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Il testo del documento politico conclusivo del XX Congresso Nazionale Fillea, approvato all'unanimità dalla Commissione Politica e dall'Assemblea.

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Il XX Congresso della Fillea Cgil assume la relazione del Segretario Generale Alessandro Genovesi, i contributi emersi dal dibattito e le conclusioni della Segretario Nazionale della Cgil Tania Scacchetti.  Approva inoltre il seguente documento politico.

“Analisi della fase” 

La fase attuale, in Italia in Europa e nel mondo, è segnata da quattro processi di medio-lungo periodo:

nuove e più tese relazioni geopolitiche (l’invasione russa dell’Ucraina, l’allargamento della Nato, le tensioni USA-CINA) che fanno rientrare la guerra come “possibile ed ordinaria risoluzione di controversie”, chiudendo veramente il “secolo breve” che dalla prima guerra mondiale alla rivoluzione russa ha segnato il “nostro” 900;

una radicale de globalizzazione (riallocazione delle filiere internazionali di produzione, riassetto delle linee logistiche e di fornitura delle merci a fronte della “rivoluzione pandemica”) che offre opportunità così come rischi, in funzione della collocazione del Paese (alta o bassa) nella nuova divisione internazionale del lavoro, chiudendo anche con l’idea di una globalizzazione fautrice, di per sé, di più benessere e sviluppo per tutti. Un’idea che tanto ha “egemonizzato” il pensiero politico dell’Occidente;

la virtualizzazione, tramite piattaforme, della maggioranza del valore aggiunto prodotto dall’umanità: cioè il valore della produzione immateriale (anche a seguito della stessa Pandemia) e finanziaria nel 2021 ha superato il valore di tutte le merci prodotte nel Pianeta e la potenza tecnologica (automazione, IA, pianificazione algoritmica, ecc.) potrebbe - se non bilanciata dalla “politica”, dal cambio del modello produttivo e di consumo (produzione sociale, lavoro di cittadinanza, consumi collettivi e beni comuni) – distruggere più posti di lavoro di quanti ne creerebbe;

la sfida della riconversione ambientale, energetica e tecnologica del modello produttivo e degli stessi consumi rappresenta un’impellente necessità per la sopravvivenza del pianeta e del genere umano, ma anche la possibile redistribuzione di diritti ed opportunità contro un tasso di disuguaglianza sociale mai raggiunto negli ultimi decenni. La stessa Pandemia che così duramente ha colpito il Mondo e il nostro Paese può essere letta come una conseguenza del mutamento ambientale, dell’iper antropizzazione del pianeta, degli squilibri biologici in atto. Al contempo essa ha rappresentato un’accelerazione sia in termini di diffusione tecnologica, di nuove modalità relazionali che di riscoperta della centralità della dimensione urbana, intesa come questione abitativa (la qualità della propria casa, del proprio condominio), come questione di prossimità o meno ai servizi (da quelli sanitari al commercio al dettaglio, dai trasporti all’assistenza) e alle aree verdi, come questione di riallocazione delle attività produttive, dando una centralità al tema della rigenerazione urbana e della “città dei 15 minuti” come mai prima.

Lo scontro in atto è quindi tra nazioni, ma anche tra fasce di popolazioni all’interno delle stesse, tra le mille periferie e i pochi centri dell’accumulazione di potere, ricchezza, saperi.

Con due tendenze evidenti anche nei paesi occidentali: da un lato la riduzione della partecipazione democratica (a partire dalla non partecipazione al voto), dall’altro la ricerca di soluzioni e leadership forti che, nel nostro paese, anche per la stessa legge elettorale, hanno consegnato la vittoria alle ultime elezioni politiche alla Destra. Con un dato “reale” evidente: 12 milioni di persone hanno votato la destra, 15 milioni hanno votato gli altri partiti (divisi tra di loro), oltre 17 milioni non votano o hanno votato scheda bianca (e per conseguenza della legge elettorale che “premia” le alleanze, ora governa la destra). 

Si pone per questo, in modo nuovo, il tema di come riconquistare un nuovo modello di sviluppo, un sistema economico, un modello di relazioni industriali e tra le persone in grado di ricostruire un protagonismo del lavoro, della sua qualità, dei diritti e delle libertà in un contesto pieno di contraddizioni, evitando da un lato l’autoreferenzialità delle forze sociali e politiche e dall’altro l’accettazione che quello attuale sia l’unico modello, possibile.

Un modello che viene esasperato dalla destra e che sotto intende relazioni sociali e personali più chiuse: dal decreto sui rave alla gestione dei salvataggi in mare dei migranti, fino alla promozione delle donne in quanto esclusivamente madri, all’idea stessa di società e famiglia. 

Una politica di “sostegno ai forti” e di “penalizzazione dei deboli” come dimostrano le prime proposte sull’Autonomia differenziata (rischiando di aumentare i divari tra aree del Paese), senza mettere in campo alcuna idea di politiche anti inflattive a tutela di salari e pensioni, o il ritorno di fatto alla “social card” di tremontiana memoria, il superamento del Reddito di Cittadinanza e l’affermazione implicita per cui se si è disoccupati è colpa dei disoccupati che magari non accettano di andare a lavorare con i voucher (reintrodotti dopo il referendum della Cgil) o a 3 euro l’ora. 

Abbiamo giudicato nel merito i primi provvedimenti del Governo anche se dalla destra non ci aspettavamo, come Fillea Cgil, che scelte politiche e sociali a vantaggio di alcune soggettività sociali (commercianti, piccoli artigiani, professionisti). Con la legge Finanziaria abbiamo avuto certezza sui soggetti sociali a cui vogliono parlare (e soprattutto a cui vogliono dare). In piena crisi da inflazione (oltre il 12%) le priorità non sono state difendere il potere d’acquisto di salari e pensioni, non è stato combattere l’evasione e il lavoro nero, non sono state politiche industriali più ambiziose, non è stato neanche mantenere (anche riformandoli sia chiaro) i vari incentivi per favorire risparmio energetico ed efficienza a vantaggio dei soggetti più deboli che vivono spesso nelle case più vecchie ed energivore. 

Le loro priorità sono state provare fino all’ultimo a superare i pagamenti elettronici e aumentare il contante. Priorità è stata la reintroduzione dei voucher e la loro estensione; la flat tax (cioè pagare solo il 15% contro il 30% normale) per i lavoratori autonomi fino a 85 mila euro (quasi 2,5 volte la media di un lavoratore dipendente). Tra le loro priorità vi è stato ridurre le tasse sugli utili da rendita finanziaria al 14% contro il 26% pagato sugli utili di imprese e il 30% sul salario. 

E ovviamente nessun intervento è venuto per aumentare le risorse per il welfare pubblico e l’assistenza, magari aumentando la tassazione sugli extra profitti. Anzi il segnale sul welfare, la sanità e la difesa dei più deboli è stato esplicito: tagliando tasse ai ricchi per oltre 3 miliardi (tanto valgono flat tax, condoni, ecc.) si tolgono 3 miliardi allo stato sociale (minori entrate) e con un’inflazione al 12% il taglio è, nei fatti, assai più amplio. 

Queste ulteriori disuguaglianze si sommano a “fragilità” e ritardi nostrani da sempre denunciati dalle organizzazioni sindacali, per cui a fronte di alta inflazione, rischi di destrutturazione dell’apparato produttivo (o si avvia una grande riconversione tecnologica e ambientale oppure avremo chiusure e fallimenti), riduzione delle entrate fiscali e del welfare pubblico da queste alimentate rischiamo una “nuova recessione”.

Non a caso come Cgil abbiamo posto sin da subito il tema di come usare le ingenti risorse economiche, private e pubbliche, attivate dal PNRR, di quale ruolo debba avere la Commissione Europea (si conferma la svolta del Next Generation Ue, del Programma Sure o si torna all’Ue dell’austerità?), e quindi del ruolo dello Stato, di quale ruolo debbano avere la rendita, la finanza, la tecnologia e il lavoro, per un nuovo modello di sviluppo.

Queste le coordinate da cui partire e sul quale interrogarci, in coerenza con le azioni delineate dal documento di maggioranza della Cgil “Il lavoro crea il futuro” per definire la nostra strategia dei prossimi anni, partendo dalla convinzione che per noi un nuovo modello sociale, per essere giusto e democratico, deve ripartire dal lavoro che c’è, dal lavoro che va trasformato e tutelato, dal lavoro che manca e va creato, dal sostegno al welfare state e dal ruolo del settore pubblico.

Consapevoli, noi, di essere una categoria al centro dello scontro tra “produzione e rendita”, tra “transizione energetica e digitale e competizione sui costi”, al centro della transizione demografica, culturale e multi etnica, al centro della nuova conformazione dei luoghi fisici e dei flussi urbani.

Per quello che facciamo (rigenerazione, nuove tecniche e materiali, sostenibilità e circolarità) e per quello che già siamo (luogo di incontro, intrecci, di multiculturalismo). 

Per quello che difendiamo (il lavoro di qualità, sicuro e legalità) e per quello che vogliamo creare (nuova e buona occupazione, nuovi modelli dell’abitare e del vivere urbano).

