bannersito04.12.12 "L’accordo del 22 novembre sulla produttività, sottoscritto da governo e parti sociali, con l’esclusione della Cgil, prima di ogni altra considerazione, evidenzia un limite pesante nella definizione non più procrastinabile delle forme e delle regole di partecipazione democratica e di verifica della rappresentanza nei luoghi di lavoro; un limite che pesa non solo sui lavoratori e sulle organizzazioni della rappresentanza sociale, ma sulla stessa efficienza del paese. La scelta della Cgil di anteporre alle altre tale questione è stata quindi una scelta giusta e non pretestuosa." A parlare è Walter Schiavella, segretario generale della Fillea Cgil, in apertura dello speciale di otto pagine che Rassegna Sindacale dedica alla nuova stagione contrattuale del settore delle costruzioni. Nell'inserto le schede delle piattaforme varate e le interviste ai segretari nazionali dei settori produttivi, Marinella Meschieri, Mauro Livi, Moulay El Akkioui...


PER UN NUOVO MODELLO CONTRATTUALE
di Walter Schiavella

Con l’approvazione da parte dell’assemblea nazionale unitaria della piattaforma per il rinnovo del ccnl dell’edilizia, si apre ora una difficile fase di confronto con le controparti. Si tratta di una fase complessa, resa ancor più difficile dalla persistente inadeguatezza delle politiche che il governo ha messo finora in campo per contrastare la crisi di un settore vitale per il paese, in cui in quattro anni sono spariti 500 mila posti di lavoro. A queste oggettive difficoltà, purtroppo, il governo ne ha aggiunte di altre, concentrando le sue attenzioni invece che sulle politiche dei fattori produttivi, a cominciare dalla rete infrastrutturale e per finire alla messa in sicurezza del territorio, sulla sola produttività del lavoro fino ad arrivare a un ennesimo accordo separato.
L’accordo del 22 novembre sulla produttività, sottoscritto da governo e parti sociali, con l’esclusione della Cgil, prima di ogni altra considerazione, evidenzia infatti un limite pesante nella definizione non più procrastinabile delle forme e delle regole di partecipazione democratica e di verifica della rappresentanza nei luoghi di lavoro; un limite che pesa non solo sui lavoratori e sulle organizzazioni della rappresentanza sociale, ma sulla stessa efficienza del paese.
La scelta della Cgil di anteporre alle altre tale questione è stata quindi una scelta giusta e non pretestuosa. Senza certezze, nessuna intesa può produrre risultati né per i lavoratori né per il paese. Il governo ha invece scelto un’altra strada, proseguendo una prassi che negli ultimi anni ha prodotto solo disastri.
Con questo accordo separato la strada dei rinnovi contrattuali, già di per sé difficile, si fa più ardua e per questo è necessario valutare con attenzione quanto è accaduto e, soprattutto, quanto dovremo evitare che accada ancora.
Perché tale analisi produca risultati utili, è necessario effettuarla con attenzione e franchezza, scontando anche valutazioni diverse fra noi che saranno positive e potranno condurre a una sintesi necessaria solo se saranno il portato delle diverse situazioni settoriali e delle diverse storie contrattuali delle categorie e non già il frutto di sterili posizionamenti politici o, peggio ancora, di semplificazioni ad uso dei giornali fra destra e sinistra, fra conservatori e innovatori, fra massimalisti e riformisti.
Sotto questo punto di vista, la Fillea rappresenta indubbiamente, per caratteristiche e struttura negoziale dei propri settori, un punto di vista particolare che, senza voler diventare necessariamente  generalizzabile, non può però neanche essere sottovalutato nella ricerca delle soluzioni e dei percorsi per ridefinire finalmente una strategia contrattuale della Cgil, a partire dalla costruzione di un modello unificante di relazioni sindacali.
Se il dibattito deve avere un respiro ampio e di prospettiva, non possiamo però prescindere da una valutazione di quanto accaduto e soprattutto dalle conseguenze su questa stagione negoziale dell’accordo separato sulla produttività.
Non ho alcun dubbio circa l’inaccettabilità di quella filosofia e di quel disegno:
• appare chiaro che la filosofia che lo ispira sia coerente con quella che, in Europa e in Italia, ha finora contrassegnato politiche economiche recessive;
• appare chiaro che, nello specifico di questa contingenza politica nazionale, il disegno politico che persegue sia quello di escludere la Cgil, creando tensioni nelle forze politiche a sinistra e consolidando invece il disegno neocentrista;
• appare chiaro che la traduzione di tale disegno e di tale filosofia in punti di merito contrattuale sia in molti di questi non accettabile e, in molti altri, si presti a interpretazioni certamente rischiose.
Con molta chiarezza voglio dire che non è su questi giudizi che si articolano le nostre posizioni. Tali giudizi sono ampiamente condivisi da tutti noi. 
Il punto su cui dobbiamo invece soffermarci a riflettere è un altro: cosa dobbiamo fare, come dobbiamo agire per contrastare efficacemente questa politica e questo disegno?
In questo ambito, pare evidente che né oggi né a breve possano essere previsti radicali mutamenti sia nello scenario politico, sia in quello economico.

