Sindacato Nuovo, febbraio 2022. L'ampia sintesi del documento della Assemblea d'Organizzazione Nazionale della Fillea.   

Premessa

Dobbiamo assumere tutte e tutti l’impegno che dobbiamo cambiare e migliorare, che molte scelte vanno decise e realizzate (e magari dovremmo stabilire anche termini cogenti per concretizzarle e/o sottoporle a verifica) e questo vale per la Fillea Cgil e vale per il resto dell’organizzazione, sapendo indicare anche i limiti e ciò che non va partendo innanzi tutto da noi. Prima di chiedere agli altri di cambiare e migliorare, dobbiamo essere noi i primi predisposti al cambiamento e rendere conto rispetto alle decisioni assunte nel passato.

Riteniamo, per quello che abbiamo fatto e che stiamo provando a fare, di essere a “buon punto”, di averci provato come dirigenti e militanti (a tutti i livelli). Non perché non dobbiamo fare ancora molto, ma perché una parte dei “compiti a casa”, delle scelte decise nelle ultime due Conferenze di Organizzazione, con limiti e parzialità, le compagne e compagni della Fillea, a tutti i livelli, le hanno perseguite. Alcune volte con successi e avanzamenti, altre con limiti.

Anche per questo il presente documento si compone di due parti.

Una prima parte di riflessioni e proposte che, partendo dalla nostra esperienza, riteniamo possano essere utili all’intera organizzazione e che “sistematizzano” anche “i perché” diamo certi giudizi sulle schede e avanziamo specifiche idee e proposte poi riprese e dettagliate negli emendamenti approvati.

Una seconda parte più di “bilancio” delle cose fatte, in attuazione delle scelte assunte dalla Cgil, che è giusto che le compagne e compagni dell’organizzazione conoscano, per una questione di trasparenza e circolazione delle informazioni, perché sappiano che abbiamo provato a portare più risorse possibili “vicino a loro”, per aiutarci a fare meglio e anche per il principio (che se rivendichiamo per gli altri dobbiamo praticarlo noi per primi) di fare sempre verifiche e bilanci intermedi rispetto alle decisioni assunte (in questo caso a partire dalla passata Conferenza di organizzazione).

PARTE I  -  RIFLESSIONI E PROPOSTE

Ripartire dai luoghi di lavoro, facendo più contrattazione collettiva. 

Ricomporre sul territorio ciò che crisi e trasformazioni hanno diviso, impoverito, precarizzato.

Mai come oggi è fondamentale “ricomporre” il mondo del lavoro dopo che la crisi e le grandi trasformazioni tecnologiche, ambientali, demografiche e migratorie hanno frammentato a livello territoriale, nazionale ed internazionale il mercato del lavoro, i cicli produttivi, le professioni, le identità, i percorsi di vita. La Pandemia ha accelerato i processi, evidenziando tutte le fragilità ed i limiti del nostro modello sociale e produttivo.

Ricomporre ed includere, ridare potere e soggettività al lavoro è quindi una questione di maggiore giustizia sociale, è una questione di maggiore democrazia. 

L’Assemblea di organizzazione deve allora porsi il tema di un generale riposizionamento politico sindacale e quindi organizzativo (intelligenze, strumenti, risorse) di tutta la Cgil e dell’intero movimento sindacale (Cgil, Cisl e Uil) nei luoghi, vecchi e nuovi, della produzione, dove cioè si genera la ricchezza, il potere e la conoscenza, per governare i processi di trasformazione e redistribuzione. Luoghi di lavoro più frammentati, più smaterializzati, ma dove continua a esprimersi il lavoro e quindi il grado di identità e libertà delle lavoratrici e lavoratori. Per noi centralità del territorio è anche centralità dei luoghi di lavoro: dove vi sono i delegati e vanno rafforzati, ma anche dove non vi sono e vi dobbiamo “entrare” anche con campagne specifiche (si veda quanto stiamo provando a fare con le campagne nel settore legno-arredo).

Noi dobbiamo ribadire e rilanciare con forza la nostra azione contrattuale e vertenziale collettiva, il nostro “mestiere di sindacalisti” perché il nostro obiettivo è cambiare nei luoghi della produzione, concentrati o diffusi, i rapporti di produzione e quindi i modelli di sviluppo (più sostenibili e a maggiore valore aggiunto) ed i rapporti di potere.

Per questo un sistema più forte, più diffuso, più innovativo di contrattazione collettiva, di nuova e vecchia bilateralità, dentro nuove relazioni industriali, necessita di un forte investimento di tutta la Cgil nei luoghi di lavoro. E necessita, per difendere e far evolvere contenuti e perimetri dei CCNL, per ampliare contrattazione di anticipo e includere sempre più, sia di un più forte coordinamento confederale che di un forte investimento sull’unità di azione con Cisl e Uil. 

(…)

Gli stessi servizi, le stesse tutele individuali devono quindi rispondere non solo ad un bisogno immediato di assistenza (e dovranno sempre di più anche cambiare, per adeguarsi alle nuove domande e bisogni), non solo al mantenimento dell’iscrizione seguendo il lavoratore nel suo “nomadismo” professionale e territoriale, ma anche al rafforzamento della capacità di organizzare vertenze e mobilitazioni collettive. Dovranno cioè sempre di più insieme alle categorie aiutare il passaggio dall’assistenza (“hai tu singolo un bisogno”) alla vertenza collettiva (“organizziamoci con altri che hanno il tuo stesso bisogno e facciamo una vertenza sindacale, con l’azienda o l’istituzione, per ridurre le tue difficoltà”), riconsegnando così ad una pratica collettiva l’azione sindacale.

Perché se è vero che la maggior parte degli iscritti al sindacato vengono oggi dai servizi (per la Fillea non è così, solo 1 nuovo iscritto su 10 arriva dal Sistema Servizi, ma la tendenza generale è quella sovra indicata) allora il tema è, pur continuando ad investire sulle tutele individuali, come noi affrontiamo il problema principale che abbiamo: che si fanno sempre meno iscritti sui posti di lavoro, facendo poche vertenze o contrattazione o non sapendo tradurre buone vertenze e buona contrattazione in maggiore rappresentanza, a partire dai più giovani. 

(…)

I  3 pericoli da evitare: sul terreno della cultura sindacale, della cultura organizzativa/democratica, della cultura politica.