Per la cultura politica, la pratica collettiva, la visione delle tutele da difendere sul posto di lavoro e nel territorio che esprimiamo e che, come ci hanno ricordato gli appuntamenti per i nostri primi 136 anni, ci fanno essere culturalmente parte di un campo di valori.

“Da sempre stiamo da un lato della barricata”

Noi siamo quelli che vogliono maggiore giustizia sociale, maggiore democrazia economica, maggiore rappresentanza e potere per i lavoratori e le lavoratrici, i disoccupati, italiani o migranti che siano. Perché con “più contrattazione, più rappresentanza, puntiamo a più democrazia e partecipazione”, Fabbrica per Fabbrica, Cantiere per Cantiere, Territorio per Territorio

Noi siamo per una libertà che sia libertà dai bisogni, dove il lavoro è dignità ed emancipazione da costruire tutti i giorni con gli strumenti della contrattazione collettiva, della partecipazione, dell’impegno corale. Noi siamo quelli che, per usare le categorie del filosofo Bobbio, si collocano “da un lato della barricata”. 

Per questo riteniamo anche (e proviamo a praticare la nostra azione con questa consapevolezza) che la distanza fra la rappresentanza politica e rappresentanza del mondo del lavoro sia un problema democratico per tutti.

Per i partiti democratici, progressisti, ambientalisti che a forza di essere liquidi sono quasi “evaporati” e a forza di essere subalterni ad un’idea mercantilista e liberista, hanno perso capacità di progettazione e di narrazione alternativa, passione, anima, oltre che radicamento sociale.

Ma anche per noi, forze del lavoro organizzato, che mentre ci interroghiamo su come rappresentare il lavoro che è cambiato, ricostruire tutele generali, dobbiamo essere consapevoli che con meno alleati nella società, tra la gente e le istituzioni, saremo (e siamo) più deboli, difenderemo con più difficoltà gli interessi di lavoratori, disoccupati, pensionati, avremmo più problemi nell’allargare e definire nuove tutele, nuovi campi di intervento. Per questo abbiamo sostenuto e sosteniamo anche la partecipazione attiva del mondo associativo, sui grandi temi di portata generale come la “pace” o la “sostenibilità”. 

Senza pensare che tali movimenti siano sostitutivi della nostra azione sindacale e contrattuale, della necessità di ampliare la nostra rappresentanza nei luoghi di lavoro, ma anche senza chiusure ai positivi fermenti che, per esempio, arrivano dalle riflessioni del pontificato di Papa Francesco (a cui, non a caso, abbiamo dato – e siamo onorati che l’abbia accettata – la nostra tessera per i 136 anni).

Per questo fa bene la CGIL a porre il tema del protagonismo del lavoro al centro della propria riflessione sulla “crisi democratica”.

Una crisi che apre una divaricazione fra l’azione dei partiti e la crisi di rappresentanza, rappresentatività e partecipazione, seppur in forme diverse, anche del sindacato.

E’ uno strappo che se non ricuciamo rapidamente, mina non solo i valori e l’identità cari ad una gran parte di noi, del campo progressista e democratico, ma che alimenta rabbia, frustrazione, sfiducia e rassegnazione, alimentando anche spinte populiste verso destra, xenofobe, razziste.

Abbiamo già visto esplodere nazionalismi e populismi che provano a dare una risposta alla crisi del modello capitalistico e neoliberista, agli eccessi di finanziarizzazione dell’economia, ad un lavoro diventato merce, ad una impresa che ha lucrato sul costo del lavoro riducendo salari e tutele, ma che non hanno messo al centro la crisi del modello che l’ha prodotta, limitandosi a scorciatoie che lasciano immutati i termini del problema: la depredazione delle risorse naturali, le relazioni chiuse ed i consumi edonistici, l’assenza di partecipazione e democrazia.

Per questo riteniamo che serva una risposta di alto profilo programmatico e progettuale perché vogliamo ricostruire una comunità, una società più giusta, solidale, sostenibile sul piano ambientale, sociale ed economico, sapendo dare risposte nel breve periodo, ma anche in quello medio, nei confronti di questo governo e del suo “paternalismo autoritario” come è stato definito.  

Il tema non è oggi, come ieri, il grado di autonomia del sindacato, la cui fonte di legittimazione sono e saranno sempre le lavoratrici ed i lavoratori, dove proposte e progetti vivono in quel mix di democrazia diretta, democrazia delegata e democrazia di organizzazione che ci caratterizzano (come abbiamo ribadito anche alla nostra Conferenza di Organizzazione Fillea e alla Conferenza di Organizzazione della CGIL). 

Il punto è che una rappresentanza politica distante da quelli che noi consideriamo i temi ed i problemi del lavoro, rischia di rafforzare un modello di sviluppo egoistico, predatorio, dove i ricchi diventano sempre più ricchi, i poveri più poveri e si marginalizza quel “ceto medio” reso tale anche dalle conquiste sindacali nell’arco dei passati decenni.

Non affrontando le sfide del cambiamento, non ponendo fine ai ritardi nelle politiche di intervento pubblico e in particolare di quelle rivolte a colmare i vari differenziali territoriali, non solo in infrastrutture materiali (pure indispensabili a partire dai corridoi europei e dal passaggio “da gomma a ferro e acqua” in particolare al Sud), ma in sviluppo e ricerca nei settori della transizione ecologica, nelle politiche industriali oggi completamente assenti, nella messa in sicurezza del territorio, nella rigenerazione dei territori e delle città; scoraggiando un intervento pubblico che sia invece da volano e stimolo alla iniziativa e investimenti privati, delle imprese dei nostri settori in primo luogo. 

Non valorizzando la produzione e non contrastando la rendita: dobbiamo invece tassare di più la rendita rispetto alla "produzione", rappresentando questa battaglia anche un terreno strategico di incontro con i tanti imprenditori seri che vogliono creare e non vivere di rendita o sulla speculazione.

Dobbiamo assumere la crescita della dimensione di impresa, della sua capacità di investimento sulle professionalità e l’innovazione come obiettivo strategico per aumentare produttività e competitività dei nostri comparti. 

Assumendo la questione del riequilibrio di investimenti produttivi ed opportunità verso il Mezzogiorno e le aree interne come questione nazionale. 

Mai come oggi l’azione della categoria e della Confederazione deve assumere il terreno del rilancio del Mezzogiorno, dei tanti comuni (non solo al Sud) che - in piena transizione demografica - rischiano l’abbandono e l’incuria, scommettendo su vecchie (e più sostenibili) e nuove vocazioni produttive, culturali e sociali, per cui la cura del territorio e delle città (le tragedie non si contano più), delle coste come della montagna, sono altrettanti “terreni” di una nuova “unità nazionale” che produca una contro narrazione rispetto alla stessa secessione dei ricchi. 

“Un progetto per l’Italia e per l’Europa”

Un progetto che per noi passa da un Piano europeo per il lavoro, in grado di governare i cambiamenti tracciati dal Next generation EU e dagli interventi del PNRR nel segno della sostenibilità per offrire opportunità di nuovo lavoro buono e stabile, ben retribuito e sicuro, con un controllo reale degli orari di fatto e formazione permanente per tutto l’arco della vita (anche con una riduzione degli orari di lavoro a scopi formativi permanenti come abbiamo chiesto nella piattaforma per il rinnovo del CCNL Legno-Arredo).  

Un progetto che si colloca nel solco di una visione dello sviluppo dell’Europa, come futura e solida unione politica e sociale e non solo economica.  Progetto per anni messo in crisi dal Fiscal Compact e da una visione (l’austerità) del ruolo economico e finanziario dell’Ue e rilanciato poi con una nuova politica di intervento (compresa la prima creazione di debito comunitario) per rispondere alla crisi sanitaria, economica e sociale. Su questo si è riaperto oggi lo scontro tra chi vuole continuare a rafforzare l’Europa interventista e chi vuole rinchiudere in una breve parentesi quanto avvenuto per tornare all’Unione del “fiscal compact”.   

Noi, forze del lavoro, siamo impegnate perché il ciclo politico ed economico che si è aperto dopo il dramma della Pandemia sia il volto della nuova Europa.

Un’ Europa che difende, promuove e valorizza il suo modello di pubblico e di welfare state e che con la diplomazia, la cooperazione e il “buon esempio” si fa portatrice di pace e democrazia tra popoli e nazioni nel Mondo, soprattutto non con il ricorso alle armi.

Un’ Europa sempre più vicina al suo popolo, a tutti noi, facendoci non solo attori ma partecipi, cittadini europei (da qui il rilancio stesso dell’idea di Federazione Europea, dei valori e programmi di Ventotene).

Compete a noi (europei ed italiani) costruire le condizioni per promuovere e gestire un nuovo “compromesso tra capitale e lavoro”, con quelle necessarie “riforme di struttura” che mettano al centro il governo industriale, finanziario e sociale delle transizioni ecologiche, digitali e demografiche in cui siamo già immersi. 

Del resto o saremo in grado di accompagnare con più investimenti produttivi le riconversioni tecnologiche e di consumo del nostro modello industriale o assisteremo alla più grande destrutturazione e dismissione della storia recente, uscendo sconfitti da una competizione globale sempre più rapida e feroce. 

Gli stessi strumenti sindacali “ordinari” della contrattazione seppur utili e necessari potrebbero non essere sufficienti ad affrontare il cambiamento.

