28.05.15 Presentata oggi in Trentino una proposte di legge promossa da Fillea Filca Feneal per evitare che il monte salari minimo di un'opera pubblica sia oggetto di ribasso. “Così il Trentino può continuare ad essere il laboratorio nazionale per la tutela del lavoro. Serve una vera responsabilità sociale dell’intero sistema" affermano i segretario generali Maurizio Zabbeni, Fabrizio Bignotti, Gianni Tomasi.
IL TESTO DEL COMUNICATO
Una quota minima ed incomprimibile del costo del lavoro sia fuori dalla base d'asta degli appalti, come accade per gli oneri per la sicurezza, e quindi non sia più ribassabile nelle offerte delle aziende. Lo chiedono alla Provincia autonoma di Trento i sindacati dell'edilizia Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil che hanno trasmesso all’assessore provinciale Gilmozzi ed al tavolo provinciale per gli appalti, la proposta di un articolato di legge che introduca questa ipotesi nella normativa sugli appalti. Una proposta che, precisano i sindacati, rispetta i principi cardine di corretto uso del denaro pubblico, di trasparenza e di libera concorrenza, finalizzata ad accrescere la responsabilità sociale dell’intero sistema degli appalti.
«Per la prima volta – spiegano con orgoglio i segretari generali Maurizio Zabbeni (Fillea), Fabrizio Bignotti (Filca) e Gianni Tomasi (Feneal) - ci siamo assunti l'impegno di avanzare noi alla giunta provinciale una vera e propria proposta di legge su un tema centrale per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori del settore edile: evitare che il costo del lavoro sia sottoposto a ribassi che poi si scaricano sulle condizioni materiali di chi opera nei cantieri, evitando fenomeni di dumping contrattuale e il proliferare di subappalti al solo scopo di ridurre appunto il costo complessivo della manodopera».
La proposta di legge intende valorizzare il costo del personale in ogni fase dell’iter dell’affidamento, e cerca di coordinare questo con le altre norme in materia di tutela dei lavoratori sulla falsariga di quanto accade per esempio per gli oneri legati alla sicurezza dei lavoratori nei cantieri e per la congruità contributiva che hanno già una loro regolamentazione specifica decisamente più avanzata rispetto alle problematiche retributive dei lavoratori.
La normativa sarebbe applicabile in qualunque tipo di procedura (aperta, ristretta, negoziata o altre), con qualsiasi tipo di criterio di scelta del contraente (prezzo, offerta economicamente più vantaggiosa o altro), con qualsiasi tipologia di contratto (appalto, concessione, leasing o altri) e su tutto l’iter di affidamento ed esecuzione, coinvolgendo anche le forme di subappalto.
«Secondo la nostra proposta – aggiungono I tre segretari generali - il costo del lavoro negli appalti pubblici verrebbe fissato in termini generali dalle parti sociali con un apposito avviso comune, per poi essere declinato sul caso specifico già nel bando di gara al fine di tutelare i lavoratori, senza però limitare il corretto utilizzo del denaro pubblico e la concorrenza degli operatori economici. Il fulcro del disegno di legge sta infatti nell'individuare un costo del personale inteso come minimo e incomprimibile, sotto il quale nessun operatore economico potrebbe oggettivamente scendere per realizzare i lavori previsti dall'appalto. Questo importo verrebbe ad essere sottratto al ribasso in sede di gara e rappresenterebbe una tutela economica per i lavoratori in sede esecutiva».
Quindi, nei capitolati verrebbe indicato il costo del lavoro non ribassabile, mentre le imprese dovrebbero poi fare offerte riguardo costi della forza lavoro aggiuntivi e addizionali a quelli minimi indicati dalla stazione appaltante, variabili questi in base alla capacità e alla produttività specifica dell'azienda, potendo agire correttamente e compiutamente la libera concorrenza fondata sulla propria capacità organizzativa, senza scaricarla, al contrario, sull’ultimo anello della catena, i lavoratori dipendenti.