L’Assemblea di Organizzazione pone, fondamentalmente, due semplici e giuste domande: quale modello sindacale confederale e quindi quale rappresentanza oggi? Quali strumenti organizzativi darci di conseguenza? 

Le schede provano a rispondere a queste domande sapendo che la crisi, le trasformazioni, le grandi transizioni hanno indebolito il movimento sindacale in generale e mettono a rischio in particolare la cultura sindacale confederale che non è un luogo “fisico” ma è prima di tutto una pratica quotidiana che alimenta la solidarietà tra diversi, che tiene legato ogni atto sindacale, in un’azienda o in territorio, con una più generale idea di società.

Sapendo riconoscere e valorizzare le diversità (professionali, contrattuali, territoriali, tra lavoratori e disoccupati, stabili e precari, attivi e pensionati) ma sapendo “riunirle” in una “visione del mondo”. 

Il primo antidoto alla deriva aziendalista o corporativa che la crisi e le difficoltà hanno innescato e portato di fatto ad una perdita di autonomia della nostra organizzazione, del suo “pensiero collettivo”, sta nella nostra capacità di tenere insieme con gli strumenti della contrattazione collettiva nazionale, territoriale, aziendale il maggior numero di lavoratori. 

Il secondo antidoto sta nella capacità di tenere insieme democrazia diretta (voto delle lavoratrici e lavoratori per eleggere i delegati, votare contratti ed accordi, ecc.) e democrazia delegata, che non è la democrazia solo dei delegati, ma quella particolare “democrazia di organizzazione” che ci insegnavano i nostri padri: un positivo equilibrio tra delegati di quel singolo posto di lavoro (che sono sottoposti anche alle spinte corporative ed egoistiche dei colleghi) e la capacità e autorevolezza del funzionario/segretario di categoria e di Camera del Lavoro (del “dirigente”) che ha una visione più complessiva dei processi, che può esercitare la sua funzione “formativa” e di orientamento, di direzione e ricomposizione in ottica generale e confederale.

Occorre porre molta attenzione ad evitare di alterare troppo questo mix, a produrre elementi distorti nella comunicazione di massa, nei “messaggi” culturali che si mandano e nell’uso non regolato dei media e della tecnologia, anche tra di noi. 

Tutti fattori che, indipendentemente dalla buona volontà dei singoli dirigenti, indeboliscono la legittimità e il senso della nostra democrazia delegata e dei nostri gruppi dirigenti diffusi e che sono l’unica possibile modalità di funzionamento democratico, di governo solidale dei processi, per grandi organizzazioni di massa, plurali, complesse come la Cgil. Dove convivono e conviveranno sempre condizioni sociali, di genere, professionali, culturali, territoriali e di pratica sindacale diverse e tutte importanti. 

Ed è in quel mix di democrazia diretta, democrazia delegata, democrazia di organizzazione l’unica modalità che impedisce anche eccessi di verticismo, di subalternità alla “moda del momento”, di possibile riduzione concreta di spazi democratici. Spazi che non consistono solo nella “quantità” di quanto si ascolta e ci ascoltiamo, ma anche nella “qualità” di come si discute e si prova sempre a ricercare una sintesi più avanzata.

Il terzo antidoto sta nella qualità dei nostri gruppi dirigenti, nella loro formazione, nella politica dei quadri che ne accompagna la crescita, tornando a valorizzare la “gavetta”, l’iniziare dal basso o fare più esperienze in territori o categorie diverse, affinché si sappia sempre “ascoltare” lavoratrici e lavoratori, disoccupati e pensionati, giovani e anziani, migranti ecc., si sappiano “leggere” i processi collettivi, senza però rinunciare alla propria elaborazione, alla propria funzione di direzione, di educazione, di “egemonia”. 

Da questo punto di vista, venute meno le grandi agenzie “formative” che erano i partiti di massa e i movimenti, bene fa la Cgil a porsi il tema di una “formazione politica e culturale” e non solo “tecnica contrattuale” per i gruppi dirigenti. Partendo da quelli apicali ma per poi “scendere” lungo i rami dell’organizzazione fino ai delegati, che sono spesso i più esposti e – diciamoci la verità – spesso quelli lasciati con meno “strumenti” per leggere il mondo e le sue complessità. 

Le nuove sfide: rigenerazione e resilienza della contrattazione

E’ ormai diffusa la consapevolezza che la Pandemia ha rappresentato sia il disvelamento delle fragilità (sanitarie, ambientali, economiche, produttive, sociali) del nostro modello di sviluppo sia un potente fattore di accelerazione. Sono emersi nuovi bisogni (professionali, relazionali, di conciliazione tra tempi di vita e tempo di lavoro, di diritti alla disconnessione e privacy, ecc.), si sono enfatizzate vecchie questioni (dalla qualità dell’abitazione, alla prossimità o meno dei servizi), indicandoci potenzialità e possibili campi di azione, e mettendo in luce un aspetto fondamentale che chiama in causa direttamente il Sindacato Confederale, agente contrattuale e politico al contempo, per definizione.

La stessa crescita economica e del Pil che stiamo registrando in questi mesi, senza un’azione politica e legislativa ma anche sindacale e contrattuale, volta a redistribuire risorse e potere verso tutte le lavoratrici e lavoratori (attraverso un fisco più giusto, un welfare pubblico più forte, meno contratti precari ma anche contratti collettivi che riconoscano occupazione più stabile, più salario, più partecipazione alle scelte, più investimenti privati in formazione, professionalità, ricerca e innovazione, qualificando le stesse imprese italiane) non può che produrre ancora più disuguaglianze.

Per questo occorre dare continuità alle iniziative più generali della Cgil e della categoria, anche dopo lo sciopero generale del 16 Dicembre 2021 e porre con forza l’esigenza anche di un nuovo sistema di regole, poteri e contro poteri, diritti e doveri all’altezza delle trasformazioni già avvenute e dei limiti che da anni registriamo nell’azione sindacale. 

Sarà sempre più difficile un “reinsediamento sindacale” nei posti di lavoro (fare iscritti e trovare militanti) e quindi nel territorio, senza modificare l’assetto e i contenuti della contrattazione collettiva (nazionale e di secondo livello) per affrontare una volta per tutte il tema della ricomposizione dei cicli produttivi, della riduzione dei perimetri contrattuali, delle tutele nel “diffuso” e lungo la filiera, della partecipazione dei lavoratori nelle scelte di riorganizzazione aziendale. Non solo attuazione dell’articolo 39 della Costituzione (come giustamente si riporta nelle schede) per contrastare i c.d. “contratti pirata” ma anche ridefinizione dei perimetri dei CCNL sottoscritti da CGIL, CISL e UIL e che negli anni hanno prodotto dumping, riduzione dei diritti e frantumazione delle titolarità contrattuali. 