Oggi la sfida è come il lavoro, attraverso partecipazione e conflitto, riequilibri i poteri, a livello nazionale e almeno europeo. 

Non partiamo da zero, anzi, abbiamo molte proposte di organizzazione ed unitarie, nazionali e delle nostre Federazioni Europee e mondiali EFBWW e BWI e della CES ed altre ne possiamo indicare in un ampio contesto di alleanze, anche con la parte più avanzata ed innovativa dell’imprenditoria nazionale ed internazionale. 

Le stesse azioni contrattuali, vertenziali che stiamo provando a portare avanti nell’edilizia come negli impianti fissi, nei confronti dell’Unione Europea e del Parlamento Europeo sono, in piccolo, il tentativo di tradurre questa impostazione, di tradurre nei nostri settori i contenuti del documento congressuale (si pensi alle norme europee sull’amianto e sul distacco internazionale della manodopera, con anche l’importante implementazione del tracciato Mut dei lavoratori in distacco operativo da febbraio 2023, comunicazione Cnce n.832).

“La nostra azione come FILLEA CGIL”

Da questa complessità, in termini di quali relazioni industriali, quale contrattazione collettiva, quale pratica politica e organizzativa, vogliamo partire per offrire il nostro punto di vista.

Per questo abbiamo scelto come slogan” + contrattazione + rappresentanza = + democrazia”.

Perché intorno a queste coordinate abbiamo esercitato la nostra funzione e azione sindacale, politica e organizzativa come Fillea Cgil e abbiamo provato a dare il nostro contributo alla Cgil. 

Perché intorno a queste coordinate riteniamo che si possano costruire strumenti, azioni, e “dimensioni di senso” in grado di tutelare i lavoratori nel mondo che sta cambiando e, tramite più democrazia economica, più partecipazione, proteggere i lavoratori nei passaggi di fase (dal lavoro “dark” a quello “green”, dal lavoro gerarchizzato a quello più orizzontale, dal lavoro a basso contenuto tecnologico al lavoro integrato con l’Intelligenza artificiale, ecc.).

Anche così possiamo dare il nostro contributo ad una battaglia che è sindacale, culturale e politica. Per cui l’essere umano viene prima del profitto, la vita e l’ambiente prima del mercato, i consumi ed i bisogni collettivi prima del successo individuale. 

Il Sindacato confederale in fondo è questo per noi: rappresentanza generale di tutto il mondo del lavoro che, in nome della solidarietà, unisce ciò che condizioni diverse, tecnologie, precarietà, dimensioni di impresa frammentano. 

Una sintesi collettiva degli interessi del mondo del lavoro che rafforza e qualifica la nostra iniziativa, in termini verticali e orizzontali, categorie e camere del lavoro, senza contrapposizioni ma anzi in uno sforzo comune contro ogni forma di corporativismo, di riduzione della rappresentanza alla sola tutela individuale, e contro ogni forma di minoritarismo o mera testimonianza.

Un ruolo collettivo, riconosciuto, di partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori, democratico e responsabile che si apre al territorio per condividere le linee generali di sviluppo, richiede allora la definizione di regole vincolanti per tutti nelle relazioni industriali ed economiche. 

Regole che oggi sono assenti (per questo chiediamo sia l’attuazione dell’art. 39 della Costituzione per una legge sulla rappresentanza sia l’attuazione dell’art. 46 della Costituzione sulla partecipazione dei lavoratori alle scelte aziendali) e che faciliterebbero anche l’introduzione stessa di una legge sui salari minimi definiti dai CCNL sottoscritti dalle OO.SS. comparativamente più rappresentative.

E sempre per questo crediamo che, per governare sul territorio le trasformazioni del mercato del lavoro, la mobilità dei lavoratori, la loro discontinuità, i loro bisogni formativi, sia valida la proposta di estendere, pur con tutte le differenze del caso, la nostra mutualità e bilateralità edile anche in altri settori, a garanzia reale delle prestazioni contrattuali, presidio di legalità, formazione professionale, incontro domanda-offerta (si veda documento conclusivo della Conferenza di Organizzazione della Fillea Cgil Nazionale), rappresentando una possibile esperienza di ricomposizione e di “identità collettiva” a fronte del tanto lavoro frammentato, dipendente e autonomo, discontinuo, nelle PMI oggi senza o con scarse tutele reali.

Scelta di buon senso ancora di più oggi, a fronte di grandi trasformazioni tecnologiche e produttive, con crisi sistemiche che, come il Covid ha dimostrato (ma per altro verso, i cambiamenti climatici o la siccità in egual modo) sono fattori di forte accelerazione ma anche di “scomposizione” nei modelli organizzativi e relazionali (si pensi, soprattutto al Nord, all’esplosione del fenomeno delle dimissioni volontarie tra i più giovani e istruiti).

In piccolo si vedano allora la strategia di rilancio degli enti bilaterali, con i positivi rinnovi del 2018 (che fissa la tripartizione 0,75, 1,05 e 1,05 e mette in sicurezza la funzione contrattuale delle Casse Edili (a completamento arriva il nuovo schema di bilancio che da quest’anno dobbiamo usare per “blindare” il nostro 0,45 per le prestazioni territoriali) e del 2022 (tutto da agire e che ci deve vedere tornare a svolgere una funzione di programmazione delle scuole e degli enti unici, ovvero sia formazione, sicurezza, lotta al sotto inquadramento).

Si vedano gli accordi fatti sul PNRR, i rinnovi contrattuali negli impianti fissi (da ultimo nel 2022 cemento, laterizi, lapidei), le conquiste legislative ottenute e che ora probabilmente saremo chiamati a difendere (a partire dal nuovo Codice degli Appalti, dopo la legge delega 78/2022), finanche il nostro insistere sulla Rigenerazione Urbana come terreno di incontro/scontro tra modelli diversi, la centralità data ai PINQUA (e su cui dobbiamo registrare anche ritardi e sottovalutazioni nostre, come Fillea e come Cgil).

In questi anni abbiamo provato a governare il cambiamento con più rappresentanza ed abbiamo ottenuto anche risultati apprezzabili, per tutelare il lavoro, e promuovere la qualità nella filiera delle costruzioni (edilizia e materiali) e, attraverso le riforme degli inquadramenti, governare le trasformazioni del lavoro e dei suoi contenuti. 

Quando non vi erano le condizioni per un accordo con le imprese e/o con le istituzioni, abbiamo lavorato perché maturassero, perché si spostassero in avanti rapporti di forza e alleanze. 

Pensiamo solo, per esempio, allo scontro con l’Ance sugli accordi per i commissari straordinari delle grandi opere, o ancora al Durc di Congruità: con le lotte ci siamo presi la norma nella legge 120/2020, ma poi con la contrattazione e con la mediazione abbiamo ottenuto l’accordo con tutte le associazioni datoriali (artigiani compresi). 

L’accordo di tutte le parti sociali sulla congruità ha permesso con più facilità al Ministro del Lavoro Andrea Orlando di dare poi attuazione alla norma, con il decreto 143/2021. E ricordiamo che abbiamo portata anche nell’edilizia privata la congruità, oltre l’iniziale perimetro previsto dall’art. 105 comma 16 del Codice degli Appalti pubblici.  Un po' come in Spagna, dove la legge contro la precarietà è stata sicuramente agevolata da un’intesa precedente tra le OO.SS. spagnole e la Confindustria iberica. 

Molte sono state le conquiste contrattuali sia negli impianti fissi che in edilizia, nazionali e di secondo livello, a tutela del salario (come riconosciuto dall’Istat stesso nel report di Marzo 2022) e delle professionalità (riforma dei profili, lotta al sotto inquadramento in edilizia; 0,20%; rilancio della formazione in azienda e nei settori, scuole edili, formazione professionalizzante e formazione aggiuntiva per la sicurezza; maggiore attenzione alle questioni di genere, ecc.), senza scambi impropri e non coerenti con la strategia di contrasto alla precarietà portata avanti dalla Cgil (abbiamo resistito all’attacco portato sul contratto a termine in tutti i CCNL).

Così come significative sono state le conquiste legislative: dalla parità di trattamento economico e normativo e applicazione dello stesso CCNL tra lavoratori in subappalto e lavoratori in appalto nel Codice dei Contratti Pubblici all’aver ottenuto il divieto di massimo ribasso sia sui costi della sicurezza che i costi della manodopera nella legge delega 78/2022 (il tutto in forte coordinamento con l’azione della Confederazione a livello unitario; si veda per tutti il positivo protocollo sottoscritto tra ANAC, Cgil, Cisl e Uil il 16 giugno 2022 che riteniamo essere uno strumento utile e coerente con la nostra strategia, finanche inserendo il DURC/DOL e la segnalazione negativa in caso di “non congruità” nel Fascicolo Virtuale dell’Operatore Economico).

E poi la subordinazione (la legge 25/2022 e poi la circolare n.19/E Agenzia delle Entrate sono primo caso in Italia) degli incentivi pubblici dati ai privati (vari bonus edili) all’obbligo di applicare i CCNL di settore comparativamente più rappresentativi (leva per limitare forme di dumping da parte di altri CCNL, si pensi da ultimo alla “ferita ancora aperta” del CCNL artigiano metalmeccanico, sui ponteggi prima ed i restauratori poi).

