi e interessi comuni in una visione ecosistemica. Si esce così da razionalità astratte ed emergono le differenze e le caratteristiche territoriali delle diverse parti del paese. Armature urbane e geografiche che non hanno un’adeguata rappresentanza sociale. Si possono richiamare l’idea della manutenzione che è un termine di derivazione dall’ingegneria industriale che comporta una visione sistemica delle funzionalità oppure l’idea del “prendersi cura” come dimensione strategica di una ricostruzione di paradigmi legati alla progettazione integrale. 

Gli investimenti in termini di opere pubbliche non sono solo procedure di spesa a prescindere dagli obiettivi e gli obiettivi non possono essere sempre i medesimi in tutte le parti del paese, non bisogna confondere lo strumento con il fine. La produzione di valore che sia economico, ma anche sociale in termini di produzione di lavoro e ricostruzione di sensate morfologie territoriali, richiede attenzioni in relazione ai contesti specifici che fanno la differenza. Per esempio, le esperienze degli ultimi mesi hanno messo in evidenza come gli spazi stradali sono un enorme patrimonio di spazio pubblico che ci siamo abituati a pensare come specialisticamente riservato alle automobili, ma che può essere usato in altri modi e offrirsi a forme di prossimità sociale ben differenti. Le città dunque possono essere pedonalizzate almeno per parti di dimensioni tali da consentire l’accesso ai servizi di base. Ma l’Italia che non avrà mai megalopoli, almeno nel senso comune della parola, è caratterizzata da un’armatura urbana di città medio piccole che a volte formano distretti produttivi con vocazioni particolari di cui spesso i caratteri storico-geografici sono parte integrante. La geografia intesa come superficie della storia ha caratteri di permanenza e sovente rappresenta un patrimonio completamente trascurato da cui ripartire per ritrovare il ciclo dell’acqua, per esempio, tra prelievi e smaltimenti oppure rileggere il sistema dei parchi nazionali o regionali che essi siano, come una grande armatura territoriale, anche sì, produttiva per l’indotto che può generare e in parallelo alla rete delle città d’arte.

Sembra di essere afasici di fronte a ipotesi del genere, ma la riforma che chiedono i fenomeni territoriali che siamo in grado di descrivere significa fare lievitare le domande a partire dalla specificità delle situazioni e avere il coraggio di esplorare nuovi paradigmi anche nei comportamenti. Riforma dei saperi e dei poteri: la stratificazione di competenze prive di obiettivi comuni si configura come un ostacolo anche per gestire le procedure di spesa, come si è visto. Una rinnovata progettualità ha bisogno di patti territoriali che possano affrontare in termini dinamici il problema del partenariato pubblico privato non solo come erogazione di sussidi, ma come un vero e proprio progetto che disponga in partita i molti attori necessari per ritrovare unità d’intenti e forse servono agenzie ad hoc di supporto agli uffici tecnici delle singole amministrazioni.

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