Senza affrontare il nodo sia di “come” ridurre i CCNL (e affrontarlo insieme almeno a CISL e UIL) e sia di difendere e ridefinire i perimetri, anche la contrattazione inclusiva, di sito o di filiera sarà sempre difficile da attuare. Il tema non è la buona volontà delle categorie e non è lo sforzo che molte Camere del Lavoro fanno tutti i giorni per promuovere o coordinare forme di contrattazione di sito o filiera. E questo è un punto di politica sindacale, ma anche di politica organizzativa. 

Da questo punto di vista l’esperienza contrattuale della Fillea, sia negli impianti fissi che soprattutto in edilizia, il documento congressuale della CGIL “Il lavoro è” (che ha riconosciuto come bussola il principio “stesso lavoro, stesso contratto”, il rinvio al CCNL di riferimento e di miglior favore in termini salariali e normativi, la reale attività di impresa o della tipologia reale della prestazione lavorativa; vedi pagina 12 righe da 42 a 53 del Documento Congressuale CGIL “Il Lavoro è”), l’accordo interconfederale “Patto per la fabbrica” che indica come obiettivo l’applicazione dei CCNL in base “alla reale attività di impresa”, quanto conquistato con il decreto 77/2021 in materia di appalti pubblici (e che chiediamo come CGIL di estendere al privato) per cui non solo i lavoratori dell’appaltatore e sub appaltatore devono avere gli stessi trattamenti economici e normativi, ma se fanno lo stesso lavoro anche lo stesso CCNL, il Durc di Congruità (come riconosciuto anche nella premesse delle schede) devono diventare l’indicazione pratica, politica e organizzativa, per centrare l’obiettivo di “meno CCNL, meno sovrapposizioni, più forza sindacale”.

Con la consapevolezza che ogni “modello regolatorio” dovrà essere sempre più “flessibile e adattivo” nel tempo (più rapido) e nello spazio (territorio) anche con strumenti, vecchi e nuovi, da estendere e potenziare per ricomporre quello che tecnologia, dimensione di impresa, precarietà hanno frantumato.

Sapendo che gli obiettivi sono sempre gli “stessi”: 

 

  • l’obiettivo strategico della piena occupazione attraverso la redistribuzione dell’occupazione che c’è e che è compatibile con gli obiettivi sociali e ambientali di medio periodo; la creazione di nuova occupazione alla luce della automazione, digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale, guardando in particolare al “welfare della persona” e al “welfare del territorio”, secondo un principio di “lavoro di cittadinanza”, con lo Stato anche potenzialmente “datore di ultima istanza” e su cui dobbiamo condizionare lo stesso PNRR (come stiamo provando a fare, per esempio, con gli accordi per le opere pubbliche); l’accompagnamento di centinaia di migliaia di lavoratrici e lavoratori da settori dark a settori green valorizzandone partecipazione e protagonismo (si pensi alla transizione energetica ma anche alla stessa rigenerazione urbana);
  • redistribuire potere ed opportunità in particolare sviluppando le capacità professionali e relative carriere, la soddisfazione e il relativo riconoscimento salariale e di inquadramento (e quindi formazione, ecc.) e promuovendo la partecipazione collettiva e democratica, codificando luoghi e prassi, all’evoluzione e riorganizzazione aziendale (attuando non solo l’art. 39 ma anche il 46 della Costituzione).

Da questo punto di vista rivendichiamo la positiva esperienza della bilateralità edile, convinti che esso possa, con i necessari adattamenti, rispondere all’esigenza di dare tutele, garantire legalità e anche rafforzare organizzativamente il sindacato facilitando l’iscrizione e la militanza di lavoratori e lavoratrici, anche in altri settori.

Noi siamo un paese in cui il 70% delle lavoratrici e lavoratori dipendenti sta in aziende con meno di 15 dipendenti (e in Italia le aziende hanno una media di 3/4 lavoratori), molti lavoratori sono sottoposti a discontinuità nella carriera e sempre di più i lavoratori conosceranno periodi di non lavoro, dove dovranno formarsi, aggiornarsi, ecc. A questi si aggiungano i lavoratori autonomi, le P.Iva, le professioni non regolate, ecc. 

Il rafforzamento della bilateralità di derivazione contrattuale anche secondo le indicazioni della stessa Conferenza di Organizzazione del 2015, potrebbe essere una risposta negoziale e sul territorio a questa “frantumazione”, favorendo maggiore contrattazione collettiva di secondo livello, e dando riferimenti ed identità sociale a queste lavoratrici e lavoratori, oltre che tutele: dal sostegno al reddito, al welfare contrattuale, dalla formazione a forme di politiche attive e di incontro domanda offerta (“se formo 50 operai specializzati, anche su indicazione dei fabbisogni datoriali, primi assumi quelli che abbiamo formato”), dalla salute e sicurezza all’inclusione di lavoratori atipici. 

Sempre più la contrattazione collettiva dovrà assicurare tutele, diritti e partecipazione, sia in azienda che nei percorsi sul mercato del lavoro, di aggiornamento, cambio di occupazione, ecc. anche attraverso la bilateralità, potendo rappresentare (dall’edilizia all’agricoltura per esempio) anche presidio di legalità e di lotta alle criminalità (oggi sono le Casse Edili che danno il Durc di Congruità e vigilano sulla corretta applicazione del CCNL edile, domani perché non potrebbero organizzare il trasporto di muratori o braccianti sui posti di lavoro, sottraendoli ai caporali?).

E convinti che potrebbe essere utile anche approfondire (sul modello edile, dove il tasso di sindacalizzazioni è pari al 64%) modalità di tesseramento o di riconoscimento di agibilità sindacali basate sull’iscrizione al sindacato tramite gli accantonamenti previsti contrattualmente nell’ambito della bilateralità (si pensi al settore dell’artigianato per esempio), questo anche al fine di favorire l’iscrizione e la partecipazione alla vita del sindacato di lavoratrici e lavoratori di aziende piccole e piccolissime dove sarebbe complesso applicare direttamente in azienda la trattenuta sindacale (tanto è che ci inventiamo spesso soluzioni come la cessione del credito del singolo lavoratore, la brevi manu una tantum, ecc.).

