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INTERVENTO DI WALTER SCHIAVELLA

Oggi piove su questa piazza ma sul settore delle costruzioni sui cantieri sui lavoratori e sulle imprese del settore grandina da due anni. Se siamo qui, è segno che la pioggia e la tempesta della crisi ci hanno bagnato ma non ci hanno ancora piegato.La crisi ha mandato a casa 250mil...



INTERVENTO DI WALTER SCHIAVELLA

Oggi piove su questa piazza ma sul settore delle costruzioni sui cantieri sui lavoratori e sulle imprese del settore grandina da due anni. Se siamo qui, è segno che la pioggia e la tempesta della crisi ci hanno bagnato ma non ci hanno ancora piegato.La crisi ha mandato a casa 250mila lavoratori dell'edilizia, mentre la disoccupazione segna, come raccontano i dati Istat di ieri, il dato più alto dal 2004, l'8,6%. Gli altri, quelli che restano nei cantieri, hanno sempre meno diritti e meno salario, lo dimostrano i dati sulle retribuzioni che segnano il valore più basso dal 1999, con un + 1,5% tendenziale a fronte di una inflazione che è al + 1,7% tendenziale.Cresce la sperequazione nella distribuzione del reddito: ne soffrono i consumi, sempre più compressi, ne soffrono i mercati e le imprese. Il crollo del mercato immobiliare parla chiaro…per molti ormai la casa è un miraggio.18 mesi fa agli Stati Generali delle Costruzioni presentammo insieme, sindacati ed imprese, un progetto compiuto che aveva come asse strategico la declinazione dei temi della legalità, della qualità, della sicurezza e dello sviluppo sostenibile, da cui discendevano precise richieste al Governo, che restano a tutt'oggi inevase.
Da 18 mesi andiamo avanti a pane e promesse: è ora di dire basta! 18 mesi fa prendemmo l'Aquila ad esempio, e lanciammo una proposta, racchiusa in uno slogan: “ricostruire l'Abruzzo per ricostruire il paese”.Bene, L'Aquila fu davvero un esempio. Ma purtroppo l'esempio di tutto ciò che non andava fatto, di tutto ciò che non avremmo mai voluto vedere.L'Aquila, il suo centro storico, sono ancora un cumulo di macerie. La ricostruzione non ha fondi adeguati e certi, mentre risuonano ancora nelle nostre coscienze le risate degli affaristi della cricca, mentre leggiamo sulla stampa delle indagini sulle infiltrazioni criminali negli appalti per la ricostruzione. In tutto questo, forse, solo chi vivrà fino al 2032 potrà vedere la propria città ricostruita. Forse.
18 mesi fa abbiamo fatto delle proposte e avanzato delle richieste. Noi non siamo abituati a giudicare chi governa sulle promesse, né sul colore politico. Noi giudichiamo i governi solo dai fatti. Avevamo chiesto infrastrutture per colmare il deficit strutturale del paese. L'ultima delibera Cipe è la risposta più evidente: 21 miliardi di carta e solo 276 milioni veri, contanti, per aprire cantieri. Avevamo chiesto di rivedere il patto di stabilità, consentendo agli enti locali virtuosi di aprire i cantieri delle tante piccole opere già programmate, cantierabili subito, utili al territorio e a dare ossigeno alle economie locali. Il patto di stabilità è ancora lì, a bloccare quelle risorse e quelle opere, così come è al palo il piano per le piccole opere, dimezzato negli importi e senza ancora disponibilità di cassa.Avevamo chiesto ammortizzatori sociali, ma a tutt'oggi sono disponibili solo per un pezzo del settore, l'industria, mentre altri pezzi, artigiani e piccole imprese, ne sono ancora esclusi. Ma anche quello che non costa non è stato fatto. Avevamo chiesto interventi sul piano delle scelte regolative, per rafforzare il settore sul terreno della qualità, della legalità, della sicurezza. Niente di tutto questo: il mercato è ancora regolato dagli appalti al massimo ribasso o governato dall'emergenza o dalle cricche, mentre l'inefficienza delle norme spesso diventa pretesto per deregolare o per dare opacità alle procedure. Il sistema ispettivo e dei controlli è falcidiato dalla scure dei tagli sugli organici della pubblica amministrazione. 