Agenda FilleaFlickr FilleaTube twitter 34x34 facebook 34x34 newsletter mail 34x34 busta paga 40x40Calcola
la tua busta paga

sindacato nuovo1200x333

Sindacato Nuovo, luglio 2021. La strada per una maggiore integrazione del sociale nell'agenza economica europea. Di Salvatore Marra, Area politiche europee e internazionali Cgil.

Dalla proclamazione del Pilastro ad oggi l’Unione europea ha prodotto 21 atti legislativi vincolanti e non vincolanti e molti altri sono in discussione o in fase di preparazioni, fra cui la Direttiva europea per salari minimi dignitosi – su cui si sta consumando uno scontro istituzionale profondo – e la direttiva sulla trasparenza salariale per tentare di dare una risposta al drammatico problema del differenziale salariale di genere. Tutto ciò in un contesto in cui il COVID e le misure per la ripartenza dell’economia europea sono al centro dell’attenzione e in sottofondo una discussione, ancora troppo timida, su come affrontare i debiti sovrani, il tema della tassazione alle multinazionali e la necessità di reperire ulteriori risorse, nonché la questione di come e se superare il patto di stabilità e crescita. 

Le iniziative finora in campo parrebbero tutte essere improntate al superamento delle politiche di austerità e della compressione dei diritti sociali e del lavoro, ma è nei dettagli che bisogna scavare per valutare fino in fondo le iniziative comunitarie, come ad esempio i pacchetti di riforme più o meno imposti come condizionalità per l’ottenimento dei fondi dell’RFF tramite i PNRR nazionali. Molti sindacati lamentano infatti ingerenze da parte della Commissione europea che come condizione per l’ottenimento dei fondi potrebbe imporre ancora una volta riforme indigeste che a prima vista potrebbero sembrare persino neutre, ma che nascondono invece nuovamente compressione dei diritti sociali e del lavoro (vd in Italia le riforme relative ala semplificazione e sugli appalti). Occorre vigilare, insomma, a più livelli, affinché ciò non accada.

Sulla necessità della consultazione e del coinvolgimento delle parti sociali, l’Unione europea con in testa la Presidente Von der Leyen e il Commissario per il lavoro Schmit paiono non lasciare dubbi ma la pratica va in altra direzione, soprattutto a livello nazionale: secondo la CES in oltre la metà dei paesi europei le parti sociali non sono state coinvolte né sufficientemente consultate nella stesura dei piani nazionali. Sul dialogo sociale europeo intersettoriale, si sta per aprire il negoziato per il programma di lavoro triennale autonomo in cui si decideranno le priorità di lavoro e i temi su cui negoziare in futuro. Le parti datoriali hanno a più riprese fatto sapere che non vogliono alcuna trattativa di accordi autonomi vincolanti, né tramite trasposizione in direttiva (l’ultimo accordo risale a oramai 21 anni fa), né tramite trasposizione delle parti sociali nazionali. La motivazione sarebbe legata all’eccessiva mole di iniziative prodotte nel campo del sociale dalle istituzioni europee, a partire dalla direttiva sui salari osteggiata apertamente da tutte le parti datoriali nazionali, da Confindustria e anche da alcuni Stati Membri.

La CES e i sindacati nazionali hanno a più ripresa chiesto, senza ancora avere risposte, che il dialogo sociale non sia un corollario, ma condizionalità per le iniziative come quelle della stesura dei PNRR con penalità per quei Paesi dove non si svolgano audizioni significative con le parti sociali nazionali.

Ne è un esempio, la cosiddetta “Dichiarazione di Porto”, che fissa in materia di occupazione e lotta alla povertà obiettivi condivisibili ma non vincolanti fino al 2030. È evidente la divisione creatasi fra le istituzioni europee: da una parte la Commissione che pare essere maggiormente incline, assieme al Parlamento, a un vero impegno delle parti sociali, dall’altra, il Consiglio che invece subisce le divisioni al proprio interno per via dell’approccio più restrittivo di alcuni governi. L’impossibilità di giungere a un testo condiviso da tutte le istituzioni e da far firmare alle parti sociali è un elemento certamente negativo e che proietta ombre sul futuro dell’agenda sociale europea.

Inoltre, la dichiarazione della Commissione è stata aperta alla firma non delle sole parti sociali, ma anche alla società civile, rappresentata dalla Social Platform. Nella stessa dichiarazione sono assenti, per via delle estenuanti negoziazioni fra le diverse parti interessate e per la pressione esercitata dai rappresentanti datoriali, elementi davvero vincolanti.

Stupisce l’assenza nel testo della parola solidarietà, nessun riferimento alla necessità di difendere la pace, la democrazia e i diritti umani. Il tema eguaglianza di genere è limitato alla promozione delle pari opportunità; nessun riferimento alla necessità di proteggere anche i diritti riproduttivi o il diritto all’aborto messo in discussione seriamente in alcuni Paesi.

Nel paragrafo dedicato alle pari opportunità non è presente alcun riferimento esplicito alla comunità lgbtqi, mentre sono menzionati altri gruppi vulnerabili. Il riferimento ai migranti è riferito solo alla questione pari opportunità e nulla si dice sulla questione della necessità di garantire politiche di accoglienza umane e un inserimento nel mercato del lavoro equo.

Sebbene la strada per una maggiore integrazione del sociale nell’agenda economica europea paia essere aperta, rimane certamente molto da fare.  Occorrono politiche autenticamente progressiste che possano definitivamente consentire di abbandonare la logica dell’austerità e del neoliberismo che tanti danni ha fatto alle lavoratrici, ai lavoratori, al modello sociale europeo e alle nostre economie. Il Summit e il Piano di azione sono in tal senso un primo benvenuto passo in avanti, ma molto rimane da fare.

Vai al pdf della rivista >

facebook youtube twitter flickr
agenda busta paga mail newsletter