Così come, magari mutualizzando i permessi e le agibilità sindacali, favorire la nascita di Rappresentanti Sindacali territoriali, in prospettiva lavoratori (di piccole aziende) eletti dai lavoratori afferenti a quel sistema bilaterale territoriale. 

Non delegati di bacino, spesso “marziani” per quei lavoratori, ma veri e propri delegati territoriali che oggi, lavorando in aziende di pochi dipendenti, non si avvicinano al sindacato se non dopo aver perso il posto di lavoro o dopo un infortunio. Questa (a proposito di cosa facciamo noi intanto) è una delle principali sfide e cambiamenti a cui come Fillea Cgil stiamo lavorando e su cui stiamo provando a qualificare la nostra azione contrattuale (nazionale e territoriale) e organizzativa e che chiederà anche a noi di cambiare.

Siamo di fronte ad un bivio.

Abbiamo di fronte a noi una fase di transizione dal vecchio al nuovo modello di sviluppo difficilmente quantificabile ma dal carattere irreversibile. Di questo è bene esserne consapevoli ed assumerne la portata politica, economica e sociale anche nell’ambito delle politiche sindacali e dei modelli organizzativi.

Di fronte a questi scenari il sindacato italiano può scegliere fondamentalmente tra due modelli politici e, di conseguenza, due modelli organizzativi.

Il primo modello rilancia il “core business” della contrattazione e della bilateralità contrattuale, innovando, adattando e sostenendone gli strumenti esistenti, per rimanere “nel gorgo del ciclo produttivo” e condizionarne dinamiche, traiettorie ed effetti, con una visione generale del Paese. Dove le tutele individuali sono importanti ma complementari, favoriscono il presidio degli iscritti, il raggiungimento di nuovi strati di popolazione e di lavoratori, ma non possono sostituire cosa siamo e cosa dovremmo continuare ad essere. 

Un modello di sindacato che cioè, secondo la migliore tradizione della Cgil, esercita la propria funzione nelle aziende e filiere, nell’azione di tutela collettiva “nel mercato” e al contempo rivendica “politiche generali” per tenere insieme condizione lavorativa e diritti di cittadinanza, tutela nel posto di lavoro e nella società, con un ruolo centrale del sistema pubblico ed universale, dei vecchi e nuovi bisogni che fanno il livello di dignità di un paese e la cifra della sua uguaglianza sostanziale. 

Oppure si può scegliere (anche non decidendo, sia chiaro) un altro modello che di fatto, senza ammetterlo, rinunzia al governo delle ristrutturazioni, alla battaglia per la collocazione alta nella nuova divisione internazionale del lavoro, assumendo esclusivamente la dimensione dei bisogni e dell’assistenza alle “vittime” delle trasformazioni capitaliste. Una specie di ospedale da campo che cura e assiste le vittime della guerra, ma non incide sulle cause e le dinamiche che l’hanno generata e che alimentano la guerra.

Noi riteniamo che solo il primo modello possa assolvere in pieno alla funzione di sindacato confederale, coerente con la propria storia ma soprattutto con la società italiana, i suoi modelli produttivi e sociali, con gli attuali assetti istituzionali e democratici.

E’ più difficile da realizzare perché assume la dimensione della “complessità delle risposte a problemi complessi”, senza scorciatoie, simboliche ed organizzative, in quanto si pone il problema di come si aggiornano, potenziano, ripensano gli strumenti della tutela che tutti i diversi punti del sindacato e della CGIL in particolare presidiano. 

E che necessita di un rafforzamento politico, organizzativo e di risorse “mirate” (e non disperse nel “calderone” della Cdlt o a coprire riorganizzazioni non fatte!) del legame tra categorie e Camere del Lavoro, per cui le condizioni nei luoghi di lavoro (e il tasso di rappresentanza e qualità della contrattazione, al di là delle titolarità contrattuali di cui siamo a ben ragione “gelosi”) sono interesse della CDLT e – al contempo - le dinamiche di ricomposizione delle tutele nel territorio, della presa in carico dell’iscritto, sono interesse anche delle categorie (la Fillea è, ovviamente non unica, tra le categorie degli attivi che più investe nella presenza nelle camere del lavoro, in particolare di zona e comunali, provando a praticare questo “intreccio”).

Con le strutture regionali e nazionali di categoria sempre più “competence center” che lavorano in un’ottica di coordinamento politico e contrattuale ma anche di “server per i saperi” necessari alle delegate e delegati, alle strutture sul territorio. 

E con le CGIL regionali punto di sintesi per i tanti aspetti, anche di orientamento della “spesa pubblica” e dell’attrazione di investimenti, connessi ai poteri e competenze che le Regioni hanno, dal Titolo V alla programmazione delle risorse comunitarie e del PNRR (si veda il recente protocollo sottoscritto da Governo e Cgil, Cisl e Uil). 

Dentro questo scenario allora:

- la Confederazione nazionale dovrebbe sempre più organizzarsi come “luogo di propulsione” delle grandi strategie politiche e sindacali, non essere il “doppione” delle attività delle categorie e dei territori, ma centro di elaborazione e coordinamento, che federa forze, intelligenze. Garante e controllore anche rispetto al nuovo mutualismo, alla formazione, ai temi della partecipazione, al rispetto da parte di tutte le categorie dei perimetri contrattuali in funzione anti dumping, ecc.;

- le categorie potrebbero riorganizzarsi: 

  • con una contrattazione più larga a livello nazionale, come “server di competenze”, rafforzamento dimensione territoriale/aziendale, ricomposizioni dei perimetri e delle filiere, promozione di campagne vertenziali generali (dalla sicurezza alle malattie professionali, dalla centralità della questione salariale al riconoscimento delle nuove figure professionali, ecc.);
  • con una funzione di coordinamento politico e organizzativo a livello regionale (per la Fillea, tranne dove si è interamente regionalizzato, si ha una Segreteria Regionale solo in 1 territorio), sapendo che i regionali di categoria hanno funzioni diverse anche in relazione ai livelli contrattuali, a chi sono e come sono organizzate le controparti istituzionali o datoriali che siano e che quindi l’Assemblea d’Organizzazione dovrebbe definire dei criteri per riconoscere le diversità che vi sono tra categorie, dove è possibile “alleggerire” la struttura regionale di categoria e dove no;
  • soggetto di sostegno al mutualismo sul territorio, di omogeneità, coerenza e fedele esecuzioni dei demandi contrattuali;
  • agenti per ampliare il protagonismo delle lavoratrici e lavoratori nella vita dell’organizzazione anche sperimentando forme di “mutualizzazione” dei permessi sindacali, di delegati territoriali che siano essi stessi espressione delle platee che le esprimono, oltre che di generalizzazione delle RSU (la Fillea Cgil non ha di fatto RSA nelle aziende, avendo da anni generalizzato le RSU);
  • a livello territoriale come agenti di contrattazione collettiva diffusa, specialisti nella nuova sindacalizzazione e primi erogatori di servizi e tutele che, in sinergia con le Cdlt, garantiscono anche la presa in carico nei diversi passaggi, tra territori o settori diversi, oltre che – quando giunti alla pensione – verso lo SPI.