Così come pare evidente che la crisi e gli effetti che produce sulle persone, insieme alla persistente divisione del movimento sindacale, abbiano indebolito e non certo rafforzato la capacità di reazione solidale del mondo del lavoro e dello stesso sindacato. In sintesi, se guardiamo anche all’esito delle ultime mobilitazioni, non mi sembra che la “rivoluzione” sia alle porte.
È su queste considerazioni, non sul giudizio di merito, su cui comunque tornerò, che ho sempre ritenuto pericoloso e quindi da evitare un nuovo accordo separato fino a sostenere, nel Comitato direttivo Cgil dello scorso 15 novembre, la necessità di una nostra adesione all’intesa con le necessarie riserve formali, così come lo stesso segretario generale in quella occasione aveva ipotizzato.
Rivendico la mia opinione, non certo perché ritenga la partita ancora aperta, ma solo per chiarezza e coerenza. Per il resto la discussione è chiusa.
Oggi la questione, per quel che ci riguarda, non è più infatti questa, bensì come contrasteremo gli effetti prodotti dall’intesa separata. Come è nella storia di questa categoria, che ha fatto del valore della confederalità un faro, la decisione assunta è la nostra decisione e cercheremo con tutto il nostro impegno di tradurla efficacemente nelle iniziative che la Confederazione deciderà, a partire dall’effettuazione della capillare campagna di assemblee che dovremo effettuare per spiegare le nostre ragioni e soprattutto per indicare una concreta prospettiva di cambiamento e di innovazione della contrattazione e dei modelli di sviluppo intorno al piano del lavoro della Cgil; ma, soprattutto, dovremo farlo nella nostra azione negoziale per il rinnovo dei ccnl.
Su questo ultimo punto, voglio spendere alcune considerazioni che richiamano il merito dell’accordo separato sulla produttività.
In proposito occorre ripartire da un’attenta analisi del testo di quell’accordo.
Se, infatti, è chiara la volontà politica di governo e controparti di ridurre salari reali e diritti contrattuali, tale volontà in alcuni casi è chiaramente espressa nel testo (controllo a distanza, sanzioni ecc.) e va chiaramente respinta nei rinnovi dei ccnl; in altri casi, anche grazie alla presenza determinante della Cgil, è stata espressa con formulazioni ambigue (salario, mansioni ecc.) che vanno gestite nei tavoli dei rinnovi contrattuali ai quali è data facoltà, e non certo fatto obbligo, di affrontare tali questioni.
Anche per questo motivo ritenevo più utile alla gestione dei ccnl una nostra sigla tecnica e con riserva a quell’intesa che ci avrebbe permesso di contenerne meglio, da dentro, gli effetti negativi e di governare a nostro vantaggio le ambiguità. Ma anche senza la firma della Cgil, per chi come noi dovrà rinnovare i ccnl, il problema resta e andrà affrontato in quelle sedi coerentemente agli indirizzi decisi dalla Confederazione.
A questo fine, trovo che sulla questione del rapporto fra salario nazionale e di secondo livello, che resta il cuore contrattuale di quell’intesa, sia sbagliato accreditare, noi per primi, una lettura delle formulazioni che avvalora quella che ne danno le controparti.
L’accordo non parla espressamente dei minimi contrattuali, bensì di una quota degli “aumenti” contrattuali definiti nazionalmente come trasferibili al secondo livello e, per quel che ci riguarda, quella “quota” va letta come sinonimo di “costi” e non di minimi.