La quota di costo del lavoro minima individuata verrebbe appositamente accantonata e corrisposta alle imprese dopo aver verificato il corretto pagamento dei lavoratori. In caso di irregolarità, la quota accantonata sarebbe utilizzata per retribuire i lavoratori.
IL TESTO DEL COMUNICATO
Una quota minima ed incomprimibile del costo del lavoro sia fuori dalla base d'asta degli appalti, come accade per gli oneri per la sicurezza, e quindi non sia più ribassabile nelle offerte delle aziende. Lo chiedono alla Provincia autonoma di Trento i sindacati dell'edilizia Feneal Uil, Filca Cisl e Fillea Cgil che hanno trasmesso all’assessore provinciale Gilmozzi ed al tavolo provinciale per gli appalti, la proposta di un articolato di legge che introduca questa ipotesi nella normativa sugli appalti. Una proposta che, precisano i sindacati, rispetta i principi cardine di corretto uso del denaro pubblico, di trasparenza e di libera concorrenza, finalizzata ad accrescere la responsabilità sociale dell’intero sistema degli appalti.
«Per la prima volta – spiegano con orgoglio i segretari generali Maurizio Zabbeni (Fillea), Fabrizio Bignotti (Filca) e Gianni Tomasi (Feneal) - ci siamo assunti l'impegno di avanzare noi alla giunta provinciale una vera e propria proposta di legge su un tema centrale per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori del settore edile: evitare che il costo del lavoro sia sottoposto a ribassi che poi si scaricano sulle condizioni materiali di chi opera nei cantieri, evitando fenomeni di dumping contrattuale e il proliferare di subappalti al solo scopo di ridurre appunto il costo complessivo della manodopera».
La proposta di legge intende valorizzare il costo del personale in ogni fase dell’iter dell’affidamento, e cerca di coordinare questo con le altre norme in materia di tutela dei lavoratori sulla falsariga di quanto accade per esempio per gli oneri legati alla sicurezza dei lavoratori nei cantieri e per la congruità contributiva che hanno già una loro regolamentazione specifica decisamente più avanzata rispetto alle problematiche retributive dei lavoratori.
La normativa sarebbe applicabile in qualunque tipo di procedura (aperta, ristretta, negoziata o altre), con qualsiasi tipo di criterio di scelta del contraente (prezzo, offerta economicamente più vantaggiosa o altro), con qualsiasi tipologia di contratto (appalto, concessione, leasing o altri) e su tutto l’iter di affidamento ed esecuzione, coinvolgendo anche le forme di subappalto.
«Secondo la nostra proposta – aggiungono I tre segretari generali - il costo del lavoro negli appalti pubblici verrebbe fissato in termini generali dalle parti sociali con un apposito avviso comune, per poi essere declinato sul caso specifico già nel bando di gara al fine di tutelare i lavoratori, senza però limitare il corretto utilizzo del denaro pubblico e la concorrenza degli operatori economici. Il fulcro del disegno di legge sta infatti nell'individuare un costo del personale inteso come minimo e incomprimibile, sotto il quale nessun operatore economico potrebbe oggettivamente scendere per realizzare i lavori previsti dall'appalto. Questo importo verrebbe ad essere sottratto al ribasso in sede di gara e rappresenterebbe una tutela economica per i lavoratori in sede esecutiva».
Quindi, nei capitolati verrebbe indicato il costo del lavoro non ribassabile, mentre le imprese dovrebbero poi fare offerte riguardo costi della forza lavoro aggiuntivi e addizionali a quelli minimi indicati dalla stazione appaltante, variabili questi in base alla capacità e alla produttività specifica dell'azienda, potendo agire correttamente e compiutamente la libera concorrenza fondata sulla propria capacità organizzativa, senza scaricarla, al contrario, sull’ultimo anello della catena, i lavoratori dipendenti.
La quota di costo del lavoro minima individuata verrebbe appositamente accantonata e corrisposta alle imprese dopo aver verificato il corretto pagamento dei lavoratori. In caso di irregolarità, la quota accantonata sarebbe utilizzata per retribuire i lavoratori.