Noi siamo convinti infatti che tutti insieme, come intellettuale collettivo, siamo all’altezza di queste sfide e più faremo vivere le differenze, il confronto, il merito, la democrazia complessa più saremo in grado di innovare e sperimentare, portando tutti dalla dimensione di “sfruttati” a quella di “produttori”. 

PARTE II  -  COSA ABBIAMO PROVATO A FARE COME FILLEA CGIL

Nel fare un primo bilancio di questi anni anche per rendere conto alle compagne e compagni delle assemblee generali, siamo consapevoli che per la Fillea Cgil hanno pesato e pesano - come per tutte le altre federazioni - specificità e storie contrattuali e organizzative (in particolare per l’edilizia e il suo centenario patrimonio contrattuale fatto da una bilateralità territoriale radicata, da un secondo livello su base provinciale/regionale, dalle caratteristiche di discontinuità, mobilità ed innovazione tipiche di un ciclo produttivo dove “prototipo, prodotto e fabbrica coincidono”). 

Oltre che, ovviamente, le dinamiche di mercato (l’edilizia e la produzione di materiali, cemento, laterizi, legno per costruzioni, ecc. dal 2008 al 2020 hanno perso 800 mila addetti e solo ora nel 2021 vediamo una ripresa, iniziata a fine 2019 ma “stroncata” dalla Pandemia). Meglio il settore dei lapidei e, in parte, del mobile-arredo (una delle A del “Made in Italy”, insieme ad Abbigliamento e Alimentare).

Quello che segue è quindi un “bilancio” sommario di quanto fatto rispetto alle principali scelte delle ultime conferenze di organizzazione (in particolare dell’ultima), di programma e dell’ultimo congresso. Un bilancio non esaustivo del tanto che le compagne e compagni a livello nazionale e territoriale hanno fatto e stanno facendo e sapendo che molte delle decisioni assunte nell’ultimo congresso sono state superate dalla Pandemia e da quello che è successo in Italia e nel Mondo.

1) Strategie contrattuali: 

in coerenza con il Documento conclusivo Conferenza di Organizzazione 2015 tutta la stagione contrattuale 2015-2021 è stata volta a