Nei nostri contratti, quindi, nessuna quota dei minimi contrattuali (che dovranno garantire una reale tutela dei salari dalle dinamiche inflative) andrà trasferita al secondo livello. Su questo, per noi, non possono esserci ambiguità. Del resto è esattamente quello che, unitariamente, chiediamo nella piattaforma per il rinnovo del ccnl edilizia dove, oltre a un aumento dei minimi tabellari adeguato alle dinamiche inflattive reali, chiediamo di fissare nel ccnl una quota della produttività di settore da redistribuirsi nella contrattazione territoriale di secondo livello come Elemento variabile della retribuzione (Evr), secondo parametri legati ai fattori produttivi e all’andamento territoriale del settore.
È chiaro che nessuno pensa che tale modello, così come quello per noi fondamentale della bilateralità contrattuale, sia direttamente esportabile in altri settori, ma neanche è pensabile che noi si possa prescindere da esso e che diventi invisibile nella discussione confederale per l’elaborazione di un’opinione su tutta questa vicenda e, soprattutto, nella definizione di indirizzi di gestione dei tavoli per i rinnovi dei ccnl.
Quello dei tavoli contrattuali, del resto, è solo il primo contingente terreno di contenimento e gestione degli effetti nefasti dei princìpi negativi, affermati in quell’accordo separato sulla produttività; un terreno sul quale sarà utile avere indirizzi confederali chiari, ma rispettosi delle autonomie e delle storie contrattuali, indirizzi a cui tutti vincolarci, ma senza che nessuno impugni la matita rossa e blu per sottolineare eventuali e presunti errori od omissioni.
Serve uno spirito flessibile e solidale per affrontare questa fase come, in gran parte, affrontammo positivamente quella successiva all’accordo separato del 2009.
Questa fase, purtroppo, sarà ancor più difficile e, perché noi si possa avere successo, avremo bisogno non solo di una tattica per la gestione delle contingenze contrattuali, ma anche, e soprattutto, di una strategia che sappia rideclinare le nostre convinzioni e i nostri punti fermi in una chiave che li renda attuabili alla luce delle trasformazioni economiche, produttive e sociali che la crisi ha prodotto traguardando a un diverso modello di sviluppo più inclusivo e solidale. Per quel che ci riguarda, questa discussione non può che partire dalle elaborazioni su contrattazione e sostenibilità dello sviluppo che abbiamo approvato nell’assemblea nazionale dei quadri e delegati Fillea lo scorso maggio a Genova.
Non è più eludibile, in sintesi, una discussione aperta, franca e serena sui modelli contrattuali, sull’area di effettiva efficacia dei ccnl rispetto alla disarticolazione delle forme di lavoro, sull’effettiva ricomposizione per via contrattuale della frammentazione produttiva e sulla strumentazione che sarebbe necessaria per realizzare tutto ciò, a cominciare da un utilizzo più moderno, corretto, efficace ed esteso della bilateralità contrattuale.
I prossimi appuntamenti, dal seminario sulla contrattazione alla conferenza di programma, dobbiamo utilizzarli per aprire davvero questa discussione che, in fin dei conti, è, e deve essere, la discussione sulla natura, sul ruolo e sulle funzioni che immaginiamo per il sindacato e per la Cgil nel prossimo futuro.

 

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