Il riconoscimento delle specificità previdenziali del lavoro gravoso in edilizia (32 anni di contributi per accedere all’Ape Sociale) riconfermato anche per il 2023, fino ad importanti conquiste in materia di legalità e regolarità.

Numerosi i protocolli prefettizi di prevenzione antimafia nelle opere pubbliche che, tra settimanale di cantiere semplificato e valorizzazione degli enti bilaterali a partire dalle esperienze fatte nell’area sisma 2016, stanno ormai caratterizzando una nuova “filosofia” di presidio attivo del territorio. Ora essi vanno praticati costantemente dalle nostre strutture territoriali e devono divenire strumento ordinario di attività, per alimentare quella che Falcone e Borsellino chiamavano “la dimensione sociale dell’antimafia”.

Anche in coerenza con la proposta di “Testo Unico per la Ricostruzione privata” alla cui stesura la Fillea Cgil, insieme a Feneal Uil e Filca Cisl, hanno contribuito consolidando ed implementando le tutele previste dalle varie ordinanze e protocolli, anche in una positiva interlocuzione con i vari commissari. Da ultimo con l’On. Legnini a cui vanno i ringraziamenti della Fillea Cgil. Pronti a confrontarci anche con il nuovo commissario alla ricostruzione, il senatore Guido Castelli per rafforzare ulteriormente le norme a tutela del buon lavoro, della legalità e contro dumping ed infortuni.

Il tutto come “accompagnamento” ad una gestione sindacale, basata sulla qualificazione e contrattazione preventiva delle risorse del PNRR, del Fondo Complementare e delle risorse di cui agli Accordi di Programma delle principali stazioni appaltanti pubbliche (RFI, ANAS, Provveditorati OO.PP).

Ricordiamo gli accordi sottoscritti a fine 2020 con il Ministro Paola De Micheli, poi ribaditi ed implementati con le intese sottoscritte con il Ministro Giovannini (accordi di Aprile, Giugno e 25 Ottobre 2021), con ANAS e RFI, con i Commissari straordinari ex articolo 4, fino agli Atti di Indirizzo del MIMS nel 2022, in materia di autorizzazione al sub appalto, congruità, rispetto dei perimetri contrattuali (poi recepiti nell’Agosto 2022 anche dal gruppo FF.SS. cioè RFI e ANAS).

Così come numerosi gli accordi e le iniziative sui temi della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (da ultima la manifestazione nazionale unitaria a novembre 2021 con le positive modifiche dell’art. 14 del T.U sulla sicurezza), nel rapporto di collaborazione con l’Ispettorato Nazionale del Lavoro e con l’INAIL, con l’anticipo a 3 anni dei richiami rispetto ai 5 previsti dalla legge, le 16 ore per gli impiegati, la giornata di assemblea aggiuntiva il 28 Aprile negli impianti fissi, senza considerare le intese specifiche sul COVID nel settore edile.

In particolare sulla gestione del Covid rivendichiamo la coerenza della categoria con le strategie confederali in relazione ai protocolli a tutela del lavoro e del mantenimento della produzione in tutta sicurezza, e anche la scelta di sostenere sin dall’inizio l’obbligatorietà del vaccino a tutti i cittadini e poi la campagna vaccinale (la Fillea è infatti stata tra le prime organizzazioni sindacali a lanciare, prima da sola e poi unitariamente con Feneal Uil e Filca Cisl una campagna a sostegno della vaccinazione in tutti i luoghi di lavoro, con lo slogan “io mi vaccino perché” e poi la campagna “#antivirus”). 

La stessa definizione, in diversi CCNL, di politiche e strumenti a favore della parità di genere e di tutela delle donne vittime di violenza (6 mesi di permessi retribuiti aggiuntivi ai permessi previsti dalla legge), conferma la funzione della contrattazione collettiva sul piano normativo, dei diritti, del contrasto a fenomeni odiosi ed indegni. Il tutto in coerenza con la strategia più complessiva della Confederazione sulle politiche di genere e la lotta alle discriminazioni, per migliorare qualità del lavoro, promuovere la condivisione delle responsabilità genitoriali, rimuovere tutti gli ostacoli che alimentano il gender gap e impediscono di fatto pari opportunità.

Il tutto con una coerenza a livello territoriale in termini contrattuali (secondi livelli in edilizia e accordi aziendali) e relazionali (i vari protocolli sugli appalti a livello comunale e/o regionale) di cui la Fillea Cgil può essere orgogliosa, anche per i positivi avanzamenti registrati insieme alla Confederazione (Accordi con Comune di Milano, con la Regione Piemonte, Emilia Romagna, Lazio, oltre a tanti comuni da Rimini a Palermo, da Bolzano a Bari, ecc. e scusandoci per non citarli tutti).

Importante in questo percorso è stata anche la funzione di stimolo e di tenuta unitaria con FenealUil e Filca Cisl. 

Tenuta unitaria che continuiamo a ritenere un obiettivo da perseguire per la tutela di lavoratrici e lavoratori (pur con le difficoltà della fase che sarebbe sbagliato sottacere o negare) e nonostante le recenti e solo in parte superate ferite aperte in particolare con la FILCA CISL (vicenda CNCE, Accordi separati con la Confapi Aniem, rimessa in discussione del “Patto di Unità di Azione”).

In sostanza ribadiamo la validità dei tre slogan che ci hanno accompagnato in questi anni che ci separano dal XIX congresso di Napoli:

  • “più occupazione, più stabile, più sicura”;
  • “qualifichiamo le imprese, qualificando il lavoro”;
  • “stesso lavoro, stesso contratto”.

Avendo provato a perseguirla con limiti certo ma anche con coerenza.

Ovviamente molto rimane da fare per “mettere a terra” i risultati raggiunti, vigilare ed implementare, e molto deve divenire pratica concreta e diffusa, ma riteniamo che la direzione sia quella giusta, come ci è stato riconosciuto dai diversi interlocutori politici e sindacali (anche datoriali) in questi quattro anni. 

E come ci è stato riconosciuto dalla stessa Cgil che, nel documento congressuale di maggioranza, chiede di estendere le conquiste ottenute dalla Fillea anche agli altri settori (dalla doppia pista salariale a difesa del potere d’acquisto alla parità di trattamento tra appalti e sub appalti anche nei settori privati, alla subordinazione degli incentivi al rispetto dei CCNL di settore, al Durc di Congruità).

Sicuramente potevamo anche gestire meglio alcuni passaggi consapevoli del fatto che in diversi territori alta è stata ed è la tensione. E che registriamo, sulle strategie politiche, contrattuali e organizzative, a livello nazionale, maggiore sintonia con le compagne e compagni della Feneal Uil. Come Fillea Cgil, comunque, non rinunciamo a perseguire sempre possibili intese e modalità di azione unitaria, cercando nel merito possibili rilanci dell’azione politica ed organizzativa della F.L.C., senza rinunciare però a quanto elaborato e quanto fatto come organizzazione. Solo nel rispetto reciproco, nella correttezza dei rapporti, nel giusto rapporto tra Federazioni e nei confronti delle lavoratrici e lavoratori si alimentano le relazioni unitarie. Vale per la Fillea Cgil, vale per tutti gli altri.

Fatto un bilancio di questi 4 anni dobbiamo essere consapevoli che oggi siamo in un’altra fase e che la priorità ora è praticare quanto conquistato, per creare consenso sociale e politico al fine di difendere gli avanzamenti ottenuti.

“Il nuovo Codice Appalti”

Dobbiamo “mettere a terra” le nostre conquiste, praticare al meglio il nostro ruolo dentro gli enti bilaterali, tornare ad un più di programmazione per le scuole edili, agire la contrattazione territoriale (ancora aree importanti del paese sono senza secondi livelli) e aggiornare la contrattazione aziendale. Attrezzandoci al contempo a parare i colpi di questa destra.

A partire dal possibile decreto legislativo sul nuovo Codice degli Appalti.

Dobbiamo fare i conti, infatti con una normativa che ha una nascita tortuosa e che ha conosciuto più contesti (politici). Con un inquadramento politico necessario: la legge 78/2002, cioè la legge delega da cui discendono i decreti legislativi attuativi, fu proposta e molto migliorata da una maggioranza politica (e un Governo) che oggi non c’è più. Il Pd, Leu e il Movimento 5 Stelle sono ora all’opposizione, mentre Forza Italia è molto schiacciata dalla destra più estrema e la stessa Lega di Salvini – quella che ha perso più voti a favore di Fratelli d’Italia – è in permanente campagna elettorale, per provare a recuperare.

Peccato che il sistema degli appalti pubblici è un sistema complesso, che vale oltre 100 miliardi di euro l’anno, tra appalti di lavori e servizi, e che l’obiettivo di tutti è fare in modo che le risorse ordinarie, del PNRR e del Fondo Complementare producano cantieri, lavoro e occupazione, ma creando posti di lavoro sicuri, dignitosi e ben pagati, senza farci mettere le mani da corruttori e criminalità.

Fatto questo doveroso inquadramento politico passiamo al merito e alle “diverse fasi”.