  • rafforzare l’applicazione dei CCNL dei settori contro forme di dumping contrattuale, interna e soprattutto esterna (il CCNL dell’edilizia ha dei costi contrattuali alti, in particolare per accantonamenti, sicurezza e formazione). Da qui la parificazione dei costi contrattuali nei nostri settori ottenuta nelle ultime due tornate contrattuali (oggi i CCNL hanno identico costo, sia in edilizia che negli impianti fissi indipendentemente se si applica un contratto Confindustria, artigianato, Pmi o cooperative), la riduzione del numero (contratto dei materiali, identici Ccnl nell’edilizia), i tentativi (solo parzialmente riusciti) di aggiornamento professionale, l’omogeneità normativa, la battaglia sulla difesa del Codice Appalti fino alle positive conquiste prima nella legge 120/2020 sui “commissari straordinari”, poi nel decreto 77/2021 (Decreto Semplificazioni 2021) sulla parità tra lavoratori dell’appalto e sub appalto e obbligo di applicazione, se svolgono stessa attività, dello stesso CCNL ed infine con il decreto 143 del Ministro del Lavoro, Andrea Orlando, del 25 giugno 2021 sull’attuazione del Durc di Congruità negli appalti pubblici e privati (per i privati sopra i 70 mila euro, rimanendo il vincolo dei 50 mila per la ricostruzione privata nell’area sisma 2016).
  • Difesa della funzione salariale del CCNL. La categoria crede molto nella funzione della “frusta salariale”, per cui gli aumenti dei minimi devono essere sempre superiori all’inflazione per una funzione di redistribuzione della produttività di sistema (non misurabile spesso sulla singola lavorazione o sulla singola azienda, parte di un ciclo ben più amplio) e per spingere le imprese a competere meno sul costo del lavoro e più su innovazione di prodotto e processo (e relativi investimenti). Da qui tutti i rinnovi che sono stati abbondantemente sopra l’inflazione (in modo “classico” o attraverso doppie piste salariali, modello CCNL Legno) e da qui anche l’orientamento della Federazione contro ipotesi di salario minimo legale e di aggiornamento meramente inflattivo dello stesso.
  • Un forte investimento su diritti di informazione, appalti, salute e sicurezza nell’intero ciclo produttivo (ruolo del RLS dell’azienda capofila verso fornitori e appalti), strategia rafforzata anche dalla costituzione dei Coordinamenti Nazionali RLS (impianti fissi) e RLST (edilizia) come i luoghi formali che discutono i temi della salute, sicurezza e prevenzione, anche rispetto alle piattaforme di rinnovo, oltre che per campagne tematiche nazionali specifiche. Al riguardo segnaliamo l’importanza della manifestazione nazionale del 13 Novembre 2021 e le richieste di ulteriori modifiche al Decreto 146/2021 su salute e sicurezza.In particolare, pur dando un giudizio positivo sui primi interventi, a partire dalla riduzione dal 20% al 10% dei lavoratori irregolari al fine della sospensione di attività di impresa, abbiamo chiesto ed ottenuto il reinserimento delle comunicazioni di presenza amianto nel nuovo Allegato 1 (motivi di sospensione e gravi violazioni), l’inserimento delle P.Iva al fine del computo dei lavoratori irregolari con tanto di obbligo di comunicare all’Ispettorato Nazionale del Lavoro la presenza di lavoratori autonomi i giorni prima dell’inizio della loro prestazione (favorendo così il controllo e agendo una importante “leva preventiva” contro eventuali abusi), l’obbligo di invio alle Casse Edili delle notifiche preliminari (risolvendo un problema ancora aperto in diversi territori), il riconoscimento del ruolo delle parti sociali e dei CPT al fine di prevenire e qualificare il settore. Ovviamente rimangono aperti significativi punti su cui la mobilitazione continua, a partire dall’attuazione dell’art. 27 del dlgs. 81/2008 (Patente a punti) e all’introduzione dell’aggravante di omicidio sul lavoro.
  • Una difesa e rilancio del nostro sistema bilaterale territoriale che ricordiamo è anche presidio di legalità e di corretta applicazione dei CCNL oltre che di erogazione di istituti contrattuali (ferie, rol, gratifica natalizia) e di welfare (sanitario, sociale). Sistema bilaterale composto non solo dalle Casse Edili ma anche dalle Scuole Edili (sempre più strategiche vista l’importanza di garantire il diritto all’aggiornamento e alla formazione, soprattutto a fronte di nuovi modelli produttivi più innovativi e sostenibili) e dai Comitati Paritetici Territoriali per la sicurezza (CPT) e relative Associazioni degli RLST. Anzi l’intera strategia contrattuale odierna punta, attraverso un più stretto legame tra scuole edili (da rilanciare) – Borsa Lavoro Edile (Blen.it) – imprese, a governare il più possibile l’utilizzo delle risorse del sistema per formare e aggiornare i lavoratori con vincoli possibili per le assunzioni. Un modo anche per regolare meglio ingressi nel mercato del lavoro che altrimenti sarebbero lasciati o al sistema delle mere raccomandazioni o peggio (caporali).
  • Un’azione politica e contrattuale volta a rafforzare la lotta al lavoro nero e irregolare (nuove linee guida Protocolli Legalità, oggetto di vera e propria concertazione con il Ministero degli Interni e l’Unità di missione, con l’introduzione dell’invio del settimanale di cantiere anche alle Casse Edili, quindi anche alle organizzazioni sindacali), generalizzazione del Durc per Congruità (legge 120/2020, decreto Min. Lav. 143/2021), Ordinanze 78 e 118 per l’area del Cratere, Protocolli Ispettorato Nazionale del Lavoro e Casse Edili sulle notifiche preliminari, ecc. Tutti elementi su cui si è costruito anche un sistema organizzativo, di riflesso, basato sul fatto che il sindacato sa dove si aprirà e dove è il cantiere, grande o piccolo che sia, pubblico o privato.
  • Una stagione di inclusione e rilancio generazionale in edilizia: l’istituzione del Fondo Prepensionamenti e del Fondo Giovani (quest’ultimo comincia a dare primi positivi risultati, anche in termini di contatto tra giovani operai e tecnici e sindacato). Sul fondo Prepensionamenti si potrebbe anche lavorare per una continuità nella militanza con lo Spi.
  • Dentro questa strategia va collocata anche la battaglia della Fillea Cgil e della F.L.C. per una riforma della Fornero che, in coerenza con la piattaforma unitaria di CGIL, CISL e UIL, riconosca che” i lavori non sono tutti uguali”.   In particolare la categoria si è battuta, in attesa di strumenti previdenziali strutturali, per rendere più accessibile l’Ape Sociale agli operai edili, richiedendo di ridurre da 36 anni di contributi a 30 il requisito di accesso, viste le specificità di discontinuità e anche di possibili periodi di lavoro irregolare del settore. Con la campagna “un comma salva vita”, si è ottenuto un positivo passo avanti. Nel 2022 gli operai edili, così come individuati dai CCNL dell’edilizia e affini, potranno accedere all’Ape Sociale con 63 anni di età e 32 di contributi. Ovviamente ora il punto è rendere strutturali i diversi strumenti di prepensionamento per i lavoratori gravosi ed usuranti ed estenderli anche ad altri lavoratori, a partire da quelli delle fornaci, del legno in ciclo continuo, ecc. seguendo le indicazioni anche della Commissione tecnica istituita dal Ministero del Lavoro.
  • Una grande attenzione al tema della parità salariale e del contrasto alle forme di discriminazione, violenze, ecc. verso le lavoratrici, tema fortunatamente sentito con sempre maggiore attenzione dal gruppo dirigente tanto a livello nazionale che locale, in una categoria fortemente segnata dalla bassissima occupazione femminile, con un ruolo anche in questo caso positivo svolto in particolare dal numero sempre maggiore di segretarie generali donne, oggi presenti in categoria. Tutti i CCNL sono stati rinnovati recependo le migliori pratiche nazionali ed internazionali.
  • Una valorizzazione della contrattazione di anticipo (anche con esempi di contrattazione/protocolli di sito) e dei presidi sulle grandi opere. Vanno in questa direzione (facilitati anche da protocolli con le grandi stazioni appaltanti e il Mit, in particolare Anas e Ferrovie dello Stato) le esperienze di contrattazione di sito a Genova, Bari, sulla Napoli-Bari, sulla Brescia-Verona, Brennero con un ruolo attivo tanto della Fillea che delle strutture confederali (in particolare Camere del Lavoro). Primi positivi frutti (anche se è presto visto che gli accordi sono stati sottoscritti l’11 Dicembre 2020 e il 22 Gennaio 2021) anche sul versante delle opere pubbliche commissariate per cui avendo “scambiato” la disponibilità a lavori a ciclo continuo h24, 7 giorni su 7, con una riduzione degli orari di fatto (divieto di straordinari) stiamo verificando non solo la corretta applicazione del CCNL e della contrattazione di anticipo, ma anche l’aumento dei saldi occupazionali (3 turni da 8 ore, con quarta e quinta squadra). Accordi recepiti e rilanciati dal Ministro Giovannini con il verbale di intesa del 16 Aprile 2021 e poi implementati con l’accordo quadro del 25 Ottobre 2021 che ha già prodotto uno specifico atto di indirizzo del Ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili (il 4 Gennaio 2022) in materia di verifica di congruità e di tutele nel sub appalto, sia nella fase di determina a contrarre che nelle fasi successive di autorizzazione, verificando preventivamente il rispetto della parità salariale e normativa e di applicazione dei medesimi CCNL.
  • Una valorizzazione della contrattazione di secondo livello, territoriale in edilizia (volta soprattutto a concretizzare i rinvii contrattuali nazionali, l’uso dello 0,45 di accantonamenti a favore dei lavoratori, ecc. con diversi “chiaro scuri” e fatica a rinnovare i contratti provinciali) e aziendale (negli impianti fissi) con Linee Guida unitarie orientate principalmente a valorizzare la partecipazione (in diverse aziende durante l’applicazione dei protocolli anti Covid, i Comitati Aziendali – denominati CAR, Comitati Aziendali per il Rilancio - sono intervenuti anche sull’organizzazione del lavoro, la dislocazione dei macchinari, i carichi, ecc.), alcuni elementi di “sostenibilità ambientale” come indicatori per i Premi di Produzione, la valenza “monetaria” dei premi di produttività contro eccessi di “welfarizzazione”. Dove è stata prevista la possibilità di trasformare in welfare le prestazioni monetarie, vi è quasi sempre prevista la contrattazione degli eventuali servizi e non la mera accettazione delle “piattaforme” indicate dalle imprese. Positive e con importanti risultati in termini anche di tesseramento e rappresentanza sono state le iniziative per includere sempre di più le figure impiegatizie, sia negli impianti fissi che nelle aziende edili (si vedano i coordinamenti impiegati di Milano, Roma e non solo).
  • Più difficoltà abbiamo riscontrato nell’aggiornamento delle qualifiche professionali e della poli funzionalità di nuove professioni da “registrare” nelle declaratorie. Su questo di fatto stiamo assistendo più ad una contrattazione “adattiva” al 2° livello (si vedano alcuni importanti rinnovi aziendali) che non la volontà da parte delle associazioni datoriali ad aprire questa discussione. Questo rimane, cioè, un punto di sofferenza nella strategia rivendicativa della nostra azione contrattuale.
  • Così come, tema emerso da diverse assemblee generali della Fillea Cgil, difficoltà ne riscontriamo nella promozione di un numero maggiore di compagne e compagni migranti negli organismi dirigenti. Se ultimamente, tra progetti “Piccole pietre” e sforzo di importanti strutture territoriali, come Fillea Cgil stiamo “recuperando terreno”, il tema di come valorizzare la presenza di compagne e compagni migranti, non solo in categoria ma in tutta la Cgil, rimane un punto aperto che va anche al di là dalla pur giusta proposta di istituire coordinamenti migranti ad ogni livello della Confederazione.
  • Cosi come rimane un punto di sofferenza – al netto della consolidata esperienza verso i lavoratori e le lavoratrici del restauro – sulle alte professionalità e sulle partite Iva (tanto è che solo recentemente si è costituito il gruppo di lavoro con Ance e Coop per attuare l’allegato contrattuale del 2018). Su questo come Fillea dobbiamo fare di più e meglio e potrebbe essere utile al riguardo pensare ad un appuntamento tematico della categoria.

