BENI CULTURALI E RESTAURO. UN PROGETTO FILLEA E CGIL



Nell’ultimo Congresso la Cgil, con l’approvazione di uno specifico ordine del giorno presentato dalla Fillea, ha assunto l'impegno a rafforzare il suo intervento nel settore dei Beni Culturali, individuando così la necessità di un proprio indirizzo politico ed e...

BENI CULTURALI E RESTAURO. UN PROGETTO FILLEA E CGIL



Nell’ultimo Congresso la Cgil, con l’approvazione di uno specifico ordine del giorno presentato dalla Fillea, ha assunto l'impegno a rafforzare il suo intervento nel settore dei Beni Culturali, individuando così la necessità di un proprio indirizzo politico ed economico a sostegno e tutela dei lavoratori del settore.

Partendo da questo impegno è stato attivato, tra Fillea Cgil e Cgil Nazionale, uno specifico progetto di intervento propedeutico all’attivazione di un apposito ufficio confederale in cui il protagonismo delle categorie possa essere esplicitato all’interno di obiettivi generali condivisi, capaci di tenere insieme le esigenze di tutela e conservazione del patrimonio culturale nazionale, lo sviluppo economico del settore e la difesa dei diritti dei lavoratori.

Difendere la cultura in tutte le sue articolazioni, che partono dalla difesa del diritto allo studio ma che certo non si esauriscono all’interno di questo recinto, è per la Cgil un impegno fondamentale partendo dall’assunto che la cultura è elemento fondante di una collettività

Valore che da solo colloca il settore dei beni culturali tra quei beni comuni, che costituiscono i fondamenti elementari di una società umana e che pertanto non possono essere ridotti al quantificabile o al misurabile economico: “In certi casi ciò che si conta non può diventare più importante di ciò che conta” come ricorda lo stesso Epifani nella prefazione al “Rapporto sui diritti globali 2010” .

Basterebbero solo queste parole a motivare un impegno serio di spesa pubblica a sostegno del settore.

Tuttavia, anche scegliendo come parametro di giudizio un piano strettamente economico, scopriremmo che questo settore è fondamentale per la ricchezza del Paese, come dimostra il “Rapporto sull’economia della cultura in Italia 1990-2000”.

Attraverso questo prezioso contributo possiamo scoprire come in Italia, nel decennio che va dal 1990 al 2000, si è assistito ad un considerevole impegno di spesa pubblica nel settore, malgrado le difficoltà di bilancio che lo Stato si trovava ad affrontare,

In quei dieci anni il settore culturale nel suo complesso ha visto crescere il valore aggiunto del 2,3% l’anno, contro l’1,6% del Pil Nazionale, ed è un dato certamente sottostimato vista l’incompletezza di alcune voci come l’investimento o i conti con l’estero.

Da notare come questa crescita si sia concentrata soprattutto nel settore dei Beni Culturali gestiti direttamente dal pubblico (3,6% ) rispetto a quelli gestiti dal privato (1,8%) smentendo ancora una volta l’idea che solo attraverso la privatizzazione il settore possa crescere, essere efficiente, produrre ricchezza e occupazione.

Infatti anche quest’ultima, nel decennio preso in esame, è aumentata del 2,2% annuo, in modo quindi più che proporzionale, rispetto alla media generale (0,2%).

Le politiche finanziarie di questi ultimi anni, , attraverso l’azzeramento dei fondi (-198,2 milioni per il 2009; -207,7 milioni per il 2010; - 366,4 milioni per il 2011) sono andate in una direzione contraria, smantellando progressivamente il sistema pubblico di tutela, riducendo il Ministero per i beni e le attività culturali ad un ufficio adibito alla mera amministrazione contabile ordinaria del settore.

Le conseguenze sono drammatiche e mettono a serio rischio la stessa tutela del patrimonio culturale.

Manca il personale tecnico. I molti pensionamenti avvenuti nell’ultimo decennio, essendo coincisi con il blocco del turn over nella Pubblica Amministrazione, hanno portato alla perdita di conoscenze e competenze

Il divieto di utilizzo dei mezzi ministeriali e dei rimborsi previsti per sovrintendenti e personale tecnico che si spostano sul territorio per effettuare i controlli negli scavi archeologici e nei cantieri (spesso situati in luoghi poco raggiungibili con mezzi pubblici), rendono di fatto impossibile l’azione di tutela a loro deputata.

Le manovre economiche del Governo Berlusconi e del suo contabile Ministro Tremonti, si abbattono pesantemente sul comparto: 2,3 miliardi di tagli in cinque anni fino al 2013.

Sono state ridotte di 61 milioni di euro (-48%) i fondi derivanti dalle giocate del lotto destinate alla tutela del patrimonio culturale (vedi Sole 24 ore 19 luglio 2010).

A ciò si deve aggiungere che solo una parte degli incassi derivati dai biglietti d’ingresso a musei e siti archeologici, torna al Ministero dei Beni e le Attività Culturali.

I danni prodotti dalla mancanza di adeguate politiche di sviluppo per il settore hanno ripercussioni non solo sui processi di conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale, basti pensare ai crolli che hanno interessato in questi anni interi tratti delle Mura Aureliane, il Colosseo, la Domus Aurea (solo per citarne alcuni), ma danneggiano anche le attività dell’indotto collegato e la qualità stessa dell’occupazione che esso produce (occupazione che malgrado l’alta specializzazione richiesta, rimane caratterizzata da una elevata incidenza dell’intermittenza e del lavoro precario).