Prima fase: il Parlamento vota a giugno 2022 una buona legge delega, la 78/2022 appunto. Dove anche grazie al lavoro di alcuni deputati e senatori (tra questi Mirabelli, Braga, Muroni, Errani, Orlando, Speranza, ecc.) si riafferma la centralità del contratto collettivo nazionale di riferimento, le norme sulla parità di trattamento economico e normativo tra lavoratori in appalto e sub appalto e l’applicazione del medesimo CCNL, il Durc di Congruità, l’obbligatorietà della clausola sociale, ecc. Con anche alcune novità significative: la specificità degli appalti di servizi (per cui è obbligatoria sempre l’Offerta Economicamente Vantaggiosa) e il principio (fortemente rivendicato dal sindacato) di escludere dai ribassi d’asta i costi della manodopera e non solo i costi della sicurezza (come è già previsto dal Codice di cui al Dlgs. 50/2016).

In più viene stabilito che, nel meccanismo di rivisitazione dei prezzi, oltre ai materiali o ai beni devono essere compresi anche gli aumenti contrattuali (insomma occorre tenere conto dell’inflazione sia se si tratti di acquistare acciaio sia si tratti di salari). 

Poi, come da legge delega, il “boccino” passa in mano al Consiglio di Stato (seconda fase) che, con particolare attenzione e capacità, prova a tradurre questi principi in norme. Il Consiglio di Stato fa un buon lavoro: in materia di tutele sindacali mantenendo (art. 11) la centralità al contratto collettivo nazionale di lavoro, mantenendo le tutele conquistate con il Decreto 77/2021 sulla parità di trattamento tra lavoratori in appalto e sub appalto, il Durc di Congruità, l’esclusione dei costi della manodopera dai ribassi (nuovo art. 41), con anche innovazioni significative, come per esempio il nuovo art. 110 sulla verifica delle anomalie. 

Insomma si conferma e rafforza il punto che i veri problemi non stanno nell’esecuzione, ma stanno nei c.d. “tempi di attraversamento” (cioè i tempi per i vari passaggi tra PP.AA., gli iter autorizzativi, e non solo), nella qualità delle stazioni appaltanti.

Il Parlamento nella passata Legislatura e il Consiglio di Stato si muovono con merito e perizia, al netto di qualche punto, migliorabile come sempre e al netto dei “punti politici” che nessun organismo tecnico può affrontare.

Quindi interviene il Governo Meloni con una cifra politica evidente: quel “non disturbare chi produce”, sicuramente non riguarda i lavoratori che pure producono (sono “i produttori” per definizione, secondo Bruno Trentin). 

Infatti, per la prima volta in tanti anni, le bozze dei decreti legislativi attuativi del nuovo Codice degli Appalti non sono oggetto di un confronto tra il Governo e le organizzazioni sindacali. A differenza del passato e degli ultimi due Codice (e anche dei decreti di modifica di alcune loro parti).  Tanto da giungere, unitariamente, come FENEAL UIL, FILCA CISL e FILLEA CGIL a pubblicare sui principali quotidiani italiani, una lettera aperta al Presidente del Consiglio dove si chiede formalmente il tavolo, anticipando – a titoli – i temi a noi più cari, i rischi che vediamo profilarsi.

E si giunge così ad oggi: il Consiglio dei Ministri propone al Parlamento un decreto legislativo che, pur prevedendo anche norme importanti e significative, ha in sé limiti così evidenti da rendere anche il buono e il positivo più una “somma di principi” che non una realtà concreta. Insomma il meccanismo potrebbe funzionare, ma quattro manciate di sabbia, gettate all’interno dei meccanismi giusti rischiano di far saltare un equilibrio delicato ed importante (e con esso la concreta applicazione e verifica delle norme a tutela di lavoro, sicurezza, trasparenza e legalità).

Questo è il punto, come evidenziato anche da alcune associazioni datoriali.

Il primo grande problema è quello di aver di fatto liberalizzato i livelli di sub appalto. Il cosiddetto “sub appalto a cascata”, rischiando di portare i problemi dell’edilizia privata nel settore pubblico.

 

Sparisce infatti quanto previsto finora dal comma 19 dell’attuale art. 105 del Dlgs. 50/2016 che vieta di sub appaltare quanto già sub appaltato, ovvero sia vieta un secondo (o superiore) livello di sub appalto. 

 

Se dal 1° luglio 2023 dovesse entrare in vigore la nuova norma proposta assisteremo ad una frammentazione dei cicli produttivi teoricamente senza limiti, al massimo incentivo possibile al nanismo aziendale - se va bene - alla nascita di imprese senza dipendenti (o solo con qualche tecnico) come probabile, cioè cottimisti e caporali legalizzati. Rischiando di vanificare la stessa norma sul divieto di ribasso sui costi della manodopera. 

Sarà concreto il rischio che aziende che prenderanno lavori pubblici, li daranno poi in sub appalto e che poi i nuovi subappaltatori subappalteranno i lavori, a loro volta, ad altre aziende e così teoricamente all’infinito. 

 

Aumenteranno le zone grigie, avremmo decine di imprese formalmente scollegate che lavorano nello stesso cantiere, con tecnici ed operai che neanche si conoscono e, come dimostrano tutti gli studi, man mano che si allunga la catena del sub appalto, aumentano gli infortuni, aumenta lo sfruttamento (fino a lavoratori che lavorano anche 12-14 ore al giorno), aumentano i rischi di infiltrazione criminale.

 

In questo contesto sarà molto più difficile per tutti, sindacati, imprese serie, Pubbliche Amministrazioni verificare e far rispettare le stesse norme sulla sicurezza, sul rispetto dei contratti collettivi, sulla parità di trattamento, sul Durc di Congruità, sui piani operativi sulla sicurezza, ecc. che anche il codice teoricamente tutela. 

La stessa Ance ha sollevato queste preoccupazioni. Cioè la preoccupazione, per noi fondata, che il cantiere possa diventare una giungla. 

 

Infine ricordiamo come la nostra strategia contro il sub appalto a cascata sia coerente con le posizioni della Federazione Europea e con le rivendicazioni della campagna “Stop Exploitation in sub contracting chains!”.

 

Questo punto tutto politico non poteva essere e non può essere scaricato su nessuno (a partire dal Consiglio di Stato che non è un organo politico) se non sul legislatore: è tutto in capo al Governo che può tranquillamente, con il decreto stesso e/o con un intervento normativo, mantenere questa fondamentale e concreta tutela.

 

A questo rischio, connesso al sub appalto a cascata, si aggiungono altre scelte non condivisibili: la prima è il depotenziamento della funzione dell’Anac. 

La seconda: aver esteso l’appalto integrato (cioè progettazione ed esecuzione sotto lo stesso soggetto, sicuramente sotto la stessa catena reale di comando ed interesse) a tutti gli appalti (nella versione del Consiglio di Stato, solo per gli appalti complessi), senza limiti economici (nella bozza del CdS c’era) e anche alle manutenzioni straordinarie (che il CdS escludeva). 

Ed infine, ma non per importanza, anzi, aver portato le soglie economiche per cui non sono più obbligatorie gare e bandi pubblici a cifre spropositate. 

Il rischio è che forse si riusciranno a spendere i soldi del PNRR (e non solo), ma poi quanto andrà in lavori, in opere che servono, in occupazione sicura e stipendi regolari, sarà tutto da vedere, così come i casi di eventuali corruzioni o infiltrazioni criminali.

 

Questi sono i punti di merito su cui la Fillea Cgil farà di tutto – confronti, audizioni, campagne, mobilitazione. Abbiamo già consegnato a diversi deputati e senatori, le nostre proposte di merito e ci auguriamo prima o poi di poterci confrontare anche con il Governo. Affinché tali rischi si evitino e si investa dove serve veramente: meno stazioni appaltanti ma più qualificate e con più tecnici, digitalizzazione ed interconnessione di tutti i dati, incentivi alla crescita dimensionale delle imprese e alla loro qualificazione in termini tecnologici e di personale.

Perché noi siamo i primi a voler fare veloce, però vogliamo fare anche bene. Bene per i lavoratori, bene per le imprese serie, bene per il Paese.