2) Azioni politiche e contrattuali per una nuova contrattazione “sociale” territoriale

Alla tradizionale – e importante – azione di presidio – sui temi della legalità, della qualificazione degli appalti pubblici, del contrasto al caporalato e agli infortuni (non solo sostegno alla campagna che ha portato alla legge 199/2016, insieme e grazie all’importante azione della Flai, ma numerose costituzioni di parte civile, iniziative con enti locali, ecc.), si segnala l’impegno sempre più significativo della categoria in materia di riuso dei beni sequestrati alle mafie, giungendo a sottoscrivere i primi importanti accordi (il primo in assoluto per salvare occupazione e rilanciare, tramite cooperativa, un’azienda sequestrata, sottoscritto con l’allora vice Ministro Bubbico fu fatto dalla Fillea in stretto raccordo con la CGIL Nazionale e la CGIL Sicilia), sulle campagne per l’edilizia sanitaria, scolastica e universitaria (si veda il protocollo, la contro giuda universitaria e le varie iniziative locali, fatte con l’UDU) e soprattutto sulla rigenerazione urbana.

Si deve alla Fillea Cgil e alla CGIL Nazionale per esempio la battaglia e poi la norma e fondo per i progetti locali sulla “Qualità dell’Abitare”, rivolti ai comuni e che premiano progetti locali frutto di confronto e partecipazione dell’associazionismo e del sindacato. Sempre di più, intorno al binomio “welfare della persona-welfare del territorio” vanno concentrandosi azioni di contrattazione sociale come dimostrano alcune importanti esperienze locali (Padova, Treviso, Roma, Salerno, Napoli, Umbria, ecc.) promosse da Fillea, Spi e Camere del Lavoro in materia di rigenerazione. Rigenerazione intesa non solo come riqualificazione fisica degli spazi, ma come nuovi modelli di città (la città dei 15 minuti) e quindi di sviluppo per ridurre disuguaglianze e disagi. 

Da qui anche la nascita di una specifica associazione “Nuove Ri-Generazioni” sempre più animata da soggetti esterni al sindacato, professionisti, intellettuali, comitati civici e che è parte integrante dell’Asvis.

Da qui il rafforzamento della collaborazione con Legambiente (dall’Osservatorio Sisma 2016 promosso da Fillea e dal “cigno verde” alle diverse iniziative congiunte), la comune battaglia per il110% (insieme allo Spi, Abitare Anziani, Auser abbiamo rivendicato e ottenuto l’allargamento dell’incentivo alle barriere architettoniche, vedi anche la recente guida fatta insieme anche al Caf Cgil): tutti elementi e strumenti per spostare il protagonismo del sindacato dalla contrattazione “fiscale” a livello locale alla contrattazione della città e del benessere (significativa al riguardo è l’elaborazione dello Spi) che si ripensa in termini di servizi, prossimità, ecc. assumendo le tre grandi trasformazioni (ambientale, tecnologica, demografica) come sfide per ripensare la domanda (la città, la casa, il quartiere e relativi bisogni) e l’offerta (il lavoro degli edili, il lavoro dei nuovi servizi, ecc.), tutto nell’ottica appunto della declinazione dal basso del Piano del Lavoro. 

Su questo è giusto dire che, come categoria, rispetto alla contrattazione sociale territoriale siamo giunti con ritardi e parzialità e tuttora in molte strutture non la pratichiamo.

3) Strategie organizzative e adempimenti Conferenza 2015

La Fillea ha avuto da sempre, tradizionalmente, una grande attenzione all’organizzazione e al proselitismo, dove i dati relativi all’edilizia sono “certificati” dalle Casse Edili/Edilcasse anche in relazione alla corretta certificazione dei Durc alle imprese oltre che per una questione di risorse. 