Nel settore specifico dei beni culturali si registra, nei luoghi di lavoro una sistematica elusione dall’applicazione dei CCNL o il sotto-inquadramento; l’utilizzo di contratti a progetto e di P. IVA (più del 52% dei lavoratori del settore), che nascondono, sotto forma autonoma, rapporti di lavoro subordinato; il mancato riconoscimento professionale; una precarietà che sottopone i lavoratori ad una forte ricattabilità; l’impossibilità di ricorrere ad ammortizzatori sociali; elevati rischi per la salute e sicurezza degli operatori.

I lavoratori dei beni culturali sono oggi rappresentati da diverse federazioni e dunque rispondono a differenti CCNL. Le categorie coinvolte sono principalmente: la Fillea, la Filcams, la Funzione Pubblica, ma ci sono anche il Contratto delle Fabbricerie e per taluni aspetti anche FLC.

Questa frammentazione non ha permesso, fino ad oggi la definizione di politiche anche economiche sufficientemente unitarie, facendo perdere forza alle singole vertenzialità aperte con il Ministero per i beni e le attività culturali.

E' dunque importante ricomporre questa frammentazione per rappresentare proposte politiche ed economiche che rispondano ad obiettivi generali condivisi. Lo strumento più adatto è l'istituzione di una Consulta sul tema specifico dei Beni Culturali, coordinata a livello confederale dal Dipartimento Ambiente e Territorio, che coinvolga le federazioni e le Camere del Lavoro, allargandola anche alle associazioni professionali attive nel settore.

Infatti, diversamente da quanto avviene, si dovrebbe guardare a questi lavoratori e al settore culturale come una grande risorsa del paese in generale e del territorio in particolare, basti pensare all'importanza che ricopre l'economia del turismo per la crescita dell'economia locale.

Il turismo si conferma, anche nel difficile periodo di crisi economica che stiamo attraversando, un settore strategico per l’economia del nostro paese. Infatti, malgrado la crisi faccia registrare una contrazione della spesa privata che colpisce tutti i settori produttivi senza eccezione, il turismo continua a tenere, come dimostra l’aumento del 5,3% degli arrivi turistici stranieri in Italia (pur essendosi ridotto il periodo di permanenza).

Non vi è dubbio che di fronte alla necessità di combattere il rischio reale di marginalizzazione e declino, in un periodo di crisi economica che non ha eguali nella storia, diventa fondamentale per il nostro paese ritrovare nuovi ambiti di “specializzazione nazionale” che sappiano parlare di uno nuovo sviluppo.

La valorizzazione, la tutela e la conservazione dei beni culturali e paesistici nel nostro paese costituisce un valore strategico per lo sviluppo economico che, nel lungo termine, potrebbe dare risultati interessanti anche in aree ad alta densità di disoccupazione giovanile come il mezzogiorno.

Invece nel Mezzogiorno, ad eccezione di pochissime regioni, la cultura risulta gravemente sotto finanziata, a tutti i livelli di governo e difficile risulta anche l’attrazione di risorse finanziarie private, comprese le Fondazioni Bancarie (che invece risultano particolarmente attive nel Centro-Nord Italia, dove la partnership pubblico/privato ha dato ottimi risultati).

Strumenti importanti si sono rivelati per il settore gli Accordi di Programma che rispondono all’esigenza di qualificare sul piano finanziario e organizzativo gli interventi nel settore, in particolare, all’ambito dei beni culturali e delle connesse attività, riconoscendo proprio in tale settore quelle connotazioni di complessità degli interventi e di forte riferimento territoriale che ben interpretano la funzione “infrastrutturale” di innovazione e di sviluppo associata ad azioni di restauro e recupero funzionale di beni culturali immobili.

Gli Atti di Programmazione Negoziata hanno, in alcune Regioni, coinvolto tutti gli ambiti di intervento culturale, dalla conservazione e valorizzazione del patrimonio alla formazione professionale di alta qualificazione, dai sistemi formativi integrati alle infrastrutture dello spettacolo.

E’ con inquietudine, tuttavia, che guardiamo alla tenuta complessiva del sistema culturale del nostro paese. La sua unità culturale territoriale è messa a rischio dalla crescente divaricazione fra il Centro-Nord e il Mezzogiorno.

Per tutte queste ragioni riteniamo fondamentale che la Cgil costruisca una proposta in grado di mettere a sistema l’insieme delle responsabilità istituzionali e di regolazione, i sistemi di gestione, la programmazione dei finanziamenti, il problema del riconoscimento delle professioni, la valorizzazione dei distretti culturali.

E' ormai dimostrato che il grado di competitività di un paese è direttamente proporzionale agli investimenti in cultura. In Italia la mancanza di un adeguato investimento in innovazione e ricerca va di pari passo con la scarsità di investimenti in cultura esacerbando la fragilità economica esistente.

L'Italia ha le condizioni, le competenze, le risorse umane e creative per compiere un passo importante verso un modello di sviluppo alternativo che non guardi solo alla crescita economica fine a se stessa ma al progresso sociale, civile, economico e culturale di una intera comunità.

I beni culturali portano con se questo valore aggiunto.