Ovviamente, indipendentemente da come andrà la nostra azione di pressione sul Parlamento e il Governo, dobbiamo comunque attrezzarci a tutti i livelli, nazionale e soprattutto territoriale, magari in coordinamento con le Camere del Lavoro, già a partire dai prossimi mesi per:

  1. attivare ancora più contrattazione di anticipo con le Stazioni Appaltanti e – questa la novità rispetto agli stessi attuali protocolli di legalità - con le stesse Prefetture al fine di indicare più lavorazioni e attività possibili non oggetto di sub appalto ma da svolgere direttamente dall’impresa/consorzio aggiudicatario dell’appalto, nonché impedire il sub appalto nei settori a maggior rischio di infiltrazioni criminali (pensiamo al movimento terra, alla gestione dei rifiuti, alle opere in calcestruzzo e cemento, ecc.) e/o per categorie più specialistiche. Da questo punto di vista diversi sono gli spazi che la norma comunque offre se sapremo utilizzarla e fare il nostro mestiere di sindacalisti a partire dall’articolo 65 comma 3 per cui le stazioni appaltanti possono imporre nell’offerta o domanda di partecipazione di indicare il nome e le qualifiche professionali delle persone fisiche incaricate di fornire la prestazione e possono esigere che taluni compiti siano direttamente svolti dall’offerente. O ancora il comma 17 dell’articolo 119 che mette in capo alle stazioni appaltanti di poter indicare attività non sub appaltabili tenendo conto dell’esigenza di rafforzare le tutele per la salute e sicurezza, e questo vale anche per i sub avvalimenti;
  2. attrezzarci per attuare più velocemente e con procedure codificate la richiesta di interventi di RUP e Direttore dei Lavori, oltre che delle stesse committenze, in caso di riscontro di violazione delle norme sulla parità di trattamento economico e normativo tra lavoratori in appalto e lavoratori in sub appalto e/o in sub avvalimento;
  3. presidiare ancora di più e con un ruolo più attivo le Casse Edili e l’attuazione dell’accordo del Dicembre 2022 in materia di Durc di Congruità, al fine di bloccare i Durc/DOL per tutte le aziende in sub appalto e committenti non rispettosi delle incidenze minime di manodopera e relativi costi;
  4. promuovere e gestire un maggior contenzioso legale e vertenziale. La richiesta in procedura di urgenza ex art- 700 dell’attivazione della responsabilità in solido direttamente sul committente pubblico, su Comuni, Regioni, Anas, RFI ecc. dovrà divenire la regola in caso di livelli di sub appalto a cascata, al fine di tutelare da subito i lavoratori delle parti finali della catena, responsabilizzando e chiamando in causa direttamente il Committente. Questo anche al fine di “consolidare” una pratica di controllo preventivo maggiore da parte delle Stazioni Appaltanti perché, al primo “sgarro”, il sindacato è già sul piede di guerra, in termini di mobilitazione e vertenza sindacale in primis, di azione giudiziaria immediatamente dopo. 

“Le nostre priorità”

Un vincolo politico ci deve allora impegnare per i prossimi anni: tutti i risultati sia contrattuali che legislativi vanno applicati non solo per una questione di giustizia e coerenza, ma anche e soprattutto per difenderli dai tentativi di cancellazione o stravolgimento, in una diversa fase economica e politica (recessione, alta inflazione, esplosione della bolla edile, caro materiali, incertezza per non dire depotenziamento significativo del super bonus, rallentamento nelle aperture dei cantieri PNRR con tutto ciò che implica anche per i settori dei materiali, ecc.). Le tutele conquistate non sono per sempre: vanno difese con l’impegno di tutti ad ogni livello, facendole divenire sempre più patrimonio delle lavoratrici e lavoratori. 

Si tratta di mettere a valore quanto è stato fatto, di implementarlo dove e quando possibile, come dimostrano le nuove aliquote medie regionali Fnape (in funzione anti dumping) e soprattutto il recente accordo (7 Dicembre 2022) sul Durc di Congruità, con le relative procedure di “alert” della CNCE, con la segnalazione diretta a imprese e committenti e poi, dopo una fase sperimentale, a partire dai lavori la cui dichiarazione sia presentata dopo il 1 Marzo 2023, con la segnalazione in BNI di DURC/DOL irregolare.

In particolare sulla concreta attuazione e rispetto del Durc di Congruità occorre infatti responsabilizzare di più le stazioni appaltanti, anche attraverso una specifica iniziativa politica e sindacale sia della Fillea Cgil che, unitariamente, delle stesse Casse Edili/Edilcasse. Agendo tutte le leve a disposizione (responsabilità erariale delle PP.AA.; protocolli di legalità; formazione presso i RUP, ecc.) comprese specifiche vertenze.

Accanto a questa opera di difesa e “concretizzazione” dei risultati ottenuti, come Fillea Cgil individuiamo le seguenti priorità, accanto alla più generale azione della Confederazione:

  1. Politiche per nuove infrastrutture sostenibili, manutenzione straordinaria delle opere e dei territori, rigenerazione urbana: le proposte per una “nuova forma urbis” sono le politiche di sviluppo per i nostri settori, per accompagnare la transizione ambientale, facendo i conti fino in fondo con i cambiamenti climatici ma anche e soprattutto con decenni di incuria, assenza di politiche urbanistiche, inadeguatezza delle norme e degli strumenti per il governo delle città. Al riguardo individuiamo due campi di intervento strategici, con l’obiettivo di giungere al saldo zero di consumo di suolo ben prima degli obiettivi Ue ed Onu in particolare il Goal 11 (obiettivo ancora lontano se, dati Ispra rapporto 2022, si continua a consumare territorio a 2,2 metri quadrati al secondo, con “costi nascosti”, dovuti alla crescente impermeabilizzazione, per almeno 8 miliardi di euro l’anno). Primo campo di intervento: arrivare all’approvazione di una legge quadro in materia di rigenerazione urbana, superando i limiti di una legislazione regionale non coordinata e contraddittoria, dando dei Livelli Minimi di tutela urbanistica oltre i limiti della legge 1150 del 1942 e della legge ponte 765/1967 (e oltre la visione “mercantilista” dello stesso nuovo art. 10 del Testo Unico come modificato da ultimo dal decreto legge 76/2020). Al riguardo riteniamo che il testo a cui si era giunti con la “mediazione” del Ministro Giovannini, a fine legislatura, pur con dei limiti, rappresentasse e rappresenti tutt’ora il miglior testo di legge quadro da cui ripartire.  Secondo campo di intervento: riappropriarci di una “visione politica” degli interventi urbanistici, attraverso una stagione diffusa di vertenze, animazione sociale, patti territoriali di settore affinché gli strumenti oggi maggiormente disponibili, cioè i Piani Urbani Integrati (Missione 5 componente 2) e i Piani per la qualità dell’Abitare (Pinqua) siano strumenti anche di selezione di modelli di sviluppo dal basso e di qualificazione di imprese e lavoro.  Proponiamo al riguardo la costituzione di Consulte Urbane, composte da sindacati, associazioni di quartiere, ambientaliste, ecc. al fine di rendere tali percorsi partecipati e con un’attenzione alla rigenerazione di reti sociali oltre che dei meri spazi fisici.
  2. Politiche industriali specifiche per l’edilizia che incentivino sostenibilità ambientale, crescita dimensionale, capacità di investimenti nell’industrializzazione del settore, perseguendo anche in questo modo gli obiettivi di neutralità climatica anche prima del 2050. Al riguardo riteniamo grave l’intervento del Governo (decreto Aiuti Quater) che ha cambiato le regole in corso sul superbonus, non affrontato il tema dei crediti fiscali già maturati e soprattutto reso la misura quasi impossibile per i redditi bassi (ovvero di coloro che spesso abitano in edifici con alti consumi energetici e scarsi livelli di salubrità per di più). Per noi è invece strategico mantenere la politica degli incentivi per ristrutturazioni in quanto funzionali alla rigenerazione, al risparmio e all’efficienza energetica e alla messa in sicurezza sismica e idrogeologica del costruito, differenziando se mai le percentuali e garantendo la cessione del credito e/o lo sconto in fattura per i soggetti economici più deboli (prevedendo solo per questi la cessione del credito, la percentuale del 100% o la copertura della restante somma - in caso di percentuale inferiore - con Fondi pubblici rotativi da ripagare con la riduzione del costo della bolletta sul modello tedesco). Il Super bonus va inoltre mantenuto per gli alloggi di Edilizia Pubblica Residenziale, così come strutturali devono essere le misure di recupero del patrimonio pubblico diffuso.
  3. Rilancio del Partenariato Pubblico Privato (PPP), organizzando un possibile polo delle società controllate o a partecipazione pubblica (da We Build dove CDP deve essere più incisiva ad Aspi-Pavimental, Finmeccanica, Gruppo FF.SS. e ItalFerr e Fs Sistemi Urbani, ecc.), anche con l’obiettivo di favorire crescita e specializzazione industriale delle imprese private dell’indotto e fornitrici.  Anche per questo ribadiamo la validità del documento della Fillea Cgil “Una proposta di politica industriale per le infrastrutture” (Agosto 2020), le priorità impostate sin dal superamento delle Leggi Obiettivo con programma pluriennale “Connettere l’Italia” per investire non solo su nuove opere ma sulla manutenzione (in particolare delle tratte secondarie, nelle aree interne, nel Mezzogiorno) e per questo riteniamo strategico difendere i vari accordi e protocolli con MIMS e Grandi Stazioni Appaltanti, sottoscritti per “governare” il PNRR su missione 3 e missione 5 in particolare, chiedendo insieme alle associazioni datoriali adeguamenti automatici (in alto e in basso) di prezzi ed importi, sul modello francese, sia per le materie prime che per gli aumenti contrattuali nazionali e territoriali. Così come riteniamo fondamentale la conferma e l’implementazione sia del piano industriale 2022-2031 di Ferrovie dello Stato (con i relativi 4 poli di business) che del Documento Strategico della mobilità stradale 2022-2026 a suo tempo approvato dal Mims.
  4. Occorre una specifica azione di politiche industriali e di sostegno a lavoratori e professioni, per il settore dei materiali e dell’arredo, all’interno della più generale politica per la transizione ambientale, rafforzando i centri di ricerca e sviluppo presenti in Italia, la capacità di brevetto su nuovi materiali green, l’implementazione di strategie per la giusta transizione in termini di minor consumo e riuso, di maggiore efficienza, di produzione energetica tramite CSS (chiusura locale del ciclo dei rifiuti), di rilancio della filiera boschiva italiana, di gestione equilibrata delle cave considerando il ripristino ambientale come obbligo concessionario, insieme alla lavorazione in loco del materiale (sulla linea, per esempio, delle norme della Regione Toscana a cui anche la Fillea e Cgil hanno contribuito e che hanno regolamentato il settore in un corretto equilibrio tra ambiente e lavoro).
  5. Difesa della funzione salariale dei CCNL, oltre il mero recupero inflattivo. Per noi i CCNL sono autorità salariale in quanto redistribuiscono quella ricchezza e produttività di sistema anche ai fini dei consumi interni. Oltre che stimolo per investimenti in innovazioni di prodotto, processo, organizzative. Con questa impostazione abbiamo sottoscritto tutti i recenti rinnovi (Edilizia Ance-Coop, Artigiani, parte salariale Confapi; Cemento, Laterizi, Lapidei). Il rinnovo del CCNL del Legno-Arredo sarà un momento importante di questa strategia.
  6. Riduzione degli orari contrattuali e di fatto. In particolare riteniamo strategica la riduzione degli orari contrattuali anche ai fini di una formazione permanente per la difesa e la crescita delle professionalità (e relativi riconoscimenti) alla luce delle transizioni produttive, ambientali e organizzative (piattaforma CCNL Legno), così come il governo degli orari di fatto, scoraggiando forme di lavoro straordinario a vantaggio di nuova occupazione oltre che per la tutela della salute e sicurezza. In edilizia vuol dire rispetto delle 8 ore massimo e delle almeno 4 squadre, tutela ora riconosciuta nello stesso CCNL.
  7. Contrasto al ricorso a tipologie di lavoro precario (in particolare si registrano forme di abuso del contratto a tempo determinato in edilizia e di lavoro in somministrazione in alcune aziende dei materiali) e l’inclusione delle P.IVA nei nostri sistemi di tutela (su questo scontiamo forti limiti e ritardi anche nella concretizzazione dei rimandi contrattuali).
  8. Accelerare la conclusione delle tornate di secondo livello in edilizia con la firma dei Contratti Integrativi territoriali, in questo momento (2022 e 2023 sicuramente) di espansione del settore, con caratteristiche acquisitive e non restitutive. Nel settore artigiano “impianti fissi” occorre rimuovere il “blocco di fatto” del secondo livello regionale contrattuale che le Associazione Artigiane hanno imposto in tutto il paese, presentando piattaforme dove non le abbiamo presentate ed esigere l’avvio della contrattazione dove presentate, il tutto dentro una più generale esigenza di implementare e rendere più cogenti, almeno per gli aspetti salariali, anche gli accordi interconfederali in essere con le Confederazioni artigiane.
  9. Maggiore valorizzazione delle figure tecniche ed impiegatizie e più in generale delle alte professionalità non solo artistiche ma anche operaie (stiamo assistendo all’ingresso di una nuova generazione di specializzati, tanto in edilizia che nella produzione e lavorazione di materie prime e materie prime seconde negli impianti fissi);
  10. Aumentare le iniziative contrattuali e vertenziali, di natura generale e settoriale, a favore della forte componente migrante, anche con investimenti organizzativi per rendere multi lingua la nostra azione informativa. Soprattutto, come misura di contrasto alla sfruttamento, occorre generalizzare il diritto al permesso di soggiorno per tutti i lavoratori che ne sono privi e per questo sono più ricattabili; superare la Bossi Fini anche con una generale sanatoria dei lavoratori migranti già presenti nel Paese; programmare i flussi di ingresso, anche per l’edilizia, con procedure e strumenti trasparenti e un ruolo attivo della formazione e dell’incrocio domanda-offerta anche nei paesi di provenienza (ruolo possibile anche della bilateralità edile in collaborazione con i Ministeri competenti);
  11. I temi della salute e sicurezza devono vivere come temi vertenziali ordinari, tramite specifiche campagne annuali (abbiamo iniziato con le campagne 2023 divise per settore, con la produzione di specifici materiali) che diventino poi piattaforme per i secondi livelli aziendali e territoriali, con un più forte intreccio con l’Inca a partire dalle malattie professionali. Al riguardo valutiamo positivamente il lavoro avviato con Inail e alcune esperienze avanzate di partecipazione tra cui in particolare il Protocollo quadro e gli accordi attuativi con Autostrade per l’Italia (Aspi) da generalizzare anche con altri grandi player. Per noi la “patente a punti” e l’introduzione dell’aggravante di “omicidio sul lavoro” rimangono priorità rivendicative anche al fine di qualificare le stesse imprese;