La natura della stessa rappresentanza della categoria ci ha fatto essere da sempre un sindacato di strada (nel senso letterale di girare per cantieri, grandi e piccoli e per fabbrichette) come si evince sin dalla definizione del “bon sindacalista” data da Felice Quaglino (primo Segretario Generale della Federazione Italiana Arti Edili - FIAE, la “nonna” della Fillea) che nel 1901 definiva “l’agitatore sindacale della FIAE un bon sindacalista perché è sempre per le vie”. 

Di conseguenza il Centro Nazionale è sempre di più un centro di forte coordinamento contrattuale e politico e di “server” di competenze e di sostegno organizzativo per le strutture territoriali, avendo sin da subito sposato la linea di concentrare il massimo possibile delle risorse sul territorio.

Al riguardo è utile sottolineare come:

  • si è data immediata attuazione alle disposizioni della penultima conferenza di organizzazione, portando la canalizzazione delle quote delega a favore della Fillea Nazionale al 6,5% e lasciando il 69,5% delle risorse alle categorie territoriali (il 24% va alle strutture confederali);
  • si è portata (andando a regime nel 2019, nota Boni-Baseotto) all’1% la quota delega in relazione alla canalizzazione degli iscritti operai Fillea in edilizia verso i livelli confederali (era già 1% per tutti gli altri settori e per gli impiegati), di fatto generalizzando per tutti i nostri settori l’1% di trattenuta;
  • nonostante un pesante piano di risanamento ai sensi della Delibera 6 del Comitato Direttivo CGIL Nazionale, condiviso con la Segreteria Nazionale della CGIL, che ha portato la Fillea Cgil Nazionale al pareggio nel 2018/2019, sono stati finanziati progetti di proselitismo sul territorio, in particolare per l’inserimento di giovani, donne e migranti;
  • si è data attuazione alla funzione dell’Assemblea Generale come organismo dedicato all’attuazione delle linee politiche generali della Federazione, con una buona partecipazione all’elaborazione della categoria e alle strategie complessive. Al riguardo vanno segnalate però due criticità: la prima che intervengono sempre gli stessi delegati aziendali, la seconda – più “strutturale” – di una “sproporzione nella rappresentanza” della Federazione (con una sovra rappresentanza dei settori degli “impianti fissi” in quanto, per dimensione, hanno le RSU, rispetto a tanti iscritti di imprese con 2 o 3 dipendenti soprattutto in edilizia). Per assurdo se si dovessero istituire, accanto ai coordinamenti di settore dove già si manifesta il protagonismo delle delegate e delegati, nuovi organismi ancora più baricentrati sulla figura del “delegato di luogo di lavoro” (Assemblea dei Delegati, ecc.) rischieremo come categoria un ulteriore aumento nel “divario di rappresentanza”, a svantaggio della maggioranza degli iscritti;
  • rispetto all’indicazione “di massima” sul rapporto equilibrato tra funzionari e iscritti al riguardo si veda il punto specifico, ma è necessario sottolineare come la Fillea abbia - come funzionari e dirigenti - soprattutto dipendenti e non compagne e compagni in legge 300 o con permessi retributivi aziendali vista la dimensione media di impresa (edilizia) di 2,7 dipendenti (e il 90% delle imprese ha 1,6 dipendenti, dati Ance Febbraio 2021) e la concentrazione degli impianti fissi, per la gran parte, in specifiche aree del paese (distretti del mobile, del lapideo, ecc.);
  • in termini di formazione significativo è stato l’investimento negli ultimi anni: non solo in Fillea è operativo un Piano Nazionale Formativo con “corsi obbligatori” per tutti i funzionari, ma anche e soprattutto è stata riattivata, a carico della struttura nazionale, la Scuola Sindacale Residenziale (a Nocera Umbra) dove si tengono regolarmente moduli formativi per funzionari e delegati sulla contrattazione, sul welfare, sulla politica. Ad oggi hanno partecipato ai corsi residenziali (di 6 o 3 giorni) oltre 350 compagni e compagne. Anche per questo le scelte proposte dalla Cgil nazionale sui nuovi investimenti in formazione politica dei quadri è condivisa;
  • in termini di semplificazioni organizzative e di livelli di direzione la Fillea Cgil ha proceduto, a semplificazioni organizzative volte a rafforzare le presenze diffuse sul territorio (scavalchi funzionali, fusioni, regionalizzazioni). 

(…)

In termini di proselitismo infine registriamo che, dal 2015 ad oggi:

1) nel calo generale degli addetti in termini assoluti (meno 600 mila nell’edilizia, meno 200 mila nelle filiere dei materiali) la Fillea ha confermato il primato negli “impianti fissi”, confermandosi di gran lunga il primo sindacato nel settore del legno arredo, dei lapidei, dei laterizi e del cemento e da 4 anni è tornato il primo sindacato anche in edilizia. Su questo ha svolto e potrà svolgere una funzione positiva anche la decisione di dedicare specifiche campagne di proselitismo mirate su: impiegati delle imprese edili, migranti (positiva è l’azione dell’ufficio INCA in Romania sostenuto da Fillea e Flai), impianti fissi (distretti del legno), restauratori. Con la ripresa del settore, registrata nella seconda parte del 2021 (e prevediamo continui nel 2022) i segnali sono poi di un ritorno alla crescita degli addetti nelle Casse Edili/Edilcasse (anche per riattivazione di “vecchi iscritti”) si pone il tema di come mantenere il primato, rafforzando ulteriormente la nostra presenza sui territori;

2) solo recuperare dentro i perimetri contrattuali dell’edilizia quanto impropriamente eroso da altri CCNL (multi servizi in primis, ma per i ponteggi e i carpentieri segnaliamo anche il ccnl metalmeccanico artigiano) generebbe (dati ricerca Fondazione Di Vittorio) un potenziale di crescita di iscritti di almeno 60/65 mila persone (applicando il tasso di rappresentanza attuale della Fillea a chi si “re iscriverebbe” nelle Casse Edili, a 150 mila addetti), per un valore (calcolato sulla media delega 2020) di 3,8/4 milioni di euro complessivi l’anno (si considerino che i tassi di sindacalizzazione nel CCNL multi servizi è pari all’6%, dati 2019).

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