18 mesi fa chiedemmo di fare presto, con interventi mirati a sostenere le imprese sane e strutturate, che restano la maggioranza del settore, affinchè queste potessero sopravvivere alla crisi e quelle disoneste fossero isolate ed estromesse dal mercato. Se oggi invece accade il contrario, se oggi sono le imprese sane a soccombere, questo non accade per caso, ma per scelte del Governo, tanto precise quanto sbagliate. Se si ribassano le gare del 50%, se si allunga all'infinito la catena dei subappalti, se le pubbliche amministrazioni pagano dopo 24 mesi, mi dite quale impresa può sopravvivere? Quella sana forse? O quella irregolare, che scarica sul lavoro, sulla sua condizione sulla sicurezza i propri margini? O ancora quella criminale, che non ha bisogno di remunerare il capitale, ma solo di pulirlo?
E' ora di dire basta, contano solo i fatti, e sui fatti finora il governo ha fallito. Un governo assente, renitente ad ogni confronto, in un anno e mezzo ci ha incontrati una sola volta; inefficace, quando raramente è intervenuto; contraddittorio, come ancora dimostrano le cronache parlamentari di ieri, con l'emendamento proposto da esponenti della maggioranza, e poi ritirato perché scoperti “con il sorcio in bocca” si dice a Roma, all'articolo 7 del Decreto Sicurezza che proponeva di escludere la voce “dipendenti” dalla tracciabilità dei pagamenti...un regalo di Natale prestigioso a chi utilizza lavoro nero!
E allora, ora come 18 mesi fa, chiediamo: regolarità del lavoro e delle imprese, legalità e lotta alle mafie, qualità del costruito, dell' impresa e del lavoro, sostenibilità dello sviluppo, investimenti per il risanamento idrogeologico e per la manutenzione e la messa in sicurezza secondo criteri antisismici del patrimonio abitativo pubblico e privato, infrastrutture utili a riavvicinare il Mezzogiorno al resto del paese e l'Italia al resto dell'Europa.
Non chiediamo un lavoro, purchè sia. Non chiediamo cemento e assalto al territorio. Chiediamo che si realizzino opere utili al paese ed al suo sviluppo sostenibile, utili alle comunità locali ed alla loro crescita, utili al rilancio del settore e dell'intera economia italiana. Le chiediamo oggi a questo governo, quale che sia la sua sorte. Le chiederemo domani, quale che sia lo scenario che avremo di fronte. Questo è la realtà che oggi ci porta qui insieme, per la prima volta nella storia delle relazioni industriali nel nostro settore. Una prima volta che solo gli sciocchi potrebbero rappresentare come un patto neo -corporativo. Ciò che ci anima, che anima questa piazza, nella consapevolezza delle diverse istanze sociali che rappresentiamo, è la condivisione profonda di un obiettivo comune: far ripartire il paese, guardare al futuro dell'Italia e dei suoi giovani, quegli stessi che in questi giorni rivendicano il diritto ad una scuola e ad una università pubblica degne di un paese civile.
A chi vuole ancora raccontarci favole o, peggio, barzellette, oggi diciamo: misuratevi con la pioggia, con il freddo, con il sole che picchia sui cantieri d'Italia, da Bolzano a Pantelleria; misuratevi con la vita vera, con la fatica che fanno le persone in carne ed ossa, lavoratori o imprenditori che siano, italiani o stranieri che siano; misuratevi con la concretezza di chi quotidianamente con il proprio sudore, con i propri sapere, con le proprie energie, con il proprio lavoro, cerca di costruire un futuro, per sé e per il paese.
Qui oggi trovate queste persone. E queste persone, oggi, vi dicono che è finito il tempo di “pane e promesse”, per uscire dalla crisi occorre rilanciare il lavoro e sostenere l'impresa. Perché il futuro si costruisce insieme.

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