Per questo l’ impegno che dovrà caratterizzare anche sul piano organizzativo la Fillea Cgil nei prossimi 4 anni, tanto a livello nazionale che sul territorio, deve concentrarsi di più sull’ingresso di nuove soggettività (migranti e non solo) e sul rafforzamento di alcune figure oggi sempre più strategiche (trasfertisti, specializzati, tecnici ed impiegati, addetti al riuso, designer, ecc.) che accompagneranno il cambio produttivo e tecnologico sia nella produzione dei materiali che nella produzione e riuso delle materie prime seconde, oltre che nell’istallazione/industrializzazione delle attività di cantiere.

“Serve più partecipazione e militanza” 

Per essere coerenti con "le nostre priorità" dobbiamo darci l’obiettivo di avere ed eleggere più RSU e, se non vi sono le condizioni per le RSU, RSA diffuse (l’obiettivo deve essere quello di avere RSU elette da tutti i lavoratori) sia negli impianti fissi che tra gli edili, provando ad individuare delegate/i, soprattutto nei cantieri di medie e grandi dimensioni, per sperimentare loro anche come dei riferimenti da utilizzare su "base territoriale" in coerenza con il documento congressuale della CGIL.

Accanto a questo obiettivo dobbiamo continuare con il rinnovamento di quadri e militanti, a partire da giovani, donne e migranti: allargando la rappresentanza si difende ed amplia la nostra capacità di contrattazione; una rappresentanza più forte e una contrattazione più diffusa alimentano e sono al contempo alimentate da una più estesa democrazia. 

In particolare occorre continuare a favorire l’inserimento di compagne in ruoli di direzione. Pur rappresentando una minoranza tra gli addetti e gli iscritti (anche se si comincia a registrare una crescita della presenza di lavoratrici nel settore edile, operaie e tecnici) la Fillea Cgil è infatti impegnata complessivamente a promuovere compagne in ruoli di responsabilità. Al riguardo registriamo che le compagne Segretarie Generali sono passate da 7 nel 2014 a 15 nel 2018 a 18 nel 2022.  Maggiori difficoltà le registriamo invece nella promozione di compagne/i migranti a ruoli di direzione visto che 45 erano le compagne/i migranti nelle strutture nel 2018 e solo 48 nel 2022 (e solo 2 Segretari Generali). 

E’ vero che con i vari accorpamenti e regionalizzazioni si sono ridotte/superate diverse segreterie territoriali (16), ma il tema rimane e va affrontato tutti insieme, struttura nazionale e strutture locali. 

Una attenta politica dei quadri serve infatti a tenere insieme democrazia diretta (voto delle lavoratrici e lavoratori per eleggere i delegati, votare contratti ed accordi, ecc.) e democrazia delegata, che non è la democrazia solo dei delegati, ma quella particolare “democrazia di organizzazione” che ci insegnavano i nostri padri: un positivo equilibrio tra delegati di quel singolo posto di lavoro (che sono sottoposti anche alle spinte corporative ed egoistiche dei colleghi) e la capacità e autorevolezza del funzionario/segretario di categoria e di Camera del Lavoro (del “dirigente”) che ha una visione più complessiva dei processi, che può esercitare la sua funzione “formativa” e di orientamento, di direzione e ricomposizione in ottica generale e confederale.  

Occorre porre molta attenzione ad evitare di alterare troppo questo mix, a produrre elementi distorti nella comunicazione di massa, nei “messaggi” culturali che si mandano e nell’uso non regolato dei media e della tecnologia, anche tra di noi.  Tutti fattori che, indipendentemente dalla buona volontà dei singoli dirigenti, indeboliscono la legittimità e il senso della nostra democrazia delegata e dei nostri gruppi dirigenti diffusi e che sono l’unica possibile modalità di funzionamento democratico, di governo solidale dei processi, per grandi organizzazioni di massa, plurali, complesse come la Cgil. Dove convivono e conviveranno sempre condizioni sociali, di genere, professionali, culturali, territoriali e di pratica sindacale diverse e tutte importanti. 

Un rinnovamento a tutti i livelli (militanti, delegate/i, quadri politici) che continueremo a sostenere anche con la formazione sindacale nazionale che finora ha dato buoni risultati e che sempre più rappresenta, per tutti noi, uno strumento necessario di crescita e valorizzazione delle nostre RSU, dei nostri quadri sindacali, e contribuisce a fornire loro quelle competenze necessarie per adempiere meglio ai loro incarichi, sia con attività e saperi specifici per la presenza diretta su cantieri di grandi e medie dimensioni (una specie di “progetto funzionari di cantiere”) sia per la conoscenza e diffusione del welfare contrattuale negli impianti fissi (“progetto responsabili welfare contrattuale”).

Fondamentale sarà rinnovare il nostro impegno per consolidare la Scuola di Alta Formazione politica e sindacale per i nostri quadri e dirigenti, continuando un percorso virtuoso e necessario visti i cambiamenti che stanno caratterizzando il nostro tempo.

Gli stessi rapporti costruiti tramite l’Associazione Nuove Ri-Generazioni e le realtà che sul territorio si “intrecciano” con la Fillea, con intellettuali, urbanisti, ambientalisti, comitati, con Legambiente e l’Asvis come con altre realtà diffuse, sono un patrimonio a disposizione di tutte le nostre strutture e della Confederazione.  Così come le attività e la collaborazione sull’edilizia scolastica e universitaria (e non solo) con le associazioni studentesche (UDU, ReDS) da cui, oltre che dai posti di lavoro, cominciano ad arrivare anche militanti e quadri giovani per diverse Fillea territoriali.

In particolare sui migranti, poi, stiamo assistendo ad un’ulteriore stratificazione e trasformazione della presenza etnica, in particolare nei cantieri (ultimi dati disponibili: 182 mila migranti iscritti nelle Casse Edili, di cui il 55% inquadrato al 1° livello, il 26% al 2° livello e solo il 12% al 3°).  Accanto ai tradizionali lavoratori dell’Est Europa e dei Balcani, alcuni anche alla seconda o terza generazione (al netto dei molti che si sono spostati verso Francia e Germania), e alla presenza storica di altre comunità (gli egiziani nel cartongesso e non solo, per esempio), vanno aumentando le presenze di lavoratori di altri paesi del Nord e Centro Africa, del Sud America, dell’Asia (pakistani, indiani, cinesi). 

Questi sono spesso le principali vittime di caporali o di capi cottimisti, alla loro prima esperienza e con scarsa o nulla conoscenza non solo dei loro diritti e tutele, del contratto nazionale, ma finanche della lingua italiana (con tutto ciò che comporta anche in termini di sicurezza, legalità, inclusione). Lo stesso fenomeno dello “scambio di identità tra lavoratori migranti”, il consistente e sempre maggiore ricorso ai social da parte dei caporali per reclutare manodopera, le restituzioni economiche mensili dei lavoratori migranti al caporale sono in aumento e chiedono a tutti, sindacato, imprese, istituzioni un ancora più incisivo impegno, anche repressivo.

Anche per questo dobbiamo rafforzare le nostre iniziative di inclusione e professionalizzazione tramite le scuole edili (si veda il protocollo parti sociali – Ministero degli Interni – Ministero del Lavoro per formare 3 mila richiedenti asilo) e più in generale le nostre capacità di comunicazione multi lingua e di “mediazione culturale” (anche in rapporto con il mondo associativo etnico).

Per quanto riguarda i c.d. “trasfertisti” è evidente che essi sono tornati (e torneranno con le opere del PNRR e non solo) un elemento qualificante della nostra capacità di rappresentanza e di proselitismo. L’idea è di sviluppare una sorta di specifico Fillea@office che monitori gli spostamenti e gli insediamenti di questi “nuclei forti” della composizione operaia in edilizia, sapendo anche attivare iniziative di sostegno e di sindacalizzazione nei loro territori di provenienza (spesso sono concentrati per tradizioni familiari ecc. in alcune decine di paesi e cittadine). 

Contestualmente, ora che inizia la c.d. “ricostruzione pesante” occorre rafforzare il coordinamento organizzativo sul cratere Sisma 2016, implementando il lavoro a squadre oltre i confini provinciali, anche formando compagne e compagni sui sistemi delle diverse casse edili del cratere.

Uno specifico intervento dovrà poi riguardare la nostra presenza tra tecnici ed impiegati. Il positivo lavoro fatto in particolare da alcune strutture (per esempio Milano e Roma) ci ha messo di fronte alle potenzialità di questa specifica rappresentanza, ma anche alle difficoltà e contraddizioni che queste professionalità comportano (vale per gli impianti fissi, ma anche per le grandi e medie aziende edili, si pensi al tema dello smart working per esempio).

L’idea è quella di generalizzare il coordinamento impiegati, anche in rapporto con Apiqa, creando accanto ai coordinamenti impiegati per singole aziende, anche un coordinamento nazionale unico “impiegati e tecnici” Fillea Cgil, sia edili che degli impianti fissi.

Così come serve tornare ad investire sulle professionalità artistiche e altamente specializzate. Occorre dirci la verità: durante la crisi e poi con le difficoltà di questi mesi abbiamo difeso le nostre titolarità contrattuali ma abbiamo interrotto un lavoro organizzativo sui restauratori (da sempre una presenza importante per la Federazione) e per la sindacalizzazione degli archeologi e dei geologi. Il rapporto iniziato anche con alcune delle loro associazioni è stato trascurato. Dobbiamo riprenderlo e in particolare sui restauratori dobbiamo, anche alla luce delle importanti novità contrattuali edili, dell’effetto del Durc di Congruità per il “rientro” nei CCNL edili ecc., investire di più, in termini anche economici e di valorizzazione dei compagni e soprattutto delle compagne.

Mettendo al servizio di queste scelte anche una ritrovata solidità economica della Fillea Cgil Nazionale e delle sue principali strutture territoriali.

“I conti sono a posto”

Riteniamo opportuno rendere conto, in sede di documento congressuale finale, del lavoro svolto anche su questo versante. 

Dal 2018 al 2022, cioè dal XIX al XX congresso per la Fillea Cgil Nazionale registriamo 4/5 anni consecutivi di bilanci nazionali in positivo dopo i 5 precedenti negativi per via della grave crisi che aveva colpito i nostri settori (+82 mila nel 2018; +40 mila nel 2019; +51 mila nel 2020; +73 mila nel 2021 e probabilmente sopra i 100 mila nel 2022, dato quest’ultimo da verificare) a fronte anche di contributi a strutture, in particolare per sostenere progetti di proselitismo e nuovi quadri, in quattro anni, per oltre 2 milioni di euro e di circa 350 mila euro per la formazione sindacale “centrale”. 

Dato importante, raggiunto nel 2022, è stato anche il totale reintegro del patrimonio immobiliare e finanziario (immobili e polizze TFR) dismesso per attuare il piano di risanamento della Fillea Cgil Nazionale concordato con la Cgil.

A livello complessivo delle strutture, le Fillea Cgil Territoriali in sofferenza economica sono passate da 18 a 5 e tutte sono all’interno del piano di rientro, in modo positivo e rispettando le tempistiche. 

Il risanamento è stato possibile, prima di tutto per l’impegno e i sacrifici di tante compagne e compagni, ma anche grazie alla ripresa del settore e soprattutto per la crescita del tesseramento, dopo una fisiologica “pulizia” degli archivi.

Soprattutto in edilizia, la Fillea Cgil conosce una tenuta in termini di crescita assoluta (rimaniamo per il 6° anno di fila il primo sindacato), ma con alcune aree e punte di sofferenza in termini di rappresentatività percentuale che ci hanno fatto segnare un arretramento rispetto alla punta massima registrata nel 2019 (39,4% NEL 2019, 39,2% nel 2020, 38,8% nel 2021). Di questo dobbiamo esserne tutti consapevoli.

Riscontriamo inoltre difficoltà negli impianti fissi, nonostante la creazione di Fillea@impiantifissi e della specifica campagna di comunicazione e propaganda svolta, degli investimenti fatti per promuovere previdenza complementare e sanità integrativa, in particolare verso i più giovani.

Anche negli impianti fissi la Fillea Cgil rimane il primo sindacato, con punte significative in diversi settori e territori, ma rimane ancora troppo basso il tasso di sindacalizzazione (in edilizia il 62,2% nel 2021, in calo rispetto al 63,4% del 2016 ma in crescita rispetto al 61,8 % del 2018; contro un 10% medio nel settore del Legno e il 16% dei laterizi, i due settori con minore sindacalizzazione, in questo ultimo caso il tasso si riferisce alla sola Fillea Cgil). 

Ancora troppo poco “utilizziamo” i positivi risultati di Arco, Concreto e Altea per entrare in contatto con un numero maggiore di lavoratrici e lavoratori, così come ancora minima è l’attenzione che prestiamo ai lavoratori delle imprese artigiane del legno e del lapideo in particolare.

Il tema del proselitismo e della crescita di rappresentanza rimane per tanto obiettivo prioritario anche per le politiche di sostegno (progetti, Piccole Pietre, implementazione informatica, ecc.) così come la semplificazione dei livelli direzionali al fine di garantire maggiori risorse e presidio sui territori (si veda in questa ultima tornata congressuale lo scavalco Torino-Piemonte, la nascita delle Fillea Calabria Nord e Fillea Calabria Sud, Forlì-Cesena, ecc.). 

Al riguardo la Fillea Cgil conferma le scelte organizzative, le norme sugli scavalchi, le incompatibilità rispetto al ruolo di Segretario Generale Fillea territoriale con altri incarichi, il lavoro a squadre, sulle c.d. “cerniere” ecc. approvate al XIX Congresso.  

 

 

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